Note sulla vita nazionale francese
Note sulla vita
nazionale francese. Il partito monarchico in regime repubblicano,
come il partito repubblicano in regime monarchico, o il partito
nazionale in regime di soggezione del paese a uno Stato straniero,
non possono non essere partiti sui generis: devono essere,
cioè, se vogliono ottenere successi relativamente rapidi, le
centrali di federazioni di partiti, piú che partiti
caratterizzati in tutti i punti particolari dei loro programmi di
governo; partiti di un sistema generale di governo e non di governi
particolari (in questa stessa serie spetta un posto a parte ai
partiti confessionali, come il Centro tedesco o i diversi partiti
cristiano-sociali o popolari). Il partito monarchico si fonda in
Francia sui residui ancora tenaci della vecchia nobiltà
terriera e su una parte della piccola borghesia e degli
intellettuali. Su che sperano i monarchici per diventare capaci di
assumere il potere e restaurare la monarchia? Sperano sul collasso
del regime parlamentare-borghese e sulla incapacità di
qualsiasi altra forza organizzata esistente ad essere il nucleo
politico di una dittatura militare prevedibile o da loro stessi
preordinata; in nessun altro modo le loro forze sociali sarebbero in
grado di conquistare il potere. In attesa, il centro dirigente
dell'Action Française svolge sistematicamente una serie
di attività: un'azione organizzativa politico-militare
(militare nel senso di partito e nel senso di avere cellule attive
fra gli ufficiali dell'esercito) per raggruppare nel modo piú
efficiente l'angusta base sociale su cui storicamente il movimento
s'appoggia. Essendo questa base costituita di elementi in generale
piú scelti per intelligenza, cultura, ricchezza, pratica di
amministrazione ecc. che qualsiasi altro movimento, è
possibile avere un partito notevole, imponente persino, ma che però
si esaurisce in se stesso, che non ha, cioè, riserve da
gettare nella lotta in una crisi risolutiva. Il partito è
notevole, pertanto, solo nei tempi normali, quando gli elementi
attivi nella lotta politica si contano a decine di migliaia, ma
diventerà insignificante (numericamente) nei periodi di crisi,
quando gli attivi si conteranno a centinaia di migliaia e forse a
milioni.
Lo sviluppo del
giacobinismo (di contenuto) e della formula della rivoluzione
permanente attuata nella fase attiva della Rivoluzione francese ha
trovato il suo «perfezionamento» giuridico-costituzionale
nel regime parlamentare, che realizza, nel periodo piú ricco
di energie «private» nella società, l'egemonia
permanente della classe urbana su tutta la popolazione, nella forma
hegeliana del governo col consenso permanentemente organizzato (ma
l'organizzazione del consenso è lasciata all'iniziativa
privata, è quindi di carattere morale o etico, perché
consenso «volontariamente» dato in un modo o nell'altro).
Il «limite» trovato dai giacobini nella legge Chapelier e
in quella del maximum, viene superato e respinto piú lontano
progressivamente attraverso un processo completo, in cui si alternano
l'attività propagandistica e quella pratica (economica,
politico-giuridica): la base economica, per lo sviluppo industriale e
commerciale, viene continuamente allargata e approfondita, dalle
classi inferiori si innalzano fino alle classi dirigenti gli elementi
sociali piú ricchi di energia e di spirito d'intrapresa, la
società intera è in continuo processo di formazione e
di dissoluzione seguita da formazioni piú complesse e ricche
di possibilità; ciò dura, in linea generale, fino
all'epoca dell'imperialismo e culmina nella guerra mondiale. In
questo processo si alternano tentativi di insurrezione e repressioni
spietate, allargamento e restrizioni del suffragio politico, libertà
di associazione e restrizioni o annullamenti di questa libertà,
libertà nel campo sindacale ma non in quello politico, forme
diverse di suffragio, scrutinio di lista o circoscrizioni
uninominali, sistema proporzionale o individuale, con le varie
combinazioni che ne risultano – sistema delle due camere o di
una sola camera elettiva, con vari modi di elezione per ognuna
(camera vitalizia ed ereditaria, Senato a termine, ma con elezione
dei Senatori diversa da quella dei deputati ecc.) –, vario
equilibrio dei poteri, per cui la magistratura può essere un
potere indipendente o solo un ordine, controllato e diretto dalle
circolari ministeriali, diverse attribuzioni del capo del governo e
dello Stato, diverso equilibrio interno degli organismi territoriali
(centralismo o decentramento, maggiori o minori poteri dei prefetti,
dei Consigli provinciali, dei Comuni, ecc.), diverso equilibrio tra
le forze armate di leva e quelle professionali (polizia,
gendarmeria), con la dipendenza di questi corpi professionali
dall'uno o dall'altro organo statale (dalla magistratura, dal
ministero dell'interno o dallo Stato maggiore); la maggiore o minore
parte lasciata alla consuetudine o alla legge scritta, per cui si
sviluppano forme consuetudinarie che possono ad un certo punto essere
abolite in virtú delle leggi scritte (in alcuni paesi «pareva»
si fossero costituiti regimi democratici, ma essi si erano costituiti
solo formalmente, senza lotta, senza sanzione costituzionale e fu
facile disgregarli senza lotta, o quasi, perché privi di
sussidi giuridico-morali e militari, ripristinando la legge scritta o
dando della legge scritta interpretazioni reazionarie); il distacco
piú o meno grande tra le leggi fondamentali e i regolamenti
d'esecuzione che annullano le prime o ne danno un'interpretazione
restrittiva; l'impiego piú o meno esteso dei decreti-legge che
tendono a sostituire la legislazione ordinaria e la modificano in
certe occasioni, «forzando la pazienza» del parlamento
fino a giungere a un vero e proprio «ricatto della guerra
civile». A questo processo contribuiscono i teorici-filosofi, i
pubblicisti, i partiti politici ecc. per lo sviluppo della parte
formale e i movimenti o le pressioni di massa per la parte
sostanziale, con azioni e reazioni reciproche, con iniziative
«preventive» prima che un fenomeno si manifesti
pericolosamente e con repressioni quando le prevenzioni sono mancate
o sono state tardive e inefficaci.
L'esercizio «normale»
dell'egemonia nel terreno divenuto classico del regime parlamentare,
è caratterizzato dalla combinazione della forza e del consenso
che si equilibrano variamente, senza che la forza soverchi di troppo
il consenso, anzi cercando di ottenere che la forza appaia appoggiata
sul consenso della maggioranza, espresso dai cosí detti organi
dell'opinione pubblica – giornali e associazioni – i
quali, perciò, in certe situazioni, vengono moltiplicati
artificiosamente. Tra il consenso e la forza sta la corruzione-frode
(che è caratteristica di certe situazioni di difficile
esercizio della funzione egemonica, presentando l'impiego della forza
troppi pericoli) cioè lo snervamento e la paralisi procurati
all'antagonista o agli antagonisti con l'accaparrarne i dirigenti sia
copertamente sia in caso di pericolo emergente, apertamente, per
gettare lo scompiglio e il disordine nelle file antagoniste.
Nel periodo del dopoguerra,
l'apparato egemonico si screpola e l'esercizio dell'egemonia diviene
permanentemente difficile e aleatorio. Il fenomeno viene presentato e
trattato con vari nomi e in aspetti secondari e derivati. I piú
triviali sono: «crisi del principio d'autorità» e
«dissoluzione del regime parlamentare». Naturalmente del
fenomeno si descrivono sole le manifestazioni «teatrali»
sul terreno parlamentare e del governo politico ed esse appunto si
spiegano col fallimento di alcuni «principii»
(parlamentare, democratico, ecc.) e con la «crisi» del
principio d'autorità (del fallimento di questo principio
parleranno altri non meno superficiali e superstiziosi). La crisi si
presenta praticamente nella sempre crescente difficoltà di
formare i governi e nella sempre crescente instabilità dei
governi stessi: essa ha la sua origine immediata nella
moltiplicazione dei partiti parlamentari, e nelle crisi interne
permanenti di ognuno di questi partiti (si verifica cioè
nell'interno di ogni partito ciò che si verifica nell'intero
parlamento: difficoltà di governo e instabilità di
direzione). Le forme di questo fenomeno sono anche, in una certa
misura, di corruzione e dissoluzione morale: ogni frazione di partito
crede di avere la ricetta infallibile per arrestare l'indebolimento
dell'intero partito, e ricorre a ogni mezzo per averne la direzione o
almeno per partecipare alla direzione, cosí come nel
parlamento il partito crede di essere il solo a dover formare il
governo per salvare il paese o almeno pretende, per dare l'appoggio
al governo, di doverci partecipare il piú largamente
possibile; quindi contrattazioni cavillose e minuziose, che non
possono non essere personalistiche in modo da apparire scandalose, e
che spesso sono infide e perfide. Forse, nella realtà, la
corruzione personale è minore di quanto appare, perché
tutto l'organismo politico è corrotto dallo sfacelo della
funzione egemonica. Che gli interessati a che la crisi si risolva dal
loro punto di vista, fingano di credere e proclamino a gran voce che
si tratta della «corruzione» e della «dissoluzione»
di una serie di «principii» (immortali o no), potrebbe
anche essere giustificato: ognuno è il giudice migliore nella
scelta delle armi ideologiche che sono piú appropriate ai fini
che vuol raggiungere e la demagogia può essere ritenuta arma
eccellente. Ma la cosa diventa comica quando il demagogo non sa di
esserlo ed opera praticamente come fosse vero nella realtà
effettuale che l'abito è il monaco e il berretto il cervello.
Machiavelli diventa cosí Stenterello.
La crisi in Francia. Sua
grande lentezza di sviluppi. I partiti politici francesi: essi erano
molto numerosi anche prima del 1914. La loro molteplicità
formale dipende dalla ricchezza di eventi rivoluzionari e politici in
Francia dal 1789 all'Affare Dreyfus: ognuno di questi eventi ha
lasciato sedimenti e strascichi che si sono consolidati in partiti,
ma le differenze essendo molto meno importanti delle coincidenze, in
realtà ha sempre regnato nel Parlamento il regime dei due
partiti, liberali-democratici (varie gamme del radicalismo) e
conservatori. Si può anzi dire che la molteplicità dei
partiti, date le circostanze particolari della formazione
politico-nazionale francese è stata molto utile nel passato:
ha permesso una vasta opera di selezioni individuali e ha creato il
gran numero di abili uomini di governo che è caratteristica
francese. Attraverso questo meccanismo molto snodato e articolato,
ogni movimento dell'opinione pubblica trovava un immediato riflesso e
una composizione. L'egemonia borghese è molto forte e ha molte
riserve. Gli intellettuali sono molto concentrati (Istituto di
Francia, Università, grandi giornali e riviste di Parigi) e
quantunque numerosissimi sono in fondo molto disciplinati ai centri
nazionali di cultura. La burocrazia militare e civile ha una grande
tradizione e ha raggiunto un alto grado di omogeneità attiva.
La debolezza interna piú
pericolosa per l'apparato statale (militare e civile) consisteva
nell'alleanza del clericalismo e del monarchismo. Ma la massa
popolare, se pure cattolica, non era clericale. Nell'affare Dreyfus è
culminata la lotta per paralizzare l'influsso clericale-monarchico
nell'apparato statale e per dare all'elemento laico la netta
prevalenza. La guerra non ha indebolito ma rafforzato l'egemonia; non
si è avuto il tempo di pensare: lo Stato è entrato in
guerra e quasi subito il territorio è stato invaso. Il
passaggio dalla disciplina di pace a quella di guerra non ha
domandato una crisi troppo grande: i vecchi quadri militari erano
abbastanza vasti ed elastici; gli ufficiali subalterni e i
sottufficiali erano forse i piú selezionati del mondo e i
meglio allenati alle funzioni di comando immediato sulle truppe.
Confronto con altri paesi. La quistione degli arditi e del
volontarismo; la crisi dei quadri, determinata dal sopravvento degli
ufficiali di complemento, che altrove avevano una mentalità
antitetica con gli ufficiali di carriera. Gli arditi, in altri paesi,
hanno rappresentato un nuovo esercito di volontari, una selezione
militare, che ebbe una funzione tattica primordiale. Il contatto col
nemico fu cercato solo attraverso gli arditi, che formavano come un
velo tra il nemico e l'esercito di leva (funzione delle stecche nel
busto). La fanteria francese era formata in grandissima maggioranza
di coltivatori diretti, cioè di uomini forniti di una riserva
muscolare e nervosa molto ricca che rese piú difficile il
collasso fisico procurato dalla lunga vita di trincea (il consumo
medio di un cittadino francese è di circa 1.500.000 calorie
annue, mentre quello italiano è minore di 1.000.000); in
Francia il bracciantato agricolo è minimo, il contadino senza
terra è servo di fattoria, cioè vive la stessa vita dei
padroni e non conosce l'inedia della disoccupazione neanche
stagionale; il vero bracciantato si confonde con la mala vita rurale
ed è formato di elementi irrequieti che viaggiano da un angolo
all'altro del paese per piccoli lavori marginali. Il vitto in trincea
era migliore che in altri paesi e il passato democratico, ricco di
lotte e di ammaestramenti reciproci, aveva creato il tipo diffuso del
cittadino moderno anche nelle classi subalterne, cittadino nel doppio
senso, che l'uomo del popolo si sentiva qualche cosa non solo, ma era
ritenuto qualche cosa anche dai superiori, dalle classi dirigenti,
cioè non era sfottuto e bistrattato per bazzecole. Non si
formarono cosí, durante la guerra, quei sedimenti di rabbia
avvelenata e sorniona che si formarono altrove. Le lotte interne del
dopoguerra mancarono perciò di grande asprezza e specialmente,
non si verificò l'inaudita oscillazione delle masse rurali
verificatasi altrove.
La crisi endemica del
parlamentarismo francese indica che c'è un malessere diffuso
nel paese ma questo malessere non ha avuto finora un carattere
radicale, non ha posto in gioco quistioni intangibili. C'è
stato un allargamento della base industriale e quindi un accresciuto
urbanesimo. Masse di rurali si sono riversate in città, ma non
perché ci fosse in campagna disoccupazione o fame
insoddisfatta di terra; perché in città si sta meglio,
ci sono piú soddisfazioni ecc. (il prezzo della terra è
bassissimo e molte terre buone sono abbandonate agli Italiani). La
crisi parlamentare riflette (finora) piuttosto uno spostamento
normale di masse (non dovuto ad acuta crisi economica), con una
ricerca laboriosa di nuovi equilibri di rappresentanza e di partiti e
un malessere vago che è solo premonitore di una possibile
grande crisi politica. La stessa sensibilità dell'organismo
politico porta ad esagerare formalmente i sintomi del malessere.
Finora si è trattato di una serie di lotte per la divisione
dei carichi e dei benefici statali, piú che altro, perciò
crisi dei partiti medi e di quello radicale in primo luogo, che
rappresenta le città medie e piccole e i contadini piú
avanzati. Le forze politiche si preparano alle grandi lotte future e
cercano un migliore assestamento; le forze extrastatali fanno sentire
piú sensibilmente il loro peso e impongono i loro uomini in
modo piú brutale.
Il punto culminante della
crisi parlamentare francese fu raggiunto nel 1925 e
dall'atteggiamento verso quegli avvenimenti, ritenuti decisivi,
occorre partire per dare un giudizio sulla consistenza politica e
ideologica dell'Action Française. Maurras gridò
allo sfacelo del regime repubblicano e il suo gruppo si preparò
alla presa del potere. Maurras è spesso esaltato come un
grande statista e come un grandissimo Realpolitiker: in realtà
egli è solo un giacobino alla rovescia. I giacobini
impiegavano un certo linguaggio, erano convinti fautori di una
determinata ideologia; nel tempo e nelle circostanze date, quel
linguaggio e quella ideologia erano ultrarealistici, perché
ottenevano di mettere in moto le energie politiche necessarie ai fini
della Rivoluzione e a consolidare permanentemente l'andata al potere
della classe rivoluzionaria; furono poi staccati, come avviene quasi
sempre, dalle condizioni di luogo e di tempo e ridotti in formule e
divennero una cosa diversa, una larva, parole vacue e inerti. Il
comico consiste nel fatto che il Maurras capovolse banalmente quelle
formule, creandone altre che sistemò in un ordine
logico-letterario impeccabile, le quali non potevano anche esse che
rappresentare il riflesso del piú puro e triviale illuminismo.
In realtà è proprio Maurras il piú
rappresentativo campione dello «stupido secolo XIX», la
concentrazione di tutti i luoghi comuni massonici meccanicamente
rovesciati: la sua relativa fortuna dipende appunto da ciò che
il suo metodo piace perché è quello della ragione
ragionante da cui è nato l'enciclopedismo, e tutta la
tradizione culturale massonica francese. L'illuminismo creò
una serie di miti popolari, che erano solo la proiezione nel futuro
delle piú profonde e millenarie aspirazioni delle grandi
masse, aspirazioni legate al cristianesimo e alla filosofia del senso
comune, miti semplicistici quanto si vuole, ma che avevano un'origine
realmente radicata nei sentimenti e che, in ogni caso, non potevano
essere controllati sperimentalmente (storicamente); Maurras ha creato
il mito «semplicistico» di un passato monarchico francese
fantastico; ma questo mito è stato «storia» e le
deformazioni intellettualistiche di essa possono essere facilmente
corrette: tutta la istruzione pubblica francese è una
implicita rettifica del mito monarchico, che in tal modo diventa un
«mito» difensivo piú che creatore di
passioni. Una delle formule fondamentali di Maurras è
«Politique d'abord», ma egli è il primo a non
seguirla. Per lui, prima della politica c'è sempre
l'«astrazione politica», l'accoglimento integrale di una
concezione del mondo «minuziosissima», che prevede tutti
i particolari, come fanno le utopie dei letterati, che domanda una
determinata concezione della storia, ma della storia concreta di
Francia e d'Europa, cioè una determinata e fossilizzata
ermeneutica.
Léon Daudet ha
scritto che la grande forza dell'Action Française è
stata la incrollabile omogeneità e unita del suo gruppo
dirigente: sempre d'accordo, sempre solidali politicamente e
ideologicamente. Certo l'unità e omogeneità del gruppo
dirigente è una grande forza, ma di carattere settario e
massonico, non di un grande partito di governo. Il linguaggio
politico è diventato un gergo, si è formata l'atmosfera
di una conventicola: a forza di ripetere sempre le stesse formule, di
maneggiare gli stessi schemi mentali irrigiditi, si finisce, è
vero, col pensare allo stesso modo, perché si finisce col non
pensare piú. Maurras a Parigi e Daudet a Bruxelles pronunziano
la stessa frase, senza accordo, sullo stesso avvenimento perché
l'accordo c'era già prima, perché si tratta di due
macchinette di frasi, montate da venti anni per dire le stesse frasi
nello stesso momento.
Il gruppo dirigente
dell'Action Française si è formato per
cooptazione: in principio c'era Maurras col suo verbo, poi si uní
Vaugeois, poi Daudet, poi Pujo, ecc. ecc. Ogni volta che dal gruppo
si staccò qualcuno, fu una catastrofe di polemiche e di accuse
interminabili e perfide e si capisce: Maurras è come un papa
infallibile e che da lui si stacchi uno dei piú prossimi ha un
significato veramente catastrofico.
Dal punto di vista
dell'organizzazione l'Action Française è molto
interessante e meriterebbe uno studio approfondito. La sua forza
relativa è costituita specialmente da ciò che i suoi
elementi di base sono tipi sociali intellettualmente selezionati, la
cui «radunata» militare è estremamente facile come
sarebbe quella di un esercito costituito di soli ufficiali. La
selezione intellettuale è relativa, si capisce, poiché
è stupefacente come gli aderenti all'Action Française
siano facili a ripetere pappagallescamente le formule del leader
(se pure non si tratti di una necessità di guerra, sentita
come tale) e anzi a trarne profitto «snobistico». In una
repubblica può essere segno di distinzione l'essere
monarchico, in una democrazia parlamentare l'essere reazionario
conseguente. Il gruppo, per la sua composizione, possiede (a parte le
sovvenzioni di certi gruppi industriali) molti fondi, tanti da
permettere iniziative molteplici che danno l'apparenza di una certa
vitalità e attività. La posizione sociale di molti
aderenti palesi ed occulti permette al giornale e al centro dirigente
di avere una massa di informazioni e documenti riservati che
permettono una molteplicità di polemiche personali. Nel
passato, ma piú limitatamente anche ora, il Vaticano doveva
essere una fonte di prim'ordine d'informazioni (la Segreteria di
Stato e l'alto clero francese). Molte campagne personalistiche devono
essere a chiave o a mezza chiave: si pubblica una parte di vero per
far capire che si sa tutto, o si fanno allusioni furbesche
comprensibili agli interessati. Queste campagne violente
personalistiche hanno per l'Action Française vari
significati: galvanizzano gli aderenti perché lo sfoggio della
conoscenza delle cose piú segrete dà l'impressione di
gran capacità a penetrare nel campo avversario e di una forte
organizzazione cui nulla sfugge, mostrano il regime repubblicano come
un'associazione a delinquere, paralizzano una serie di avversari con
la minaccia di disonorarli e di alcuni fanno dei fautori segreti. La
concezione empirica che si può ricavare da tutta l'attività
dell'Action Française è questa: il regime
parlamentare repubblicano si dissolverà ineluttabilmente
perché esso è un «monstrum»
storico-razionale, che non corrisponde alle leggi «naturali»
della società francese rigidamente stabilite dal Maurras. I
nazionalisti integrali devono pertanto: 1) appartarsi dalla vita
reale della politica francese, non riconoscendone la «legalità»
storico-razionale (astensionismo, ecc.) e combattendola in blocco; 2)
creare un antigoverno, sempre pronto a insediarsi nei «palazzi
tradizionali» con un colpo di mano: questo antigoverno si
presenta già oggi con tutti gli uffici embrionali, che
corrispondono alle grandi attività nazionali.
Nella realtà furono
fatti molti strappi a tanto rigore; nel '19 furono presentate alcune
candidature, e riuscí eletto per miracolo il Daudet. Nelle
altre elezioni l'Action Française appoggiò quei
candidati di destra che accettavano alcuni suoi principii marginali
(questa attività pare sia stata imposta al Maurras dai suoi
collaboratori piú esperti di politica reale, ciò che
dimostra che l'unità non è senza crepe). Per uscire
dall'isolamento fu progettata la pubblicazione di un grande giornale
d'informazione, ma finora non se ne fece nulla (esiste solo la «Revue
Universelle» e lo «Charivari» che compiono ufficio
di divulgazione indiretta tra il grande pubblico). L'acre polemica
col Vaticano e la riorganizzazione del clero e delle associazioni
cattoliche che ne fu una conseguenza, ha rotto il solo legame che
l'Action Française aveva con le grandi masse nazionali,
legame che era anch'esso piuttosto aleatorio. Il suffragio universale
che è stato introdotto in Francia da tanto tempo ha già
determinato il fatto che le masse, formalmente cattoliche,
politicamente aderiscano ai partiti repubblicani di centro, sebbene
questi siano anticlericali e laicisti: il sentimento nazionale,
organizzato intorno al concetto di patria, è altrettanto
forte, e in certi casi è indubbiamente piú forte, del
sentimento religioso-cattolico, che del resto ha caratteristiche
proprie. La formula che «la religione è una quistione
privata» si è radicata come forma popolare del concetto
di separazione della Chiesa dallo Stato. Inoltre, il complesso di
associazioni che costituiscono l'Azione Cattolica è in mano
all'aristocrazia terriera (ne è capo, o era, il generale
Castelnau), senza che il basso clero eserciti quella funzione di
guida spirituale-sociale che esercitava in Italia (in quella
settentrionale). Il contadino francese, nella quasi totalità,
rassomiglia piuttosto al nostro contadino meridionale, che dice
volentieri: «il prete è prete sull'altare, ma fuori è
un uomo come tutti gli altri» (in Sicilia: «monaci e
parrini, sienticci la missa e stoccacci li rini»). L'Action
Française attraverso lo strato dirigente cattolico pensava
di poter dominare, nel momento decisivo, tutto l'apparato di massa
del cattolicismo francese. In questo calcolo c'era un po' di verità
e molta illusione: in epoche di grandi crisi politico-morali, il
sentimento religioso, rilassato in tempi normali, può
diventare vigoroso e assorbente; ma se l'avvenire appare pieno di
nubi tempestose, anche la solidarietà nazionale, espressa nel
concetto di patria, diventa assorbente in Francia, dove la crisi non
può non assumere il carattere di crisi internazionale e allora
la «Marsigliese» è piú forte dei Salmi
penitenziali. In ogni caso, anche la speranza in questa riserva
possibile è svanita per Maurras. Il Vaticano non vuole piú
astenersi dagli affari interni francesi e ritiene che il ricatto di
una possibile restaurazione monarchica sia divenuto inoperante: il
Vaticano è piú realista di Maurras, e concepisce meglio
la formula «politique d'abord». Finché il
contadino francese dovrà scegliere tra Herriot e un Hobereau,
sceglierà Herriot: bisogna perciò creare il tipo del
«radicale cattolico» cioè del «popolare»,
bisogna accettare senza riserve la repubblica e la democrazia e su
questo terreno organizzare le masse contadine, superando il dissidio
tra religione e politica, facendo del prete non solo la guida
spirituale (nel campo individuale-privato) ma anche la guida sociale
nel campo economico-politico. La sconfitta di Maurras è certa
(come quella di Hugenberg in Germania). È la concezione di
Maurras che è falsa per troppa perfezione logica: questa
sconfitta, d'altronde, fu sentita dallo stesso Maurras proprio
all'inizio della polemica col Vaticano, che coincise con la crisi
parlamentare francese del 1925 (non certo per caso). Quando i
ministeri si succedevano a rotazione, l'Action Française
pubblicò di essere pronta ad assumere il potere e apparve
un articolo in cui si giunse ad invitare Caillaux a collaborare,
Caillaux per il quale si annunziava continuamente il plotone
d'esecuzione. L'episodio è classico: la politica irrigidita e
razionalistica del Maurras, dell'astensionismo aprioristico, delle
leggi naturali «siderali» che reggono la società
francese, era condannata al marasma, al crollo, all'abdicazione nel
momento risolutivo. Nel momento risolutivo si vede che le grandi
masse di energie entrate in movimento per la crisi non si riversano
affatto nei serbatoi creati artificialmente, ma seguono le vie
realmente tracciate dalla politica reale precedente, si spostano
secondo i partiti che sono sempre stati attivi, o perfino che sono
nati come funghi sul terreno stesso della crisi. A parte la stoltezza
di credere che nel 1925 potesse avvenire il crollo del regime
repubblicano per una crisi parlamentare (l'intellettualismo
antiparlamentarista porta a simili allucinazioni monomaniache) se ci
fu crollo fu quello morale del Maurras, che magari non si sarà
scosso dal suo stato di illuminazione apocalittica, e del suo gruppo,
che si sentí isolato e dovette fare appello a Caillaux e C.
Nella concezione di Maurras
esistono molti tratti simili a quelli di certe teorie formalmente
catastrofiche di certo economismo e sindacalismo. È spesso
avvenuta questa trasposizione nel campo politico e parlamentare di
concezioni nate sul terreno economico e sindacale. Ogni astensionismo
politico in generale e non solo quello parlamentare si basa su una
simile concezione meccanicamente catastrofica: la forza
dell'avversario crollerà matematicamente se con metodo
rigorosamente intransigente lo si boicotterà nel campo
governativo (allo sciopero economico si accoppia lo sciopero e il
boicottaggio politico). L'esempio classico è quello italiano
dei clericali dopo il '70, che imitarono e generalizzarono alcuni
episodi della lotta dei patrioti contro il dominio austriaco
verificatisi specialmente a Milano.
L'affermazione, spesso
ripetuta da Jacques Bainville nei suoi saggi storici, che il
suffragio universale e il plebiscito potevano (avrebbero potuto) e
potranno quindi servire anche al legittimismo come servirono ad altre
correnti politiche (specialmente ai Bonaparte) è molto
ingenua, perché legata a un ingenuo e astrattamente scemo
sociologismo: il suffragio universale e il plebiscito sono concepiti
come schemi astratti dalle condizioni di tempo e di luogo. Occorre
notare: 1) che ogni sanzione data dal suffragio universale e dal
plebiscito è avvenuta dopo che la classe fondamentale si era
concentrata fortemente o nel campo politico o piú ancora nel
campo politico-militare intorno a una personalità «cesarista»,
o dopo una guerra che aveva creato una situazione di emergenza
nazionale; 2) che nella realtà della storia francese ci sono
stati diversi tipi di «suffragio universale», a mano a
mano che mutarono storicamente i rapporti economico-politici. Le
crisi del suffragio universale sono state determinate dai rapporti
tra Parigi e la provincia, ossia tra la città e la campagna,
tra le forze urbane e quelle contadinesche. Durante la Rivoluzione,
il blocco urbano parigino guida in modo quasi assoluto la provincia e
si forma cosí il mito del suffragio universale che dovrebbe
sempre dar ragione alla democrazia radicale parigina. Perciò
Parigi vuole il suffragio universale nel 1848, ma esso esprime un
parlamento reazionario-clericale che permette a Napoleone III la sua
carriera. Nel 1871 Parigi ha fatto un gran passo in avanti, perché
si ribella all'Assemblea Nazionale di Versailles, formata dal
suffragio universale, cioè implicitamente «capisce»
che tra «progresso» e suffragio può esserci
conflitto; ma questa esperienza storica, di valore inestimabile, è
perduta immediatamente perché i portatori di essa vengono
immediatamente soppressi. D'altronde dopo il '71 Parigi perde in gran
parte la sua egemonia politico-democratica sulla restante Francia per
diverse ragioni: 1) perché si diffonde in tutta la Francia il
capitalismo urbano e si crea il movimento radicale socialista in
tutto il territorio; 2) perché Parigi perde definitivamente la
sua unità rivoluzionaria e la sua democrazia si scinde in
gruppi sociali e partiti antagonistici. Lo sviluppo del suffragio
universale e della democrazia coincide sempre piú con
l'affermarsi in tutta la Francia del partito radicale e della lotta
anticlericale, affermazione resa piú facile e anzi favorita
dallo sviluppo del cosí detto sindacalismo rivoluzionario. In
realtà l'astensionismo elettorale e l'economismo dei
sindacalisti sono l'apparenza «intransigente»
dell'abdicazione di Parigi al suo ruolo di testa rivoluzionaria della
Francia, sono l'espressione di un piatto opportunismo seguito al
salasso del 1871. Il radicalismo unifica cosí in un piano
intermedio, della mediocrità piccolo-borghese, l'aristocrazia
operaia di città e il contadino agiato di campagna. Dopo la
guerra c'è una ripresa dello sviluppo storico troncato col
ferro e col fuoco nel 1871, ma esso è incerto, informe,
oscillante, e specialmente privo di cervelli pensanti.
La «Rivista d'Italia»
del 15 gennaio 1927 riassume un articolo di J. Vialatoux pubblicato
nella «Chronique Sociale de France» di qualche settimana
prima; il Vialatoux respinge la tesi sostenuta da Jacques Maritain,
in Une opinion sur Charles Maurras et le devoir des catholiques
(Parigi, Plon, 1926) secondo cui tra la filosofia e la morale
pagane di Maurras e la sua politica non vi sarebbe che un rapporto
contingente, di modo che se si prende la dottrina politica, astraendo
dalla filosofia, si può andare incontro a qualche pericolo,
come in ogni movimento umano, ma non vi ha nulla di condannabile. Per
il Vialatoux, giustamente, la dottrina politica scaturisce (o per lo
meno è inscindibilmente legata – G.) dalla concezione
pagana del mondo (su questo paganesimo occorre distinguere e
chiarire, tra la veste letteraria piena di riferimenti e metafore
pagane e il nocciolo essenziale che è poi il positivismo
naturalistico, preso da Comte e mediatamente dal sansimonismo, ciò
che rientra nel paganesimo solo per il gergo e la nomenclatura
ecclesiastica – G.). Lo Stato è il fine ultimo
dell'uomo: esso realizza l'ordine umano con le sole forze della
natura (cioè «umane», in contrapposizione a
«soprannaturali»). Maurras è definibile per i suoi
odii ancor piú che per i suoi amori. Odia il cristianesimo
primitivo (la concezione del mondo contenuta negli Evangeli, nei
primi apologisti ecc., il cristianesimo fino all'editto di Milano,
insomma, la cui credenza fondamentale era che la venuta di Cristo
avesse annunziato la fine del mondo e che perciò determinava
la dissoluzione dell'ordine politico romano in una anarchia morale
corrosiva di ogni valore civile e statale) che per lui è una
concezione giudaica. In questo senso Maurras vuole scristianizzare la
società moderna. Per Maurras la Chiesa cattolica è
stata e sarà sempre piú lo strumento di questa
scristianizzazione. Egli distingue tra cristianesimo e cattolicismo
ed esalta quest'ultimo come la reazione dell'ordine romano
all'anarchia giudaica. Il culto cattolico, le sue devozioni
superstiziose, le sue feste, le sue pompe, le sue solennità,
la sua liturgia, le sue immagini, le sue formule, i suoi riti
sacramentali, la sua gerarchia imponente, sono come un incantesimo
salutare per domare l'anarchia cristiana, per immunizzare il veleno
giudaico del cristianesimo autentico. Secondo il Vialatoux il
nazionalismo dell'Action Française non è che un
episodio della storia religiosa del nostro tempo (in questo
senso ogni movimento politico non controllato dal Vaticano è
un episodio della storia religiosa, ossia tutta la storia è
storia religiosa. In ogni modo occorre aggiungere che l'odio di
Maurras contro tutto ciò che sa di protestante ed è di
origine anglo-germanica – Romanticismo, Rivoluzione francese,
capitalismo ecc. – non è che un aspetto di questo odio
contro il cristianesimo primitivo. Occorrerebbe cercare in Augusto
Comte le origini di questo atteggiamento generale verso il
cattolicismo, che non è indipendente dalla rinascita libresca
del tomismo e dell'aristotelismo).
Maurras e il
«centralismo organico». Il cosidetto
«centralismo organico» si fonda sul principio che un
gruppo politico viene selezionato per «cooptazione»
intorno a un «portatore infallibile della verità»,
a un «illuminato dalla ragione» che ha trovato le leggi
naturali infallibili dell'evoluzione storica, infallibili anche se a
lunga portata e se gli eventi immediati «sembrano» dar
loro torto. L'applicazione delle leggi della meccanica e della
matematica ai fatti sociali, ciò che non dovrebbe avere che un
valore metaforico, diventa il solo e allucinante motore intellettuale
(a vuoto). Il nesso tra il centralismo organico e le dottrine di
Maurras è evidente.
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