V.
Azione Cattolica
L'Azione
Cattolica.
L'Azione Cattolica, nata
specificatamente dopo il 1848, era molto diversa da quella attuale,
riorganizzata da Pio XI. La posizione originaria dell'Azione
Cattolica dopo il 1848 (e in parte anche nel periodo di incubazione
che va dal 1789 al 1848, quando sorge e si sviluppa il fatto e il
concetto di nazione e di patria che diventa l'elemento ordinatore –
intellettualmente e moralmente – delle grandi masse popolari in
concorrenza vittoriosa con la Chiesa e la religione cattolica) può
essere caratterizzata estendendo alla religione cattolica
l'osservazione che uno storico francese (verificare) ha fatto a
proposito della monarchia «legittimista» e di Luigi
XVIII: pare che Luigi XVIII non riuscisse a persuadersi che nella
Francia dopo il 1815 la monarchia dovesse avere un partito politico
specifico per sostenersi.
Tutti i ragionamenti fatti
dagli storici cattolici (e le affermazioni apodittiche dei pontefici
nelle Encicliche) per spiegare la nascita dell'Azione Cattolica e per
riallacciare questa nuova formazione a movimenti e attività
«sempre esistiti» da Cristo in poi, sono di una estrema
fallacia. Dopo il 1848 in tutta l'Europa (in Italia la crisi assume
la forma specifica e diretta dell'anticlericalismo e della lotta
anche militare contro la Chiesa) la crisi
storico-politico-intellettuale è superata con la netta
vittoria del liberalismo (inteso come concezione del mondo oltre che
come particolare corrente politica) sulla concezione cosmopolitica e
«papalina» del cattolicismo. Prima del 1848 si formavano
partiti piú o meno effimeri e insorgevano singole personalità
contro il cattolicismo; dopo il 1848 il cattolicismo e la Chiesa
«devono» avere un proprio partito per difendersi, e
arretrare il meno possibile, non possono piú parlare (altro
che ufficialmente, perché la Chiesa non confesserà mai
l'irrevocabilità di tale stato di cose) come se sapessero di
essere la premessa necessaria e universale di ogni modo di pensare e
di operare. Molti oggi non riescono piú neanche a persuadersi
che cosí potesse essere una volta. Per dare un'idea di questo
fatto, si può offrire questo modello: oggi nessuno può
pensare sul serio a fondare un'associazione contro il suicidio (è
possibile che in qualche parte esista una qualche società del
genere, ma si tratta di altra cosa), perché non esiste nessuna
corrente d'opinione che cerchi persuadere gli uomini (e riesca sia
pure parzialmente) che occorre suicidarsi in massa (sebbene siano
esistiti singoli individui e anche piccoli gruppi che hanno sostenuto
tali forme di nichilismo radicale, pare in Ispagna): la «vita»
è la premessa necessaria di ogni manifestazione di vita,
evidentemente. Il cattolicismo ha avuto una tale funzione e di ciò
rimangono tracce abbondanti nel linguaggio e nei modi di pensare
specialmente dei contadini: cristiano e uomo sono sinonimi, anzi sono
sinonimi cristiano e «uomo incivilito». («Non sono
cristiano!» – «E allora cosa sei, una bestia?»)
I coatti dicono ancora: «cristiani e coatti» (ad Ustica
prime meraviglie quando all'arrivo del vaporetto si sentiva dire dai
coatti: «sono tutti cristiani, non ci sono che cristiani, non
c'è neanche un cristiano»). I carcerati invece dicono
piú comunemente: «borghesi e detenuti», o
scherzosamente: «soldati e borghesi», sebbene i
meridionali dicano anche «cristiani e detenuti». Sarebbe
cosí interessante studiare tutta la serie di passaggi
storico-semantici per cui nel francese da «cristiano» si
è ottenuto «crétin» (donde l'italiano
«cretino») e addirittura «grédin»; il
fenomeno deve essere simile a quello per cui «villano» da
«uomo di campagna» ha finito per significare «screanzato»
e addirittura «gaglioffo e mascalzone», cioè il
nome «cristiano» impiegato dai contadini (pare dai
contadini di alcune regioni alpine) per indicare se stessi come
«uomini», si è, in alcuni casi di pronunzia
locale, staccato dal significato religioso ed ha avuto la stessa
sorte di «manant». Forse anche il russo «krestianin»
= contadino ha la stessa origine, mentre «cristiano» in
senso religioso, forma piú colta, ha mantenuto l'aspirazione X
greco (in senso spregiativo si diceva «mugik»). A questa
concezione è forse da legare anche il fatto che in alcuni
paesi, dove gli ebrei non sono conosciuti si crede o si credeva che
essi avessero la coda e le orecchie di porco o altro attributo
animalesco.
L'esame storico critico del
movimento d'Azione Cattolica può dar luogo, analiticamente, a
diverse serie di ricerche e di studi.
I Congressi nazionali. Come
sono preparati dalla stampa centrale e locale. Il materiale ufficiale
preparatorio: relazioni ufficiali e d'opposizione.
L'Azione Cattolica è
stata sempre un organismo complesso, anche prima della costituzione
della Confederazione bianca del Lavoro e del Partito Popolare. La
Confederazione del Lavoro era considerata organicamente una parte
costitutiva dell'Azione Cattolica, il Partito Popolare invece no, ma
lo era di fatto. Oltre che alle altre ragioni, la costituzione del
Partito Popolare fu consigliata da ciò che si riteneva
inevitabile nel dopo guerra una avanzata democratica, alla quale
occorreva dare un organo e un freno, senza mettere in rischio la
struttura autoritaria dell'Azione Cattolica che ufficialmente è
diretta personalmente dal Papa e dai Vescovi: senza il Partito
Popolare e le innovazioni in senso democratico portate nella
Confederazione sindacale, la spinta popolaresca avrebbe sovvertito
tutta la struttura dell'Azione Cattolica, mettendo in quistione
l'autorità assoluta delle gerarchie ecclesiastiche. La stessa
complessità si verificava e si verifica ancora nel campo
internazionale; sebbene il Papa rappresenti un centro internazionale
per eccellenza, di fatto esistono alcuni uffici che funzionano per
coordinare e dirigere il movimento politico e sindacale cattolico in
tutti i paesi, come l'Ufficio di Malines che ha compilato il Codice
Sociale e l'Ufficio di Friburgo per l'azione sindacale (è
da verificare la funzionalità di questi uffici dopo i
mutamenti avvenuti nei paesi tedeschi oltre che in Italia nel campo
dell'organizzazione politica e sindacale cattolica).
Svolgimento dei Congressi.
Argomenti messi all'ordine del giorno e argomenti omessi per evitare
conflitti radicali. L'ordine del giorno dovrebbe risultare dai
problemi concreti che si sono imposti all'attenzione nello spazio tra
un Congresso e l'altro e dalle prospettive avvenire, oltre che dai
punti dottrinari intorno ai quali si formano le correnti generali
d'opinione e si raggruppano le frazioni.
Su quale base e con quali
criteri vengono scelte o rinnovate le direzioni? Sulla base di una
tendenza dottrinaria generica, dando alla nuova Direzione una fiducia
generica, oppure dopo che il Congresso ha fissato un indirizzo
concreto e preciso di attività? La democrazia interna di un
movimento (cioè il grado piú o meno grande di
democrazia interna, cioè di partecipazione degli elementi di
base alla decisione e alla fissazione della linea di attività)
si può misurare e giudicare anche e forse specialmente a
questa stregua.
Altro elemento importante è
la composizione sociale dei Congressi, del gruppo degli oratori e
della direzione eletta, in rapporto alla composizione sociale del
movimento nel suo complesso.
Rapporto tra le generazioni
adulte e quelle giovanili. I Congressi si occupano essi direttamente
del movimento giovanile, che dovrebbe essere la fonte maggiore per il
reclutamento e la migliore scuola per il movimento, o lascia ai
giovani di pensare a se stessi?
Che influsso hanno
(avevano) nei Congressi le organizzazioni subordinate e sussidiarie
(o che tali dovrebbero essere), il gruppo parlamentare, gli
organizzatori sindacali, ecc.? Ai deputati e ai capi sindacali viene
fatta nei Congressi una posizione speciale, ufficialmente e
organicamente o sia pure solo di fatto?
Oltre che nelle discussioni
dei Congressi è necessario fissare lo svolgimento che hanno
avuto nel tempo e nello spazio i problemi concreti piú
importanti: la quistione sindacale, il rapporto tra il centro
politico e i sindacati, la quistione agraria, le quistioni di
organizzazione interna, in tutte le diverse interferenze. Ogni
quistione presenta due aspetti: come è stata trattata
teoricamente e tecnicamente e come è stata affrontata
praticamente.
Altra quistione è
quella della stampa, nei suoi diversi aspetti: quotidiana, periodica,
opuscoli, libri, centralizzazione o autonomia della stampa ecc.
La frazione parlamentare:
trattando di ogni determinata attività parlamentare, occorre
tener presenti alcuni criteri di ricerca e di giudizio. Quando il
deputato di un movimento popolaresco parla in Parlamento (e un
senatore al Senato) ci possono essere tre o piú versioni del
suo discorso: 1) la versione ufficiale degli Atti parlamentari,
che di solito è riveduta e corretta e spesso edulcorata post
festum; 2) la versione dei giornali ufficiali del movimento al quale
il deputato appartiene ufficialmente: essa è combinata dal
deputato d'accordo col corrispondente parlamentare, in modo da non
urtare certe suscettibilità o della maggioranza ufficiale del
partito o dei lettori locali e non creare ostacoli prematuri a
determinate combinazioni in corso o desiderate; 3) la versione dei
giornali di altri partiti o dei cosí detti organi della
pubblica opinione (giornali a grande diffusione) che è fatta
dal deputato d'accordo coi rispettivi corrispondenti parlamentari in
modo da favorire determinate combinazioni in corso: tali giornali
possono mutare da [un] periodo all'altro a seconda dei mutamenti
avvenuti nelle rispettive direzioni politiche o nei governi. Lo
stesso criterio può essere esteso al campo sindacale, a
proposito dell'interpretazione da dare a determinati eventi o anche
all'indirizzo generale della data organizzazione sindacale. Per
esempio: la «Stampa», il «Resto del Carlino»,
il «Tempo» (di Naldi) hanno servito, in certi anni, da
casse di risonanza e da strumenti di combinazioni politiche tanto ai
cattolici come ai socialisti. Un discorso parlamentare (o uno
sciopero, o una dichiarazione di un capo sindacale) socialista o
popolare, era presentato sotto una certa luce da questi giornali per
il loro pubblico, mentre era presentato sotto altra luce dagli organi
cattolici o socialisti. I giornali popolari e socialisti tacevano
addirittura al loro pubblico certe affermazioni di rispettivi
deputati che tendevano a rendere possibile una combinazione
parlamentare-governativa delle due tendenze, ecc. ecc. È
indispensabile anche tener conto delle interviste date dai deputati
ad altri giornali e degli articoli pubblicati in altri giornali.
L'omogeneità dottrinale e politica di un partito può
anche essere saggiata con questo criterio: quali indirizzi sono
favoriti dai soci di questo partito nella loro collaborazione ai
giornali di altra tendenza o cosí detti di opinione pubblica:
talvolta i dissensi interni si manifestano solo cosí, i
dissidenti scrivono, in altri giornali, articoli firmati o non
firmati, danno interviste, suggeriscono motivi polemici, si fanno
provocare per essere «costretti» a rispondere, non
smentiscono certe opinioni loro attribuite ecc.
L'Azione Cattolica e i
terziari francescani. Può farsi un paragone qualsiasi tra
l'Azione Cattolica e le istituzioni come i terziari francescani?
Certo no, quantunque sia bene accennare introduttivamente non solo ai
terziari, ma anche al fenomeno piú generale dell'apparire
nello sviluppo storico della Chiesa degli ordini religiosi, per
meglio definire i caratteri e i limiti della stessa Azione Cattolica.
La creazione dei terziari è un fatto molto interessante di
origine e tendenza democratico-popolare, che illumina meglio il
carattere del francescanesimo come ritorno tendenziale ai modi di
vita e di credenza del cristianesimo primitivo, comunità di
fedeli e non del solo clero come esso era venuto sempre piú
diventando. Sarebbe perciò utile studiare bene la fortuna di
questa iniziativa, che non è stata molto grande, perché
il francescanesimo non divenne tutta la religione, come era
nell'intenzione di Francesco, ma si ridusse a uno dei tanti ordini
religiosi esistenti. L'Azione Cattolica segna l'inizio di una epoca
nuova nella storia della religione cattolica: quando essa da
concezione totalitaria (nel duplice senso: che era una totale
concezione del mondo di una società nel suo totale), diventa
parziale (anche nel duplice senso) e deve avere un proprio partito. I
diversi ordini religiosi rappresentano la reazione della Chiesa
(comunità dei fedeli o comunità del clero), dall'alto o
dal basso, contro le disgregazioni parziali della concezione del
mondo (eresie, scismi ecc. e anche degenerazione delle gerarchie);
l'Azione Cattolica rappresenta la reazione contro l'apostasia di
intere masse, imponente, cioè contro il superamento di massa
della concezione religiosa del mondo. Non è piú la
Chiesa che fissa il terreno e i mezzi della lotta; essa invece deve
accettare il terreno impostole dagli avversari o dall'indifferenza e
servirsi di armi prese a prestito dall'arsenale dei suoi avversari
(l'organizzazione politica di massa). La Chiesa, cioè, è
sulla difensiva, ha perduto l'autonomia dei movimenti e delle
iniziative, non è piú una forza ideologica mondiale, ma
solo una forza subalterna.
Sulla povertà, il
cattolicismo e la gerarchia ecclesiastica. In un libretto su
Ouvriers et Patrons (memoria premiata nel 1906 dall'Accademia
di Scienze morali e politiche di Parigi) è riferita la
risposta data da un operaio cattolico francese all'autore
dell'obbiezione mossagli che, secondo le parole di Gesú
riportate da un Evangelo, ci devono essere sempre ricchi e poveri:
«ebbene, lasceremo almeno due poveri perché Gesú
non abbia ad aver torto». La risposta è epigrammatica,
ma degna dell'obbiezione. Da quando la quistione ha assunto
un'importanza storica per la Chiesa, cioè da quando la Chiesa
ha dovuto porsi il problema di arginare la cosí detta
«apostasia» delle masse, creando un sindacalismo
cattolico (operaio, perché agli imprenditori non è
stato mai imposto di dare un carattere confessionale alle loro
organizzazioni sindacali), le opinioni piú diffuse sulla
quistione della «povertà» che risultano dalle
encicliche e da altri documenti autorizzati, possono riassumersi in
questi punti: 1) La proprietà privata, specialmente quella
fondiaria, è un «diritto naturale» che non si può
violare neanche con forti imposte (da questo principio sono derivati
i programmi politici delle tendenze democratico-cristiane per la
distribuzione delle terre con indennità, ai contadini poveri,
e le loro dottrine finanziarie); 2) I poveri devono contentarsi della
loro sorte, poiché le distinzioni di classe e la distribuzione
della ricchezza sono disposizioni di dio e sarebbe empio cercare di
eliminarle; 3) L'elemosina è un dovere cristiano e implica
l'esistenza della povertà; 4) La quistione sociale è
anzitutto morale e religiosa, non economica e dev'essere risolta con
la carità cristiana e con i dettami della moralità e il
giudizio della religione. (È da cfr. il Codice Sociale di
Malines, nelle successive elaborazioni).
I «Ritiri
operai». Confrontare la «Civiltà Cattolica»
del 20 luglio 1929: «Come il popolo torna a Dio».
L'opera dei «Ritiri operai».
I «Ritiri» o
«Esercizi Spirituali chiusi» sono stati fondati da S.
Ignazio di Loyola (la cui opera piú diffusa sono gli Esercizi
spirituali, editi nel '29 da G. Papini); ne sono una derivazione
i «Ritiri Operai» iniziati nel 1882 nel Nord della
Francia. L'Opera dei Ritiri Operai iniziò la sua attività
in Italia nel 1907, col primo ritiro per operai tenuto a Chieri (cfr.
«Civiltà Cattolica», 1908, vol. IV, p. 61: I
«Ritiri Operai» in Italia). Nel 1929 è
uscito il volume: Come il popolo ritorna a Dio, 1909-1929. L'Opera
dei Ritiri e le Leghe di Perseveranza in Roma in 20 anni di vita;
vol. in 8°, con illustrazioni, 136 pp., L. 10,00. (Si vende a
beneficio dell'Opera, alla «Direzione dei Ritiri Operai»;
Roma, Via degli Astalli, 16-17). Dal libro appare che dal 1909 al '29
l'Opera ha raccolto nelle Leghe di Perseveranza di Roma e del Lazio
piú di 20.000 operai, molti dei quali erano convertiti di
recente. Negli anni 1928-29 si ottenne nel Lazio e nelle province
vicine un esito superiore a quello dato da Roma nei precedenti 18
anni.
Sono stati praticati finora
115 Ritiri chiusi con la partecipazione di circa 2.200 operai, in
Roma. «In ogni ritiro, scrive la «Civiltà
Cattolica», vi è sempre un nucleo di buoni operai che
serve di lievito e di esempio, gli altri sono raccolti in vario modo
tra gente del popolo o fredda o indifferente e anche ostile, i quali
si inducono, parte per curiosità, parte per condiscendere
all'invito di amici, e non di rado anche per la comodità di
tre giorni di riposo e di buon trattamento gratuito».
Nell'articolo si dànno
altri particolari su vari comuni del Lazio: la Lega di Perseveranza
di Roma ha 8.000 inscritti con 34 centri; nel Lazio sono 25 sezioni
della Lega con 12.000 inscritti. (Comunione mensile, mentre la Chiesa
si accontenta di una comunione all'anno). L'Opera è diretta
dai Gesuiti. (Si potrebbe fare un paragrafo della rubrica «Passato
e Presente»).
Le Leghe di Perseveranza
tendono a mantenere i risultati ottenuti nei ritiri e ad ampliarli
nella massa. Esse creano una «opinione pubblica» attiva
in favore della pratica religiosa, capovolgendo la situazione
precedente, in cui l'opinione pubblica era negativa, o per lo meno
passiva, o scettica e indifferente.
[Preistoria dell'Azione
Cattolica.] Per la preistoria dell'Azione Cattolica cfr. nella
«Civiltà Cattolica» del 2 agosto 1930 l'articolo:
Cesare D'Azeglio e gli albori della stampa cattolica in Italia.
Per «stampa cattolica» si intende «stampa dei
cattolici militanti» fra il laicato, all'infuori della «stampa»
cattolica in senso stretto ossia espressione dell'organizzazione
ecclesiastica.
Nel «Corriere
d'Italia» dell'8 luglio 1926 è apparsa una lettera di
Filippo Crispolti che dev'essere molto interessante, nel senso che il
Crispolti «faceva osservare che chi volesse ricercare i primi
impulsi di quel movimento donde uscí anche in Italia la
schiera dei "cattolici militanti" cioè l'innovazione
che nel campo nostro ne produsse ogni altra, dovrebbe prendere le
mosse da quelle singolari società piemontesi, dette
"Amicizie", che furono fondate o animate dall'abate Pio
Brunone Lanteri». Il Crispolti cioè riconosce che
l'Azione Cattolica è una innovazione e non già,
come sempre dicono le encicliche papali, una attività sempre
esistita dagli Apostoli in poi. Essa è una attività
strettamente legata, come reazione, all'illuminismo francese, al
liberalismo, ecc. e all'attività degli Stati moderni per la
separazione dalla Chiesa, cioè alla riforma intellettuale e
morale laicistica ben piú radicale (per le classi dirigenti)
della Riforma protestante; attività cattolica che si configura
specialmente dopo il '48, cioè con la fine della Restaurazione
e della Santa Alleanza.
Il movimento per la stampa
cattolica, di cui parla la «Civiltà Cattolica»,
legato al nome di Cesare D'Azeglio è interessante anche per
l'atteggiamento del Manzoni al riguardo: si può dire che il
Manzoni comprese il carattere reazionario dell'iniziativa del
D'Azeglio e si rifiutò elegantemente di collaborarvi, eludendo
le aspettazioni del D'Azeglio con l'invio della famosa lettera sul
Romanticismo, che, scrive la «Civiltà Cattolica»,
«dato il motivo che la provocò, può considerarsi
come una dichiarazione di principii. Evidentemente il vessillo
letterario non era che lo schermo di altre idee, di altri sentimenti,
che li divideva», e cioè il diverso atteggiamento nel
problema della difesa della religione.
L'articolo della «Civiltà
Cattolica» è essenziale per lo studio della preparazione
dell'Azione Cattolica.
[Origini dell'Azione
Cattolica.] Sulle origini dell'Azione Cattolica cfr. l'articolo
La fortuna del La Mennais e le prime manifestazioni d'Azione
Cattolica in Italia («Civiltà Cattolica» del 4
ottobre 1930: è la prima parte dell'articolo; la continuazione
appare molto piú tardi, come sarà notato), che si
riallaccia al precedente articolo su Cesare D'Azeglio ecc. La
«Civiltà Cattolica» parla di «quell'ampio
moto d'azione e di idee che si manifestò, in Italia come negli
altri paesi cattolici di Europa, durante il periodo corso tra la
prima e la seconda rivoluzione (1821-1831), quando furono seminati
alcuni di quei germi (se buoni o malvagi non diremo), che dovevano
poi dare i loro frutti in tempi piú maturi». Ciò
significa che il primo moto di Azione Cattolica sorse per
l'impossibilità della Restaurazione di essere realmente tale,
cioè di ricondurre le cose nei quadri dell'Ancien Régime.
Come il legittimismo cosí anche il cattolicismo, da posizioni
integrali e totalitarie nel campo della cultura e della politica,
diventano partiti in contrapposto di altri partiti e, di piú,
partiti in posizione di difesa e di conservazione, quindi costretti a
fare molte concessioni agli avversari per meglio sostenersi. Del
resto questo è il significato di tutta la Restaurazione come
fenomeno complessivo europeo e in ciò consiste il suo
carattere fondamentalmente «liberale». L'articolo della
«Civiltà Cattolica» pone un problema essenziale:
se il Lamennais è all'origine dell'Azione Cattolica, questa
origine non contiene il germe del posteriore cattolicismo liberale,
il germe che, sviluppandosi in seguito, darà il Lamennais
seconda maniera? È da notare che tutte le innovazioni nel seno
della Chiesa quando non sono dovute a iniziativa del centro, hanno in
sé qualcosa di ereticale e finiscono con assumere
esplicitamente questo carattere finché il centro reagisce
energicamente, scompigliando le forze innovatrici, riassorbendo i
tentennanti ed escludendo i refrattari. È notevole che la
Chiesa non ha mai avuto molto sviluppato il senso dell'autocritica
come funzione centrale; ciò nonostante la tanto vantata sua
adesione alle grandi masse dei fedeli. Perciò le innovazioni
sono sempre state imposte e non proposte e accolte solo obtorto
collo. Lo sviluppo storico della Chiesa è avvenuto per
frazionamento (le diverse compagnie religiose sono in realtà
frazioni assorbite e disciplinate come «ordini religiosi»).
Altro fatto della Restaurazione: i governi fanno concessioni alle
correnti liberali a spese della Chiesa e dei suoi privilegi e questo
è un elemento che crea la necessità di un partito della
Chiesa ossia dell'Azione Cattolica.
Lo studio delle origini
dell'Azione Cattolica porta cosí a uno studio del
Lamennaisismo e della sua diversa fortuna e diffusione.
Cfr. in altro quaderno
l'annotazione di due studi pubblicati nella «Civiltà
Cattolica» dell'agosto 1930 su Cesare D'Azeglio e gli albori
della stampa cattolica in Italia e La fortuna del La Mennais e
le prime manifestazioni di Azione Cattolica in Italia. Questi
studi si riferiscono specialmente alla fioritura di periodici
cattolici in varie città italiane durante la Restaurazione,
che tendevano a combattere le idee dell'Enciclopedia e della
Rivoluzione Francese che tuttavia perduravano, ecc. In questo
movimento intellettuale-politico si riassume l'inizio del
neoguelfismo italiano, che non può quindi staccarsi dalla
Società dei Sanfedisti (pars magna di queste riviste fu
il principe di Canosa, che abitava a Modena, dove era pubblicata una
delle piú importanti riviste del gruppo). Nel cattolicismo
italiano erano due tendenze principali: 1) quella nettamente
austriacante, che vedeva la salvezza del Papato e della religione nel
gendarme imperiale a guardia dello statu quo politico
italiano; 2) quella Sanfedista in senso stretto che sosteneva la
supremazia politico-religiosa del Papa prima di tutto in Italia e
quindi era avversaria subdola dell'egemonia austriaca in Italia e
favorevole a un certo movimento di indipendenza nazionale (se in
questo caso si può parlare di nazionale). È a questo
movimento che si riferisce la «Civiltà Cattolica»
quando polemizza coi liberali del Risorgimento e sostiene il
«patriottismo e unitarismo» dei cattolici d'allora: ma
quale fu l'atteggiamento dei gesuiti? Pare che essi fossero piuttosto
austriacanti che sanfedisti «indipendentisti».
Si può dire perciò
che questo periodo preparatorio dell'Azione Cattolica abbia avuto la
sua massima espressione nel neoguelfismo, cioè in un movimento
di totalitario ritorno alla posizione politica della Chiesa nel Medio
Evo, alla supremazia papale, ecc. La catastrofe del neoguelfismo nel
'48 riduce l'Azione Cattolica a quella che sarà ormai la sua
funzione nel mondo moderno: funzione difensiva essenzialmente,
nonostante le profezie apocalittiche dei cattolici sulla catastrofe
del liberalismo e sul ritorno trionfale del dominio della Chiesa
sulle macerie dello Stato liberale e del suo antagonista storico, il
socialismo (quindi astensionismo clericale e creazione dell'esercito
di riserva cattolico).
In questo periodo della
restaurazione il cattolicismo militante si atteggia diversamente
secondo gli Stati: la posizione piú interessante è
quella dei sanfedisti piemontesi (De Maistre, ecc.) che sostengono
l'egemonia piemontese e la funzione italiana della monarchia e della
dinastia dei Savoia.
La funzione dei
cattolici in Italia (Azione Cattolica). Nella «Nuova
Antologia» del 1° novembre 1927, G. Suardi pubblica una
nota Quando e come i cattolici poterono partecipare alle elezioni
politiche, molto interessante e da ricordare come documento
dell'attività e della funzione dell'Azione Cattolica in
Italia. Alla fine del settembre 1904, dopo lo sciopero generale, il
Suardi fu chiamato telegraficamente a Milano da Tommaso Tittoni,
ministro degli Esteri nel Ministero Giolitti (il Tittoni si trovava
nella sua villa di Desio al momento dello sciopero e pareva che egli,
dato il pericolo che Milano fosse per essere isolata dalla mancanza
di comunicazioni, dovesse assumere speciali e personali
responsabilità; questo accenno del Suardi mi pare significhi
che i reazionari locali avessero già pensato a qualche
iniziativa d'accordo con Tittoni). Il Tittoni gli comunicò che
il Consiglio dei Ministri aveva deciso di indire subito le elezioni e
che bisognava unire tutte le forze liberali e conservatrici nello
sforzo per contrastare il passo ai partiti estremi. Il Suardi,
esponente liberale di Bergamo, era riuscito in questa città ad
accordarsi coi cattolici per le amministrazioni locali: bisognerebbe
ottenere lo stesso risultato per le elezioni politiche, persuadendo i
cattolici che il non expedit nulla serve al loro partito,
nuoce alla religione ed è di grave danno alla patria,
lasciando libero il passo al socialismo. Il Suardi accettò
l'incarico. A Bergamo ne parlò con l'avvocato Paolo Bonomi e
riuscí a convincerlo di andare a Roma, presentarsi al Papa e
aggiungere alle insistenze del Bonomelli e di altri autorevoli
personaggi perché fosse tolto il non expedit anche
quelle dei cattolici bergamaschi. Pio X prima rifiutò di
togliere il non expedit, ma terrorizzato dal Bonomi che gli
fece un quadro catastrofico delle conseguenze che avrebbe avuto a
Bergamo la rottura tra cattolici e gruppo Suardi «con lenta e
grave parola, esclamò: "Fate, fate quello che vi detta la
vostra coscienza". (Bonomi): "Abbiamo ben compreso,
Santità? Possiamo interpretare che è un sí?"
(Papa): "Fate quello che vi detta la vostra coscienza. Ripeto"».
(Subito dopo) il Suardi ebbe un colloquio col cardinale Agliardi (di
tendenze liberali) che lo mise al corrente di quanto era avvenuto in
Vaticano dopo l'udienza data dal Papa al Bonomi. (L'Agliardi [era]
d'accordo col Bonomelli perché fosse tolto il non expedit).
Il giorno dopo questa udienza un giornale ufficioso del Vaticano
aveva pubblicato un articolo che smentiva le voci diffuse intorno
all'udienza e a novità circa il non expedit decisamente
affermando che in tale argomento nulla era mutato. L'Agliardi chiese
subito udienza e alle sue domande il papa ripeté la sua
formula: «Ho detto (ai bergamaschi) che facessero quello che
dettava la loro coscienza». L'Agliardi fece pubblicare un
articolo in un giornale romano, dove si affermava che del pensiero
del papa per le prossime elezioni politiche erano depositari
l'avvocato Bonomi e il professor Rezzara e che a questi dovevano
rivolgersi le organizzazioni cattoliche. Cosí si presentarono
candidature cattoliche (Cornaggia a Milano, Cameroni a Treviglio
ecc.) e a Bergamo apparvero a sostegno di candidature politiche
manifesti di cittadini fino allora astensionisti.
Per il Suardi questo
avvenimento segna la fine del non expedit e rappresenta la
raggiunta unità morale dell'Italia, ma egli esagera alquanto,
sebbene il fatto sia importante per sé.
Gianforte Suardi nella
«Nuova Antologia» del 1° maggio 1929 (Costantino
Nigra e il XX settembre 1870) aggiunge un particolare alla sua
narrazione del 1° novembre 1927 sulla partecipazione dei
cattolici alle elezioni del 1904 col consenso di Pio X, particolare
che aveva omesso per riserbo prima della Conciliazione. Pio X,
salutando i bergamaschi (Paolo Bonomi ecc.), avrebbe aggiunto:
«Ripetete a Rezzara – (che non aveva preso parte
all'udienza e che, come è noto, era uno dei piú
autorevoli capi dell'organizzazione cattolica) – qual è
la risposta che vi ho dato e ditegli che il Papa tacerà».
Il sottolineato è appunto il particolare prima omesso. Una
bellissima cosa, come si vede, e di altissima portata morale.
[Il papato nel secolo
XIX.] Don Ernesto Vercesi ha iniziato la pubblicazione di
un'opera, I papi del secolo XIX di cui è uscito il
primo volume su Pio VII (pp. 340, Torino, Società
Editrice Internazionale, L. 12). Per uno studio dell'Azione Cattolica
è necessario studiare la storia generale del Papato e della
sua influenza nella vita politica e culturale nel secolo XIX (forse
addirittura dal tempo delle monarchie illuminate, del giuseppinismo,
ecc. che è la «prefazione» alla limitazione della
Chiesa nella società civile e politica). Il libro del Vercesi
è anche scritto contro il Croce e la sua Storia d'Europa.
Il succo del libro del Vercesi pare sia riassunto in queste parole:
«Il secolo XIX attaccò il cristianesimo nei suoi aspetti
piú diversi, sul terreno politico, religioso, sociale,
culturale, storico, filosofico, ecc. Il risultato definitivo fu che
al tramonto del secolo XIX il cristianesimo in genere, il
cattolicismo romano in ispecie, era piú forte, piú
robusto che all'alba dello stesso secolo. È questo un fatto
che non può essere contestato dagli storici imparziali».
Che possa essere «contestato» risulta anche solo da
questo fatto: che il cattolicismo è diventato un partito fra
gli altri, è passato dal godimento incontestato di certi
diritti, alla difesa di essi e alla rivendicazione di essi in quanto
perduti. Che sotto certi aspetti la Chiesa abbia rinforzato certe sue
organizzazioni è certo incontestabile, che sia piú
concentrata, che abbia stretto le file, che abbia fissato meglio
certi principii e certe direttive, ma questo significa appunto un suo
minore influsso nella società e quindi la necessità
della lotta e di una piú strenua milizia. È anche vero
che molti Stati non lottano piú con la Chiesa, ma perché
vogliono servirsene e vogliono subordinarla ai propri fini. Si
potrebbe fare un elenco di attività specifiche in cui la
Chiesa conta molto poco e si è rifugiata in posizioni
secondarie; per alcuni aspetti, cioè dal punto di vista della
credenza religiosa, è poi vero che il cattolicismo si è
ridotto in gran parte a una superstizione di contadini, di ammalati,
di vecchi e di donne. Nella filosofia cosa conta oggi la chiesa? In
quale Stato il tomismo è filosofia prevalente tra gli
intellettuali? E socialmente, dove la chiesa dirige e padroneggia con
la sua autorità le attività sociali? Appunto l'impulso
sempre maggiore dato all'Azione Cattolica dimostra che la Chiesa
perde terreno, sebbene avvenga che ritirandosi si concentri e opponga
maggiore resistenza e «sembri» piú forte
(relativamente).
Sul «pensiero
sociale» dei cattolici mi pare si possa fare questa
osservazione critica preliminare: che non si tratta di un programma
politico obbligatorio per tutti i cattolici, al cui
raggiungimento sono rivolte le forze organizzate che i cattolici
posseggono, ma si tratta puramente e semplicemente di un «complesso
di argomentazioni polemiche» positive e negative senza
concretezza politica. Ciò sia detto senza entrare nelle
quistioni di merito, cioè nell'esame del valore intrinseco
delle misure di carattere economico-sociale che i cattolici pongono
alla base di tali argomentazioni.
In realtà la Chiesa
non vuole compromettersi nella vita pratica economica e non si
impegna a fondo, né per attuare i principi sociali che afferma
e che non sono attuati, né per difendere, mantenere o
restaurare quelle situazioni in cui una parte di quei principi era
già attuata e che sono state distrutte. Per comprendere bene
la posizione della Chiesa nella società moderna, occorre
comprendere che essa è disposta a lottare solo per difendere
le sue particolari libertà corporative (di Chiesa come Chiesa,
organizzazione ecclesiastica), cioè i privilegi che proclama
legati alla propria essenza divina: per questa difesa la Chiesa non
esclude nessun mezzo, né l'insurrezione armata, né
l'attentato individuale, né l'appello all'invasione straniera.
Tutto il resto è trascurabile relativamente, a meno che non
sia legato alle condizioni esistenziali proprie. Per «dispotismo»
la Chiesa intende l'intervento dell'autorità statale laica nel
limitare o sopprimere i suoi privilegi, non molto di piú: essa
riconosce qualsiasi potestà di fatto, e purché non
tocchi i suoi privilegi, la legittima; se poi accresce i privilegi,
la esalta e la proclama provvidenziale.
Date queste premesse, il
«pensiero sociale» cattolico ha un puro valore
accademico: occorre studiarlo e analizzarlo in quanto elemento
ideologico oppiaceo, tendente a mantenere determinati stati d'animo
di aspettazione passiva di tipo religioso, ma non come elemento di
vita politica e storica direttamente attivo. Esso è certamente
un elemento politico e storico, ma di un carattere assolutamente
particolare: è un elemento di riserva, non di prima
linea, e perciò può essere in ogni momento
«dimenticato» praticamente e «taciuto», pur
senza rinunziarvi completamente, perché potrebbe ripresentarsi
l'occasione in cui sarà ripresentato. I cattolici sono molto
furbi, ma mi pare che in questo caso siano troppo furbi.
Sul «pensiero
sociale» cattolico è da tener presente il libro del
padre gesuita Albert Muller, professore alla scuola superiore
commerciale di S. Ignazio in Anversa – Notes d'économie
politique, Première Série, «Éditions
Spes», Parigi, 1927, pp. 428, Fr. 8 – di cui vedi la
recensione nella «Civiltà Cattolica» del 1°
settembre 1928, Pensiero e attività sociali (di A.
Brucculeri); il Muller mi pare esponga il punto di vista piú
radicale cui possono giungere i gesuiti in questa materia (salario
famigliare, compartecipazione, controllo, cogestione, ecc.).
Un articolo da ricordare,
per comprendere l'atteggiamento della Chiesa dinanzi ai diversi
regimi politico-statali, è Autorità e
«opportunismo politico» nella «Civiltà
Cattolica» del 1° dicembre 1928. Potrebbe dare qualche
spunto per la rubrica passato e presente. Sarà da confrontare
con i punti corrispondenti del Codice Sociale.
La quistione si pose al
tempo di Leone XIII e del ralliement di una parte dei
cattolici alla repubblica francese e fu risolta dal papa con questi
punti essenziali: 1) accettazione, ossia riconoscimento del potere
costituito; 2) rispetto ad esso prestato come a rappresentanza di
un'autorità venuta da Dio; 3) obbedienza a tutte le leggi
giuste da tale autorità promulgate, ma resistenza alle leggi
ingiuste con lo sforzo concorde di emendare la legislazione e
cristianeggiare la società.
Per la «Civiltà
Cattolica» questo non sarebbe «opportunismo», ma
tale sarebbe solo l'atteggiamento servile ed esaltatorio in blocco di
autorità che sono tali di fatto e non di diritto
(l'espressione «diritto» ha un valore particolare per i
cattolici).
I cattolici devono
distinguere tra «funzione dell'autorità» che è
diritto inalienabile della società, che non può vivere
senza un ordine, e «persona» che esercita tale funzione e
che può essere un tiranno, un despota, un usurpatore, ecc. I
cattolici si sottomettono alla «funzione» non alla
persona. Ma Napoleone III fu chiamato uomo provvidenziale dopo il
colpo di stato del 2 dicembre, ciò che significa che il
vocabolario politico dei cattolici è diverso da quello comune.
Nell'autunno del 1892 fu
tenuto a Genova un Congresso cattolico italiano degli studiosi di
scienze sociali; vi fu osservato che «il bisogno del momento
presente, non certo unico bisogno, ma urgente quanto ogni altro, è
la rivendicazione scientifica dell'idea cristiana. La scienza non può
dare la fede, ma può imporre agli avversari il rispetto, e può
condurre le intelligenze a riconoscere della fede la necessità
sociale e l'individuale dovere (!)». Nel 1893, per impulso di
tale Congresso, patrocinato da Leone XIII (l'enciclica Rerum
Novarum è del 1891), fu fondata la «Rivista
internazionale di scienze sociali e discipline ausiliarie», che
ancora si pubblica. Nel fascicolo del gennaio 1903 della rivista si
riassume l'attività del decennio.
L'attività di questa
rivista, che non è mai stata molto «chiassosa», è
tuttavia da studiare anche in confronto a quella della «Critica
Sociale» di cui doveva essere il controaltare ecc.
Il conflitto di Lilla.
Nella «Civiltà Cattolica» del 7 settembre 1929
è pubblicato il testo integrale del giudizio pronunziato dalla
Sacra Congregazione del Concilio sul conflitto tra industriali e
operai cattolici della regione Roubaix-Tourcoing. Il lodo è
contenuto in una lettera in data 5 giugno 1929 del cardinale
Sbarretti, Prefetto della Congregazione del Concilio, a mons. Achille
Liénart, vescovo di Lilla.
Il documento è
importante, perché in parte integra il Codice Sociale e
in parte ne amplia il quadro, come per esempio là dove
riconosce agli operai e ai sindacati cattolici il diritto di formare
un fronte unico anche con gli operai e i sindacati socialisti nelle
quistioni economiche. Bisogna tener conto che se il Codice Sociale
è un testo cattolico, è però privato o
soltanto ufficioso, e in tutto o in parte potrebbe essere sconfessato
dal Vaticano. Questo documento invece è ufficiale.
Questo documento è
certamente legato al lavorío del Vaticano in Francia per
creare una democrazia politica cattolica e l'ammissione del «fronte
unico», anche se passibile di interpretazioni cavillose e
restrittive, è una «sfida» all'Action française
e un segno di détente coi radicali socialisti e la
C.G.T.
Nello stesso fascicolo
della «Civiltà Cattolica» è un diffuso e
interessante articolo di commento al lodo vaticano. Questo lodo è
costituito di due parti organiche: nella prima, composta di 7 brevi
tesi accompagnate ognuna di ampie citazioni tolte da documenti
pontifici, specialmente di Leone XIII, si dà un riassunto
chiaro della dottrina sindacale cattolica; nella seconda si tratta
del conflitto specifico in esame, cioè le tesi sono applicate
e interpretate nei fatti reali.
[I cattolici e
l'insurrezione.] A proposito dei provvedimenti presi nel 1931
contro l'Azione Cattolica italiana è interessante l'articolo
Una grave questione di educazione cristiana: A proposito
del Primo Congresso Internazionale dell'Insegnamento medio libero di
Bruxelles (28-31 luglio 1930), pubblicato nella
«Civiltà Cattolica» del 20 settembre 1930.
Il Codice Sociale di
Malines, come è noto, non esclude la possibilità
dell'insurrezione armata da parte dei cattolici: naturalmente
restringe i casi di questa possibilità, ma lascia nel vago e
nell'incerto le condizioni positive per la possibilità stessa,
che però si capisce riguardare certi casi estremi di
soppressione e limitazione dei privilegi ecclesiastici e vaticani. In
questo articolo della «Civiltà Cattolica», proprio
nella prima pagina e senza altra osservazione, si riproduce un brano
del libro: Ch. Terlinden, Guillaume I, roi des Pays bas,
et l'Église Catholique en Belgique (1814-1830),
Bruxelles, Dewit, 1906, Tom. 2, p. 545: «Se Guglielmo I non
avesse violate le libertà e i diritti dei cattolici, questi,
fedeli ad una religione che comanda il rispetto all'autorità,
non avrebbero mai pensato a sollevarsi, né ad unirsi coi
liberali loro irreconciliabili nemici. Né i liberali, pochi
allora e con debole influenza sul popolo, avrebbero potuto da soli
scuotere il giogo straniero. Senza il concorso dei cattolici, la
rivoluzione belga sarebbe stata una sterile sommossa senza esito».
Tutta la citazione è impressionante, in tutti e tre i suoi
periodetti, come interessante è l'intero articolo in cui il
Belgio rappresenta un riferimento polemico d'attualità.
Movimento pancristiano.
La XV settimana sociale di Milano (settembre 1928) trattò la
quistione: «La vera unità religiosa», e il volume
degli atti è uscito con questo titolo presso la Società
editrice «Vita e Pensiero» (Milano, 1928, L. 15).
L'argomento è stato trattato dal punto di vista del Vaticano,
secondo le direttive date dall'Enciclica Mortalium animos del
gennaio 1928, e contro il movimento pancristiano dei protestanti, che
vorrebbero creare una specie di federazione delle diverse sette
cristiane, con eguaglianza di diritti.
È questa
un'offensiva protestante contro il cattolicismo che presenta due
momenti essenziali: 1) le Chiese protestanti tendono a frenare il
movimento disgregatore nelle loro file (che dà luogo
continuamente a nuove sette); 2) si alleano tra loro e ottenendo un
certo consenso da parte degli ortodossi, pongono l'assedio al
Cattolicismo per fargli rinunziare al suo primato e per offrire nella
lotta un fronte unico protestante imponente, invece che una
moltitudine di chiese, sette, tendenze di diversa importanza e che
una per una piú difficilmente potrebbero resistere alla tenace
e unificata iniziativa missionaria cattolica. La quistione dell'unità
delle chiese cristiane è un formidabile fenomeno del
dopoguerra ed è degno della massima attenzione e di studio
accurato.
[La prima comunione.]
Una delle misure piú importanti escogitate dalla Chiesa per
rafforzare la sua compagine nei tempi moderni è l'obbligo
fatto alle famiglie di far fare la prima comunione ai sette
anni. Si capisce l'effetto psicologico che deve fare sui bambini
di sette anni l'apparato cerimoniale della prima comunione, sia come
avvenimento familiare individuale, sia come avvenimento collettivo: e
quale fonte di terrori divenga e quindi di attaccamento alla Chiesa.
Si tratta di «compromettere» lo spirito infantile appena
incomincia a riflettere. Si capisce perciò la resistenza che
la misura ha trovato nelle famiglie, preoccupate dagli effetti
deleteri sullo spirito infantile di questo misticismo precoce e la
lotta della Chiesa per vincere questa opposizione (Ricordare nel
Piccolo Mondo Antico di Fogazzaro la lotta tra Franco Maironi
e la moglie quando si tratta di condurre la bimbetta in barca, in una
notte tempestosa, ad assistere alla messa di Natale: Franco Maironi
vuol creare nella bimba dei «ricordi» incancellabili,
delle «impressioni» decisive; la moglie non vuole turbare
lo sviluppo normale dello spirito della figlia, ecc.). La misura è
stata decretata da Pio X nel 1910. Nel 1928 l'editore Pustet di Roma
ne ha ripubblicato il decreto con prefazione del cardinal Gasparri e
commento di monsignor Jorio, dando luogo a una nuova campagna di
stampa.
Pubblicazioni periodiche
cattoliche. (Cifre ricavate dagli «Annali dell'Italia
Cattolica» per il 1926 e che si riferiscono alla situazione
esistente fino al settembre 1925). I cattolici pubblicavano 627
periodici, cosí classificati dagli «Annali»: 1°)
Quotidiani 18, di cui 13 nell'Italia Settentrionale, 3 nella
Centrale, 1 a Napoli, 1 in Sardegna; 2°) Periodici di
formazione e propaganda cattolica 121, di cui 83 nel
Settentrione, 22 nel Centro, 12 nel Mezzogiorno, 1 in Sardegna, 4 in
Sicilia; 3°) Bollettini ufficiali di Azione Cattolica (Giunta
Centrale e Organizzazioni Nazionali) 17, di cui 1 a Bologna, 5 a
Milano, 11 a Roma; 4) Pubblicazioni di Azione Cattolica nelle
Diocesi 71, di cui 46 nel Settentrione, 15 nel Centro, 5 nel
Mezzogiorno, 1 in Sardegna, 3 in Sicilia; 5°) Periodici
ufficiali di opere e organizzazioni diverse 42, di cui 26 nel
Settentrione, 15 nel Centro (tutti a Roma), 1 nel Mezzogiorno; 6°)
Bollettini diocesani 134, di cui 44 nel Settentrione, 33 nel
Centro, 43 nel Mezzogiorno, 2 in Sardegna, 9 in Sicilia; 7°)
Periodici religiosi 177, di cui 89 nel Settentrione, 53 nel
Centro, 25 nel Mezzogiorno, 3 in Sardegna, 6 in Sicilia; 8°)
Periodici di cultura (arte, scienze e lettere) 41, di cui 17
nel Settentrione, 16 nel Centro, 5 nel Mezzogiorno, 3 in Sicilia; 9°)
Periodici giovanili 16, di cui 10 nel Settentrione, 2 nel
Centro, 2 nel Mezzogiorno, 2 in Sicilia.
Delle 627 pubblicazioni,
328 escono nel Settentrione, 161 nel Centro, 94 nel Mezzogiorno, 8 in
Sardegna, 27 in Sicilia. Sono queste le cifre statistiche, ma se si
tiene conto dell'importanza delle singole pubblicazioni il peso del
Settentrione aumenta e di molto. Sono da calcolare nel '25 circa 280
diocesi e circa 220 Giunte diocesane di Azione Cattolica.
Bisognerebbe fare dei confronti col '19-20 e col periodo posteriore
al Concordato. La composizione dei periodici deve essere molto
mutata: quotidiani e periodici di formazione e propaganda molto
diminuiti, perché piú strettamente legati alla fortuna
del Partito Popolare e all'attività politica. Ricordare
episodi per cui ai settimanali fu proibito in alcune province di
pubblicare réclame e orari tranviari e ferroviari ecc.
[L'Azione Cattolica in
Francia.] Importanza speciale dell'Azione Cattolica francese. È
evidente che in Francia l'Azione Cattolica dispone di un personale
molto piú scelto e preparato che negli altri paesi. Le
Settimane sociali portano in discussione argomenti d'interesse
piú vasto e attuale che negli altri paesi. Un confronto tra le
Settimane francesi e quelle italiane sarebbe interessante.
Inoltre i cattolici hanno un influsso intellettuale in Francia che
non hanno altrove, e questo influsso è meglio centralizzato e
organizzato (ciò per il settore cattolico, s'intende, che per
alcuni aspetti è in Francia ristretto dall'esistenza di una
forte centralizzazione della cultura laica). In Francia inoltre, è
stata costituita l'Union Catholique d'Etudes Internationales,
tra le cui iniziative è quella di una speciale Settimana
Cattolica Internazionale. Mentre è riunita la Assemblea
annuale della Società delle Nazioni, personalità
cattoliche di ogni paese si riuniscono in Francia per una settimana e
discutono i problemi internazionali, contribuendo a creare una unità
concreta di pensiero fra i cattolici di tutto il mondo. Sotto il velo
della cultura si tratta evidentemente di una Internazionale laica
cattolica, distinta dal Vaticano e sulla linea dell'attività
politica parlamentare dei partiti popolari. Nella «Civiltà
Cattolica» del 6 maggio 1933 si recensisce il volume che
raccoglie le relazioni della terza di queste Settimane internazionali
(Les grandes activités de la Société des
Nations devant la pensée chrétienne. Conférences
de la troisième semaine catholique internationale 14-20
septembre 1931, Èditions Spes,
Paris, 1932, in 16°, pp. 267, Fr. 15). È da
appuntare la risposta che il prof. Halecki dell'Università di
Varsavia dà nella sua conferenza alla domanda: «come va
che la Chiesa dopo duemila anni dacché propaga la pace non ha
ancora potuto darcela?» La risposta è questa:
«L'insegnamento di Cristo e della sua Chiesa s'indirizza
individualmente alla persona umana, a ciascuna anima in particolare.
È questa verità che ci spiega perché il
cristianesimo non può operare che assai lentamente sulle
istituzioni e sulle pratiche attività collettive, dovendo
conquistare un'anima dopo l'altra e ricominciare questo sforzo ad
ogni nuova generazione». Per la «Civiltà
Cattolica» questa è una «buona risposta, che può
rafforzarsi con la considerazione semplicissima che l'azione
pacificatrice della Chiesa è contrastata ed elisa di continuo
da quel residuo irriducibile (sic) di paganesimo che sopravvive
tuttora ed infiamma le passioni della violenza. La Chiesa è un
buon medico, ed offre salutari farmachi alla società inferma,
ma questa ricusa in tutto o in parte le medicine». Risposta
molto sofistica e non di difficile confutazione: d'altronde essa è
in contraddizione con altre pretese clericali. Quando conviene i
clericali pretendono che un paese è cattolico al 99% per
dedurne una particolare posizione di diritto della Chiesa nei
confronti dello Stato ecc. Quando conviene, si fanno piccini piccini
ecc. Se fosse vero quello che dice il prof. Halecki, l'attività
della Chiesa in duemila anni sarebbe stata un lavoro di Sisifo e cosí
dovrebbe continuare ad essere. Ma che valore dovrebbe darsi a una
istituzione che non costruisce mai nulla che si prolunghi di
generazione in generazione per forza propria, che non modifica in
nulla la cultura e la concezione del mondo di nessuna generazione,
tanto che occorre sempre riprendere tutto da capo? Il sofisma è
chiaro: quando conviene la Chiesa è identificata con la
società stessa (col 99% di essa almeno), quando non conviene
la Chiesa è solo l'organizzazione ecclesiastica o addirittura
la persona del Papa. Allora la Chiesa è un «medico»
che indica alla società i farmachi ecc. Cosí è
molto curioso, che i gesuiti parlino di «residuo irriducibile»
di paganesimo: se è irriducibile non sparirà mai, la
Chiesa non trionferà mai ecc.
Lucien Romier e l'Azione
Cattolica francese. Il Romier è stato relatore alla
Settimana sociale di Nancy del 1927: vi ha parlato della
«deproletarizzazione delle moltitudini», argomento
che solo indirettamente toccava l'argomento trattato dalla Settimana
sociale, che era dedicata alla «Donna nella Società».
Cosí il padre Danset vi parlò della Razionalizzazione
sotto il rispetto sociale e morale.
Ma il Romier è
elemento attivo dell'Azione Cattolica francese, o solo
incidentalmente ha partecipato a questa riunione?
La Settimana sociale
di Nancy del 1927 è molto importante per la storia della
dottrina politico-sociale dell'Azione Cattolica. Le sue conclusioni,
favorevoli alla piú larga partecipazione femminile alla vita
politica, sono state approvate dal Card. Gasparri a nome di Pio XI.
Il resoconto ne è stato pubblicato nel 1928 (Semaines sociales
de France, La femme dans la société, Parigi,
Gabalda, pp. 564 in 8°). È indispensabile per lo studio
della vita politica francese.
Ricordare che nel 1925 il
Romier aveva accettato di entrare a far parte del gabinetto di
concentrazione nazionale di Herriot: aveva anche accettato di
collaborare con Herriot il capo del gruppo cattolico parlamentare
francese formatosi poco prima. Il Romier non era né deputato
né senatore; era redattore politico del «Figaro».
Dopo questa sua accettazione di entrare in un gabinetto Herriot,
dovette lasciare il «Figaro». Il Romier si era fatto un
nome con le sue pubblicazioni di carattere industriale-sociale. Credo
che il Romier sia stato redattore dell'organo tecnico degli
industriali francesi «La Journée industrielle».
[L'Azione Cattolica in
Germania.] La debolezza di ogni organizzazione nazionale di
Azione Cattolica consiste nel fatto che la sua azione è
limitata e continuamente turbata dalle necessità di politica
internazionale e interna, in ogni Stato, della Santa Sede. A misura
che ogni Azione Cattolica nazionale si estende e diventa organismo di
massa, essa tende a diventare un vero e proprio partito, le cui
direttive sono imposte dalle necessità interne
dell'organizzazione; ma questo processo non può diventare mai
organico appunto per l'intervento della Santa Sede. In questo fatto è
forse da ricercare la ragione per cui in Germania l'Azione Cattolica
non è stata mai molto bene accetta: il Centro si era già
tanto sviluppato come forza politico-parlamentare, impegnata nelle
lotte interne tedesche, che ogni formazione vasta di Azione Cattolica
controllata strettamente dall'Episcopato, ne avrebbe compromesso la
potenza attuale e le possibilità di sviluppo. È da
richiamare il conflitto avvenuto tra il Centro e il Vaticano, quando
il Vaticano volle che il Centro approvasse le leggi militari di
Bismarck, alle quali il Centro si era strenuamente opposto.
Sviluppo simile in Austria,
dove il clericalismo è sempre stato forte politicamente come
partito e non aveva bisogno di una vasta organizzazione permanente
come quella di Azione Cattolica ma solo di greggi elettorali
disorganiche sotto il tradizionale controllo dei parroci.
Die
Katholische Aktion. Materialen und Akten,
von Dr. Erhard Schlund, O.P.M. - Verlag Josef Kosel & Friedrich
Pustet, München, 1928.
È una rassegna
dell'Azione Cattolica nei principali paesi e un'esposizione delle
dottrine papali in proposito. In Germania non esiste l'Azione
Cattolica del tipo comune, ma viene considerata tale l'insieme
dell'organizzazione cattolica. (Ciò significa che in Germania
il cattolicismo è dominato dal protestantesimo e non osa
attaccarlo con una propaganda intensa). Su questa base sarebbe da
studiare come si spieghi la base politica del «Centro».
(Cfr. anche il libro di Monsignor Kaller, Unser Laienapostolat,
2ª ediz., vol. 1, pp. 320, Leusterdorf am Rhein, Verlag des
Johannesbund, 1927).
Il libro dello Schlund
tende a introdurre e popolarizzare in Germania l'Azione Cattolica di
tipo italiano, e certo Pio XI deve spingere in tal senso (forse però
con cautela, perché una accentuata attività potrebbe
risvegliare vecchi rancori e vecchie lotte).
I Cattolici tedeschi per
iniziativa dell'Episcopato hanno, già dal 1919, fondato una
«Lega di Pace dei Cattolici tedeschi». Su questa Lega,
sulle iniziative successive per svilupparla e sul suo programma
confrontare la «Civiltà Cattolica» del 19 gennaio
1929.
In questo stesso fascicolo
vedi la lettera di Pio XI al cardinal Bertram, arcivescovo di
Breslavia, a proposito dell'Azione Cattolica in Germania, e che deve
considerarsi come un intervento personale del Papa per dare un
maggiore impulso al movimento dell'Azione Cattolica che in Germania
pare non trovi caldi organizzatori: la lettera del Papa è un
vero programma teorico-pratico ed è interessante in generale,
oltre che per la Germania. La «Civiltà Cattolica»
commenta a lungo la lettera e si capisce che il commento serve anche
per altri paesi.
L'Azione Cattolica negli
Stati Uniti. Articolo della «Civiltà Cattolica»
del 5 gennaio 1929 su La Campagna elettorale degli Stati
Uniti e le sue lezioni. A proposito della candidatura Smith alla
presidenza della Repubblica.
La «Civiltà
Cattolica» registra l'accanita resistenza delle Chiese
protestanti contro Smith e parla di «guerra di religione».
Non c'è accenno alla posizione assunta dallo Smith verso il
Papa nella sua famosa lettera (cfr. libro del Fontaine sulla Santa
Sede ecc.), che è un elemento di americanismo cattolico.
(Posizione dei cattolici contro il proibizionismo e a favore dei
farmers). Si vede che ogni azione concentrata dei cattolici provoca
una tale reazione che i risultati sono inferiori alla forza che i
cattolici dicono di possedere, quindi pericoli di azione su scala
nazionale concentrata: è stato un errore per i cattolici
fondarsi su un partito tradizionale come quello democratico? mostrare
la religione come legata a un determinato partito? d'altronde
potrebbero, nel sistema attuale americano, fondare un proprio
partito? L'America è un terreno interessante per studiare la
fase attuale del cattolicismo sia come elemento culturale che come
elemento politico.
È interessante la corrispondenza dagli Stati Uniti
pubblicata nella «Civiltà Cattolica» del 20
settembre 1930. I cattolici ricorrono spesso all'esempio degli Stati
Uniti per ricordare la loro compattezza e il loro fervore religioso
in confronto dei protestanti divisi in tante sette e continuamente
rosi dalla tendenza a cadere nell'indifferentismo o
nell'areligiosità, onde l'imponente numero di cittadini che
nei censimenti dichiarano di essere senza religione. Pare però,
da questa corrispondenza, che, anche tra i cattolici,
l'indifferentismo non sia scarso. Si riportano i dati pubblicati in
una serie di articoli pubblicati dalla «rinomata»
«Ecclesiastical Review» di Philadelphia pubblicati nei
mesi precedenti: un parroco afferma che il 44 % dei suoi fedeli
rimase, per tutta una lunga serie di anni, interamente sconosciuto,
nonostante gli sforzi fatti ripetutamente e da parte sua e dai suoi
assistenti ecclesiastici, per arrivare ad un esatto censimento. Con
tutta sincerità ammette che circa una metà del gregge
restò del tutto estraneo alle sue cure, né altro
contatto si ebbe fuori di quello che può dare una irregolare
frequenza alla messa ed ai sacramenti. Sono fatti, a detta degli
stessi parroci, che si avverano in pressoché tutte le
parrocchie degli Stati Uniti.
I cattolici mantengono a
loro spese 7.664 scuole parrocchiali frequentate da 2.201.942 alunni
sotto la guida di religiosi d'ambo i sessi. Rimangono altri 2.750.000
alunni (cioè piú del 50 %) che «o per
infingardaggine dei genitori o per lontananza di luogo sono costretti
a frequentare le scuole governative, areligiose, dove non si ode mai
una parola su Dio, sui doveri verso il Creatore e neppure
sull'esistenza di un'anima immortale».
Un elemento di
indifferentismo è dato dai matrimoni misti: «il 20 %
delle famiglie validamente congiunte in matrimonio misto tralasciano
la Messa, se il padre non appartiene alla fede cattolica; ma qualora
la madre non sia cattolica, la statistica dà il 40 %. Di piú,
questi genitori trascurano totalmente la educazione cristiana della
prole». Si cercò di restringere questi matrimoni misti e
anche di proibirli; ma le condizioni «peggiorarono»
perché i «recalcitranti» in questi casi
abbandonarono la chiesa (con la prole) contraendo unioni «invalide»;
questi casi sono il 67 % se il padre è «eretico»,
il 94 % se «eretica» è la madre. Perciò si
largheggiò: rifiutando la dispensa di matrimonio misto a donne
cattoliche si ha una perdita del 58 %, se si dà la dispensa la
perdita è «solo» del 16 %.
Appare quindi che il numero
dei cattolici negli Stati Uniti è solo un numero statistico,
da censimenti, cioè piú difficilmente uno di origine
cattolica dichiara di essere senza religione, a differenza di quelli
d'origine protestante. Piú ipocrisia, insomma. Da questo si
può giudicare l'esattezza e la sincerità delle
statistiche nei paesi a maggioranza cattolica.
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