II.
Note di politica internazionale
[Il concetto di grande
potenza.] Elementi per calcolare la gerarchia di potenza fra gli
Stati: 1) estensione del territorio, 2) forza economica, 3) forza
militare. Il modo in cui si esprime l'essere grande potenza è
dato dalla possibilità di imprimere alla attività
statale una direzione autonoma, di cui gli altri Stati devono subire
l'influsso e la ripercussione: la grande potenza è potenza
egemone, capo e guida di un sistema di alleanze e di intese di
maggiore o minore estensione. La forza militare riassume il valore
dell'estensione territoriale (con popolazione adeguata, naturalmente)
e del potenziale economico. Nell'elemento territoriale è da
considerare in concreto la posizione geografica. Nella forza
economica è da distinguere la capacità industriale e
agricola (forze produttive) dalla capacità finanziaria. Un
elemento «imponderabile» è la posizione
«ideologica» che un paese occupa nel mondo in ogni
momento dato, in quanto ritenuto rappresentante delle forze
progressive della storia (esempio della Francia durante la
Rivoluzione del 1789 e il periodo napoleonico).
Questi elementi sono
calcolati nella prospettiva di una guerra. Avere tutti gli elementi
che, nei limiti del prevedibile, danno sicurezza di vittoria,
significa avere un potenziale di pressione diplomatica da grande
potenza, cioè significa ottenere una parte dei risultati di
una guerra vittoriosa senza bisogno di combattere.
Nella nozione di grande
potenza è da considerare anche l'elemento «tranquillità
interna» cioè il grado e l'intensità della
funzione egemonica del gruppo sociale dirigente; (questo elemento è
da ricercare nella valutazione della potenza di ogni Stato, ma
acquista maggiore importanza nella considerazione delle grandi
potenze. Né vale ricordare la storia dell'antica Roma e delle
lotte interne che non impedirono l'espansione vittoriosa ecc.; oltre
agli altri elementi differenziali, basta considerare questo, che Roma
era la sola grande potenza dell'epoca, e che non aveva da temere la
concorrenza di rivali potenti, dopo la distruzione di Cartagine). Si
potrebbe perciò dire che quanto piú forte è
l'apparato di polizia, tanto piú debole è l'esercito e
quanto piú debole (cioè relativamente inutile) la
polizia, tanto piú forte è l'esercito (di fronte alla
prospettiva di una lotta internazionale).
Egemonia
politico-culturale. È ancora possibile, nel mondo moderno,
l'egemonia culturale di una nazione sulle altre? Oppure il mondo è
già talmente unificato nella sua struttura economico-sociale,
che un paese, se può avere «cronologicamente»
l'iniziativa di una innovazione, non ne può però
conservare il «monopolio politico» e quindi servirsi di
tale monopolio come base di egemonia? Quale significato quindi può
avere oggi il nazionalismo? Non è esso possibile come
«imperialismo» economico-finanziario ma non piú
come «primato» civile o egemonia politico-intellettuale?
Sul concetto di grande
potenza. La misura decisiva per stabilire cosa deve intendersi
per grande potenza è data dalla guerra. Il concetto di grande
potenza è strettamente legato alle guerre. È grande
potenza quello Stato che – entrato in un sistema di alleanze
per una guerra – (e oggi ogni guerra presuppone dei sistemi di
forze antagonistiche) al momento della pace è riuscito a
conservare un tale rapporto di forze con gli alleati da essere in
grado di far mantenere i patti e le promesse fatte all'inizio della
campagna. Ma uno Stato che per entrare in guerra ha bisogno di grossi
prestiti, ha bisogno continuo di armi e munizioni per i suoi soldati,
di vettovaglie per l'esercito e per la popolazione civile, di navi
per i trasporti, che cioè non può far la guerra senza
l'aiuto continuo dei suoi alleati e che per qualche tempo anche dopo
la pace ha ancora bisogno di aiuti, specialmente di vettovaglie, di
prestiti o altre forme di sussidi finanziari, come può essere
uguale ai suoi alleati e imporsi perché mantengano i patti? Un
simile Stato è considerato grande potenza solo nelle carte
diplomatiche, ma nella realtà è considerato come un
probabile fornitore di uomini per la coalizione che ha i mezzi non
solo di sostenere le proprie forze militari ma anche per finanziare
quelle degli altri alleati.
Nella politica estera:
«Cosí la politica estera italiana, mirando sempre alla
stessa meta, è stata sempre rettilinea, e le sue pretese
oscillazioni sono state in realtà determinate soltanto dalle
incertezze e dalle contraddizioni altrui, com'è inevitabile
nel campo internazionale dove infiniti sono gli elementi in
contrasto» (Aldo Valori, «Corriere della Sera» del
12 maggio 1932). Che siano infiniti gli elementi di equilibrio di un
sistema politico internazionale, è verissimo, ma appunto per
ciò il sistema deve essere stabilito in modo che nonostante le
fluttuazioni esterne, la propria linea non oscilli (è poi
difficile definire cosa s'intende in tal caso per oscillazione –
che non può essere intesa meccanicamente al modo dei
farmacisti di villaggio e di una mera coerenza formale). La linea di
uno Stato egemonico (cioè di una grande potenza) non oscilla,
perché esso stesso determina la volontà altrui e non ne
è determinato, perché la linea politica è
fondata su ciò che vi è di permanente e non di casuale
e immediato e nei propri interessi e in quelli delle altre forze che
concorrono in modo decisivo a formare un sistema e un equilibrio.
(Cfr. altre note
precedenti). Secondo il capo del governo italiano: «Sono le
marine da guerra che classificano le grandi potenze». È
da notare che le marine da guerra possono essere misurate in ogni
momento col sistema matematico assoluto, ciò che non può
avvenire per gli eserciti terrestri. Ricordare l'epigramma di Anatole
France: «Tutti gli eserciti sono i primi del mondo, ma per la
marina è il numero delle navi che conta».
Sull'origine delle
guerre. Come si può dire che le guerre tra gli Stati
possono avere la loro origine nelle lotte dei gruppi nell'interno di
ogni singola nazione? È certo che in ogni nazione deve
esistere una certa (e specifica per ogni nazione) espressione della
legge delle proporzioni definite nella composizione sociale: i vari
gruppi cioè devono trovarsi in certi rapporti di equilibrio,
il cui turbamento radicale potrebbe condurre a una catastrofe
sociale. Questi rapporti variano a seconda che un paese è
prevalentemente agricolo o industriale e a seconda dei diversi gradi
di sviluppo delle forze produttive materiali e del tenore di vita Il
gruppo dirigente tenderà a mantenere l'equilibrio migliore per
il suo permanere, non solo, ma per il suo permanere in condizioni
determinate di floridezza, e anzi a incrementare tali condizioni. Ma
siccome l'area sociale di ogni paese è limitata, sarà
portato a estenderla nelle zone coloniali e d'influenza e quindi a
entrare in conflitto con altri gruppi dirigenti che aspirano allo
stesso fine o ai cui danni l'espansione di esso dovrebbe
necessariamente avvenire, poiché anche il globo terrestre è
limitato. Ogni gruppo dirigente tende in astratto ad allargare la
base della società lavoratrice da cui prelevare plusvalore, ma
la tendenza astratta diventa concreta e immediata quando il
prelevamento di plusvalore nella sua base storica è diventato
difficile o pericoloso oltre certi limiti che sono tuttavia
insufficienti.
La funzione europea
dello zarismo nel secolo XIX. Il principe di Bülow nelle sue
Memorie racconta di essersi trovato da Bethmann-Holwegg subito
dopo la dichiarazione di guerra della Germania alla Russia
nell'agosto 1914. Bethmann, interrogato perché avesse
cominciato dal dichiarare la guerra alla Russia, rispose: «Per
aver subito dalla mia parte i socialdemocratici». Bülow fa
a questo proposito alcune osservazioni sulla psicologia di
Bethmann-Holwegg, ma ciò che importa dal punto di vista di
questa rubrica è la sicurezza del Cancelliere di poter avere
dalla sua parte la socialdemocrazia contro lo zarismo russo; il
Cancelliere sfruttava abilmente la tradizione del '48, ecc., del
«gendarme d'Europa».
Cfr. la lettera al conte
Vimercati di Cavour (del 4 gennaio 1861) pubblicata da A. Luzio nella
«Nuova Antologia» del 16 gennaio 1930 (I carteggi
cavouriani). Cavour, dopo aver esposto i suoi accordi con
l'emigrazione ungherese per la preparazione di un'insurrezione in
Ungheria e nei paesi slavi dell'Impero austriaco, cui avrebbe seguito
un attacco italiano per la liberazione delle Venezie, continua:
«Depuis lors deux événements ont profondément
modifié la situation. Les conférences
de Varsovie et les concessions successives de l'Empereur d'Autriche.
Si, comme il est à craindre, l'Empereur de Russie s'est montré
disposé à Varsovie à intervenir en Hongrie dans
le cas oú une insurrection éclaterait dans ce pays, il
est évident qu'un mouvement ne pourrait avoir lieu avec chance
de succès qu'autant que la France serait disposée à
s'opposer par la force à l'intervention Russe», ecc.
ecc. Questo articolo del Luzio è anche interessante perché
accenna alle mutilazioni subite dai documenti del Risorgimento nelle
pubblicazioni di storia e nelle raccolte di materiali. Il
Luzio doveva essere già all'Archivio di Stato di Torino (o
all'Archivio reale) quando fu perquisita l'abitazione del prof.
Bollea per la pubblicazione di lettere del D'Azeglio che pure non
importavano quistioni diplomatiche (si era in guerra proprio contro
l'Austria e la Germania). Sarebbe interessante sapere se il Luzio
protestò allora per la perquisizione e i sequestri o se non fu
lui a consigliarli alla questura di Torino.
Politica e comando
militare. Confrontare nella «Nuova Antologia» del 16
ottobre e 1° novembre 1930 l'articolo di Saverio Nasalli Rocca La
politica tedesca dell'impotenza nella guerra mondiale.
L'articolo, sulla base
dell'esperienza tedesca (vincere le battaglie, perdere la guerra)
raccoglie materiale per corroborare la tesi che, anche in guerra, è
il comando politico che dà la vittoria, comando politico, che
deve incorporarsi nel comando militare, creando un nuovo tipo di
comando proprio al tempo di guerra. Il Nasalli Rocca si serve
specialmente delle memorie e degli altri scritti di von Tirpitz. (Il
titolo dell'articolo è anche il titolo di un libro di Tirpitz
tradotto in italiano). Scrive il Nasalli Rocca: «...una delle
piú grandi difficoltà della guerra è
rappresentata dalle relazioni fra il comando militare e il Governo:
vecchio militare, non esito a riconoscere che le relazioni fra
Governo e le Forze Armate corrispondono rispettivamente a quelle che
corrono fra la strategia e la tattica. Al Governo la strategia della
guerra, alle Forze Armate la tattica: ma come il tattico per
raggiungere gli scopi fissatigli ha piena libertà di manovra
nei larghi limiti fissatigli dalla strategia, cosí questo non
ha facoltà di invadere il campo del tattico.
L'assenteismo e l'invadenza sono i due grandi scogli del comando
qualunque nome esso abbia: e il senso della misura è
quello che fissa i limiti dell'invadenza».
La formula non mi pare
molto esatta: esiste certamente una «strategia militare»
che non spetta tecnicamente al governo, ma essa è compresa in
una piú ampia strategia politica che inquadra quella militare.
La quistione può allargarsi: i conflitti tra militari e
governanti non sono conflitti tra tecnici e politici, ma tra politici
e politici, sono i conflitti tra «due direzioni politiche»
che entrano in concorrenza all'inizio di ogni guerra. Le difficoltà
del comando unico interalleato durante la guerra non erano di
carattere tecnico, ma politico: conflitto di egemonie nazionali.
Documenti diplomatici.
Un articolo di A. De Bosdari nella «Nuova Antologia»
del 1° luglio 1927: I documenti ufficiali britannici
sull'origine della guerra (1898-1914).
Il De Bosdari pone la
quistione se i documenti tanto tedeschi che inglesi siano
effettivamente riprodotti nella loro integrità e senza
omissione di nulla che abbia vera importanza per lo svolgimento
storico dei fatti. «Per ciò che riguarda le
pubblicazioni tedesche, posso, come mio ricordo personale, asserire
che essendomi un giorno doluto al Ministero tedesco degli Affari
Esteri che fra i documenti pubblicati ne fossero stati inseriti
alcuni scioccamente ingiuriosi per l'Italia, specialmente i rapporti
dell'Ambasciatore Monts, mi fu risposto che ciò era una
circostanza assai dolorosa, ma che quei documenti non si sarebbero
potuti sopprimere senza togliere alla pubblicazione il carattere di
imparziale documentazione storica». Dopo questo suo ricordo
personale, il De Bosdari era pronto a giurare sull'integrità
della documentazione tedesca.
Per i documenti inglesi,
dopo aver ricordato la buona fede del Governo inglese, di cui non si
ha motivo di dubitare, dice che costituiscono una prova abbastanza
sicura di autenticità e di completezza, le numerose
integrazioni che vi avvengono di documenti che, per motivi politici
abbastanza plausibili, erano stati mutilati nei libri blú (ma
i libri inglesi sono bianchi, mi pare!) antecedentemente pubblicati.
(Veramente altri «motivi politici abbastanza plausibili»
possono aver indotto a non pubblicare altri documenti e a non
integrarne qualcuno: per es. i documenti dovuti a spionaggio saranno
mai pubblicati?)
Il De Bosdari ha una buona
osservazione: nota la scarsezza, tanto nei documenti inglesi che in
quelli tedeschi, di quei documenti che riguardano le deliberazioni
del Governo, le discussioni e le decisioni dei Consigli dei ministri
(che non sono «diplomatici» in senso tecnico, ma che sono
evidentemente i decisivi). Nota invece la grande abbondanza di
telegrammi e rapporti di funzionari diplomatici e consolari, la cui
importanza è relativa, perché questi funzionari, nei
momenti di crisi, telegrafano a getto continuo (per non essere
accusati di negligenza e di distrazione) senza avere il tempo di
controllare le proprie notizie e le proprie impressioni. (Questa
osservazione nasce da esperienza personale del De Bosdari e può
essere una prova di come lavorano i funzionari diplomatici italiani:
forse per gli inglesi le cose vanno diversamente).
Una politica di pace
europea, di Argus, «Nuova Antologia», 1° giugno
1927. Parla delle frequenti visite in Inghilterra di uomini politici
e letterati tedeschi. Questi intellettuali tedeschi, interrogati,
dichiarano che ogni qual volta riescono a prendere contatto con
influenti personalità anglosassoni viene loro posto questo
problema: «Qual è l'atteggiamento della Germania di
fronte alla Russia?» e soggiungono con disperazione (!): «Ma
noi non possiamo prendere parte nelle controversie tra Londra e
Mosca!» Al fondo della concezione britannica della politica
estera sta la convinzione che il conflitto con la Russia non solo è
inevitabile ma è già impegnato, benché sotto
forme strane e insolite che lo rendono invisibile agli occhi della
grande massa nazionale. Articolo ultra-anglofilo (nello stesso
periodo ricordo un articolo di Manfredi Gravina nel «Corriere
della Sera» di una anglofilia cosí scandalosa da
maravigliare: si predicava la subordinazione dichiarata dell'Italia
all'Inghilterra): gli Inglesi vogliono la pace, ma hanno dimostrato
di saper fare la guerra. Sono sentimentali e altruisti: pensano agli
interessi europei; se Chamberlain non ha rotto con la Russia è
perché ciò poteva nuocere a altri Stati in condizioni
meno favorevoli dell'Inghilterra ecc.
Politica inglese di intesa
con la Francia è la base, ma il governo inglese può
favorire anche altri Stati: l'Inghilterra vuol essere amica di tutti.
Quindi avvicinamento all'Italia e alla Polonia. In Inghilterra un
certo numero di persone non favorevoli al regime italiano. Ma la
politica inglese lealmente amica e sarà tale anche mutando
regime, anche perché la politica italiana è coraggiosa,
ecc. ecc.
Per i rapporti tra il
Centro tedesco e il Vaticano e quindi per studiare concretamente
la politica tradizionale del Vaticano nei vari paesi e le forme che
essa assume è interessantissimo un articolo di André
Lavedan nella «Revue Hebdomadaire» riassunto nella
«Rivista d'Italia» del 15 marzo 1927. Leone XIII
domandava al Centro di votare a favore della legge sul
settennato di Bismarck, avendo avuto assicurazioni che ciò
avrebbe portato a una soddisfacente modificazione delle leggi
politico-ecclesiastiche. Franckenstein e Windthorst non vollero
uniformarsi all'invito del Vaticano. Del Centro solo 7 votarono la
legge: 83 si astennero.
Sull'Anschluss. Tener
presente: 1) la posizione della socialdemocrazia austriaca come è
stata espressa da Otto Bauer: favorevoli all'Anschluss ma attendere,
per realizzarlo, quando la socialdemocrazia tedesca sia padrona dello
Stato tedesco, cioè in definitiva Anschluss socialdemocratico;
2) posizione della Francia: non coincide con quella dell'Italia: la
Francia è contro l'unione dell'Austria alla Germania ma spinge
l'Austria ad entrare in una Confederazione danubiana: l'Italia è
contro l'Anschluss e contro la Confederazione. Se si ponesse il
problema come una scelta tra le due soluzioni probabilmente l'Italia
preferirebbe l'Anschluss alla Confederazione.
Articolo di Frank Simonds,
Vecchi torbidi nei nuovi Balcani, nella «American Review
of Reviews». Il Simonds fa un parallelo tra Mussolini e
Stresemann, come uomini politici piú attivi di Europa. L'uno e
l'altro sacrificano allo spirito di opportunismo (forse vuol dire
«del momento», ma anche forse si riferisce alla mancanza
di prospettive larghe e lontane e quindi di principii). I trattati di
Mussolini come quelli di Stresemann non rappresentano una politica
permanente. Sono cose fatte al momento per le condizioni
contemporanee. E poiché possono intervenire dei fatti atti a
precipitare il conflitto, l'uno e l'altro sono egualmente ansiosi di
evitare le ostilità acquistando pei rispettivi paesi e per se
stessi il necessario prestigio con vittorie diplomatiche incidentali.
Costituzione dell'Impero
Inglese. Articolo nella «Nuova Antologia» del 16
settembre 1927 di «Junius», Le prospettive dell'Impero
Britannico dopo l'ultima conferenza imperiale.
Ricerca di equilibrio tra
esigenze di autonomia dei Dominions e esigenze di unità
imperiale. (Nel Commonwealth l'Inghilterra porta il peso politico
della sua potenza industriale e finanziaria, della sua flotta, delle
sue colonie o domini della Corona o stabilimenti d'altro nome –
India, Gibilterra, Suez, Malta, Singapore, Hong Kong, ecc. –,
della sua esperienza politica, ecc. Elementi di disgregazione dopo la
guerra sono stati: la potenza degli Stati Uniti, anglosassoni
anch'essi e che esercitano un influsso su certi dominions, e i
movimenti nazionali e nazionalistici che sono in parte una reazione
al movimento operaio – nei paesi a capitalismo sviluppato –
e in parte un movimento contro il capitalismo stimolato dal movimento
operaio: India, negri, cinesi, ecc. Gli inglesi trovano una soluzione
al problema nazionale per i dominions a capitalismo sviluppato, e
questo aspetto [è] molto interessante: ricordare che Iliic
sosteneva appunto che non è impossibile che le quistioni
nazionali abbiano una soluzione pacifica anche in regime borghese:
esempio classico la separazione pacifica della Norvegia dalla Svezia.
Ma gli inglesi sono specialmente colpiti dai movimenti nazionali nei
paesi coloniali e semicoloniali: India, negri dell'Africa, ecc.).
La difficoltà
maggiore dell'equilibrio tra autonomia e unità si
presenta naturalmente nella politica estera. Giacché i
Dominions non riconoscono piú il Governo di Londra come
rappresentante della loro volontà nel campo della politica
internazionale, si discusse di creare una nuova entità
giuridico-politica destinata ad indicare ed attuare l'unità
dell'Impero: si parlò di costituire un organo di politica
estera imperiale. Ma esiste una reale unità «internazionale»?
I Dominions attraverso l'Impero partecipano alla politica mondiale,
sono potenze mondiali; ma la politica estera dell'Inghilterra,
europea e mondiale, è talmente complicata che i Dominions sono
riluttanti ad essere trascinati in quistioni che non li interessano
direttamente; d'altronde attraverso la politica estera l'Inghilterra
potrebbe togliere o limitare ai Dominions qualcuno di quei diritti di
indipendenza che hanno conquistato. Per l'Inghilterra stessa questo
organo di politica imperiale potrebbe essere ragione di difficoltà,
specialmente appunto nella politica estera, in cui si esige prontezza
e unità di volere, difficili da realizzare in un organo
collettivo rappresentante paesi sparsi in tutto il mondo.
Incidente col Canadà
a proposito del trattato di Losanna: il Canadà rifiutò
di ratificarlo perché non firmato dai propri rappresentanti.
Baldwin lasciò cadere la quistione dell'«organo
imperiale» e temporeggiò. Il Governo conservatore
riconobbe al Canadà e all'Irlanda il diritto di aver propri
rappresentanti a Washington (primo passo verso il diritto attivo e
passivo di Legazione ai Domini); all'Australia il diritto di avere a
Londra oltre all'Alto Commissario (con mansioni specialmente
economiche) un funzionario per il diretto collegamento politico;
favorí e incoraggiò la formazione di flotte autonome
(flotta australiana, canadese, indiana); base navale di Singapore per
la difesa del Pacifico; esposizione di Wembley per valorizzare
l'economia dei dominions in Europa; Comitato Economico Imperiale per
associare i Dominions all'Inghilterra di fronte alle difficoltà
commerciali e industriali, e parziale attuazione del principio
preferenziale.
Nella politica estera: il
Patto di Locarno fu firmato dall'Inghilterra con la dichiarazione di
assumere per sé sola gli impegni in esso contemplati. (Prima
vari metodi: per il Trattato di Losanna l'Inghilterra firmò a
nome di tutto l'Impero, onde incidente col Canadà; nella
Conferenza di Londra per le riparazioni tedesche, nel luglio 1924,
intervennero i dominions singoli, con apposite delegazioni, ciò
che domandò un meccanismo pesante e complicato, non sempre
praticamente applicabile; nel Patto di Sicurezza di Ginevra del 1928,
l'Inghilterra si riservò di firmare dopo aver consultato i
dominions e averne ottenuta la preventiva approvazione).
La Conferenza Imperiale
(del novembre 1926) ha voluto dare una definizione precisa dei membri
dell'Impero: essi sono «comunità autonome, uguali in
diritto, in nessun modo subordinate l'una all'altra nei rispetti dei
loro affari interni ed esteri, sebbene unite da un comune dovere di
obbedienza alla Corona e liberamente associate quali membri
dell'Impero britannico». Uguaglianza di status non significa
uguaglianza di funzioni, e viene espressamente dichiarato che la
funzione della politica estera, e della difesa militare e navale
incombe principalmente alla Gran Bretagna. Ciò non
esclude che determinate mansioni di questi due rami dell'attività
statale vengano in parte assunte da qualcuno dei Dominions: flotta
australiana e indiana (l'India però non è un Dominion);
rappresentanza a Washington dell'Irlanda e del Canadà, ecc.
Viene infine stabilito il principio generale che nessun obbligo
internazionale incombe su uno qualsiasi dei soci dell'Impero se
quest'obbligo non è stato volontariamente riconosciuto e
assunto.
È stato fissato il
rapporto dei Domini con la Corona, che diviene il vero organo supremo
imperiale. I Governatori Generali nei Dominions, essendo puri
rappresentanti del Re, non possono avere nel riguardo dei Dominions
che l'esatta posizione che ha il re nell'Inghilterra: essi perciò
non sono rappresentanti od agenti del governo inglese, le cui
comunicazioni coi governi dei Dominions avverranno per altro tramite.
La politica estera inglese
non può non subire l'influenza dei Dominions.
Funzione del re
d'Inghilterra come nesso politico imperiale: cioè del
Consiglio privato della Corona, e specialmente del Comitato giuridico
del Consiglio privato, che non soltanto accoglie i reclami contro le
decisioni delle Alte Corti dei Dominions, ma anche giudica le
controversie tra i membri dello stesso Impero. Questo Comitato è
il piú forte legame organizzativo dell'Impero. Lo Stato libero
d'Irlanda e l'Africa del Sud aspirano a sottrarsi al Comitato
giuridico. Gli uomini politici responsabili non sanno come
sostituirlo. Augur è favorevole alla massima libertà
interna nell'Impero: chiunque può uscirne, ma ciò,
secondo lui, dovrebbe anche voler dire che chiunque può
domandare di entrarvi: egli prevede che il Commonwealth può
diventare un organismo mondiale dopo però che siano chiarite
le relazioni dell'Inghilterra con gli altri paesi, e specialmente con
gli Stati Uniti (Augur sostiene l'egemonia inglese
nell'Impero, dell'Inghilterra propriamente detta, data, anche in
regime di uguaglianza, dal peso economico e culturale).
Da Regno Unito di Gran
Bretagna e Irlanda è diventato l'«Unione britannica di
Nazioni» (British Commonwealth of Nations). Tendenze
particolaristiche. Canadà, Australia e Nuova Zelanda in una
posizione intermedia tra Inghilterra e Stati Uniti. Rapporti tra
Stati Uniti e Canadà sempre piú intimi. Canadà
speciale ministro plenipotenziario a Washington. Se urto serio tra
Stati Uniti e Inghilterra l'Impero inglese si sgretolerebbe.
La bilancia commerciale
inglese già da circa 50 anni prima della guerra andava
modificando la sua struttura interna. La parte costituita dalle
esportazioni di merci perdeva relativamente e l'equilibrio si fondava
sempre piú sulle cosí dette esportazioni invisibili,
cioè gli interessi dei capitali collocati all'estero, i noli
della marina mercantile e gli utili realizzati da Londra come centro
finanziario internazionale. Dopo la guerra, per la concorrenza degli
altri paesi, l'importanza delle esportazioni invisibili è
ancora aumentata. Da ciò la cura dei cancellieri dello
Scacchiere e della Banca d'Inghilterra di riportare la sterlina alla
parità dell'oro e quindi reintegrarla nella sua posizione di
moneta internazionale. Questo fine fu raggiunto, ma ha determinato il
rincaro del prezzo di costo della produzione industriale, che ha
perduto terreno nei mercati stranieri.
Ma è stata questa la
causa (almeno l'elemento piú importante) della crisi
industriale inglese? In che misura il governo sacrificò gli
interessi degli industriali a quelli dei finanziari, portatori di
prestiti all'estero e organizzatori del mercato finanziario mondiale
londinese? Incanto: il ristabilimento del valore della sterlina può
aver anticipato la crisi, non averla determinata, poiché tutti
i paesi, anche quelli rimasti per qualche tempo a moneta fluttuante e
che l'hanno consolidata a un valore piú basso dell'originario,
hanno subito e subiscono la crisi: si potrebbe dire che avere
anticipato la crisi in Inghilterra avrebbe dovuto indurre gli
industriali a correre prima ai ripari e a rimettersi quindi prima
degli altri paesi, ritrovando cosí l'egemonia mondiale.
D'altronde il ritorno immediato alla parità aurea ha evitato
in Inghilterra le crisi sociali determinate dai passaggi di proprietà
e dalla decadenza fulminea delle classi medie piccolo-borghesi: in un
paese tradizionalista, conservatore, ossificato nella sua struttura
sociale, come l'Inghilterra, quali risultati avrebbero avuto i
fenomeni di inflazione, di oscillazione, di stabilizzazione in
perdita della moneta? Certo molto piú gravi che negli altri
paesi.
In ogni modo bisognerebbe
fissare con esattezza il rapporto tra l'esportazione di merci e le
esportazioni invisibili, tra il fatto industriale e quello
finanziario: ciò servirebbe a spiegare la relativa scarsa
importanza politica degli operai e il carattere ambiguo del partito
laburista e la scarsezza di stimoli alla sua differenziazione e al
suo sviluppo.
Egemonia politica
dell'Europa prima della guerra mondiale. Il Tommasini [dice] che
la politica mondiale è stata diretta dall'Europa fino alla
guerra mondiale, dalla battaglia di Maratona (490 a. C.). (Però
fino a poco tempo fa non esisteva il «mondo» e non
esisteva una politica mondiale; d'altronde la civiltà cinese e
quella indiana hanno pur contato qualcosa). All'inizio del secolo
esistevano tre potenze mondiali europee, mondiali per
l'estensione dei loro territori, per la loro potenza economica e
finanziaria, per la possibilità di imprimere alla loro
attività una direzione assolutamente autonoma, di cui
tutte le altre potenze, grandi e minori, dovevano subire l'influsso:
Inghilterra, Russia, Germania. (Il Tommasini non considera la Francia
come potenza mondiale!) Inghilterra: aveva battuto tre grandi
potenze coloniali (Spagna, Paesi Bassi, Francia) e asservito la
quarta (Portogallo), aveva vinto le guerre napoleoniche ed era stata
per un secolo arbitra del mondo intero. Two powers standard.
Punti strategici mondiali nelle sue mani (Gibilterra, Malta, Suez,
Aden, isole Bahrein, Singapore, Hong-Kong). Industrie, commercio,
finanze. Russia: minacciava India, tendeva a Costantinopoli.
Grande esercito. Germania: attività intellettuale,
concorrenza industriale all'Inghilterra, grande esercito, flotta
minacciosa per il two powers standard.
Politica mondiale e
politica europea. Non sono una stessa cosa. Un duello tra Berlino
e Parigi o tra Parigi e Roma non fa del vincitore il padrone del
mondo. L'Europa ha perduto la sua importanza e la politica mondiale
dipende da Londra, Washington, Mosca, Tokyo piú che dal
continente.
America e Europa.
Madison Grant (scienziato e scrittore di grande fama), presidente
della Società biologica di New York, ha scritto un libro Una
grande stirpe in pericolo in cui «denuncia» il
pericolo di un'invasione «fisica e morale» dell'America
da parte degli Europei, ma restringe questo pericolo nell'invasione
dei «mediterranei», cioè dei popoli che abitano
nei paesi mediterranei. Il Madison Grant sostiene che, fin dal tempo
di Atene e di Roma, l'aristocrazia greca e romana era composta di
uomini venuti dal Nord e soltanto le classi plebee erano composte di
mediterranei. Il progresso morale e intellettuale dell'umanità
fu dunque dovuto ai «nordici». Per il Grant i
mediterranei sono una razza inferiore e la loro immigrazione è
un pericolo; essa è peggiore di una conquista armata e va
trasformando New York e gran parte degli Stati Uniti in una «cloaca
gentium». Questo modo di pensare non è individuale:
rispecchia una notevole e predominante corrente di opinione pubblica
degli Stati Uniti, la quale pensa che l'influsso esercitato dal nuovo
ambiente sulle masse degli emigranti è sempre meno importante
dell'influsso che le masse degli emigranti esercitano sul nuovo
ambiente e che il carattere essenziale della «miscela delle
razze» è nelle prime generazioni un difetto di armonia
(unità) fisica e morale nei popoli e nelle generazioni
seguenti un lento ma fatale ritorno al tipo dei vari progenitori.
Su questa quistione delle
«razze» e delle «stirpi» e della loro boria
alcuni popoli europei sono serviti secondo la misura della loro
stessa pretesa. Se fosse vero che esistono razze biologicamente
superiori, il ragionamento del Madison Grant sarebbe abbastanza
verosimile. Storicamente, data la separazione di classe-casta, quanti
romani-ariani sono sopravvissuti alle guerre e alle invasioni?
Ricordare la lettera di Sorel al Michels, «Nuovi Studi di
Diritto, Economia e Politica», settembre-ottobre 1929: «Ho
ricevuto il vostro articolo su la "sfera storica di Roma",
le cui tesi sono quasi tutte contrarie a ciò che lunghi studi
m'hanno mostrato essere la verità piú probabile. Non
c'è paese meno romano dell'Italia; l'Italia è stata
conquistata dai Romani perché essa era altrettanto anarchica
quanto i paesi berberi; essa è rimasta anarchica per tutto il
Medio Evo, e la sua propria civiltà è morta quando gli
Spagnoli le imposero il loro regime amministrativo; i Piemontesi
hanno compiuto l'opera nefasta degli Spagnoli. Il solo paese di
lingua latina che possa rivendicare l'eredità romana è
la Francia, dove la monarchia si è sforzata di mantenere il
potere imperiale. Quanto alla facoltà d'assimilazione dei
Romani, si tratta di uno scherzo. I Romani hanno distrutto la
nazionalità sopprimendo le aristocrazie». Tutte queste
quistioni sono assurde se si vuole fare di esse elementi di una
scienza e di una sociologia politica. Rimane solo il materiale per
qualche osservazione di carattere secondario che spiega qualche
fenomeno di secondo piano.
Inghilterra e Stati
Uniti dopo la guerra. L'Inghilterra è uscita dalla guerra
come trionfatrice. La Germania privata della flotta e delle colonie.
La Russia, che poteva ridiventare rivale, ridotta a fattore
secondario per almeno qualche decennio (questa opinione è
discutibile molto: forse gli inglesi avrebbero preferito come rivale
la Russia zarista, anche vittoriosa, all'attuale Russia, che non solo
influisce sulla politica imperiale, ma anche sulla politica interna
inglese). Ha acquistato circa altri 10 milioni di Km2 di
possedimenti con circa 35 milioni di abitanti. Tuttavia l'Inghilterra
ha dovuto riconoscere tacitamente la supremazia degli Stati Uniti, e
ciò sia per ragioni economiche sia per la trasformazione
dell'Impero. La ricchezza degli Stati Uniti che si calcolava in 925
miliardi di franchi oro nel 1912, era salita nel 1922 a 1.600
miliardi. La marina mercantile: 7.928.688 tonn. nel 1914, 12.500.000
nel 1919. Le esportazioni: 1913, 15 miliardi franchi oro; nel 1919,
37 miliardi e 1/2, ridiscendendo a circa 24 miliardi nel 1924-25.
Importazioni: 10 miliardi circa nel 1913, 16 nel 1919, 19 nel
1924-25.
La ricchezza della Gran
Bretagna nel decennio 1912-22 è salita solo da 387 a 445
miliardi di franchi oro. Marina mercantile: 1912, 13.850.000 tonn.;
1922, 11.800.000. Esportazioni: 1913, 15 miliardi circa di franchi
oro; 1919, 17 miliardi; 1924, 20 miliardi. Importazioni: 1913, 19
miliardi; 1919, 28 1/2 miliardi circa; 1924, 27 1/2 miliardi. Debito
pubblico: 31 marzo 1915: 1.162 milioni di sterline; 1919: 7.481
milioni; 1929: 8.482 milioni; all'attivo vi erano, dopo la guerra,
crediti per prestiti a Potenze alleate, colonie e domíni,
nuovi Stati dell'Europa orientale ecc., che nel 1919 ascendevano a
2.541 milioni di sterline e nel 1924 a 2.162. Ma non erano di sicura
riscossione integrale. Per es. il debito italiano era nel 1924 di 553
e nel 1925 di 584 mil. di sterline, ma con l'accordo del 27 gennaio
1926 l'Italia pagherà in 62 anni solo 276.750.000 sterline
interessi compresi. Nel 1922 l'Inghilterra invece consolidò il
suo debito verso gli Stati Uniti in 4.600 milioni di dollari,
rimborsabili in 62 anni con interesse del 3% fino al 1932 e del 3
1/2% in seguito.
Augur, Il nuovo aspetto
dei rapporti tra la Gran Bretagna e gli Stati Uniti d'America,
«Nuova Antologia» del 16 dicembre 1928. (Espone questa
ipotesi: che gli Stati Uniti cerchino di diventare la forza politica
egemone dell'Impero inglese, cioè conquistino l'impero inglese
dall'interno e non dall'esterno con una guerra).
Nello stesso fascicolo
della «Nuova Antologia» vedi anche Oscar di
Giamberardino, La politica marittima degli Stati Uniti d'America;
questo articolo è molto interessante e da tener presente.
Formazione della potenza
degli Stati Uniti. Indipendenza nel 1783, riconosciuta
dall'Inghilterra col trattato di Versailles: comprendevano allora 13
Stati, di cui 10 di originaria colonizzazione britannica e 3
(New-York, New Jersey e Delaware) ceduti dai Paesi Bassi
all'Inghilterra nel 1667, con circa 2 milioni di Km2, ma
la parte effettivamente popolata era solo quella sulla costa
orientale dell'Atlantico. Secondo il censimento del 1790, la
popolazione non arrivava a 4 milioni, compresi 700.000 schiavi. Su
quello stesso territorio nel 1920 esistevano 20 Stati con 71 milioni
di abitanti. Allora gli Stati Uniti confinavano a Nord col Canadà,
che la Francia aveva ceduto all'Inghilterra nel 1763, dopo la guerra
dei 7 anni; ad Ovest con la Luisiana, colonia francese che fu
comperata nel 1803 per 15 milioni di dollari (territorio di 1.750.000
Km2) cosí che tutto il bacino del Mississipí
si trovò in suo dominio e il confine cadde sul fiume Sabine
colla colonia spagnola del Messico. A Sud colla Florida spagnola che
fu acquistata nel 1819.
Il Messico, che allora era
il doppio dell'attuale, insorse nel 1810 contro la Spagna e nel 1821
fece riconoscere la sua indipendenza col trattato di Cordova. Da quel
momento gli Stati Uniti iniziarono una politica intesa ad
accaparrarsi il Messico: l'Inghilterra sosteneva l'imperatore
Iturbide, gli Stati Uniti favorirono un movimento repubblicano che
trionfò nel 1823. Intervento francese in Spagna. Opposizione
dell'Inghilterra e degli Stati Uniti alla politica della Santa
Alleanza di aiutare la Spagna a riconquistare le colonie americane.
Da ciò è determinato il messaggio del Presidente Monroe
al Congresso (2 dicembre 1823) in cui enunciata la teoria famosa. Si
domanda di non intervenire contro le ex-colonie che hanno proclamato
la loro indipendenza, che l'hanno mantenuta e che è stata
riconosciuta dagli Stati Uniti, i quali non potrebbero rimanere
indifferenti spettatori di un simile intervento qualunque forma fosse
per assumere.
Nel 1835 il Texas (690 mila
Km2) si dichiarò indipendente dal Messico e dopo un
decennio si uní agli Stati Uniti. Guerra fra Stati Uniti e
Messico. Col trattato di Guadalupa Hidalgo (1848) il Messico dovette
cedere il territorio costituente gli attuali Stati della California,
dell'Arizona, del Nevada, dell'Utah e del Nuovo Messico (circa
1.700.000 Km2). Gli Stati Uniti arrivarono cosí
sulla costa del Pacifico, che fu occupata poi fino alla frontiera del
Canadà, e raggiunsero le dimensioni attuali.
Dal '60 al '65 guerra di
secessione: Francia e Inghilterra incoraggiarono il movimento
separatista del Sud e Napoleone III cercò di approfittare
della crisi per rafforzare il Messico con Massimiliano. Gli Stati
Uniti, finita la guerra civile, ricordarono la dottrina di Monroe a
Parigi, esigendo il ritiro delle truppe francesi dal Messico. Nel
1867 acquisto dell'Alaska. L'espansione degli Stati Uniti come grande
potenza mondiale, comincia alla fine dell'800.
Problemi principali
americani: 1°, regolamento dell'emigrazione per assicurare una
maggiore omogeneità della popolazione (veramente questo
problema si pose dopo la guerra ed è legato, oltre che alla
quistione nazionale, anche e specialmente alla rivoluzione
industriale); 2°, egemonia sul mar Caraibico e sulle Antille; 3°,
dominio sull'America Centrale, specialmente sulle regioni dei canali;
4°, espansione nell'Estremo Oriente.
Guerra mondiale. Imperi
centrali bloccati: l'Intesa padrona dei mari: gli S. U. rifornirono
l'Intesa, sfruttando tutte le buone occasioni che si offrivano. Il
costo colossale della guerra, i profondi turbamenti della produzione
europea (la rivoluzione russa), hanno fatto degli Stati Uniti gli
arbitri della finanza mondiale. Quindi la loro affermazione politica.
Wilson. Politica
mondiale di Wilson. Suo contrasto con le forze politiche
preponderanti negli Stati Uniti. Fallimento della sua politica
mondiale. Warren G. Harding diventa presidente il 4 marzo 1921. Colla
sua nota del 4 aprile seguente Harding, a proposito della quistione
dell'isola di Yap, precisa che gli Stati Uniti non intendono
intervenire nei rapporti fra gli Alleati e la Germania, né
chiedere la revisione del trattato di Versailles, ma mantenere tutti
i diritti che le derivano dal suo intervento nella guerra. Questi
principii [furono] svolti nel messaggio del 12 aprile e condussero
alla conferenza di Washington che durò dal 12 novembre 1921 al
6 febbraio 1922 e si occupò della Cina, dell'equilibrio nei
mari dell'Estremo Oriente e della limitazione degli armamenti navali.
Popolazione degli Stati
Uniti. Sua composizione nazionale data dall'immigrazione.
Politica governativa. Nel 1882 proibito l'accesso agli operai cinesi.
Col Giappone furono dapprima usati certi riguardi, ma nel 1907 col
cosí detto Gentlemen's agreement Root-Takahira
l'immigrazione giapponese, senza essere respinta come tale, fu
grandemente ostacolata mediante clausole circa la cultura, le
condizioni igieniche e la fortuna degli immigranti. Ma il gran
mutamento della politica d'immigrazione è avvenuto dopo la
guerra: la legge 19 maggio 1921, rimasta in vigore fino al 1°
luglio 1924, stabilí che la quota annua d'immigrazione di ogni
singola nazione dovesse limitarsi al 3% dei cittadini americani della
rispettiva nazione, secondo il censimento del 1910. (Successive
modifiche). L'immigrazione gialla definitivamente esclusa.
Lodovico Luciolli, La
politica doganale degli Stati Uniti d'America, «Nuova
Antologia» del 16 agosto 1929.
Articolo molto interessante
e utile da consultare perché fa un riassunto della storia
tariffaria negli Stati Uniti e della funzione particolare che le
tariffe doganali hanno sempre avuto nella politica degli Stati Uniti.
Sarà interessante una rassegna storica delle varie
forme che ha assunto e sta assumendo la politica doganale dei vari
paesi, ma specialmente dei piú importanti economicamente e
politicamente, ciò che in fondo significa dei vari tentativi
di organizzare il mercato mondiale e di inserirsi in esso nel modo
piú favorevole dal punto di vista dell'economia nazionale, o
delle industrie essenziali dell'attività economica nazionale.
Una nuova tendenza del nazionalismo economico contemporaneo da
seguire è questa: alcuni Stati cercano di ottenere che le loro
importazioni da un determinato paese siano «controllate»
in blocco con un corrispettivo di «esportazione»
ugualmente controllato. Che una tale misura giovi alle nazioni la cui
bilancia commerciale (visibile) sia in deficit, è manifesto.
Ma come spiegare che un tale principio si incominci ad affermare da
parte della Francia, che esporta merci piú che non ne importi?
Si tratta inizialmente di una politica commerciale rivolta a
boicottare le importazioni da un determinato paese, ma da questo
inizio può svilupparsi una politica generale da inquadrare in
una cornice piú ampia e di carattere positivo che può
(svilupparsi) in Europa in conseguenza della politica tariffaria
americana e per cercare di stabilizzare certe economie nazionali.
Cioè: ogni nazione importante può tendere a dare un
sostrato economico organizzato alla propria egemonia politica su le
nazioni che le sono subordinate. Gli accordi politici regionali
potrebbero diventare accordi economici regionali, in cui
l'importazione e l'esportazione «concordata» non
avverrebbe piú tra due soli Stati, ma tra un gruppo di Stati,
eliminando molti inconvenienti non piccoli evidentissimi. In questa
tendenza mi pare si possa far rientrare la politica di libero scambio
interimperiale e di protezionismo verso il non-Impero del gruppo
nuovamente formatosi in Inghilterra intorno a lord Beaverbrook (o
nome simile), cosí come l'intesa agraria di Sinaia poi
ampliata a Varsavia.
Questa tendenza politica
potrebbe essere la forma moderna di Zollverein che ha portato
all'Impero Germanico federale, o dei tentativi di lega doganale fra
gli Stati italiani prima del 1848, e piú innanzi del
mercantilismo settecentesco: e potrebbe diventare la tappa intermedia
della Paneuropa di Briand, in quanto essa corrisponde a un'esigenza
delle economie nazionali di uscire dai quadri nazionali senza perdere
il carattere nazionale.
Il mercato mondiale,
secondo questa tendenza, verrebbe ad essere costituito di una serie
di mercati non piú nazionali ma internazionali (interstatali)
che avrebbero organizzato nel loro interno una certa stabilità
delle attività economiche essenziali, e che potrebbero entrare
in rapporto tra loro sulla base dello stesso sistema. Questo sistema
terrebbe piú conto della politica che dell'economia nel senso
che nel campo economico darebbe piú importanza all'industria
finita che all'industria pesante. Ciò nel primo stadio
dell'organizzazione. Infatti: i tentativi di cartelli internazionali
basati sulle materie prime (ferro, carbone, potassa, ecc.) hanno
messo di fronte Stati egemonici, come la Francia e la Germania, delle
quali né l'una né l'altra può cedere nulla della
sua posizione e della sua funzione mondiale. Troppo difficile e
troppi ostacoli. Piú semplice invece un accordo della Francia
e dei suoi Stati vassalli per un mercato economico organizzato sul
tipo dell'Impero Inglese, che potrebbe far crollare la posizione
della Germania e costringerla a entrare nel sistema, ma sotto
l'egemonia francese.
Sono tutte ipotesi molto
vaghe ancora, ma da tener presenti per studiare gli sviluppi delle
tendenze su accennate.
Gli Stati Uniti nel Mar
Caraibico. Guerra ispano-americana. Col trattato di pace di
Parigi (10 dicembre 1898) la Spagna rinunciò a ogni suo
diritto su Cuba e cedette agli Stati Uniti Porto Rico e le altre sue
isole minori. L'isola di Cuba, che domina l'entrata del golfo del
Messico, doveva essere indipendente e si promulgò una
costituzione il 12 febbraio 1901; ma gli Stati Uniti, per riconoscere
l'indipendenza e ritirare le truppe, si fecero garantire il diritto
d'intervento. Col trattato di reciprocità del 2 luglio 1903
gli Stati Uniti ottennero vantaggi commerciali e l'affitto come base
navale della baia di Guantanamo.
Gli Stati Uniti
intervennero nel 1914 ad Haiti: il 16 settembre 1915 un accordo dette
il diritto agli Stati Uniti di avere a Port-au-Prince un loro alto
commissario da cui dipende l'amministrazione delle dogane. La
repubblica di San Domingo fu posta sotto il controllo finanziario
americano nel 1907 e durante la guerra vi furono sbarcate truppe,
ritirate nel 1924. Nel 1917 gli Stati Uniti comprarono dalla
Danimarca l'arcipelago delle Vergini. Cosí gli Stati Uniti
dominano il golfo di Messico e il Mare Caraibico.
Gli Stati Uniti e
l'America Centrale. Canale di Panama e altri possibili canali. La
repubblica di Panama si è impegnata col trattato di Washington
del 15 dicembre 1926 a dividere le sorti degli Stati Uniti in caso di
guerra. Il trattato non ancora ratificato perché incompatibile
con lo Statuto della Società delle Nazioni di cui il Panama fa
parte, ma la ratifica non necessaria. Quistione del Nicaragua.
Estremo Oriente.
Possessi degli Stati Uniti: le Filippine e l'isola di Guam
(Marianne); le Hawai; l'isola di Tutuila nel gruppo della Samoa.
Prima del trattato di Washington la situazione nell'Estremo Oriente
era dominata dall'alleanza anglo-giapponese, conclusa col trattato
difensivo di Londra del 30 gennaio 1902, basato sull'indipendenza
della Cina e della Corea, con prevalenza di interessi inglesi in Cina
e giapponesi in Corea; dopo la disfatta russa, fu sostituito dal
trattato del 12 agosto 1905: l'integrità della Cina ribadita e
l'eguaglianza economica e commerciale di tutti gli stranieri, i
contraenti si garantivano reciprocamente i loro diritti territoriali
e i loro interessi speciali nell'Asia Orientale e in India:
supremazia giapponese in Corea e diritto dell'Inghilterra di
difendere l'India nelle regioni cinesi vicine, cioè il Tibet.
Questa alleanza vista di malocchio da Stati Uniti. Attriti durante la
guerra. Nella seduta del 10 dicembre 1921 della Conferenza di
Washington lord Balfour annunziò la fine dell'alleanza,
sostituita col trattato 13 dicembre 1921 con cui la Francia,
l'Inghilterra, gli Stati Uniti e il Giappone si impegnano per dieci
anni: 1°, a rispettare i loro possedimenti e domini insulari nel
Pacifico e a deferire ad una Conferenza degli Stati stessi le
controversie che potessero sorgere fra alcuni di loro circa il
Pacifico e i possedimenti e domini in quistione; 2°, a
concertarsi nel caso di attitudine aggressiva di altra potenza. Il
trattato si limita ai possedimenti insulari e per ciò che
riguarda il Giappone si applica a Karafuto (Sakhalin meridionale) a
Formosa e alle Pescadores, ma non alla Corea e a Porto Arthur. Una
separata dichiarazione specifica che il trattato si applica anche
alle isole sotto mandato nel Pacifico, ma che ciò non implica
il consenso ai mandati da parte degli Stati Uniti. La reciproca
garanzia dello statu quo ha speciale importanza per le
Filippine, poiché impedisce al Giappone di fomentarvi il
malcontento degli indigeni.
Nel trattato per la
limitazione degli armamenti navali c'è una disposizione
importantissima (art. 19) con cui Francia, Inghilterra, Stati Uniti,
Giappone, si impegnano fino al 31 dicembre 1936 di mantenere lo statu
quo per ciò che riguarda le fortificazioni e le basi
navali nei possedimenti e domíni situati ad oriente del
meridiano 110 di Greenwich, che passa per l'isola di Hainan. Il
Giappone è sacrificato, perché ha le mani legate anche
per i piccoli arcipelaghi vicini alle grandi isole metropolitane.
L'Inghilterra può fortificare Singapore e gli Stati Uniti le
Hawai, dominando cosí entrambi gli accessi al Pacifico.
Limitazione delle navi di linea. Ottenimento della parità
navale tra Stati Uniti e Inghilterra.
Egemonia degli Stati Uniti.
Il Tommasini prevede alleanza tra Stati Uniti e Inghilterra e che
dall'Asia partirà la riscossa contro di essa per una
coalizione che può comprendere la Cina, il Giappone e la
Russia col concorso tecnico-industriale della Germania. Egli si basa
ancora sulla prima fase del movimento nazionalista cinese.
La Cina. L'America
nel 1899 proclamò la politica dell'integrità
territoriale cinese e della porta aperta. Nel 1908, con lo scambio di
note Root-Takahira, Stati Uniti e Giappone rinnovarono dichiarazioni
solenni sull'integrità e l'indipendenza politica della Cina.
Dopo l'accettazione da parte della Cina delle cosí dette
«ventun domande» del Giappone (ultimatum 1915) gli Stati
Uniti dichiarano (note del 13 maggio 1915 a Pekino e Tokio) che non
riconoscevano gli accordi conclusi. Alla Conferenza di Washington gli
Stati Uniti ottennero che le potenze europee e il Giappone
rinunziassero a buona parte dei vantaggi speciali e dei privilegi che
si erano assicurati. Il Giappone si impegnò a sgombrare il
Kiau-Ceu. Solo in Manciuria il Giappone mantenne la sua posizione.
Fin dal 1908 gli Stati Uniti avevano rinunziato alle indennità
loro spettanti dopo la rivolta dei boxers e avevano adibito le somme
relative a scopi culturali in Cina. Nel 1917 la Cina sospese i
pagamenti. Accordi: Giappone e Inghilterra hanno rinunziato come gli
Stati Uniti; la Francia si è servita dei fondi per risarcire i
danneggiati del fallimento della Banca industriale di Cina:
Italia e Belgio hanno consentito a consacrare a scopi culturali circa
i 4/5 delle somme ancora dovute.
Atlantico-Pacifico.
Funzione dell'Atlantico nella civiltà e nell'economia
moderna. Si sposterà questo asse nel Pacifico? Le masse piú
grandi di popolazione del mondo sono nel Pacifico: se la Cina e
l'India diventassero nazioni moderne con grandi masse di produzione
industriale, il loro distacco dalla dipendenza europea romperebbe
appunto l'equilibrio attuale: trasformazione del continente
americano, spostamento dalla riva atlantica alla riva del Pacifico
dell'asse della vita americana, ecc. Vedere tutte queste quistioni
nei termini economici e politici (traffici, ecc.).
Bernardo Sanvisenti, La
questione delle Antille, «Nuova Antologia», 1°
giugno 1929. Sulla dottrina di Monroe, sui rapporti tra Stati Uniti e
America Spagnola ecc. Contiene citazioni bibliografiche su questi
argomenti di libri di scrittori sudamericani e riporta notizie su
movimenti culturali legati al predominio degli Stati Uniti che
possono essere utili.
Armamento della Germania
al momento dell'armistizio. Al momento dell'armistizio furono
consegnati dall'esercito operante: cannoni 5.000; mitragliatrici
25.000; bombarde 3.000; aeroplani 1.700; autocarri 5.000; locomotive
5.000; carri ferroviari 150.000. La Commissione per il disarmo
distrusse nel territorio tedesco: cannoni 39.600; affusti finiti
23.061; fucili e pistole 4.574.000; mitragliatrici 88.000; proietti
d'artiglieria 39.254.000; proietti per bombarde 4.028.000; cartucce
500.294.000; bombe a mano 11.530.000; esplosivi 2.131.646 tonnellate
(e molte armi non furono consegnate).
Il problema scandinavo e
baltico, articolo di A. M. (?) nella «Nuova Antologia»
del 1° agosto 1927. Articolo un po' balzellante e pieno di
fumosità pretenziose ma interessante nel complesso, anche
perché l'argomento è di solito poco trattato. Unità
culturale dei popoli scandinavi molto piú intima di quella dei
popoli di cultura latina. Esiste un movimento per una Lega
interscandinava, che dà luogo a riunioni periodiche e solenni,
ma la Lega non può divenire realtà concreta di
organismo politico: rimangono i vincoli culturali e di razza da cui
il movimento nasce e che da esso sono mantenuti e rinforzati. Le
ragioni della impossibilità della Lega sono piú
sostanziali che non quella del pericolo di una egemonia svedese. La
Svezia e la Finlandia hanno interessi diversi della Danimarca e
Norvegia. Eliminate le flotte tedesca e russa il Baltico è in
certo qual modo neutralizzato, ma tale neutralità è
controllata dall'Inghilterra. La Lega creerebbe un'altra situazione
di cui l'Inghilterra potrebbe non essere soddisfatta, almeno che la
Lega stessa fosse una sua creatura. Cosí si dica per la
Germania (e anche per la Russia, anzi piú di tutto per la
Russia) restituita a grande potenza.
Danimarca nell'anteguerra
gravitava nell'orbita inglese. Oggi ancor piú. Ha rinunziato a
ogni apparato militare (bisogna vedere se ciò non sia avvenuto
per suggerimento inglese, che cosí può entrare nel
Baltico senza violare nessun «piccolo Belgio»). In ogni
modo la neutralità disarmata della Danimarca pone il Baltico
sotto il controllo inglese, quindi diminuisce la posizione della
Germania, che tende a esercitare una influenza nel Nord. La
Danimarca, col suo disarmo, ha rinunziato alla sua posizione e
funzione internazionale. Paese piccolo borghese.
La Svezia è apatica
e quietista, senza volontà di potenza. La Norvegia sotto
influsso inglese, in istato di quasi disarmo, ma in ascesa. Piena di
vigore la Finlandia, dotata di un forte sistema statale e di governo.
La Svezia paese di grande industria e di alta borghesia con rigida
differenziazione di classi (tradizione aristocratica-militare e
conservatrice); riduzione di spese militari e navali; sotto influenza
tedesca; il suo prestigio decaduto; avrebbe potuto forse annettersi
la Finlandia: invece vide assegnare alla Finlandia le isole Aland, la
Gibilterra baltica.
La Finlandia ha assorbito
dalla Svezia la cultura occidentale. I suoi interessi permanenti e
profondi legati alla Germania. Atteggiamento riservato verso la
Polonia. La Polonia vorrebbe costituirsi grande protettrice degli
Stati baltici e raggrupparli intorno a sé di fronte alla
Russia e alla Germania. (Ma Lituania avversa, Finlandia molto
riservata e altri Stati baltici diffidenti e sospettosi). La Russia
ha finora sventato queste manovre polacche.
Inghilterra, potenza navale
contro blocco tedesco-russo (l'autore prevede una ripresa della
potenza tedesca che organizza la Russia sotto il suo controllo e le
si unisce territorialmente): in cui la tradizionale supremazia del
mare (inglese) sul continente verrebbe a perdere la sua efficienza
data la grandezza territoriale del blocco tedesco-russo.
L'Inghilterra in posizione di difesa, perché satura di
territori dominati e la sua flotta diminuita come fattore egemonico.
Il blocco russo-tedesco rappresenterebbe la rivolta anti-inglese.
Verrebbe a formarsi una continuità ininterrotta dal Mar
Glaciale al Mediterraneo e dal Reno al Pacifico: la Turchia sarebbe
il secondo fattore in sottordine; l'adesione della Bulgaria e
dell'Ungheria non sarebbe improbabile in caso di conflitto. (Lituania
già congiunge Russia e Germania).
La minaccia
dell'Inghilterra di forzare gli stretti danesi (a parte la funzione
germanica del canale di Kiel) neutralizzata dai possibili campi di
mine che la Germania può disporre ai confini meridionali della
Danimarca e della Svezia. L'influenza francese nel Nord è
irrilevante. La Svezia e la Finlandia rifuggono dall'inimicarsi
l'Inghilterra, ma tendono sempre piú verso la Germania.
Risorgere del germanesimo.
La Germania «potenzialmente» è ancora la piú
forte nazione continentale. L'unità nazionale è
rafforzata; la compagine statale è intatta. Essa oggi si
destreggia fra Occidente e Oriente in attesa di riprendere la sua
libertà politica di fronte all'Inghilterra che tenta invano di
separarla dalla Russia, per avere ragione di entrambe.
La Russia: i concetti
dell'autore sulla Russia sono molto superficiali e fumosi.
«L'amorfismo russo è incapace di organizzare lo Stato e
neppure di concepirlo. Tutti i fondatori di Stato russo furono
stranieri o d'origine straniera (Rurik, i Romanoff). La potenza
organizzatrice non può essere che la Germania, per ragioni
storiche e geografiche e politiche. Non conquista militare ma solo
subordinazione economica, politica, culturale. Sarebbe antistorico
frazionare la Russia e sottoporla ad esperimenti coloniali, come
avrebbero voluto certi teorici della politica. Il popolo russo è
mistico, ma non religioso, per eccellenza femmineo e dissolvitore»,
ecc. ecc. (La quistione è molto meno verbalmente complessa: la
Russia è troppo contadina e di un'agricoltura primitiva, per
potere con «facilità» organizzare uno Stato
moderno: la sua industrializzazione è il processo della sua
modernizzazione).
La posizione geopolitica
dell'Italia. La possibilità dei blocchi. Nella sesta
seduta della Conferenza di Washington (23 dicembre 1921) il delegato
inglese Balfour disse, parlando dell'Italia: «L'Italia non è
un'isola, ma può considerarsi come un'isola. Mi ricordo
dell'estrema difficoltà che abbiamo avuto a rifornirla anche
con il minimo di carbone necessario per mantenere la sua attività,
i suoi arsenali e le sue officine, durante la guerra. Dubito che essa
possa nutrirsi e approvvigionarsi, o continuare ad essere una
effettiva unità di combattimento, se fosse realmente
sottomessa ad un blocco e se il suo commercio marittimo fosse
arrestato. L'Italia ha cinque vicini nel Mediterraneo. Spero e credo
che la pace, pace eterna, possa regnare negli antichi focolari della
civiltà. Ma noi facciamo un esame freddo e calcolatore come
quello di un membro qualsiasi dello Stato Maggiore Generale. Questi,
considerando il problema senza alcun pregiudizio politico e soltanto
come una questione di strategia, direbbe all'Italia: voi avete cinque
vicini, ciascuno dei quali può, se vuole, stabilire un blocco
delle vostre coste senza impiegare una sola nave di superficie. Non
sarebbe necessario che sbarcasse truppe e desse battaglia. Voi
perireste senza essere conquistati». (Balfour parlava
specialmente sotto l'impressione della guerra sottomarina e prima dei
grandi progressi realizzati dall'aviazione di bombardamento, che non
pare possa permettere un blocco immune da rappresaglie; tuttavia per
alcuni aspetti la sua analisi è abbastanza giusta).
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