Roberto Michels e i partiti politici
R. Michels,
Les Partis politiques et la contrainte sociale, «Mercure
de France», 1° maggio 1928, pp. 513-535. «Le parti
politique ne saurait être étymologiquement et
logiquement qu'une partie de l'ensemble des citoyens, organisée
sur le terrain de la politique. Le parti n'est donc qu'une fraction,
pars pro toto» (?).
Secondo
Max Weber (Wirtschaft und Gesellschaft.
Grundriss der Sozialökonomik, III, 2a
ediz., Tubinga 1925, pp. 167, 639) ha la sua origine da due specie di
cause: sarebbe specialmente una associazione spontanea di propaganda
e d'agitazione, che tende al potere per procurare cosí ai suoi
aderenti attivi (militanti) possibilità morali e materiali per
realizzare fini oggettivi o vantaggi personali o ancora le due cose
insieme. L'orientazione generale dei partiti politici consisterebbe
pertanto nel Machtstreben, personale o impersonale. Nel primo
caso i partiti personali sarebbero basati sulla protezione accordata
a degli inferiori da un uomo potente. Nella storia (?) dei
partiti politici i casi di tal genere sono frequenti. Nella vecchia
dieta prussiana del 1855, che comprendeva molti gruppi politici,
tutti avevano il nome dei loro capi: il solo gruppo che si diede il
vero nome fu un gruppo nazionale, quello polacco (cfr. Friedrich
Naumann, Die politischen Parteien, Berlino, 1910, «Die
Hilfe», p. 8).
La storia del movimento
operaio dimostra che i socialisti non hanno sprezzato questa
tradizione borghese. Spesso i partiti socialisti hanno preso
il nome dai loro capi («comme pour faire aveu public de leur
assujettissement complet à ces chefs») (!). In
Germania, tra il 1863 e il 1875, le frazioni socialiste rivali erano
i Marxisti e i Lassalliani. In Francia, in un'epoca piú
recente, le grandi correnti socialiste erano divise in Broussistes,
Allemanistes, Blanquistes, Guesdistes e Jaurèssistes. È
vero che gli uomini che davano cosí il nome ai diversi
movimenti personificavano il piú completamente possibile le
idee e le tendenze che ispiravano il partito e li
guidarono durante tutta la sua evoluzione (Maurice Charnay, Les
Allemanistes, Parigi, Rivière, 1912, p. 25).
Forse c'è analogia
tra i partiti politici e le sette religiose e gli ordini monastici;
Yves Guyot ha notato che l'individuo appartenente al partito moderno
opera come i frati del Medio Evo, che presero il nome da S. Domenico,
S. Benedetto, Agostino, Francesco (Yves Guyot, La Comédie
socialiste, Parigi, 1897, Charpentier, p. 111). Ecco dei
partiti-tipo, che potrebbero essere chiamati «partis de
patronage». Quando il capo esercita un influsso sui suoi
aderenti per qualità cosí eminenti che sembrano
soprannaturali a questi ultimi, esso può essere chiamato capo
charismatico (χάρισμα, dono di
dio, ricompensa; cfr. M. Weber, op. cit., p. 140). (Questa
nota è segnata 4 bis, cioè è stata inserita
nelle bozze; non certo per la traduzione di «χάρισμα»,
ma forse per la citazione del Weber. Il Michels ha fatto molto
baccano in Italia per la «sua» trovata del «capo
charismatico» che probabilmente (occorrerebbe confrontare) era
già nel Weber; bisognerebbe vedere anche il libro del Michels
sulla Sociologia politica del '27: non accenna neanche che una
concezione del capo per grazia di dio è già esistita e
come!)
Tuttavia questa specie di
partito [si] presenta talvolta in forme piú generali. Lo
stesso Lassalle, il capo dei Lassalliani, officialmente non
era che presidente a vita dell'Allgemeiner Deutscher
Arbeiterverein. Egli si compiaceva di vantarsi dinanzi ai
suoi fautori dell'idolatria che godeva da parte delle masse deliranti
e delle vergini vestite di bianco che gli cantavano dei cori e gli
offrivano dei fiori. Questa fede charismatica non era solo frutto di
una psicologia esuberante e un po' megalomane, ma corrispondeva anche
a una concezione teorica. Noi dobbiamo – disse agli operai
renani esponendo loro le sue idee sull'organizzazione del partito –
di tutte le nostre volontà disperse foggiare un martello e
metterlo nelle mani d'un uomo la cui intelligenza, il carattere e
l'attaccamento ci siano una garanzia che colpisca energicamente (cfr.
Michels, Les partis politiques, 1914, p. 130; non rimanda
all'edizione italiana ampliata e del '24). Era il martello del
dittatore. Piú tardi le masse domandarono almeno un
simulacro di democrazia e di potere collettivo, si formarono
gruppi sempre piú numerosi di capi che non ammettevano la
dittatura di un solo. Jaurès e Bebel sono due tipi di capi
charismatici. Bebel, orfano di un sottufficiale di Pomerania, parlava
altezzosamente (?) ed era imperativo (Hervé lo chiamò
il Kaiser Bebel: cfr. Michels, Bedeutende Männer, Lipsia,
1927, p. 29). Jaurès, oratore straordinario, senza uguali,
infiammato, romantico e insieme realista, che cercava di sormontare
le difficoltà, «seriando» i problemi, per
abbatterli a misura che si presentavano. (cfr.
Rappoport, Jean Jaurès. L'homme.
Le Penseur. Le Socialiste, 2a ed.,
Parigi, 1916, p. 366). I due grandi capi, amici e nemici, avevano in
comune una fede indomita tanto nell'efficacia della loro azione, che
nei destini delle legioni delle quali erano i portabandiera. Furono
ambedue deificati: Bebel ancor vivo, Jaurès da morto.
Mussolini è un altro
esempio di capo partito che ha del veggente e del credente. Egli,
inoltre, non è solo capo unico di un grande partito, ma è
anche il capo unico di un grande Stato. Con lui anche la
nozione dell'assioma: «il partito sono io», ha avuto, nel
senso della responsabilità e del lavoro assiduo, il massimo
sviluppo. (Storicamente inesatto. Intanto [è] proibita la
formazione di gruppi e ogni discussione di assemblea, perché
esse si erano verificate disastrose. Mussolini si serve dello Stato
per dominare il partito e del partito, solo in parte, nei momenti
difficili, per dominare lo Stato. Inoltre il cosidetto «charisma»,
nel senso del Michels, nel mondo moderno coincide sempre con una fase
primitiva dei partiti di massa, con la fase in cui la dottrina si
presenta alle masse come qualcosa di nebuloso e incoerente, che ha
bisogno di un papa infallibile per essere interpretata e adattata
alle circostanze; tanto piú avviene questo fenomeno, quanto
piú il partito nasce e si forma non sulla base di una
concezione del mondo unitaria e ricca di sviluppi perché
espressione di una classe storicamente essenziale e progressiva, ma
sulla base di ideologie incoerenti e arruffate, che si nutrono di
sentimenti ed emozioni che non hanno raggiunto ancora il punto
terminale di dissolvimento, perché le classi (o la classe) di
cui è espressione, quantunque in dissoluzione, storicamente,
hanno ancora una certa base e si attaccano alle glorie del passato
per farsene scudo contro l'avvenire).
L'esempio che Michels dà
come prova della risonanza nelle masse di questa concezione è
infantile, per chi conosce la facilità delle folle italiane
all'esagerazione sentimentale e all'entusiasmo «emotivo»:
una voce su diecimila presenti dinanzi a palazzo Chigi avrebbe
gridato: «No, sei tu l'Italia», in un'occasione di
commozione obbiettivamente reale della folla fascista. Mussolini
avrebbe poi manifestato l'essenza charismatica del suo carattere nel
telegramma inviato a Bologna in cui diceva di essere sicuro,
assolutamente sicuro (e certamente lo era, pour cause) che
niente di grave poteva capitargli prima d'aver portato a termine la
sua missione.
«Nous
n'avons pas ici à indiquer les dangers que la conception
charismatique peut entraîner» (?). La direzione
charismatica porta in sé un dinamismo politico vigorosissimo.
Saint-Simon, nel suo letto di morte, disse ai suoi discepoli di
ricordarsi che per fare grandi cose, bisogna essere appassionati.
Essere appassionati significa avere il dono di appassionare gli
altri. È uno stimolante formidabile. Questo è il
vantaggio dei partiti charismatici su gli altri basati su un
programma ben definito e sull'interesse di classe. È vero,
però, che la durata dei partiti charismatici è spesso
regolata dalla durata del loro slancio e dal loro entusiasmo, che
talvolta danno una base molto fragile. Perciò vediamo i
partiti charismatici portati ad appoggiare i loro valori psicologici
(!) sulle organizzazioni piú durature degli interessi umani.
Il capo carismatico può
appartenere a qualsiasi partito, sia autoritario sia antiautoritario
(dato che esistano partiti antiautoritari, come partiti; avviene anzi
che i «movimenti» antiautoritari, anarchici,
sindacalisti-anarchici, diventano «partito» perché
l'aggruppamento avviene intorno a personalità «irresponsabili»
organizzativamente, in un certo senso «carismatiche»).
La classificazione dei
partiti del Michels è molto superficiale e sommaria, per
caratteri esterni e generici: 1) partiti «carismatici»,
cioè raggruppamenti intorno a certe personalità, con
programmi rudimentali; la base di questi partiti è la fede e
l'autorità d'un solo. (Di tali partiti non se n'è mai
visti; certe espressioni d'interessi sono in certi momenti
rappresentate da certe personalità piú o meno
eccezionali: in certi momenti di «anarchia permanente»
dovuta all'equilibrio statico delle forze in lotta, un uomo
rappresenta l'«ordine» cioè la rottura con mezzi
eccezionali dell'equilibrio mortale e intorno a lui si raggruppano
gli «spauriti», le «pecore idrofobe» della
piccola borghesia: ma c'è sempre un programma, sia pure
generico, anzi generico appunto perché tende solo a rifare
l'esteriore copertura politica a un contenuto sociale che non
attraversa una vera crisi costituzionale, ma solo una crisi dovuta al
troppo numero di malcontenti, difficili da domare per la loro mera
quantità e per la simultanea ma meccanicamente simultanea
manifestazione del malcontento su tutta l'area della nazione); 2)
partiti che hanno per base interessi di classe, economici e sociali,
partiti di operai, contadini o di «petites gens» (poiché)
i borghesi non possono da soli formare un partito; 3) partiti
politici generati (!) da idee politiche o morali, generali e
astratte: quando questa concezione si basa su un dogma piú
sviluppato ed elaborato fino nei dettagli si potrebbe parlare di
partiti dottrinari, le cui dottrine sarebbero privilegio dei capi:
partiti libero scambisti o protezionisti o che proclamano dei diritti
di libertà o di giustizia come: «a ciascuno il prodotto
del suo lavoro! a ciascuno secondo le sue forze! a ciascuno secondo i
suoi bisogni!»
Il Michels trova, meno
male, che questa distinzione non può essere netta né
completa, perché i partiti «concreti»
rappresentano per lo piú sfumature intermedie o combinazioni
di tutte e tre. A questi tre tipi ne aggiunge altri due: i partiti
confessionali e i partiti nazionali (bisognerebbe ancora aggiungere i
partiti repubblicani in regime monarchico e i partiti monarchici in
regime repubblicano). Secondo il Michels i partiti confessionali piú
che una Weltanschauung professano una Ueberweltanschauung
(che poi è lo stesso). I partiti nazionali professano il
principio generale del diritto di ogni popolo e di ogni frazione di
popolo alla completa sovranità senza condizioni (teorie di P.
S. Mancini). Ma dopo il '48 questi partiti sono spariti, e sono sorti
i partiti nazionalisti, senza principi generali perché negano
agli altri ecc. (sebbene i partiti nazionalisti non sempre neghino
«teoricamente» agli altri popoli ciò che affermano
per il proprio: pongono la risoluzione del conflitto nelle armi,
quando non partano da concezioni vaghe di missioni nazionali, come
poi il Michels dice).
L'articolo [è] pieno
di parole vuote e imprecise. «Il bisogno dell'organizzazione
[...] e le tendenze ineluttabili (!) della psicologia umana,
individuale e collettiva, cancellano alla lunga la maggior parte
delle distinzioni originarie». (Cosa vuol dire tutto ciò:
il tipo «sociologico» non corrisponde al fatto concreto).
«Il partito politico come tale ha la sua propria anima (!),
indipendente dai programmi e dai regolamenti che si è dato e
dai principi eterni di cui è imbevuto». Tendenza
all'oligarchia. «Dandosi dei capi, gli stessi operai si creano,
con le proprie mani, nuovi padroni, la cui principale arma di dominio
consiste nella loro superiorità tecnica e intellettuale, e
nell'impossibilità d'un controllo efficace da parte dei loro
mandanti». Gli intellettuali hanno una funzione (in questa
manifestazione). I partiti socialisti, grazie ai numerosi posti
retribuiti e onorifici di cui dispongono, offrono agli operai (a un
certo numero di operai, naturalmente!) una possibilità di far
carriera, ciò che esercita su di essi una forza di attrazione
considerevole (questa forza si esercita, però, piú
sugli intellettuali).
Complessità
progressiva del mestiere politico per cui i capi dei partiti
diventano sempre piú dei professionisti, che devono avere
nozioni sempre piú estese, un tatto, una pratica burocratica,
e spesso una furberia sempre piú vasta. Cosí i
dirigenti si allontanano sempre piú dalla massa e si vede la
flagrante contraddizione che nei partiti avanzati esiste tra le
dichiarazioni e le intenzioni democratiche e la realtà
oligarchica (bisogna però osservare che altra è la
democrazia di partito e altra la democrazia nello Stato: per
conquistare la democrazia nello Stato può essere necessario –
anzi è quasi sempre necessario – un partito fortemente
accentrato; e poi ancora: le quistioni di democrazia e di oligarchia
hanno un significato preciso che è loro dato dalla differenza
di classe tra capi e gregari: la quistione diventa politica, acquista
un valore reale cioè e non piú solo di schematismo
sociologico, quando nell'organizzazione c'è scissione di
classe: ciò è avvenuto nei sindacati e nei partiti
socialdemocratici: se non c'è differenza di classe la
quistione diventa puramente tecnica – l'orchestra non crede che
il direttore sia un padrone oligarchico – di divisione del
lavoro e di educazione, cioè l'accentramento deve tener conto
che nei partiti popolari l'educazione e l'«apprendissaggio»
politico si verifica in grandissima parte attraverso la
partecipazione attiva dei gregari alla vita intellettuale –
discussioni – e organizzativa dei partiti. La soluzione del
problema, che si complica appunto per il fatto che nei partiti
avanzati hanno una grande funzione gli intellettuali, può
trovarsi nella formazione tra i capi e le masse di uno strato medio
quanto piú numeroso è possibile che serva di equilibrio
per impedire ai capi di deviare nei momenti di crisi radicale e per
elevare sempre piú la massa).
Le idee di Michels sui
partiti politici sono abbastanza confuse e schematiche, ma sono
interessanti come raccolta di materiale grezzo e di osservazioni
empiriche e disparate. Anche gli errori di fatto non sono pochi (il
partito bolscevico sarebbe nato dalle idee minoritarie di Blanqui e
dalle concezioni, piú severe e piú diversificate, del
movimento sindacalista francese, inspirate da G. Sorel). La
bibliografia degli scritti del Michels si può sempre
ricostruire dai suoi stessi scritti, perché egli si cita
abbondantemente.
La ricerca può
incominciare dai libri che ho già. Un'osservazione
interessante per il modo di lavorare e di pensare del Michels: le sue
scritture sono zeppe di citazioni bibliografiche, in buona parte
oziose e ingombranti. Egli appoggia anche i piú banali truismi
con l'autorità degli scrittori piú disparati. Si ha
spesso l'impressione che non è il corso del pensiero che
determina le citazioni, ma il mucchio di citazioni già pronte
che determina il corso del pensiero, dandogli un che di saltellante e
improvvisato. Il Michels deve aver costruito un immenso schedario, ma
da dilettante, da autodidatta. Può avere una certa importanza
sapere chi ha fatto per la prima volta una certa osservazione, tanto
piú se questa osservazione ha dato uno stimolo a una ricerca o
ha fatto progredire in qualsiasi modo una scienza. Ma annotare che il
tale o il tal altro ha detto che due e due fanno quattro è per
lo meno inetto.
Altre volte le citazioni
sono molto addomesticate: il giudizio settario, o, nel caso migliore,
epigrammatico, di un polemista, viene assunto come fatto storico o
come documento di fatto storico. Quando a p. 514 di questo articolo
sul «Mercure de France», egli dice che in Francia la
corrente socialista era divisa in Broussisti, Allemanisti,
Blanquisti, Guesdisti e Jauressisti per trarne l'osservazione che nei
partiti moderni avviene come negli ordini monastici medioevali
(benedettini, francescani, ecc.), con la citazione della Comédie
socialiste di Yves Guyot, da cui deve aver preso lo spunto, egli
non dice che quelle non erano le denominazioni ufficiali dei partiti,
ma denominazioni di «comodo» nate dalle polemiche
interne, anzi quasi sempre contenevano implicitamente una critica e
un rimprovero di deviazione personalistica, critica e rimprovero
scambievoli che si irrigidivano poi nell'effettivo uso della
denominazione personalistica (per la stessa ragione «corporativa»
e «settaria» per cui i «Gueux» si chiamarono
anch'essi cosí). Per questa ragione tutte le considerazioni
epigrammatiche del Michels cadono nel superficialismo da salotto
reazionario.
La pura descrittività
e classificazione esterna della vecchia sociologia positivistica sono
un altro carattere essenziale di queste scritture del Michels: egli
non ha nessuna metodologia intrinseca ai fatti, nessun punto di vista
critico che non sia un amabile scetticismo da salotto o da caffè
reazionario che ha sostituito la sbarazzineria altrettanto
superficiale del sindacalismo rivoluzionario e del sorellismo.
Rapporti tra Michels e
Sorel: lettera di Sorel a Croce in cui accenna alla superficialità
di Michels e tentativo meschino del Michels per togliersi di dosso il
giudizio del Sorel. Nella lettera al Croce del 30
maggio 1916 («Critica», 20 settembre 1929, p. 357) il
Sorel scrive: «Je viens de recevoir une brochure de R. Michels,
tirée de Scientia,
mai 1916: "La débacle de L'Internationale ouvrière
et l'avenir". Je vous prie d'y jeter les yeux; elle me semble
prouver que l'auteur n'a jamais rien compris à ce qui est
important dans le marxisme. Il nous présente Garibaldi, L.
Blanc, Benoit Malon (!!) comme les vrais maîtres de la pensée
socialiste...». (L'impressione del Sorel deve essere
esatta – io non ho letto questo scritto del Michels –
perché essa colpisce in modo piú evidente nel libro del
Michels sul movimento socialista italiano, Edizioni della «Voce»).
Nei «Nuovi studi di
Diritto, Economia e Politica» del settembre-ottobre 1929, il
Michels pubblica cinque letterine inviategli dal Sorel (1a
nel 1905, 2a nel 1912, 3a nel 1917, 4a
nel '17, 5a nel '17) di carattere tutt'altro che
confidenziale, ma piuttosto di corretta e fredda convenienza, e in
una nota (v. p. 291) scrive a proposito del su citato giudizio: «Il
Sorel evidentemente non aveva compreso (!) il senso piú
diretto dell'articolo incriminato, in cui io avevo accusato (!) il
marxismo di lasciarsi sfuggire (!) il lato etico del socialismo
mazziniano ed altro, e di aver, esagerando il lato meramente
economico, portato il socialismo alla rovina. D'altronde, come
risulta dalle lettere già pubblicate (quali lettere? quelle
pubblicate dal Michels, queste cinque in parola? esse non dicono
nulla), lo scatto (in corsivo dal Michels, ma si tratta di ben
altro che scatto; per il Sorel si tratta, pare, di conferma di un
giudizio già fatto da un pezzo) del Sorel nulla tolse ai buoni
rapporti (!) coll'autore di queste righe». In queste note nei
«Nuovi Studi», il Michels mi pare tende ad alcuni fini
discretamente interessanti e ambigui: a gettare un certo discredito
sul Sorel come uomo e come «amico» dell'Italia e a far
apparire se stesso come patriotta italiano di vecchia data. Ritorna
questo motivo molto equivoco nel Michels (credo di aver notato
altrove la sua situazione allo scoppio della guerra). È
interessante la letterina di Sorel a Michels del 10 luglio 1912: «Je
lis le numéro de la Vallée d'Aoste che
vous avez bien voulu m'envoyer. J'y ai remarqué
que vous affirmez un droit au séparatisme qui est bien de
nature à rendre suspect aux Italiens le maintien de la langue
française dans la Vallée d'Aoste». Michels
nota che si tratta di un numero unico: «La Vallée
d'Aoste pour sa langue française», pubblicato nel maggio
1912 ad Aosta dalla tipografia Margherittaz, sotto gli auspici di un
Comitato locale valdostano per la protezione della lingua francese
(collaboratori, Michels, Croce, Prezzolini, Graf, ecc.). «Inutile
dire che nessuno di questi autori aveva fatta sua, come con soverchia
licenza poetica si esprime il Sorel, una qualsiasi tesi separatista».
Il Sorel accenna solo al Michels ed io sono portato a credere che
egli abbia veramente per lo meno accennato al diritto al separatismo
(bisognerebbe controllare nel caso di una presentazione del Michels
che sarà necessaria un giorno).
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