Indice | Parole: Alfabetica - Frequenza - Rovesciate - Lunghezza - Statistiche | Aiuto | Biblioteca IntraText
Antonio Gramsci
Note sul Machiavelli, sulla politica e sullo Stato moderno

IntraText CT - Lettura del testo

  • IV. Recensioni e note bibliografiche.
Precedente - Successivo

Clicca qui per nascondere i link alle concordanze

IV. Recensioni e note bibliografiche.

Studi particolari su Machiavelli come «economista»: Gino Arias negli «Annali di Economia della Università Bocconi» [pubblica] uno studio dove [si trova] qualche indicazione. (Studio di Vincenzo Tangorra). Pare che lo Chabod, in qualche suo scritto sul Machiavelli, trovi che sia una deficienza del fiorentino, in confronto, per es., al Botero, il fatto della quasi assenza di riferimenti economici nei suoi scritti (sull'importanza del Botero per lo studio della storia del pensiero economico cfr. Mario De Bernardi e recensione di L. Einaudi nella «Riforma Sociale» di marzo-aprile 1932).

Occorre fare alcune osservazioni generali sul pensiero politico del Machiavelli e sul suo carattere di «attualità» a differenza di quello del Botero, che ha carattere piú sistematico e organico sebbene meno vivo e originale. Occorre anche richiamare il carattere del pensiero economico di quel tempo (spunti nel citato articolo dell'Einaudi) e la discussione sulla natura del mercantilismo (scienza economica o politica economica?) Se è vero che il mercantilismo è una [mera] politica economica, in quanto non può presupporre un «mercato determinato» e l'esistenza di un preformato «automatismo economico», i cui elementi si formano storicamente solo a un certo grado di sviluppo del mercato mondiale, è evidente che il pensiero economico non può fondersi nel pensiero politico generale, cioè nel concetto di Stato e delle forze che si crede debbano entrare a comporlo. Se si prova che il Machiavelli tendeva a suscitare legami tra città e campagna e ad allargare la funzione delle classi urbane fino a domandar loro di spogliarsi di certi privilegi feudali-corporativi nei rispetti della campagna, per incorporare le classi rurali nello Stato, si dimostrerà anche che il Machiavelli implicitamente ha superato in idea la fase mercantilista e ha già degli accenni di carattere «fisiocratico», cioè egli pensa a un ambiente politico-sociale che è quello presupposto dall'economia classica.

Il prof. Sraffa attira l'attenzione su un possibile avvicinamento del Machiavelli a un economista inglese del 1600, William Petty, che Marx chiama il «fondatore dell'economia classica» e le cui opere complete sono state tradotte anche in francese. (Marx ne parlerà nei volumi del Mehrwert, Storia delle dottrine economiche).

 

 

La «Rivista d'Italia» del 15 giugno 1927 è interamente dedicata al Machiavelli in occasione del IV centenario della morte. Eccone l'indice: 1) Charles Benoist, Le Machiavélisme perpétuel; 2) Filippo Meda, Il machiavellismo; 3) Guido Mazzoni, Il Machiavelli drammaturgo; 4) Michele Scherillo, Le prime esperienze politiche del Machiavelli; 5) Vittorio Cian, Machiavelli e Petrarca; 6) Alfredo Galletti, Niccolò Machiavelli umanista; 7) Francesco Ercole, Il Principe; 8) Antonio Panella, Machiavelli storico; 9) Plinio Carli, N. Machiavelli scrittore; 10) Romolo Caggese, Ciò che è vivo nel pensiero politico di Machiavelli.

L'articolo del Mazzoni è mediocre e prolisso: erudito-storico-divagativo. Come capita spesso a questo tipo di critici, il Mazzoni non ha ben capito il contenuto letterario della Mandragola, falsifica il carattere di messer Nicia e quindi tutto il complesso dei personaggi, che sono in funzione dell'avventura di messer Nicia; il quale non si aspettava un figlio dall'accoppiamento di sua moglie con Callimaco travestito, ma si aspettava invece di avere la moglie resa feconda per virtú dell'erba mandragola e liberata per l'accoppiamento con un estraneo dalle supposte conseguenze micidiali della pozione, che altrimenti sarebbero state subite da lui stesso. Il genere di scimunitaggine di messer Nicia è ben circoscritto e rappresentato: egli crede che la sterilità delle sue nozze non dipenda da lui stesso, vecchio, ma dalla moglie giovane ma fredda e a questa presunta infecondità della moglie vuole riparare, non col farla fecondare da un altro, ma ottenendo che da infeconda sia trasformata in feconda.

Che messer Nicia si lasci convincere a far accoppiar la moglie con uno che dovrà morire per liberarla da un presunto maleficio che altrimenti sarebbe causa di allontanamento per lui dalla moglie o di morte per lui, è un elemento comico che si trova in altre forme nella novellistica popolare dove si suol dipingere la protervia delle donne che per dare la sicurezza agli amanti si fanno possedere in presenza e col consenso del marito (motivo che, in altra forma, appare anche nel Boccaccio). Ma nella Mandragola è rappresentata la stoltezza del marito e non la protervia della donna, la cui resistenza può essere domata anzi solo con l'intervento dell'autorità materna e di quella del confessore.

L'articolo di Vittorio Cian è anche inferiore a quello del Mazzoni: la retorica stopposa del Cian trova modo di abbarbicarsi anche sul bronzo. È evidente che il Machiavelli reagisce alla tradizione petrarchesca e cerca di spiantarla, nonché di continuarla; ma il Cian vede col senno di poi infantilmente applicato, precursori da per tutto e divinazioni miracolose in ogni frasetta banale e occasionale e distende dieci pagine sull'argomento per non dire che i soliti luoghi comuni amplificati dei manuali per le scuole medie ed elementari.

 

 

Un'edizione delle Lettere di Niccolò Machiavelli è stata fatta dalla Società Editrice «Rinascimento del libro», Firenze, nella «Raccolta nazionale dei classici», curata e con prefazione di Giuseppe Lesca (la prefazione è stata pubblicata nella «Nuova Antologia» del novembre 1929). Le lettere erano già state stampate nel 1883 dall'Alvisi presso il Sansoni di Firenze con lettere di altri al Machiavelli (del libro dell'Alvisi è stata fatta una nuova edizione con prefazione di Giovanni Papini).

 

 

Pasquale Villari, Niccolò Machiavelli e i suoi tempi, a cura di Michele Scherillo, Ed. Ulrico Hoepli, Milano, 1927, due volumi, L. 60,00. (È la ristampa della nota opera del Villari, con in meno i documenti che nell'edizione Le Monnier occupano l'intero terzo volume e parte del secondo. In questa edizione dello Scherillo i documenti sono stati elencati con cenni sommari sul loro contenuto, in modo che facilmente si può andarli a ricercare nell'edizione Le Monnier).

 

 

In una recensione di Giuseppe Tarozzi del volume sulla Costituzione russa di Mario Sertoli (Firenze, Le Monnier, 1928, in , pp. 435, L. 50) pubblicata dall'«Italia che scrive», è citato un libro del Vorländer Von Machiavelli bis Lenin, senz'altra indicazione. (Sarà da vedere la rassegna sulla letteratura machiavellica piú recente pubblicata nel 1929 dai «Nuovi Studi»).

 

 

Gioviano Pontano. Sua attività politica come affine a quella del Machiavelli. (cfr. M. Scherillo, Origini e svolgimento della letteratura italiana, II, dove [sono] riportati due memoriali del Pontano sulla situazione italiana nel periodo della calata di Carlo VIII; e Gothein, Il Rinascimento nell'Italia Meridionale, tradotto nella Biblioteca storica del Rinascimento, Firenze, 1915). Il Pontano era membro napoletanizzato. (La religione come strumento di governo. Contro il potere temporale del Papa: doversi «li Stati temporali» governare da «re e principi secolari»).

 

 

Gino Arias, Il pensiero economico di Niccolò Machiavelli. (Negli «Annali di Economia» dell'Università Bocconi del 1928 (o '27?).

 

 

Machiavelli ed Emanuele Filiberto. Nel volume miscellaneo su Emanuele Filiberto pubblicato nel 1928 dal Lattes, Torino (pp. 477 in ) l'attività militare di Emanuele Filiberto come stratega e come organizzatore dell'esercito piemontese è studiata dai generali Maravigna e Brancaccio.

 

 

Ettore Ciccotti. Il suo volume: Confronti storici, Biblioteca della «Nuova Rivista Storica» n. 10, Società Ed. Dante Alighieri, 1929, pp. XXXIX-262, è stato recensito favorevolmente da Guido De Ruggiero nella «Critica» del gennaio 1930 e invece con molta cautela e in fondo sfavorevolmente da Mario de Bernardi nella «Riforma Sociale» (vedere). Un capitolo del libro del Ciccotti (forse l'introduzione generale) è stato pubblicato nella «Rivista d'Italia» del 15 giugno-15 luglio 1927: «Elementi di "verità" e di "certezza" nella tradizione storica romana» e solo a questo capitolo qui si accenna. Il Ciccotti esamina e combatte una serie di deformazioni professionali della storiografia romana e molte sue osservazioni sono giuste negativamente: è per le affermazioni positive che sussistono dubbi e sono necessarie molte cautele. La recensione del De Ruggiero è molto superficiale: egli giustifica il metodo «analogico» del Ciccotti come un riconoscimento dell'identità fondamentale dello spirito umano, ma cosí si va molto lontano, fino alla giustificazione dell'evoluzionismo volgare e delle leggi sociologiche astratte, che anch'esse, a loro modo, si fondano, con un linguaggio particolare, sull'ipotesi dell'identità fondamentale dello spirito umano.

Uno degli errori teorici piú gravi del Ciccotti pare consista nell'interpretazione sbagliata del principio vichiano che il «certo si converte nel vero». La storia non può essere che certezza (con l'approssimazione della ricerca della «certezza»). La conversione del «certo» nel «vero» può dar luogo a costruzioni filosofiche (della cosí detta storia eterna) che non hanno che poco in comune con la storia «effettuale»: ma la storia deve essere «effettuale » e non romanzata: la sua certezza deve essere prima di tutto certezza dei documenti storici (anche se la storia non si esaurisce tutta nei documenti storici, la cui nozione d'altronde è talmente complessa ed estesa, da poter dare luogo a concetti sempre nuovi sia di certezza che di verità). La parte sofistica della metodologia del Ciccotti appare molto chiara dove egli afferma che la storia è dramma, perché ciò non vuol dire che ogni rappresentazione drammatica di un dato periodo storico sia quella «effettuale», anche se viva, artisticamente perfetta, ecc. Il sofisma del Ciccotti porta a dare un valore eccessivo alla belletristica storica come reazione all'erudizione pedantesca e petulante: dalle piccole «congetture» filologiche si passa alle «grandiose» congetture sociologiche, con poco guadagno per la storiografia.

In un esame della attività storica del Ciccotti occorre tenere molto conto di questo libro. La «filosofia della prassi» del Ciccotti è molto superficiale: è la concezione di Guglielmo Ferrero e di C. Barbagallo, cioè un aspetto della sociologia positivistica, condita di qualche degnità vichiana. La metodologia del Ciccotti ha dato luogo appunto alle storie tipo Ferrero e alle curiose elucubrazioni del Barbagallo che finisce col perdere il concetto di distinzione e di concretezza «individua» di ogni momento dello sviluppo storico e con lo scoprire due originali degnità: che «tutto il mondo è paese» e che «piú tutto cambia e piú si rassomiglia».

 

 

Corrado Barbagallo. Il suo libro L'oro e il fuoco deve essere esaminato, tenendo conto del partito preso dell'autore di trovare nell'antichità ciò che è essenzialmente moderno, come il capitalismo, la grande industria e le manifestazioni che ad essi sono collegate. Occorre specialmente esaminare le sue conclusioni a proposito delle corporazioni professionali e delle loro funzioni, ponendole a confronto con le ricerche degli studiosi del mondo classico e del Medio Evo. Cfr. le conclusioni del Mommsen e del Marquardt a proposito dei collegia opificum et artificum; per il Marquardt essi erano istituzioni di carattere erariale e servivano all'economia e alla finanza dello Stato in senso stretto e poco o punto istituzioni sociali (cfr. il mir russo). A parte l'osservazione che in ogni caso il sindacalismo moderno dovrebbe trovare corrispondenza in istituzioni proprie degli schiavi del mondo classico. Ciò che caratterizza, da questo punto di vista, il mondo moderno è che al disotto dei proletari non c'è classe alla quale sia proibito l'organizzarsi, come avveniva nel Medio Evo e anche nel mondo classico con ogni probabilità; l'artigiano romano poteva servirsi degli schiavi come lavoranti ed essi non appartenevano certo ai collegia e non è escluso che, nella stessa plebe, qualche categoria non servile fosse esclusa dall'organizzazione.

 

Quella del Barbagallo sul capitalismo antico è una storia ipotetica, congetturale, possibile, un abbozzo storico, uno schema sociologico, non una storia certa e determinata. Gli storici come il Barbagallo cadono, mi pare, in un errore filologico-critico molto curioso: che la storia antica debba essere fatta sui documenti del tempo, su cui si fanno ipotesi ecc., senza tener conto che tutto lo sviluppo storico susseguente è un «documento» per la storia precedente ecc. Gli emigrati inglesi nell'America del Nord hanno portato con loro l'esperienza tecnico-economica dell'Inghilterra; come mai si sarebbe perduta l'esperienza del capitalismo antico se questo fosse veramente esistito nella misura in cui il Barbagallo lascia supporre o vuole che si supponga?

 

 

Giuseppe Gallavresi, Ippolito Taine storico della Rivoluzione francese, «Nuova Antologia», novembre 1928. Cabanis (Giorgio) 1750-1808, sue teorie materialiste esposte nel libro dedicato allo studio dei rapporti tra le physique et le moral. Il Manzoni ammirava profondamente l'angélique Cabanis e anche quando si convertí continuò ad ammirare questo suo libro. Il Taine discepolo del Cabanis.

Il metodo induttivo e le norme dell'osservazione presi a prestito dalle scienze naturali dovevano portare il Taine, secondo il Gallavresi, alla conclusione che la Rivoluzione francese sia stata una mostruosità, una malattia. «La democrazia egualitaria è una mostruosità alla luce delle leggi della natura; ma il fatto che è stata concepita dall'uomo ed anche realizzata tratto tratto nella storia di taluni popoli deve far riflettere gli spiriti piú riluttanti ad accettare un regime pur cosí convenzionale». (Interessanti questi concetti di «convenzionale», di «artificiale», ecc., applicati a certe manifestazioni storiche: «convenzionale» e «artificiale» sono implicitamente contrapposti a «naturale», cioè a uno schema «conservatore» veramente convenzionale e artificiale perché la realtà lo ha distrutto: in verità i peggiori «scientifisti» sono i reazionari che si proiettano una «evoluzione» di proprio comodo e ammettono l'importanza e l'efficacia dell'intervento della volontà umana fortemente organizzata e concentrata, solo quando è reazionaria, quando tende a restaurare ciò che è stato, come se ciò che è stato ed è stato distrutto non sia altrettanto «ideologico», «astratto», «convenzionale», ecc., di ciò che ancora non è stato effettuato e anzi molto piú).

Questa quistione del Taine e della Rivoluzione Francese deve essere studiata perché ha avuto una certa importanza, nella storia della cultura del secolo scorso: confronta i libri di Aulard contro Taine e le pubblicazioni di Augustin Cochin su tutti e due. Questo articolo del Gallavresi è molto superficiale. (Confronta anche il fatto per cui la letteratura pamphletistica che precedette e accompagnò la Rivoluzione Francese sembra stomachevole agli spiriti raffinati: ma la letteratura gesuitica contro la Rivoluzione fu migliore o non fu peggiore? La classe rivoluzionaria intellettualmente è sempre debole da questo punto di vista: essa lotta per farsi una cultura ed esprimere una classe colta consapevole e responsabile: di piú, tutti i malcontenti e i falliti delle altre classi si buttano dalla sua parte per rifarsi una posizione. Lo stesso non può dirsi della vecchia classe conservatrice, anzi il contrario: eppure la sua letteratura di propaganda è peggiore e piú demagogica, ecc.).

 

 

La scienza della politica e i positivisti. La politica non è che una determinata «fenomenologia» della delinquenza, è la «delinquenza settaria»: questo mi pare il succo del libro di Scipio Sighele, Morale privata e Morale politica, Nuova edizione de La delinquenza settaria riveduta ed aumentata dall'autore, Milano, Treves, 1913 (con in appendice riprodotto l'opuscolo Contro il parlamentarismo). Può servire come «fonte» per vedere come i positivisti intendevano la «politica», sebbene sia superficiale, prolisso e sconnesso. La bibliografia è compilata senza metodo, senza precisione e senza necessità (se un autore è citato nel libro per un'affermazione incidentale, nella bibliografia è riportato il libro da cui [è] presa la citazione). Il libro può servire come elemento per comprendere i rapporti che sono esistiti nel decennio 1890-1900 tra gli intellettuali socialisti e i positivisti della scuola lombrosiana, ossessionati dal problema della criminalità, tanto da farne una concezione del mondo o quasi (cadevano in una strana forma di «moralismo» astratto, poiché il bene e il male era qualcosa di trascendente e di dogmatico, che in concreto coincideva con la morale del «popolo», del «senso comune»). Il libro del Sighele deve essere stato recensito da Guglielmo Ferrero, perché nella bibliografia è citato un articolo del Ferrero Morale individuale e morale politica nella «Riforma Sociale», anno I, n. XI-XII. Libro di Ferri: Socialismo e criminalità; di Turati: Il delitto e la questione sociale. Vedere bibliografia di Lombroso, Ferri, Garofalo (antisocialista), Ferrero, e altri da ricercare.

L'opuscolo contro il parlamentarismo è anch'esso superficialissimo e senza sugo: può essere citato come una curiosità dati i tempi in cui fu scritto: è tutto imperniato sul concetto che le grandi assemblee, i collegi sono organismi tecnicamente inferiori al comando unico o di pochi, come se questa fosse la quistione principale. E pensare che il Sighele era un democratico e che appunto per ciò si staccò a un certo punto dal movimento nazionalista. In ogni caso forse è da collegare questo opuscolo del Sighele alle concezioni «organiche» del Comte.

 

 

La funzione degli intellettuali. Sulla funzione degli intellettuali nello sviluppo della vita politica, sui rapporti del popolo e degli intellettuali è da vedere ciò che scrive il Gioberti specialmente nel Rinnovamento. Il Gioberti non adopera il termine «intellettuali» ma parla dell'«ingegno». È da notare che il Gioberti distingue la democrazia dalla demagogia appunto dalla funzione che nella democrazia ha l'«ingegno».

 

 

G. Gentile e la filosofia della politica. Cfr. l'articolo pubblicato da G. Gentile nello «Spectator» del 3 novembre 1928 e ristampato nell'«Educazione fascista». «Filosofia che non si pensa (!?), ma che si fa, e perciò si enuncia ed afferma non con le formule ma con l'azione». Poiché da quando esiste l'uomo, si è sempre «fatto», è sempre esistita l'«azione», questa filosofia è sempre esistita, è stata pertanto la filosofia di... Nitti e di Giolitti. Ogni Stato ha «due filosofie»: quella che si enuncia per formule ed è una semplice arte di governo, e quella che si afferma con l'azione ed è la filosofia reale, cioè la storia. Il problema è di vedere in che misura queste due filosofie coincidono, divergono, sono in contrasto, sono coerenti intimamente e tra loro. La «formula» gentiliana non è, in realtà, che la mascheratura sofistica della «filosofia» politica piú nota col nome di «opportunismo» ed empirismo. Se Bouvard e Pécuchet avessero conosciuto Gentile, avrebbero trovato nella sua filosofia la giusta interpretazione della loro attività rinnovatrice e rivoluzionaria (nel senso non corrotto della parola, come si dice).

 

 

Il genio nella storia. Nello scritto inedito di Niccolò Tommaseo Pio IX e Pellegrino Rossi pubblicato da Teresa Lodi nel «Pègaso» dell'ottobre 1931 si legge a proposito di Pio IX (p. 407): «E fosse stato anco un genio, gli conveniva trovare aiutatori ed interpreti; perché l'uomo che sorge solo, solo si rimane, e cade assai volte o deserto o calpesto. In ogni educazione e privata e pubblica importa conoscere lo strumento che s'ha tra mani, e chiedergli quel suono ch'ei può dare, e non altro; e prima d'ogni cosa saperlo suonare». Dello stesso Tommaseo: «Io non entro nelle cose private dell'uomo se non quanto aiutino a spiegare le pubbliche»; la proposizione è giusta, anche se il Tommaseo non vi si sia attenuto quasi mai.

 

 

Sul sentimento nazionale. L'editore Grasset ha pubblicato un gruppo di Lettres de jeunesse dell'allora capitano Lyautey. Le lettere sono del 1883 e il Lyautey era allora monarchico, devoto al conte di Chambord; il Lyautey apparteneva alla grande borghesia che era strettamente alleata all'aristocrazia. Piú tardi, morto il conte di Chambord e dopo l'azione di Leone XIII per il ralliement, il Lyautey si uní al movimento di Albert de Mun che seguí le direttive di Leone XIII, e cosí divenne un alto funzionario della Repubblica, conquistò il Marocco, ecc.

Il Lyautey era ed è rimasto un nazionalista integrale, ma ecco come concepiva nell'83 la solidarietà nazionale: a Roma aveva conosciuto il tedesco conte von Dillen, capitano degli ulani, e cosí ne scrisse al suo amico Antoine de Margerie: «Un gentleman, d'une éducation parfaite, de façons charmantes, ayant en toutes choses, religion, politique, toutes nos idées. Nous parlons la même langue et nous nous entendons à merveille. Que veux-tu? J'ai au coeur, une haine féroce, celle du désordre, de la revolution. Je me sens, certes, plus près de tous ceux qui la combattent, de quelque nationalité qu'ils soient, que de tels de nos compatriotes avec qui je n'ai pas une idée commune et que je regarde comme des ennemis publics».

 

 

I filosofi e la Rivoluzione francese. Nello stesso zibaldone il Bonghi scrive di aver letto un articolo di Carlo Louandre nella «Revue des deux mondes» in cui si parla di un giornale (diario) di Barbier allora pubblicato, che riguarda la società francese dal 1718 al 1762. Il Bonghi ne trae la conclusione che la società francese di Luigi XV era peggiore per ogni parte di quella che seguí la rivoluzione. Superstizione religiosa in forme morbose, mentre l'incredulità cresceva nell'ombra. Il Louandre dimostra che i «filosofi» dettero la teoria di una pratica già fatta, non la fecero.

 

 

Giuseppe Ferrari, Corso su gli scrittori politici italiani. Nuova edizione completa con prefazione di A. O. Olivetti. 1928, Milano, Monanni, pp. 700, L. 25.

 

 

Centralismo organico ecc. Lo Schneider cita queste parole di Foch: «Commander n'est rien. Ce qu'il faut, c'est bien comprendre ceux avec qui on a affaire et bien se faire comprendre d'eux. Le bien comprendre, c'est tout le secret de la vie...». Tendenza a separare il «comando» da ogni altro elemento e a farne un «toccasana» di nuovo genere. E ancora occorre distinguere tra il «comando» espressione di diversi gruppi sociali: da gruppo a gruppo l'arte del comando e il suo modo di esplicarsi muta di molto, ecc. Il centralismo organico, col comando caporalesco e «astrattamente» concepito, è legato a una concezione meccanica della storia e del movimento, ecc.

 

 

Italo Chittaro, La capacità di comando, Casa Editrice De Alberti, Roma. Da una recensione di V. Varanini nella «Fiera Letteraria» del 4 novembre 1928 pare che nel libro del Chittaro sono contenuti spunti molto interessanti anche per la scienza politica. Necessità degli studi storici per la preparazione professionale degli ufficiali. Per comandare non basta il semplice buon senso: questo, se mai, è il frutto di un profondo sapere e di lungo esercizio. La capacità di comando è specialmente importante per la fanteria: se nelle altre armi si diventa specialisti di compiti particolari, nella fanteria si diventa specialisti nel comando, cioè del compito di insieme: necessità quindi che tutti gli ufficiali destinati a gradi elevati abbiano tenuto comandi di fanteria (cioè prima di essere capaci a ordinare le «cose» occorre essere capaci a ordinare e guidare gli uomini). Considera infine la necessità della formazione di uno Stato Maggiore numeroso, valido, popolare tra le truppe.

 

 

Scritto dal (generale) Luigi Bongiovanni nella «Nuova Antologia» del 16 gennaio 1934 (La Marna: giudizi in contrasto): «La guerra nel suo duro realismo avanza solo per via di fatti. Ciò che importa è vincere. La vittoria non si misura a sacrifici, ma a risultati. Di piú, la vittoria è sempre l'effetto di una superiorità: anzi, ne è la innegabile constatazione. Quando costa poco sangue, vuol dire che la superiorità era insita in uno dei due contendenti, per effetto di eventi anteriori».

 

 

Carlo Flumiani, I gruppi sociali. Fondamenti di scienza politica, Milano, Istituto Editoriale Scientifico, 1928, pp. 126, L. 20. (Procurarsi il catalogo di questa casa che ha stampato altri libri di scienza politica).

 

 

Rapporti tra città e campagna. Per avere dei dati sui rapporti tra le nazioni industriali e quelle agrarie e quindi spunti per la quistione della situazione di semicolonie dei paesi agrari (e delle colonie interne nei paesi capitalistici) è da vedere il libro del Mihail Manoilesco, La teoria del protezionismo e dello scambio internazionale, Milano, Treves, 1931. Il Manoilesco scrive che «il prodotto del lavoro di un operaio industriale è in generale sempre scambiato con il prodotto del lavoro di parecchi operai agricoli, in media uno contro cinque». Perciò il Manoilesco parla di uno «sfruttamento invisibile» dei paesi industriali sui paesi agricoli. Il Manoilesco è attuale governatore della Banca nazionale rumena e il suo libro esprime le tendenze ultraprotezioniste della borghesia rumena.

 

 

Vittorio Giglio, Milizie ed eserciti d'Italia, in , 404 pp., illustr., L. 80, C. E. Ceschina (Dall'epoca romana alle milizie comunali, all'esercito piemontese, alla M.V.S.N.). Cercare come mai nel '48 in Piemonte non esistesse nessun capo militare e sia stato necessario ricorrere a un generale polacco. Nel Quattrocento-Cinquecento e anche dopo, buonissimi capitani (condottieri, ecc.), sviluppo notevole della tattica e strategia, eppure impossibilità di creare esercito nazionale, per il distacco tra il popolo e le classi alte.

 

 

Su Quintino Sella, cfr. nella «Nuova Antologia» del 16 settembre 1927: P. Boselli, Roma e Quintino Sella; Alberto De Stefani, Quintino Sella (1827-1884) ; Bruno Minoletti, Quintino Sella storico, archeologo e paleografo.

 

 

Storia del dopoguerra. Vedi l'articolo di Giovanni Marietti, Il trattato di Versailles e la sua esecuzione, nei fascicoli del 16 settembre e 16 ottobre 1929 della «Nuova Antologia». È un riassunto diligente dei principali avvenimenti legati all'esecuzione del trattato di Versailles, una trama schematica che può essere utile come inizio di una ricostruzione analitica o per fissare le concordanze internazionali agli avvenimenti interni dei vari paesi.

 

 

Roberto Michels. Nell'articolo Il pangermanismo coloniale tra le cause del conflitto mondiale di Alberto GiaccardiNuova Antologia», 16 maggio 1930), a p. 238 è scritto: «Il "posto al sole" reclamato dalla Germania cominciò troppo presto a diventare di una tale ampiezza, che avrebbe ridotto tutti gli altri all'ombra o quasi: perfino al popolo italiano, la cui situazione era analoga a quella del popolo tedesco, un dotto germanico, Roberto Michels, negava il diritto di esigere colonie, perché "l'Italia, pur essendo demograficamente forte, è povera di capitali"». Il Giaccardi non il riferimento bibliografico dell'espressione del Michels.

Nel fascicolo del luglio successivo il Giaccardi pubblica una «rettifica» della sua affermazione, evidentemente per impulso del Michels; ricorda: L'Imperialismo italiano del Michels (Milano, 1914, Società editrice libraria) e del 1912 gli Elemente zur Entstehungsgeschichte des Imperialismus in Italien, nell'«Archiv für Sozialwissenschaft», gennaio-febbraio 1912, pp. 91-92, e conclude: «Il che corrisponde perfettamente ai sentimenti di italianità costantemente (!) dimostrati dall'illustre professore dell'Ateneo perugino, che, sebbene renano d'origine, ha scelto l'Italia come sua Patria di adozione, svolgendo in ogni occasione una intensa ed efficace attività in nostro favore».

 

 

Cultura italiana. Vedere l'attività culturale delle «Edizioni Doxa» di Roma: mi pare sia di tendenze protestanti. Cosí l'attività di «Bilychnis». Cosí bisognerà farsi una nozione esatta dell'attività intellettuale degli ebrei italiani in quanto organizzata e centralizzata: periodici come il «Vessillo Israelitico» e «Israel», pubblicazioni di case editrici specializzate, ecc.: centri di cultura piú importanti. In che cosa il nuovo movimento sionista nato dopo la dichiarazione Balfour ha influito sugli ebrei italiani?

 

 

Francia. André Siegfried, Tableau des Partis en France, Paris, Grasset, 1930.

 

 

Alfredo Oriani. È interessante una nota di Piero Zama, Alfredo Orfani candidato politico, nella «Nuova Antologia» del 16 novembre 1928.

 

 

R. Garofalo, Criminalità e amnistia in Italia, «Nuova Antologia» del maggio 1928. Per la figura del Garofalo.

 

 

E. De Cillis, Gli aspetti e le soluzioni del problema della colonizzazione agraria in Tripolitania, «Nuova Antologia», luglio 1928. Vedere la letteratura in proposito e seguire le pubblicazioni del De Cillis. L'articolo è interessante perché realistico.

 

 

Gaspare Ambrosini, La situazione della Palestina e gli interessi dell'Italia, «Nuova Antologia» del 16 giugno 1930. (Indicazioni bibliografiche sulla quistione).

 

 

Andrea Torre, Il principe di Bülow e la politica mondiale germanica, «Nuova Antologia», dicembre 1929 (scritto in occasione della morte del Bülow e in base al libro dello stesso Bülow, Germania imperiale: è interessante e sobrio).

 

 

Stresemann. Cfr. nella «Nuova Antologia» del 16 novembre 1929 l'articolo di Francesco Tommasini, Il pensiero e l'opera di Gustavo Stresemann, interessante per studiare la Germania del dopoguerra e il mutamento nella psicologia dei nazionalisti borghesi e piccolo borghesi.

 

 

Nazionalizzazioni e statizzazioni. Cfr. M. Saitzew, Die öffentliche Unternehmung der Gegenwart, Tübingen, Mohor, 1930, RM. 3,40. Il Saitzew è professore dell'Università di Zurigo. Secondo il Saitzew l'area d'azione delle imprese pubbliche, specialmente in certi rami, è molto maggiore di ciò che si crede; in Germania il capitale delle imprese pubbliche sarebbe un quinto dell'intera ricchezza nazionale (durante la guerra e l'immediato dopoguerra l'impresa pubblica si è dilatata). Il Saitzew non crede che le imprese pubbliche siano una forma di socialismo, ma crede siano parte integrante del capitalismo. Le obbiezioni contro l'impresa pubblica potrebbero farsi anche per le società anonime; si ripetono argomenti che erano buoni quando le imprese private erano individuali, eppure le anonime sono oggi prevalenti ecc.

Sarà utile il volumetto per vedere l'estensione che ha avuto l'impresa pubblica in alcuni paesi: il carattere dell'impresa pubblica non sarebbe, secondo il Saitzew, quello di avere come scopo principale il reddito fiscale, ma quello di impedire che in certi rami, in cui la concorrenza è tecnicamente impossibile, si stabilisca un monopolio privato pericoloso per la collettività.

 

 

La battaglia dello Jütland. È da rivedere la descrizione della battaglia dello Jütland fatta da Winston Churchill nelle sue memorie di guerra. Appare da essa come il piano e la direzione strategica della battaglia da parte del comando inglese e di quello tedesco siano in contrasto con la raffigurazione tradizionale del carattere dei due popoli. Il comando inglese aveva centralizzato «organicamente» l'esecuzione del piano nella nave ammiraglia: le unità della flotta dovevano «attendere ordini» volta per volta. Il comando tedesco invece aveva spiegato a tutti i comandi subalterni il piano strategico generale e aveva lasciato alle singole unità quella certa libertà di manovra che le circostanze potevano richiedere. La flotta tedesca si comportò molto bene. La flotta inglese invece fu impacciata, corse molti rischi, ebbe gravi perdite, e nonostante la sua superiorità, non poté conseguire fini strategici positivi: a un certo punto l'ammiraglio perdette le comunicazioni con le unità combattenti e queste commisero errori su errori. (Sulla battaglia dello Jütland ha scritto un libro Epicarmo Corbino).

 

 

Argus, Il disarmo navale, i sottomarini e gli aeroplani, «Nuova Antologia», 16 novembre 1929. Brevi cenni alle prime trattative tra Stati Uniti e Inghilterra per il disarmo e la parità navale. Accenna anche rapidamente all'innovazione che nell'armamento navale è portata dal sottomarino e dall'aeroplano, che, con costi relativamente bassi, possono dare risultati molto rilevanti, e alla sempre maggiore inutilità delle grandi corazzate.

 

 

Oscar di Giamberardino, Linee generali della politica marittima dell'Impero britannico, «Nuova Antologia», 16 settembre 1928. Utile.

 

 

Istituzioni internazionali. La Camera di Commercio Internazionale. (Un articolo sul IV Congresso della Camera di Commercio Internazionale tenuto a Stoccolma nel giugno-luglio 1927 è nella «Nuova Antologia» del 16 settembre 1927).

 

 

G. B., La Banca dei regolamenti internazionali, «Nuova Antologia», 16 novembre 1929.

 

 

Luigi Villari, L'agricoltura in Inghilterra, «Nuova Antologia», settembre 1930. Interessante.

 

 

Alfonso de Pietri-Tonelli, Wall Street, «Nuova Antologia» del dicembre 1929 (commenta in termini molto generali la crisi di borsa americana della fine del '29: bisognerà rivederlo per studiare l'organizzazione finanziaria americana).

 

 

La Geopolitica. Già prima della guerra Rodolfo Kjellén, sociologo svedese, cercò di costruire su nuove basi una scienza dello Stato o Politica, partendo dallo studio del territorio organizzato politicamente (sviluppo delle scienze geografiche: geografia fisica, geografia antropica, geopolitica) e della massa di uomini viventi in società in quel territorio (geopolitica e demopolitica). I suoi libri, specialmente i due: Lo Stato come forma di vita e Le grandi potenze attuali (Die Grossmächte der Gegenwart, del 1912, rielaborato dall'autore, divenne Die Grossmächte und die Weltkrise, pubblicato nel 1921; il Kjellén [è] morto nel 1922) ebbero grande diffusione in Germania dando luogo a una corrente di studi. Esiste una «Zeitschrift für Geopolitik»; e appaiono opere voluminose di geografia politica (una di esse, Weltpolitisches, Handbuch, vuol essere un manuale per gli uomini di Stato) e di geografia economica. In Inghilterra e in America e in Francia.

 

 

Olii, petrolii e benzine, di Manfredi Gravina nella «Nuova Antologia» del 16 dicembre 1927 (l'articolo continua nella «Nuova Antologia» del gennaio 1928 ed è interessante per avere un accenno generale al problema del petrolio). L'articolo è un riassunto delle recenti pubblicazioni sul problema del petrolio. Estraggo qualche notizia bibliografica e qualche osservazione: Karl Hoffmann, Oelpolitik und angelsächsischer Imperialismus (Ring-Verlag, Berlino, 1927) che il Gravina dice lavoro magistrale, un compendio eccellente dei grandi problemi petrolieri del mondo ed indispensabile per chi voglia, sulla scorta di dati precisi, approfondirne lo studio (con la riserva che vede troppo «petrolio» in ogni atto internazionale). Il «Federal Oil Conservation Board» formato in America nel 1924 con la missione di studiare ogni mezzo atto a razionalizzare l'eccessivo sfruttamento del patrimonio petrolifero americano ed assicurargli il massimo e il migliore rendimento (lo Hoffmann definisce questo Ufficio «grandioso ente di preparazione industriale alla eventuale guerra del Pacifico»). In questo Board il senatore Hughes, già ministro degli affari Esteri, rappresenta gli interessi diretti di due Società del gruppo Standard (la «Standard» di New York e la «Vacuum Oil»). Lo «Standard Oil Trust» costituito nel 1882 da John D. Rockefeller dovette adattarsi alle leggi contro i trusts. La «Standard» di New Jersey è considerata tuttora come una vera e propria centrale della attività petrolifera della Casa Rockefeller: essa controlla il 20-25% della produzione mondiale, il 40-45% delle raffinerie, il 50-60% delle condutture dai pozzi alle stazioni di avviamento. Accanto alla Standard e società affiliate sono sorte altre imprese, fra cui da ricordare i cosí detti Big Independents.

La «Standard» è collegata con il Consorzio Harriman (trasporti ferroviari e marittimi, 8 società di navigazione) e col gruppo bancario Kuhn Loeb & Co. di New York, del quale è a capo Otto Kahn. Nel campo inglese i due gruppi piú importanti sono la «Shell Royal-Dutch» e l'«Anglo-Persian Burmah». Direttore generale della «Shell» è l'olandese sir Henry Deterding. La Shell è asservita all'Impero Inglese nonostante i grandi interessi finanziari e politici dell'Olanda. L'«Anglo-Persian Burmah» può considerarsi governativa britannica e piú specialmente dell'Ammiragliato che vi è rappresentato da tre fiduciari. Presidente dell'«Anglo-Persian» è sir Charles Greenway, coadiuvato da un consulente tecnico, sir John Cadman, che durante la guerra fu a capo del servizio governativo dei petroli. Greenway, Cadman, Deterding e i fratelli Samuel (fondatori della «Shell» inglese poi fusasi colla «Royal-Dutch») sono considerati di fatto i dirigenti della politica petroliera inglese.

 

 

Domenico Meneghini, Industrie chimiche italiane, «Nuova Antologia», 16 giugno 1929.

 

 

Claudio Faina, Foreste, combustibili e carburante nazionale, «Nuova Antologia» del maggio 1928. Interessante. Dimostra che la selvicultura italiana, se coltivata e sfruttata industrialmente, può aumentare di molto il suo rendimento e dare sottoprodotti numerosi. (In questo articolo del Faina, che è il figlio del senatore Eugenio Faina, relatore dell'inchiesta parlamentare sul Mezzogiorno e che si occupa assiduamente di attività organizzative e propagandistiche di carattere agrarioscuole rurali istituite dal padre nell'Umbria, ecc. – si accenna a un disboscamento intensivo e irrazionale nella montagna della Sardegna meridionale per vendere carbone alla Spagna. Ricordare questo accenno alla Sardegna).

 

 

Claudio Faina, Il carburante nazionale, «Nuova Antologia» del 16 aprile 1929 (continua l'articolo dello stesso Faina pubblicato precedentemente dalla «Nuova Antologia» e rubricato altrove).

 

 

Carlo Schanzer, Sovranità e giustizia nei rapporti fra gli Stati, «Nuova Antologia», novembre 1929. Moderato nella forma e nella sostanza. Può essere preso come documento dell'atteggiamento ufficioso del Governo verso la Società delle Nazioni e i problemi di politica internazionale che le sono connessi.

 

 

Giorgio Mortara, Natalità e urbanesimo in Italia, «Nuova Antologia», 16 giugno - luglio 1929.

Tratta le quistioni piú strettamente statistiche, osservando una grande cautela nel dare giudizi, specialmente di portata piú immediata. Il numero annuo dei nati vivi in Italia è andato aumentando, attraverso oscillazioni, nel primo quarto di secolo successivo all'unità nazionale (massimo di 1.152.906 nel 1887), ha declinato gradualmente fino a un minimo di 1.042.090 nel 1903, è risalito ad un massimo secondario di 1.144.410 nel 1910 e si è mantenuto negli anni prima della guerra a 1.100.000. Nel 1920 (molte nozze dopo l'armistizio) si ha il massimo assoluto di 1.158.041, che scende rapidamente a 1.054.082 nel 1927, e circa 1.040.000 nel 1928 (territorio antebellico; nei nuovi confini 1.093.054 nel '27, e 1.077.000 nel '28), cifra la piú bassa negli ultimi 48 anni. In altri paesi la diminuzione assai maggiore. Diminuzione correlativa nelle morti: da un massimo di 869.992 nel 1880 ad un minimo di 635.788 nel 1912, diminuzione che, dopo il periodo bellico, con 1.240.425 morti nel '18, è ricominciata: nel 1927 solo 611.362 morti, nel 1928 614 mila (vecchi confini; nei nuovi confini, 635.996 morti nel '27 e 639.000 nel '28). Cosí l'eccedenza dei nati sui morti nel 1928 è stata di 426.000 circa (nuovi confini 438.000) cioè piú favorevole che nel 1887, in cui solo 323.914, per l'alta percentuale di morti. Il massimo di eccedenza, 448 mila circa, si è avuto nel quinquennio 1910-14. (Si può dire, approssimativamente, che in un certo periodo storico, il grado di benessere di un popolo non può desumersi dal numero alto delle nascite, ma piuttosto dalla percentuale dei morti e dall'eccedenza dei nati sui morti: ma anche in questa fase storica incidono delle variabili che devono essere analizzate, infatti, piú che di benessere popolare assoluto può parlarsi di migliore organizzazione statale e sociale per l'igiene, ciò che impedisce a una epidemia, per esempio, di diffondersi tra una popolazione a basso livello, decimandola, ma non eleva per nulla questo livello stesso, se non si può dire che lo mantenga addirittura, evitando la sparizione dei piú deboli e improduttivi che vivono sul sacrificio degli altri).

Le cifre assolute delle nascite e delle morti danno solo l'incremento assoluto della popolazione. L'intensità dell'incremento è data dal rapporto di questo incremento col numero degli abitanti. Da 39,3 per 1.000 abitanti del 1876 la frequenza delle nascite scende a 26 nel 1928, con una diminuzione del 33%; la frequenza delle morti da 34,2% nel 1867 scende a 15,6 nel '28, con una diminuzione del 54%. La mortalità comincia a discendere nettamente col quinquennio 1876-80; la natalità inizia la discesa nel quinquennio '91-95.

Per gli altri paesi d'Europa, su 1.000 abitanti: Gran Bretagna 17 nati - 12,5 morti, Francia 18,2 - 16,6, Germania 18,4 - 12, Italia 26,9 - 15,7, Spagna 28,6 - 18,9, Polonia 31,6 - 17,4, Urss (europea) 44,9 - 24,4, Giappone 36,2 - 19,2. (I dati si riferiscono, per l'Urss, al 1925, per il Giappone al 1926, per gli altri paesi al 1927).

Per la diminuzione della mortalità il Mortara fissa tre cause principali: progresso dell'igiene, progresso della medicina, progresso del benessere, che riassumono in forma schematica un gran numero di fattori di minore mortalità (un fattore è anche la minore natalità, in quanto le età infantili sono soggette ad alta mortalità). Il fattore preponderante della bassa natalità è la decrescente fecondità di matrimoni, dovuta a volontaria limitazione, inizialmente per previdenza, poi per egoismo. Se il movimento si svolgesse uniformemente in tutto il mondo, non altererebbe le condizioni relative delle varie nazioni, pur avendo effetti gravi per lo spirito d'iniziativa, e potendo essere causa d'inerzia e di regresso morale ed economico. Ma il movimento non è uniforme: vi sono oggi popoli che si accrescono rapidamente mentre altri lentamente, vi saranno domani popoli che cresceranno celermente mentre altri diminuiranno.

Già oggi in Francia l'equilibrio tra nascite e morti è faticosamente mantenuto coll'immigrazione, che determina altri gravi problemi morali e politici: in Francia la situazione è aggravata dalla relativamente alta percentuale di mortalità in confronto dell'Inghilterra e della Germania.

Calcolo regionale per il 1926: Piemonte (proporzione per 1.000 abitanti, nati e morti) 17,7-15,4, Liguria 17,1-13,8, Lombardia 25,1-17,9, Venezia Tridentina 25,0-17,5, Venezia Euganea 29,3-15,3, Venezia Giulia 22,8-16,1, Emilia 25,0-15,3, Toscana 22,2-14,3, Marche 28,0-15,7, Umbria 28,4-16,5, Lazio 28,1-16,3, Abruzzi 32,1-18,9, Campania 32,0-18,3, Puglie 34,0-20,8, Basilicata 36,6-23,1, Calabria 32,5-17,3, Sicilia 26,7-15,7, Sardegna 31,7-18,9. Prevalgono i livelli medi, ma con tendenza piuttosto verso il basso che verso l'alto.

Per il Mortara la causa della denatalità è da ricercarsi nella limitazione volontaria. Altri elementi possono contribuirvi saltuariamente, ma sono trascurabili (emigrazione degli uomini). C'è stato un «contagio» della Francia nel Piemonte e in Liguria, dove il fenomeno è piú grave (emigrazione temporanea ha servito di veicolo) e di piú lontana origine, ma non si può parlare di contagio «francese» per la Sicilia, che nel Mezzogiorno è un focolaio di denatalità. Non mancano indizi di limitazione volontaria in tutto il Mezzogiorno. Campagna e città: la città [ha] meno nascite che la campagna. Torino, Genova, Milano, Bologna, Firenze hanno (nel 1926) una media di natalità inferiore a Parigi.

 

 

Sull'emigrazione italiana. Articolo di Luigi Villari nella «Nuova Antologia» del 16 febbraio 1928: L'emigrazione italiana vista dagli stranieri. Sull'emigrazione il Villari ha scritto parecchio: vedere.. (In questo articolo recensisce alcuni libri americani, inglesi e francesi che parlano dell'emigrazione italiana).

 

 

Italia e Palestina. Confrontare nella «Nuova Antologia» del 16 ottobre 1929 l'articolo La riforma del mandato sulla Palestina, di Romolo Tritonj. Vi si espone il programma minimo italiano, cioè l'internazionalizzazione della Palestina, secondo il progetto concordato durante la guerra fra le potenze dell'Intesa e abbandonato da Francia e Inghilterra dopo la caduta dello zarismo in Russia, lasciando l'Italia in asso, poiché la Francia ebbe la Siria e l'Inghilterra la Palestina stessa. L'articolo è moderato in generale, ma accanito contro il sionismo. Si dovrà rivedere per ricostruire la politica italiana in Oriente (nel prossimo Oriente).

 

 

Sulla finanza dello Stato. Le riforme del Tesoro, di «Alacer», nella «Nuova Antologia» del 16 novembre 1928. Integra l'articolo di Tittoni del giugno '27: da tener presente per seguire tutte le varie fasi della lotta sorda che gli elementi conservatori conducono intorno alla politica finanziaria.

 

 

Articolo «Problemi finanziari» firmato Verax (Tittoni) nella «Nuova Antologia» del giugno 1927. Nella «Nuova Antologia» del 1925 (16 maggio), Tittoni aveva pubblicato un articolo, I problemi finanziari dell'ora, nel quale trattava questi punti: equilibrio del bilancio; economie; perequazione del sistema tributario; mania spendereccia e tassatrice degli enti locali; circolazione monetaria e suoi problemi: deflazione; stabilizzazione; debiti interalleati; regime bancario; ordinamento delle società anonime; difesa del risparmio nazionale.

Equilibrio del bilancio raggiunto; le confusioni, sperequazioni e duplicazioni del sistema tributario eliminate con la riforma De Stefani; i debiti interalleati regolati dal Volpi, il quale ha preso provvedimento per la rapida liquidazione della sezione autonoma del Consorzio valori, per l'unificazione dell'emissione, per il trasferimento delle operazioni di cambio all'Istituto dei cambi sotto il patronato della Banca d'Italia, per la vigilanza in difesa del risparmio nazionale: discorso di Pesaro per la politica monetaria.

Nuovi problemi, attuali: consolidamento del pareggio del bilancio; freno alle crescenti spese; sano impiego delle eccedenze di bilancio; condizioni della tesoreria; necessità di un ammortamento graduale e continuativo del debito pubblico; i prestiti esteri e il miglioramento dei cambi; la difesa della riforma tributaria da iniziate deviazioni; eliminazione di ogni inutile fiscalismo.

L'esercizio '25-26 chiuso con un avanzo di competenza di 2.268 milioni ridotto con due regi decreti a 468 milioni. Ma occorre esaminare l'esercizio '25-26 considerando 1) le maggiori spese sopravvenute durante l'esercizio; 2) quelle deliberate dopo chiuso l'esercizio, ma attribuite a questo; 3) rapporti tra le risultanze del bilancio di competenza ed il conto di cassa; 4) i conti fuori bilancio. Durante l'esercizio '25-26 furono deliberate maggiori spese, oltre quelle preventivate in bilancio, per 3.605 milioni e, chiuso l'esercizio, con due regi decreti (ricordati) furono deliberate 1.800 milioni di nuove spese, addebitate all'esercizio stesso mediante iscrizione nel bilancio delle finanze di un capitolo aggiunto. Senza tener conto del movimento dei capitali e delle spese per le PP. e TT. che dal bilancio generale sono state trasferite in quello speciale dell'azienda autonoma, e detratti 247 milioni di economie realizzate durante l'esercizio, si ha, malgrado la diminuzione delle spese residuali della guerra, un aumento di 4.158 milioni di spesa sui 17.217 preventivati (aumento del 24%). Ma anche le entrate, preventivate in 17.394 milioni, salirono a 21.043 milioni, e perciò avanzo di 468 milioni.

È necessario un piú rigoroso e completo accertamento delle spese, i risultati dell'esercizio devono allontanarsi il meno possibile dalle previsioni, altrimenti il bilancio preventivo diverrebbe inutile, e per una ragione psicologica (!), perché l'annunzio di grandi avanzi incita alle spese. Un insigne economista, R. C. Adams, è giunto a dire che preferisce un bilancio presentato con un lievissimo disavanzo a quello presentato con un eccessivo avanzo poiché il primo incita alle economie, il secondo sospinge alle prodigalità («e a imporre nuove tasse se successivamente l'avanzo è in pericolo sul nuovo piano di spese»; A. G.). Questi avanzi sono fondati su incrementi di entrate che non sono necessariamente continuativi. L'avanzo di un bilancio di competenza può non coincidere con una cassa egualmente florida. «Perciò a situazioni di bilancio eccellenti possono corrispondere situazioni di cassa richiedenti provvedimenti eccezionali come quelli adottati dal Governo Nazionale nello scorso autunno». Politica di economie. Se non riduzione delle spese, desiderabile almeno freno alle nuove spese.

Bilancio italiano non è un conto di fatto, di tipo inglese, che registra incassi e spese effettivamente avvenuti, ma un conto di diritto, di tipo francese, comprendente da una parte le entrate accertate e scadute, da un'altra parte le spese ordinate, liquidate ed impegnate nei modi prescritti dalla legge. Il bilancio di competenza, a quelli che non sanno leggerlo, non una chiara visione della situazione finanziaria del paese. L'inconveniente maggiore del bilancio di competenza è nel fatto che nessun esercizio si esaurisce in sé; esso lascia sempre dei residui attivi e passivi, in modo che alla gestione del bilancio proprio dell'esercizio si aggiunge quella dei residui attivi e passivi dei precedenti esercizi che la cassa va a sopportare. Ne deriva pertanto che aumentando le spese di competenza si è normalmente avuto un aumento di residui, specialmente di residui passivi che malamente si contrappongono agli attivi e la maturazione dei quali può depauperare la cassa al di del prevedibile. I residui passivi mal si contrappongono agli attivi perché questi, dati i nostri congegni di esazione, non possono essere e non sono di un ammontare ragguardevole per la parte effettiva, la sola che costituisce una vera entrata, giacché i residui attivi per movimenti di capitale rappresentano prestiti da contrarsi o da collocarsi. Costituirebbe quindi un grave errore il valutare alla stessa stregua i residui attivi e passivi circa la possibilità di trasformarsi rispettivamente in incassi e pagamenti. A questo si aggiunge una consuetudine che ormai comincia a trovare larga applicazione: l'art. 154 del regolamento per l'amministrazione del patrimonio e per la contabilità di Stato stabilisce che in nessun caso si possa iscrivere fra i residui degli anni decorsi alcuna somma in entrata o in spesa che non sia stata compresa fra la competenza degli esercizi anteriori; ma purtroppo la parola della legge non vieta che per lo stesso esercizio si cancelli la iscrizione di un capitolo per aumentarne un altro: cosí è, ad esempio, quando tra i residui passivi si trova iscritta una somma che presumibilmente non sarà spesa e che non traducendosi quindi in un pagamento sarebbe passata in economia, e viceversa si viene ad aumentare un altro capitolo di spesa, sempre dei residui, e, s'intende, dello stesso esercizio, spesa che sarà realmente effettuata e si tradurrà in un pagamento. Cosí la contabilità è salva, l'ammontare di residui passivi non viene aumentato, ma le condizioni della cassa vengono peggiorate. La gestione dei residui, e in special modo il saldo dei residui, va tenuto in seria considerazione, tanto piú che esso è in continuo aumento, ed infatti la differenza passiva dei residui era al 30 giugno 1926 di 10.513 milioni contro 9.442 milioni al 30 giugno 1925.

Francia, Belgio, Italia. I tre paesi, dopo aver assicurato l'equilibrio del bilancio, dovettero fronteggiare una crisi di Tesoreria; il deficit, cioè, non era scomparso, ma passando dal bilancio alla tesoreria si era semplicemente spostato. Si è dovuto correre ai ripari procurando di eliminare anzitutto il pericolo del debito fluttuante, divenuto enorme dopo la guerra, poiché le Tesorerie si trasformarono di fatto in Banche di deposito. («Questo è un paragone capzioso: non si trasformarono per nulla in Banche di deposito, ma commisero una truffa in grande stile, perché le somme incassate furono spese come entrate ordinarie di bilancio, senza che i futuri bilanci potessero prevedersi talmente incrementabili da assicurare la restituzione delle somme alla data fissata: si rastrellò il risparmio diffuso, sotto la pressione del pericolo nazionale, per esonerare da aggravi la ricchezza imponibile; fu una decimazione larvata del capitale, ma di quello delle classi medie, per non decimare apertamente e realmente il capitale delle classi alte dei maggiori detentori di ricchezza: il confronto tra paesi latini e paesi anglosassoni mette piú in rilievo questa truffa colossale, che si è risolta in parte con l'inflazione e in parte con colpi di Stato»). Il primo progetto di stabilizzazione del franco belga del ministro Jansens fallí in gran parte per aver omesso la sistemazione preventiva del debito fluttuante. La Francia provvide al debito fluttuante con la creazione di una cassa autonoma di consolidamento ed ammortamento. A questa cassa furono destinati i proventi di alcune tasse e quelli della gestione dei tabacchi, in tutto 3.700 milioni di franchi all'anno. Il pagamento di queste tasse può farsi con titoli di Stato, che vengono annullati: colla diminuzione dei titoli diminuisce l'interesse e la differenza disponibile va ad aumentare il fondo di ammortamento. Per un emendamento al progetto primitivo del governo l'ammortamento fu esteso a tutto il debito pubblico («cioè fu prolungata l'esistenza presumibile della Cassa»). Cosí in Francia si ottenne non solo di arrestare la ressa dei rimborsi, ma si ottennero nuove sottoscrizioni: il Tesoro fu rinsanguato; coi mezzi ordinari di Tesoreria poté procurarsi 14 miliardi, di cui 9 furono rimborsati alla Banca di Francia e 5 per acquisto di divise estere. Belgio: si procedette ad una conversione semicoattiva. Ai portatori dei buoni fu posta l'alternativa: o consentire il cambio dei buoni con azioni della società nazionale delle ferrovie belghe costituite dallo Stato, o farli stampigliare. I buoni dati in cambio delle azioni ferroviarie, i 3/4, furono distrutti; gli altri furono convertiti in nuovi buoni coll'interesse ridotto dal 7 al 5% e col rimborso subordinato non a scadenza fissa ma alle disponibilità avvenire del bilancio. Italia: conversione obbligatoria dei buoni del Tesoro in titoli del debito consolidato, con un premio ai portatori che ha aumentato il debito pubblico di circa 3 miliardi. «Non è il caso di discutere teoricamente quest'operazione che in fatto era inevitabile». Un recentissimo comunicato ai giornali, illustrando il conto del Tesoro a fine marzo, segnala l'esistenza di un fondo di cassa, al 31 marzo (1927) di 2.311 milioni. La cifra «lascia fredda una parte dell'opinione pubblica, la quale non riesce a vedere come floride condizioni di cassa e di bilancio si concilino con la recente necessità di assai drastici provvedimenti, che investirono una parte cospicua della popolazione e toccarono a fondo molte private economie». La cassa del Tesoro può presentare un'apparente floridezza ed una reale penuria. Ciò rilevò già la Commissione di finanza del Senato, il cui relatore, on. Mayer, nella sua relazione sugli stati di previsione del Ministero delle Finanze e del Bilancio dell'entrata pel 1926-27, constatava che, mentre dai conti mensili del Tesoro risultavano disponibilità cospicue di cassa (al 31 marzo 1926 quasi 4 miliardi) risultava anche l'aumento dei debiti pubblici per oltre 1.800 milioni. Ciò avviene perché il fondo di cassa esposto nella accennata cifra di 2.311 milioni non rappresenta tutto danaro di cui il Tesoro possa effettivamente disporre come contante. Cosí nei 2.311 milioni è inclusa la somma di 1.554 milioni attribuita alle «contabilità speciali» le quali comprendono numerose assegnazioni fatte ad enti come: fondo per il culto, monte pensioni insegnanti elementari, cassa di previdenza degli enti locali, ospedali riuniti di Roma ecc., epperò rappresentano somme erogate dall'Erario o destinate a pagamenti preveduti dall'amministrazione, e quindi vincolate. Piú significativa è la cifra denotante l'ammontare del fondo di cassa presso la Tesoreria provinciale, vale a dire del fondo cui attingonsi i mezzi per la massima parte dei pagamenti nel Regno; certamente sarebbe un errore considerare questo soltanto, perché il Tesoro ha altre disponibilità liquide, presso la Tesoreria centrale, e fra esse dovrebbero avere una certa importanza quelle in divisa presso i suoi corrispondenti esteri, ma il fondo di dotazione rappresenta sempre la condizione fondamentale delle disponibilità di cassa del Tesoro per fronteggiare i suoi bisogni correnti. Nulla può essere piú eloquente della differenza fra il cosí detto «fondo generale di cassa» del Tesoro e la situazione del «fondo di dotazione» dello Stato per l'esercizio della Tesoreria provinciale presso la Banca d'Italia, cioè del vero e proprio conto corrente del Tesoro presso l'Istituto di Emissione [vedi tabella].

 

Fondo generale di cassa

 

30 Settembre

1926

421.860.578

Senza le contabilità speciali

1.816.505.000

Comprese le contabilità speciali

+ 632.100.000

Conto corrente presso la Banca d'Italia

31 Ottobre

»

61.850.763

1.534.561.000

129.700.000

30 Novembre

»

109.814.566

875.004.000

687.700.000

31 Dicembre

»

768.467.255

1.974.689.000

+ 95.800.000

31 Gennaio

1927

804.426.967

2.225.661.000

+ 51.000.000

28 Febbraio

»

990.835.383

2.407.212.000

+ 248.100.000

31 Marzo

»

777.283.292

2.311.802.000

+ 31.400.000

 

Come si vede, al 31 ottobre e al 30 novembre, cioè prima degli incassi ottenuti con l'emissione del Prestito del Littorio, il detto conto corrente si presentava in deficit, per cui la Banca dovette provvedere a pagamenti del Tesoro con propri biglietti. Nel conto dei debiti della Tesoreria richiama l'attenzione l'ammontare di vaglia del Tesoro nel 1925-1926 in 71.349 milioni per rimborsi e 70.498 milioni per incassi. Queste enormi cifre richiederebbero qualche chiarimento affinché il pubblico potesse rendersi ragione delle operazioni che rappresentavano. Ad esso intanto una cosa appare evidente e cioè che la politica di Tesoreria ha preso il sopravvento su quella di bilancio i cui risultati sono subordinati a quelli della prima.

Bisogna dunque provvedere a rinforzare la cassa del Tesoro (la Francia e il Belgio l'hanno già fatto). Come? Non ricorrendo ad antecipazioni da parte della Banca d'Italia che non potrebbe fornirle che mediante restrizioni del credito al commercio o mediante l'inflazione. Non mediante emissioni di Buoni del Tesoro, perché sarebbe impossibile dopo il recente consolidamento. Non mediante nuovo prestito consolidato. Il debito pubblico va diminuito, non aumentato, è poi recente il consolidamento e prestito del Littorio. Bisogna invece rifornire la cassa mediante le eccedenze di bilancio, nelle quali, se non ci saranno gravi perturbazioni dei cambi e se faremo una politica di economie, potremo continuare a contare. («Ma in realtà avanzi reali di bilancio non ce ne sono mai stati, come risulta dall'esposizione precedente, ma solo spostamenti contabili e mascherature di deficit attraverso i residui passivi, il debito pubblico aumentato surrettiziamente e il ricorso a partite incontrollabili, senza contare l'assorbimento dei bilanci locali, tutti deficitari in misura spaventevole. Bisognerebbe fissare con esattezza cos'è l'avanzo di bilancio effettivo, anche dopo aver fissato una quota ragionevole per rafforzare il tesoro e per ammortare il debito pubblico: è quello che, oltre a tutto ciò, permette di diminuire le imposte effettivamente, e di migliorare le condizioni del personale; diminuire specialmente le imposte indirette che pesano di piú sulla parte piú povera della popolazione, cioè che permettono un piú elevato tenore di vita»). Con decreto regio 3 dicembre 1926 fu elevata a 4/5 la quota dell'avanzo di bilancio da destinare ad opere inerenti alla ricostruzione economica e alla difesa militare della nazione già fissato in 3/4 dal R. D. del 5 giugno. Nessuno ha contestato le ragioni impellenti (!) che indussero il governo a prendere questo provvedimento eccezionalissimo, che è contrario alla dottrina finanziaria di tutti gli economisti senza distinzioni di scuole e che non trova riscontro nella pratica finanziaria di nessun altro paese. Non dovrebbe diventare una consuetudine: il Direttore Generale della Banca d'Italia nella relazione all'assemblea degli azionisti del '27 l'ha «denunziata cautamente come una tendenza nuova di far pesare sugli avanzi passati spese riguardanti l'avvenire». Il relatore della Giunta del Bilancio della Camera dei Deputati, Olivetti, parlando sul disegno di legge per la conversione in legge del R. D. 3 dicembre 1926 fece l'obbiezione che, come ai disavanzi registrati dall'esercizio 1911-12 a quello '23-24 si era fatto fronte con mezzi di tesoreria e accensioni di debito, cosí bisognerebbe devolvere integralmente alla riduzione dei debiti prebellici gli avanzi registrati dal '24-25 in poi; inoltre l'avanzo potrebbe essere assegnato a dare maggiore elasticità alla Tesoreria. Però date le gravi ragioni contingenti, la Giunta concludeva per l'approvazione, augurandosi un futuro graduale ammortamento del debito pubblico. (A parole tutti sostengono questa necessità ma non se ne fa niente lo stesso). (Il senato fin dal 1920 domandò sempre: prudente riduzione della circolazione, rigorose economie, sosta nell'indebitamento ed inizio del pagamento dei debiti, vigile attenzione alla cassa del Tesoro, alleviamento delle imposte).

Necessità di chiarezza nei conti finanziari. Il denaro deve trovarsi non solo sui conti, ma nelle casse dello Stato. «Occorre studiare a fondo la quistione delle operazioni fuori bilancio le quali costituiscono una minaccia permanente a danno dei risultati attivi del bilancio. Ed invero piú che una minaccia noi avemmo il danno effettivo nel periodo dall'agosto al novembre 1926 come lo dimostra il progressivo impoverimento, durante quei mesi, della cassa».

Le operazioni finanziarie sono quelle che si fondano sul credito pubblico ed hanno effetto sul patrimonio dello Stato: l'emissione di un prestito, il rimborso di obbligazioni rientrano propriamente fra queste. Esse dovrebbero far parte delle operazioni di bilancio e direttamente essere contabilizzate fra le spese e le entrate, fra gli incassi e i pagamenti in conto bilancio. Le operazioni di Tesoreria propriamente dette riguardano invece i provvedimenti che servono ai bisogni immediati della cassa e perciò comprenderebbero l'emissione di buoni del Tesoro ordinari. Tra queste operazioni sono anche operazioni fuori bilancio, almeno temporaneamente, mentre non dovrebbero essere tali in una situazione normale. Ora le operazioni fuori bilancio tendono ad eliminare gli effetti della gestione di bilancio assorbendone le eccedenze attive. L'azienda del Portafoglio ha un significato cosí delicato che delle principali operazioni si redige processo verbale (art. 534 del regolamento di contabilità). Il Contabile del Portafoglio è tenuto a rendere ogni anno il conto giudiziale. La gestione del Contabile del Portafoglio luogo a profitti e perdite. Dal luglio 1917 al 30 giugno 1925 non fu presentato conto giudiziale e con R. decreto-legge 7 maggio 1925 fu concesso di potere eseguire un sol conto giudiziale per gli otto esercizi finanziari precedenti riguardanti la guerra. Il Governo deve attenersi alla pratica del conto giudiziale e restringere l'azienda del portafoglio alle sue proprie specifiche funzioni.

Ammortamento del debito pubblico. L'Inghilterra, gli Stati Uniti, l'Olanda da piú di un secolo compiono ammortamenti. Hamilton pel primo dimostrò nel 1814 che un vero ammortamento non può farsi che mediante l'eccedenza delle entrate sulle spese e pose il principio che la creazione di un debito deve essere accompagnata dal piano della sua graduale estinzione. Dal '19 al '24 l'Inghilterra diminuí il suo debito di 650 milioni di sterline, cioè l'intiero debito prebellico. Il debito può essere ammortizzato: , con una cassa speciale; , con le eccedenze di bilancio; , con lo stanziamento di una somma fissa. Si danno le cifre degli ammortamenti stanziati in bilancio e degli avanzi di bilancio dal '21 al '26-27. È notevole e significativo il fatto che se è vero che nel '26-27 c'è stato un deficit di 36.694.000 sterline, però in quell'esercizio furono stanziate in bilancio per ammortamento 60.000.000 di sterline, cifra superiore e di molto a quelle degli anni precedenti: 25.000.000 nel '21-22, 24.000.000 nel '22-23, 40.000.000 nel '23-24, 45.000.000 nel '24-25, 50.000.000 nel '25-26 (con deficit di 14.000.000). C'è una flessione di bilancio che comincia dal '24-25: nel '26-27 il deficit di 36 milioni è ottenuto aumentando lo stanziamento fisso per propaganda contro i minatori, cioè si aumenta la quota di bilancio a favore dei capitalisti a danno della classe operaia.

Per la storia della finanza inglese ricordare che alla fine del XVIII secolo fu adottato da Pitt il meccanismo del sinking fund fondo di ammortamento – di Price, che poi fu dovuto abbandonare. Hamilton. Fino al 1857 l'eccedenza del bilancio fu destinata di preferenza ad alleviare l'imposta. In seguito l'ammortamento regolare del debito fu ripreso e costituí la base fondamentale delle finanze britanniche. Sospeso durante la guerra fu ripreso dopo l'armistizio. Per andamento del bilancio ricordare le cifre dedicate all'ammortamento dal '21 in poi – prese dal Financial Statements. Prima cifra = ammortamenti stanziati in bilancio; seconda cifra = l'avanzo ulteriore impiegato pure all'ammortamento: '21-22: 25.010.000 e 45.693.000; '22-23: 24.711.000 e 101.516.000; '23-24: 40.000.000 e 48.329.000; '24-25: 45.000.000 e 3.659.000; '25-26: 50.000.000, deficit 14 milioni 38.000; '26-27: 60.000.000, deficit 36.694.000. Il calcolo dell'avanzo reale queste cifre: 70.703.000; 126 milioni 227.000; 88.329.000; 48.659.000; 35.962.000; 23 milioni 306.000: c'è una flessione di bilancio, ma non un deficit reale.

La Commissione d'inchiesta per lo studio dei debiti pubblici, presieduta da Lord Colwyn, in una sua recente relazione conchiude raccomandando di intensificare l'ammortamento portando il fondo da 75 a 100 milioni di sterline l'anno. Si capisce benissimo il significato politico di questa proposta, data la crisi industriale inglese: si vuole evitare ogni intervento efficace dello Stato, ponendo tutte le larghe possibilità di bilancio nelle mani dei privati, i quali poi, probabilmente, invece di investire nell'industria nazionale in crisi questi enormi capitali, li investiranno all'estero, mentre lo Stato potrebbe riorganizzare, con questi fondi, le industrie fondamentali a favore degli operai.

Negli Stati Uniti il sistema di amministrazione è fondato sulla conversione dei debiti consolidati in debiti redimibili con riduzione degli interessi.

In Francia, la Cassa costituzionalmente autonoma e indipendente dal Tesoro, per diffidenza verso il Tesoro, che potrebbe mettere le mani sui fondi di ammortamento se si trovasse all'asciutto.

Nel Belgio il ministro Francqui aumentò il fondo di ammortamento.

Italia. Con R. D. 3 marzo 1926 fu costituita una Cassa per l'ammortamento del debito inglese e americano. Ma non è stata fissata una somma annua fissa ed intangibile, secondo il sistema inglese (senza pregiudizio degli avanzi di bilancio, che dopo aver provveduto alle esigenze della cassa e a temperare certi fiscalismi esagerati, dovrebbero essere destinati all'amministrazione. 500 milioni annui sono già stanziati per la graduale riduzione del debito verso la Banca d'Italia per i biglietti anticipati allo Stato; i 90 milioni di dollari del prestito Morgan passati alla Banca d'Italia hanno diminuito di 2 miliardi e mezzo il debito della circolazione per conto dello Stato: coi 500 milioni stanziati l'intero debito sarà estinto in 8 anni (questo debito fu estinto quando la riserva aurea della Banca d'Italia fu valutata secondo la stabilizzazione della lira col passaggio allo Stato della plusvalenza). Nell'ultimo conto del Tesoro il debito consolidato apparisce al 31 marzo 1927 in circa 44 miliardi e mezzo, cui vanno aggiunti circa 23 miliardi e mezzo provenienti dall'operazione dei Buoni del Tesoro e circa 3 miliardi e mezzo del prestito del Littorio; circa 71 miliardi e mezzo, nei quali la parte relativa al periodo prebellico concorre per circa 10 miliardi; e ciò senza dire né dei debiti redimibili inscritti nel gran Libro del Debito Pubblico per 3.784 milioni, dei quali la metà relativi alla guerra, né dei buoni poliennali che formano una massa di 7 miliardi e 1/3; né degli altri debiti, quasi tutti redimibili, gestiti dal Debito Pubblico; né del debito per circolazione bancaria, che è ancora di 4.229 milioni (estinto in seguito come detto sopra). Trascurando i debiti redimibili, pei quali è in regolare corso l'estinzione graduale e lasciando da parte i buoni (!), poliennali, rimane il debito perpetuo.

Benefizi dell'ammortamento del debito: , allevia il bilancio, se pure in misura modesta; , rialza il credito dello Stato; , rende possibile ottenere un nuovo prestito in circostanze gravi e imprevedute; , rende possibili future conversioni; , mette a disposizione della produzione le somme ammortate, creando nuovi cespiti di entrata; , tiene alta la quotazione dei titoli di Stato.

Sir Felix Schuster sostenne innanzi alla Commissione d'inchiesta dei debiti pubblici che anche ed anzi specialmente nei momenti piú difficili della pubblica finanza l'ammortamento del debito deve essere mantenuto perché costituisce il miglior modo di salvare il credito dello Stato ed impedisce il crollo dei suoi titoli. Ridurre il debito vuol dire rivalutare il consolidato («perciò l'impostare una volta tanto una somma per ridurre il debito pubblico, cioè la mancanza di stanziamenti fissi e intangibili, si riduce ad essere un vero e proprio agiotaggio: lo Stato compra i suoi titoli non per estinguerli gradatamente ma come operazione di borsa che ne faccia elevare la quotazione, magari per emetterne subito degli altri», A. G.). L'ammortamento deve essere necessariamente lento e moderato per non determinare bruschi spostamenti di capitale.

Prestiti americani. Da prima tali prestiti non erano assecondati. Sistemati i debiti di guerra con l'America e l'Inghilterra, la direttiva del Tesoro è mutata, con questo nuovo elemento essenziale, che il piú delle volte l'alea dei cambi per i rimborsi anziché dagli enti contrattanti il debito viene assunto dallo Stato, il che imprime agli occhi dei prestatori uno speciale carattere a tutta l'operazione. Questa garanzia va giudicata in relazione all'accentramento del controllo dei cambi prima presso il Tesoro, ed ora, molto opportunamente, presso l'Istituto dei cambi. Debiti per industria, opportuni. Debiti ai Comuni pericolosi, perché si spende e non si saprà come restituire. La contrazione di debiti all'estero è sottoposta al consenso del governo.

Imposte. 12.577 milioni d'imposte nell'esercizio 1922-1923. 16.417 milioni nell'esercizio '25-26 con un aumento in tre anni di 3.840 milioni. Inoltre nel 1925 le imposte locali erano previste in 4.947 milioni, sicché carico annuale di 22 miliardi, cioè un onere superiore a quelli di tutti gli Stati europei e americani. Stati Uniti, diminuite le imposte in quattro anni, di 2 milioni di dollari. Inghilterra diminuite le imposte. In Italia, almeno non aumento e cessazione di terrore fiscale. Cosí nei Comuni, che affetti da mania spendereccia e tassatrice. Mantenere le basi fondamentali della riforma tributaria unificatrice, semplificatrice e perequatrice De Stefani. Già si sono avute deviazioni da questa riforma. La nuova imposta complementare sul reddito aveva il pregio di aver ripudiato il sistema di accertamento indiziario. Ma la nuova imposta sul celibato, che varia secondo il reddito, luogo a un nuovo accertamento a base indiziaria, invece di essere basata sul reddito accertato agli effetti della complementare. Cosí si hanno due accertamenti del reddito che conducono a risultati diversi, e poiché il contrasto non è ammissibile, finisce col prevalere per ambedue la procedura indiziaria. Scopo della imposta complementare sul reddito con partecipazione degli enti locali al provento era di eliminare tutte le forme imperfette e sperequate di tasse locali sul reddito quali la tassa di famiglia e il valore locativo. Un tentativo per l'istituzione di una strana tassa sul reddito consumato fu sventato (sic) per l'opportuno intervento del Senato. Poiché l'imposta complementare sul reddito doveva eliminare le tasse di famiglia e sul valore locativo quando fossero pagate insieme ad essa, per evitare una doppia tassazione sullo stesso reddito, era giusto che continuassero a pagarle coloro che non erano stati iscritti sui ruoli della complementare perché in questo caso non esisteva duplicato. Invece si lasciò ai Comuni facoltà o di continuare ad applicare la tassa di famiglia a coloro che non erano inscritti ai ruoli della complementare, ovvero applicare la tassa sul valore locativo anche a quelli che pagavano la complementare. Quasi tutti i Comuni hanno scelto quest'ultima e cosí siamo tornati alla doppia tassazione. Inoltre. Gli agenti del fisco hanno sostenuto e la Commissione centrale delle imposte dirette ha sanzionato che i vecchi accertamenti della tassa di famiglia, di cui tutti avevano riconosciuto le sperequazioni, possono essere presi a base dell'accertamento per l'imposta della complementare sul reddito. Invece di essere soppressa, cioè, ha preso il sopravvento. Certo la complementare ha dato un gettito inferiore allo sperato, ma perché il gettito delle imposte nuove è sempre nel primo anno inferiore a quello che dovrebbe essere, e perché per tre anni la complementare risente delle notevolissime riduzioni che sono state accordate a chi ha riscattato la tassa sul patrimonio. Contro il fiscalismo. Nella seduta del Senato del 14 giugno '26 il relatore del bilancio on. Mayer, disse: «Penso che sia necessaria una completa riforma del nostro sistema tributario che data dal 1862, dei nostri sistemi di accertamento, dei nostri antiquati e deficienti regolamenti, in modo da ottenere che i cittadini non debbano considerare il rappresentante dell'Erario come un implacabile nemico». Nella fine dell'articolo si accenna addirittura a Necker, che cercò liberare la Francia dall'«impôt», cioè dalla corvée, dalla taille ecc., modernamente «vessazione fiscale», e si augura al ministro delle Finanze di emulare Necker. (Questo articolo di Tittoni deve essere considerato come l'esposizione dei desiderata della borghesia al governo dopo gli avvenimenti del novembre 1926; il linguaggio è molto cauto e involuto, ma la sostanza è molto forte. La critica risulta specialmente dal paragone tra quanto hanno fatto negli altri paesi e in Italia).

Nel fascicolo seguente della «Nuova Antologia» del 16 giugno 1927, Alberto De Stefani, al quale Tittoni aveva in nota attribuito di preconizzare una politica di maggiori imposte e di piú rigoroso regime fiscale, pubblica una lettera in cui si dichiara invece d'accordo col Tittoni e avversario della politica che gli viene attribuita. Dichiara di voler solo la rigida obbedienza alle leggi tributarie, cioè la lotta contro le evasioni fiscali. Tra le altre citazioni che fa per dimostrare l'accordo con Tittoni, è interessante questa dal «Corriere della Sera» del 28 novembre '26: «È naturale, per esempio, che l'aumento delle tariffe doganali, e cosí pure dei dazi interni, possa annullare la politica monetaria... È desiderabile:... che non si influisca attraverso la finanza di Stato e la finanza locale, o in altro modo, a fare aumentare i costi di produzione». Per mitigare l'aliquota domanda: , una maggiore universalità (!) nell'applicazione dei tributi (giustizia distributiva); , minore evasione di quella oggi esistente, documentata dai ruoli dei contribuenti, di cui è stata interrotta la pubblicazione; , economie nella spesa. Criterio generale: diminuire la pressione finanziaria nominale proporzionatamente alla rivalutazione monetaria, per non rendere piú onerosa la pressione finanziaria reale.

 

 

Bibliografia varia:

 

1) C. Smogorzenski, Le jeu complexe des Partis en Pologne, «Geebethner et Wolff».

2) Louis Fischer, L'Impérialisme du pétrole, Rieder.

(Esposizione della storia della produzione del petrolio secondo i documenti del Ministero tedesco e del Commissariato russo. Contro Sir Henri Deterding e gli altri re del petrolio).

3) Charles Benoist, Les lois de la Politique française, A. Fayard.

(Tra l'altro: «il francese è guerriero, ma non militare», ha bisogno di essere disciplinato, perciò «il servizio militare di corta durata non è possibile che con quadri solidissimi»).

4) Georges Valois, Basile ou la Politique de la Calomnie, «Valois».

(Contro Maurras e l'Action Française: autobiografico. Storia del «Cercle Proudhon» e dei suoi «Cahiers». Vedere a proposito della partecipazione di Sorel il libro su Sorel di Pierre Lasserre e la corrispondenza Sorel-Croce.

Per la situazione esistente in Francia nel 1925 e per le speranze dei reazionari, «Maurras s'était presque engagé à faire la monarchie pour le fin de 1925». Per la storia lamentevole del movimento di Valois in Francia).

5) Edouard Champion, Le livre aux Etats Unis; lungo articolo nella «Revue des Deux Mondes» del 15 maggio e giugno 1927.

[6] Ottavio Cina, La Commedia Socialista, Bernardo Lux edit., Roma, 1914, pp. VIII-102, migliaio (?). Titolo preso dal libro di Yves Guyot, La Comédie Socialiste, Paris, 1897, Charpentier (ma non lo dice).

Questo del Cina è un libercolo molto banale e pedestre, a tipo libellistico. Può essere considerato solo in una bibliografia di questa specie di letteratura ai margini estremi della polemica di quel tempo. Molto generico. Se cita fatti concreti o nomi, commette errori grossolani (cfr. a p. 5, a proposito del contrasto Turati-Ferri). Vedi a che titolo lo cita Croce nella bibliografia della sua Storia d'Italia dal 1871 al 1915. Il Cina rimanda, a p. 34, a suoi articoli nell'«Economista d'Italia» del 1910. Fa un esame delle condizioni economiche in quegli anni, molto superficiale e banalmente tendenzioso, naturalmente, e finisce con un appello alla resistenza delle classi borghesi contro gli operai, anche con la violenza. Da questo punto di vista è interessante, come un segno dei tempi. Bisognerebbe vedere chi era (o è) questo signor Cina. Non pare un «nazionalista» nel senso di partito.




Precedente - Successivo

Indice | Parole: Alfabetica - Frequenza - Rovesciate - Lunghezza - Statistiche | Aiuto | Biblioteca IntraText

Best viewed with any browser at 800x600 or 768x1024 on Tablet PC
IntraText® (V89) - Some rights reserved by EuloTech SRL - 1996-2008. Content in this page is licensed under a Creative Commons License