Miscellanea
Diritto naturale.
Uno degli imparaticci dei teorici di origine nazionalista (es. M.
Maraviglia) è quello di contrapporre la storia al diritto
naturale. Ma cosa significa una tale contrapposizione? Nulla o solo
la confusione nel cervello dello scrittore. Intanto il «diritto
naturale» è un elemento della storia, indica un «senso
comune politico e sociale» e come tale è un «fermento»
di operosità. La quistione potrebbe esser questa: che un
teorico spieghi i fatti col cosí detto «diritto
naturale», ma questo è un problema di carattere
individuale, di critica a opere individuali ecc. e in fondo non è
altro che critica al «moralismo» come canone
d'interpretazione storica. Roba che ha la barba. Ma in realtà,
al di sotto di questo sproposito c'è un interesse concreto.
Quello di voler sostituire un «diritto naturale» a un
altro. E infatti tutta la teoria nazionalista non è basata su
«diritti naturali»? Si vuole al modo di pensare
«popolare» sostituire un modo di pensare non popolare,
altrettanto mancante di critica del primo.
Elezioni. In un
giornale polacco (la «Gazeta Polska» degli ultimi giorni
di gennaio o dei primi di febbraio del 1933) si trova questo
enunciato: «Il potere si conquista sempre con un grande
plebiscito. Si vota o con delle schede elettorali o con delle
fucilate. Il primo metodo è quantitativo, il secondo
qualitativo. Col primo bisogna contare sulla maggioranza dei piccoli,
col secondo sulla minoranza dei grandi caratteri». Qualche
verità affogata in grandi vasche di spropositi. Perché
la «fucilata» deve sempre coincidere col grande
carattere? Perché chi spara deve sempre essere un grande
carattere? Spesso questi grandi caratteri si arruolano con poche lire
al giorno, cioè spesso la «fucilata» è piú
economica dell'elezione, ecco tutto. Dopo il suffragio universale,
corrompere l'elettore è diventato caruccio; con venti lire e
un fucile si sbandano venti elettori. La legge del tornaconto
funziona anche per i «grandi caratteri» di cui parla la
«Gazeta Polska».
[Fortuna «pratica»
di Machiavelli.] Carlo V lo studiava. Enrico IV. Sisto V ne
fece un sunto. Caterina de' Medici lo portò in Francia e se ne
ispirò forse per la lotta contro gli Ugonotti e la strage di
S. Bartolomeo. Richelieu, ecc. Cioè Machiavelli serví
realmente gli Stati assoluti nella loro formazione, perché era
stato l'espressione della «filosofia dell'epoca» europea
piú che italiana.
Machiavelli come figura di
transizione tra lo Stato corporativo repubblicano e lo Stato
monarchico assoluto. Non sa staccarsi dalla repubblica ma capisce che
solo un monarca assoluto può risolvere i problemi dell'epoca.
Questo dissidio tragico della personalità umana machiavellica
(dell'uomo Machiavelli) sarebbe da vedere.
Prendendo le mosse
dall'affermazione del Foscolo, nei Sepolcri, che il
Machiavelli «temprando lo scettro ai regnatori, gli allor ne
sfronda, ed alle genti svela di che lacrime grondi e di che sangue»,
si potrebbe fare una raccolta di tutte le massime «universali»
di prudenza politica contenute negli scritti del Machiavelli e
ordinarle con un commento opportuno (forse una raccolta di tal genere
esiste già).
Lo Schopenhauer avvicina
l'insegnamento di scienza politica del Machiavelli a quello impartito
dal maestro di scherma che insegna l'arte di ammazzare (ma anche di
non farsi ammazzare) ma non perciò insegna a diventare sicari
e assassini. (Trovare il riferimento esatto).
Bacone ha chiamato «Re
Magi» i tre re che operano piú energicamente per la
fondazione delle monarchie assolute: Luigi XI di Francia, Ferdinando
il Cattolico in Spagna, Enrico VII in Inghilterra.
Filippo di Commynes
(1447-1511), al servizio di Carlo il Temerario fino al 1472; nel 1472
passa al servizio di Luigi XI ed è lo strumento della politica
di questo re. Scrive la Chronique de Louis XI,
pubblicata la prima volta nel 1524. (Una mercantessa di Tours che
mosse causa al di Commynes quando fu in disgrazia, sostenendo di
essere stata strozzata in un contratto stipulato sotto Luigi XI,
scrisse nella sua memoria giuridica: «le sieur d'Argenton
qui pour lors était roy»). Studiare i possibili
rapporti del Machiavelli col di Commynes: il Machiavelli come
apprezzava l'attività e la funzione del di Commynes sotto
Luigi XI e in seguito?
Il potere indiretto. Una
serie di manifestazioni in cui la teoria e la pratica del potere
indiretto, dalla sfera dell'organizzazione ecclesiastica e dei suoi
rapporti con gli Stati, vengono applicate a rapporti tra partito e
partito, tra gruppi intellettuali ed economici e partiti ecc. Caso
classico quello del tentativo dell'Action Française e
dei suoi capi atei e increduli che cercarono di valersi delle masse
cattoliche organizzate dall'Azione Cattolica come truppa di manovra a
favore della monarchia.
Egemonia e democrazia.
Tra i tanti significati di democrazia, quello piú realistico e
concreto mi pare si possa trarre in connessione col concetto di
egemonia. Nel sistema egemonico, esiste democrazia tra il gruppo
dirigente e i gruppi diretti, nella misura in cui lo sviluppo
dell'economia e quindi la legislazione che esprime tale sviluppo
favorisce il passaggio molecolare dai gruppi diretti al gruppo
dirigente. Nell'Impero Romano esisteva una democrazia
imperiale-territoriale nella concessione della cittadinanza ai popoli
conquistati ecc. Non poteva esistere democrazia nel feudalismo per la
costituzione dei gruppi chiusi ecc.
Alcune cause d'errore.
Un governo, o un uomo politico, o un gruppo sociale applica una
disposizione politica od economica. Se ne trae troppo facilmente
delle conclusioni generali d'interpretazione della realtà
presente e di previsione sullo sviluppo di questa realtà. Non
si tiene abbastanza conto del fatto che la disposizione applicata,
l'iniziativa promossa ecc. può essere dovuta a un errore di
calcolo, e quindi non rappresentare nessuna «concreta attività
storica». Nella vita storica come nella vita biologica, accanto
ai nati vivi, ci sono gli aborti. Storia e politica sono strettamente
unite, sono anzi la stessa cosa, ma pure occorre distinguere
nell'apprezzamento dei fatti storici e dei fatti e atti politici.
Nella storia, data la sua larga prospettiva verso il passato e dato
che i risultati stessi delle iniziative sono un documento della
vitalità storica, si commettono meno errori che
nell'apprezzamento dei fatti e degli atti politici in corso. Il
grande politico perciò non può che essere «coltissimo»,
cioè deve «conoscere» il massimo di elementi della
vita attuale; conoscerli non «librescamente», come
«erudizione» ma in modo «vivente», come
sostanza concreta di «intuizione» politica (tuttavia
perché in lui diventino sostanza vivente di «intuizione»
occorrerà apprenderli anche «librescamente»).
Lotta di generazioni.
Il fatto che la generazione anziana non riesca a guidare la
generazione piú giovane è in parte anche l'espressione
della crisi dell'istituto famigliare e della nuova situazione
dell'elemento femminile nella società. L'educazione dei figli
è affidata sempre piú allo Stato o a iniziative
scolastiche private e ciò determina un impoverimento
«sentimentale» per rispetto al passato e una
meccanizzazione della vita. Il piú grave è che la
generazione anziana rinunzia al suo compito educativo in determinate
situazioni, sulla base di teorie mal comprese o applicate in
situazioni diverse da quelle di cui erano l'espressione. Si cade
anche in forme statolatriche: in realtà ogni elemento sociale
omogeneo è «Stato», rappresenta lo Stato, in
quanto aderisce al suo programma: altrimenti si confonde lo Stato con
la burocrazia statale. Ogni cittadino è «funzionario»
se è attivo nella vita sociale nella direzione tracciata dallo
Stato-governo, ed è tanto piú «funzionario»
quanto piú aderisce al programma statale e lo elabora
intelligentemente.
Società civile e
società politica. Distacco della società civile da
quella politica: si è posto un nuovo problema di egemonia,
cioè la base storica dello Stato si è spostata. Si ha
una forma estrema di società politica: o per lottare contro il
nuovo e conservare il traballante rinsaldandolo coercitivamente, o
come espressione del nuovo per spezzare le resistenze che incontra
nello svilupparsi ecc.
Sorel e i giacobini.
Nell'articolo riferito nella nota precedente è riportato
questo giudizio di Proudhon sui giacobini: Il giacobinismo è
«l'applicazione dell'assolutismo di diritto divino alla
sovranità popolare». «Il giacobinismo si preoccupa
poco del diritto: procede volentieri per mezzi violenti, esecuzioni
sommarie. La rivoluzione per esso sono i colpi di folgore, le razzie,
le requisizioni, il prestito forzato, l'epurazione, il terrore.
Diffidente, ostile alle idee, si rifugia nell'ipocrisia e nel
machiavellismo: i giacobini sono i gesuiti della rivoluzione».
Queste definizioni sono estratte dal libro: La justice dans la
révolution. L'atteggiamento di Sorel contro i giacobini è
preso da Proudhon.
Machiavelli e Manzoni.
Qualche accenno al Machiavelli del Manzoni si può trovare nei
Colloqui col Manzoni di N. Tommaseo, pubblicati per la prima
volta e annotati da Teresa Lodi, Firenze, G. C. Sansoni, 1929. Da un
articolo di G. S. Gargano nel «Marzocco» del 3 febbraio
1929 (Manzoni in Tommaseo) riporto questo brano: «E pur
attribuito al Manzoni è il giudizio sul Machiavelli, la cui
autorità empí di pregiudizi le teste italiane e le cui
massime alcuni ripetevano senza osare od operarle e alcuni operavano
senza osare dirle; "e sono i liberali che le cantano e i re che
le fanno"; commento quest'ultimo che è forse del
trascrittore, il quale aggiunge che il Manzoni aveva pochissima fede
nelle guarantigie degli Statuti e nella potenza dei Parlamenti e che
l'unico suo desiderio era per allora di fare la nazione una e potente
anche a costo della libertà, "quando pure l'idea della
libertà fosse in tutti i cervelli vera e uno il sentimento di
lei in tutti i cuori"».
La «formula»
di Léon Blum. Le pouvoir est
tentant. Mais seule l'opposition est confortable
Il pragmatismo
americano. Si potrebbe dire del pragmatismo americano (James),
ciò che Engels ha detto dell'agnosticismo inglese? (Mi pare
nella prefazione inglese al Passaggio dall'Utopia alla Scienza).
Distinzioni. Nello
studio dei diversi «gradi» o «momenti» delle
situazioni militari o politiche non si è soliti fare le
distinzioni tra: «causa efficiente», che prepara l'evento
storico o politico di diverso grado o significato (o estensione) e la
«causa determinante» che immediatamente produce l'evento
ed è la risultante generale e concreta della causa efficiente,
la «precipitazione» concreta degli elementi realmente
attivi e necessari della causa efficiente per produrre la
determinazione.
Causa efficiente e causa
sufficiente, cioè «totalmente» efficiente, o
almeno sufficiente nella direttrice necessaria per produrre l'evento.
Naturalmente queste
distinzioni possono avere diversi momenti o gradi: cioè
occorre studiare se ogni momento è efficiente (sufficiente) e
determinante per il passaggio da uno sviluppo all'altro o se può
essere distrutto dall'antagonista prima della sua «produttività».
Storia e «progresso».
La storia ha raggiunto un certo stadio; pare che perciò sia
antistorico ogni movimento che appare in contrasto con quel certo
stadio, in quanto «riproduce» uno stadio precedente; in
questi casi si arriva a parlare di reazione, ecc. La quistione nasce
dal non concepire la storia come storia di classi. Una classe ha
raggiunto un certo stadio, ha costruito una certa forma di vita
statale: la classe dominata, che insorge, in quanto spezza questa
realtà acquisita, è perciò reazionaria?
Stati unitari, movimenti
autonomisti; lo Stato unitario è stato un progresso storico,
necessario, ma non perciò si può dire che ogni
movimento tendente a spezzare gli Stati unitari sia antistorico e
reazionario; se la classe dominata non può raggiungere la sua
storicità altro che spezzando questi involucri, significa che
si tratta di «unità»
amministrative-militari-fiscali, non di «unità»
moderne; può darsi che la creazione di tale unità
moderna domandi che sia spezzata l'unità «formale»
precedente, ecc. Dove esiste piú unità moderna: nella
Germania «federale» o nella «Spagna» unitaria
di Alfonso e dei proprietari-generali-gesuiti? ecc. Questa
osservazione può essere estesa a molte altre manifestazioni
storiche, per esempio al grado di «cosmopolitismo»
raggiunto nei diversi periodi dello sviluppo culturale
internazionale. Nel '700 il cosmopolitismo degli intellettuali è
stato «massimo», ma quanta frazione dell'insieme sociale
esso toccava? E non si trattava in gran parte di una manifestazione
egemonica della cultura e dei grandi intellettuali francesi?
È certo tuttavia che
ogni classe dominante nazionale è piú vicina alle altre
classi dominanti, come cultura e costumi, che non avvenga tra classi
subalterne, anche se queste [sono] «cosmopolite» per
programma e destinazione storica. Un gruppo sociale può essere
«cosmopolita» per la sua politica e la sua economia e non
esserlo per i costumi e anche per la cultura (reale).
Principî di
metodo. Prima di giudicare (e per la storia in atto o politica il
giudizio è l'azione) occorre conoscere e per conoscere occorre
sapere tutto ciò che è possibile sapere. Ma cosa
s'intende per «conoscere»? Conoscenza libresca,
statistica, «erudizione» meccanica, – conoscenza
storica –, intuizione, «contatto» reale con la
realtà viva e in movimento, capacità di «simpatizzare»
psicologicamente fino al singolo uomo. «Limiti» della
conoscenza (non cose inutili), cioè conoscenza critica, o del
«necessario»: pertanto, una «concezione generale»
critica.
|