I Concordati
Quando incominciarono le
trattative per il Concordato? Il discorso del 1° gennaio 1926 si
riferiva al Concordato? Le trattative dovrebbero avere fasi varie, di
maggiore o minore ufficiosità, prima di entrare nella fase
ufficiale, diplomatica: perciò l'inizio di esse può
essere spostato ed è naturale la tendenza a spostarle per
farne apparire piú rapido il decorso. Nella «Civiltà
Cattolica» del 19 dicembre 1931 a p. 548 (nota bibliografica
sul libro: Wilfred Parsons, The Pope and Italy, Washington,
Tip. Ed. The America Press, 1929, in 16°, pp. 134: il Parsons è
direttore della rivista «America») si dice: «in
fine rievoca fedelmente la storia delle trattative, che dal
1926 si protrassero fino all'anno 1929».
Rapporti tra Stato e
Chiesa. Il «Vorwaerts» del 14 giugno 1929 in un
articolo sul concordato tra la Città del Vaticano e la Prussia
scrive che: «Roma ha ritenuto fosse decaduta (la legislazione
precedente che già costituiva di fatto un concordato) in
seguito ai cambiamenti politici intervenuti in Germania».
Questo principio ammesso, anzi affermato di sua iniziativa dal
Vaticano, può condurre molto lontano ed essere ricco di molte
conseguenze politiche.
Nella «Vossische
Zeitung» del 18 giugno 1929 il ministro delle finanze prussiano
Hoepker-Aschoff, poneva cosí la stessa quistione: «Egualmente
non è possibile disconoscere la fondatezza della tesi di Roma
che, in presenza dei molti cambiamenti politici e territoriali
avvenuti, richiedeva che gli accordi venissero adattati alle nuove
circostanze». Nello stesso articolo lo Hoepker-Aschoff ricorda
che «lo Stato prussiano aveva sempre sostenuto che gli accordi
del 1821 erano ancora in vigore». Per il Vaticano, pare, la
guerra del 1870 coi suoi mutamenti territoriali e politici
(ingrandimenti della Prussia, costituzione dell'Impero germanico
sotto l'egemonia prussiana) e il periodo del Kulturkampf non erano
mutamenti» tali da costituire «nuove circostanze»,
mentre essenziali sarebbero stati i mutamenti avvenuti dopo la grande
guerra. È cambiato evidentemente il pensiero giuridico del
Vaticano e potrebbe ancora cambiare secondo le convenienze politiche.
«Col 1918 si aveva
una importantissima innovazione nel nostro diritto, innovazione che
stranamente (ma nel 1918 c'era la censura sulla stampa!) passava tra
la disattenzione generale: lo Stato riprendeva a sussidiare il culto
cattolico, abbandonando dopo sessantatré anni il principio
cavourriano ch'era stato posto a base della legge sarda 29 maggio
1855: lo Stato non deve sussidiare alcun culto». A. C. Jemolo
nell'articolo Religione dello Stato e confessioni ammesse in
«Nuovi Studi di Diritto, Economia, Politica», Anno 1930,
p. 30. La innovazione fu introdotta con D. L. Luogotenenziale 17
marzo 1918 n. 396 e 9 maggio 1918 n. 655. In proposito lo Jemolo
rimanda alla nota di D. Schiappoli I recenti provvedimenti
economici a vantaggio del clero, Napoli, 1922, estratta dal vol.
XLVIII degli Atti della R. Accademia di scienze morali e politiche di
Napoli.
(Concordati e trattati
internazionali). La capitolazione dello Stato moderno che si
verifica per i concordati viene mascherata identificando verbalmente
concordati e trattati internazionali. Ma un concordato non è
un comune trattato internazionale: nel concordato si realizza di
fatto una interferenza di sovranità in un solo territorio
statale, poiché tutti gli articoli di un concordato si
riferiscono ai cittadini di uno solo degli Stati contrattanti,
sui quali il potere sovrano di uno Stato estero giustifica e
rivendica determinati diritti e poteri di giurisdizione (sia pure di
una speciale determinata giurisdizione). Che poteri ha acquistato il
Reich sulla Città del Vaticano in virtú del recente
concordato? E ancora la fondazione della Città del Vaticano dà
un'apparenza di legittimità alla finzione giuridica che il
concordato sia un comune trattato internazionale bilaterale. Ma si
stipulavano concordati anche prima che la Città del Vaticano
esistesse, ciò che significa che il territorio non è
essenziale per l'autorità pontificia (almeno da questo punto
di vista). Un'apparenza, perché mentre il concordato limita
l'autorità statale di una parte contraente, nel suo proprio
territorio, e influisce e determina la sua legislazione e la sua
amministrazione, nessuna limitazione è accennata per il
territorio dell'altra parte: se limitazione esiste per questa altra
parte, essa si riferisce all'attività svolta nel territorio
del primo Stato, sia da parte dei cittadini della Città
del Vaticano, sia dei cittadini dell'altro Stato che si fanno
rappresentare dalla Città del Vaticano. Il concordato è
dunque il riconoscimento esplicito di una doppia sovranità in
uno stesso territorio statale. Non si tratta certo piú della
stessa forma di sovranità supernazionale (suzeraineté)
quale era formalmente riconosciuta al papa nel Medio Evo, fino alle
monarchie assolute e in altra forma anche dopo, fino al 1848, ma ne è
una derivazione necessaria di compromesso. D'altronde anche nei
periodi piú splendidi del papato e del suo potere
supernazionale, le cose non andarono sempre molto liscie: la
supremazia papale, anche se riconosciuta giuridicamente, era
contrastata di fatto in modo spesso molto aspro e nell'ipotesi piú
ottimista si riduceva ai privilegi politici, economici e fiscali
dell'episcopato dei singoli paesi.
I concordati intaccano in
modo essenziale il carattere di autonomia della sovranità
dello Stato moderno. Lo Stato ottiene una contropartita? Certamente,
ma la ottiene nel suo stesso territorio per ciò che riguarda i
suoi stessi cittadini. Lo Stato tiene (e in questo caso occorrerebbe
dire meglio il governo) che la Chiesa non intralci l'esercizio del
potere, ma anzi lo favorisca e lo sostenga, cosí come una
stampella sostiene un invalido. La Chiesa cioè si impegna
verso una determinata forma di governo (che è determinata
dall'esterno, come documenta lo stesso concordato) di promuovere quel
consenso di una parte dei governati che lo Stato esplicitamente
riconosce di non poter ottenere con mezzi propri: ecco in che
consiste la capitolazione dello Stato, perché di fatto esso
accetta la tutela di una sovranità esteriore di cui
praticamente riconosce la superiorità. La stessa parola
«concordato» è sintomatica. Gli articoli
pubblicati nei «Nuovi Studi» sul concordato sono tra i
piú interessanti e si prestano piú facilmente alla
confutazione. (Ricordare il «trattato» subito dalla
Repubblica democratica georgiana dopo la sconfitta del generale
Denikin).
Ma anche nel mondo moderno,
cosa significa praticamente la situazione creata in uno Stato dalle
stipulazioni concordatarie? Significa il riconoscimento pubblico a
una casta di cittadini dello stesso Stato di determinati privilegi
politici. La forma non è piú quella medioevale, ma la
sostanza è la stessa. Nello sviluppo della storia moderna,
quella casta aveva visto attaccato e distrutto un monopolio di
funzione sociale che spiegava e giustificava la sua esistenza, il
monopolio della cultura e dell'educazione. Il concordato riconosce
nuovamente questo monopolio, sia pure attenuato e controllato, poiché
assicura alla casta posizioni e condizioni preliminari che, con le
sole sue forze, con l'intrinseca adesione della sua concezione del
mondo alla realtà effettuale, non potrebbe mantenere e avere.
Si intende quindi la lotta
sorda e sordida degli intellettuali laici e laicisti contro gli
intellettuali di casta per salvare la loro autonomia e la loro
funzione. Ma è innegabile la loro intrinseca capitolazione e
il loro distacco dallo Stato. Il carattere etico di uno Stato
concreto, di un determinato Stato, è definito dalla sua
legislazione in atto e non dalle polemiche dei franchi tiratori della
cultura. Se questi affermano: lo Stato siamo noi, essi affermano solo
che il cosí detto Stato unitario è solo appunto «cosí
detto», perché di fatto nel suo seno esiste una
scissione molto grave, tanto piú grave in quanto è
affermato implicitamente dagli stessi legislatori e governanti i
quali infatti dicono che lo Stato è nello stesso tempo due
cose: quello delle leggi scritte e applicate e quello delle coscienze
che intimamente non riconoscono quelle leggi come efficienti e
cercano sordidamente di svuotarle (o almeno limitarle nelle
applicazioni) di contenuto etico. Si tratta di un machiavellismo da
piccoli politicanti; i filosofi dell'idealismo attuale, specialmente
della sezione pappagalli ammaestrati dei «Nuovi Studi»,
si possono dire le piú illustri vittime del machiavellismo. È
utile da studiare la divisione del lavoro che si cerca di
stabilire tra la casta e gli intellettuali laici: alla prima viene
lasciata la formazione intellettuale e morale dei giovanissimi
(scuole elementari e medie), agli altri lo sviluppo ulteriore dei
giovani nell'Università. Ma la scuola universitaria non è
sottoposta allo stesso regime di monopolio cui invece sottostà
la scuola elementare e media. Esiste l'Università del Sacro
Cuore e potranno essere organizzate altre Università
Cattoliche equiparate in tutto alle Università statali. Le
conseguenze sono ovvie: la scuola elementare e media è la
scuola popolare e della piccola borghesia, strati sociali che sono
monopolizzati educativamente dalla casta, poiché la
maggioranza dei loro elementi non giungono all'Università,
cioè non conosceranno l'educazione moderna nella sua fase
superiore critico-storica ma solo conosceranno l'educazione
dogmatica. L'Università è la scuola della classe (e del
personale) dirigente in proprio, è il meccanismo attraverso il
quale avviene la selezione degli individui delle altre classi da
incorporare nel personale governativo, amministrativo, dirigente. Ma
con l'esistenza, a parità di condizioni, di università
cattoliche, anche la formazione di questo personale non sarà
piú unitaria e omogenea. Non solo: ma la casta, nelle
università proprie, realizzerà una concentrazione di
cultura laico-religiosa, quale da molti decenni non si vedeva piú
e si troverà di fatto in condizioni molto migliori della
concentrazione laico-statale. Non è infatti neanche
lontanamente paragonabile l'efficienza della Chiesa, che sta tutta
come un blocco a sostegno della propria università, con
l'efficienza organizzativa della cultura laica. Se lo Stato (anche
nel senso piú vasto di società civile) non si esprime
in una organizzazione culturale secondo un piano centralizzato e non
può neanche farlo, perché la sua legislazione in
materia religiosa è quella che è, e la sua equivocità
non può non essere favorevole alla Chiesa, data la massiccia
struttura di questa e il peso relativo e assoluto che da tale
struttura omogenea si esprime, e se i titoli dei due tipi di
università sono equiparati, è evidente che si formerà
la tendenza a che le università cattoliche siano esse il
meccanismo selettivo degli elementi piú intelligenti e capaci
delle classi inferiori da immettere nel personale dirigente.
Favoriranno questa tendenza: il fatto che non c'è
discontinuità educativa tra le scuole medie e l'Università
cattolica, mentre tale discontinuità esiste per le Università
laico-statali; il fatto che la Chiesa, in tutta la sua struttura, è
già attrezzata per questo lavoro di elaborazione e selezione
dal basso. La Chiesa, da questo punto di vista, è un organismo
perfettamente democratico (in senso paternalistico): il figlio di un
contadino o di un artigiano, se intelligente e capace, e se duttile
abbastanza per lasciarsi assimilare dalla struttura ecclesiastica e
per sentirne il particolare spirito di corpo e di conservazione e la
validità degli interessi presenti e futuri, può,
teoricamente, diventare cardinale e papa. Se nell'alta gerarchia
ecclesiastica l'origine democratica è meno frequente di quanto
potrebbe essere, ciò avviene per ragioni complesse, in cui
solo parzialmente incide la pressione delle grandi famiglie
aristocratiche cattoliche o la ragione di Stato (internazionale): una
ragione molto forte è questa, che molti Seminari sono assai
male attrezzati e non possono educare compiutamente il popolano
intelligente, mentre il giovane aristocratico dal suo stesso ambiente
famigliare riceve senza sforzo di apprendimento una serie di
attitudini e di qualità che sono di primo ordine per la
carriera ecclesiastica: la tranquilla sicurezza della propria dignità
e autorità e l'arte di trattare e governare gli altri.
Una ragione di debolezza
della Chiesa nel passato consisteva in ciò che la religione
dava scarse possibilità di carriera all'infuori della carriera
ecclesiastica: il clero stesso era deteriorato qualitativamente dalle
«scarse vocazioni» o dalle vocazioni di soli elementi
intellettualmente subalterni. Questa crisi era già molto
visibile prima della guerra: era un aspetto della crisi generale
delle carriere a reddito fisso con organici lenti e pesanti, cioè
dell'inquietudine sociale dello strato intellettuale subalterno
(maestri, insegnanti medi, preti, ecc.) in cui operava la concorrenza
delle professioni legate allo sviluppo dell'industria e
dell'organizzazione privata capitalistica in generale (giornalismo,
per esempio, che assorbe molti insegnanti, ecc.). Era già
incominciata l'invasione delle scuole magistrali o delle Università
da parte delle donne e, con le donne, dei preti, ai quali la Curia
(dopo le leggi Credaro) non poteva proibire di procurarsi un titolo
pubblico che permettesse di concorrere anche a impieghi di Stato e
aumentare cosí la «finanza» individuale. Molti di
questi preti, appena ottenuto il titolo pubblico, abbandonarono la
Chiesa (durante la guerra, per la mobilitazione e il contatto con
ambienti di vita meno soffocanti e angusti di quelli ecclesiastici,
questo fenomeno acquistò una certa ampiezza). L'organizzazione
ecclesiastica subiva dunque una crisi costituzionale che poteva
essere fatale alla sua potenza, se lo Stato avesse mantenuto integra
la sua posizione di laicità, anche senza bisogno di una lotta
attiva. Nella lotta tra le forme di vita, la Chiesa stava per perire
automaticamente, per esaurimento proprio. Lo Stato salvò la
Chiesa. Le condizioni economiche del clero furono migliorate a piú
riprese, mentre il tenore della vita generale, ma specialmente dei
ceti medi, peggiorava. Il miglioramento è stato tale che le
«vocazioni» si sono meravigliosamente moltiplicate,
impressionando lo stesso pontefice, che le spiegava appunto con la
nuova situazione economica. La base della scelta degli idonei al
clericato è stata quindi ampliata, permettendo piú
rigore e maggiori esigenze culturali.
Ma la carriera
ecclesiastica, se è il fondamento piú solido della
potenza vaticana, non esaurisce le sue possibilità. La nuova
struttura scolastica permette l'immissione nel personale dirigente
laico di cellule cattoliche che andranno sempre piú
rafforzandosi, di elementi che dovranno la loro posizione solamente
alla Chiesa. È da pensare che l'infiltrazione clericale nella
compagine dello Stato sia per aumentare progressivamente, poiché
nell'arte di selezionare gli individui e di tenerli permanentemente a
sé legati, la Chiesa è quasi imbattibile. Controllando
i licei e le altre scuole medie, attraverso i suoi fiduciari, essa
seguirà, con la tenacia che le è caratteristica, i
giovani piú valenti delle classi povere e li aiuterà a
proseguire gli studi nelle Università cattoliche. Borse di
studio, sussidiate da convitti, organizzati con la massima economia,
accanto alle Università, permetteranno questa azione. La
Chiesa, nella sua fase odierna, con l'impulso dato dall'attuale
pontefice all'Azione Cattolica, non può accontentarsi solo di
creare preti; essa vuole permeare lo Stato (ricordare la teoria del
governo indiretto elaborata dal Bellarmino) e per ciò sono
necessari i laici, è necessaria una concentrazione di cultura
cattolica rappresentata da laici. Molte personalità possono
diventare ausiliari della Chiesa piú preziosi come professori
d'Università, come alti funzionari dell'amministrazione, ecc.,
che come cardinali o vescovi.
Allargata la base di scelta
delle «vocazioni», una tale attività
laico-culturale ha grandi possibilità di estendersi.
L'Università del Sacro Cuore e il centro neoscolastico sono
solo le prime cellule di questo lavoro. È intanto stato
sintomatico il Congresso filosofico del 1929: vi si scontrarono
idealisti attuali e neoscolastici e questi parteciparono al Congresso
animati da spirito battagliero di conquista. Il gruppo neoscolastico,
dopo il concordato voleva appunto apparire battagliero, sicuro di sé
per interessare i giovani. Occorre tener conto che una delle forze
dei cattolici consiste in ciò che essi si infischiano delle
«confutazioni perentorie» dei loro avversari non
cattolici: la tesi confutata essi la riprendono imperturbati e come
se nulla fosse. Il «disinteresse» intellettuale, la
lealtà e onestà scientifica essi non le capiscono o le
capiscono come debolezza e dabbenaggine degli altri. Essi contano
sulla potenza della loro organizzazione mondiale che si impone come
fosse una prova di verità, e sul fatto che la grande
maggioranza della popolazione non è ancora «moderna»,
è ancora tolemaica come concezione del mondo e della scienza.
Se lo Stato rinunzia a
essere centro attivo e permanentemente attivo di una cultura propria,
autonoma, la Chiesa non può che trionfare sostanzialmente. Ma
lo Stato non solo non interviene come centro autonomo, ma distrugge
ogni oppositore della Chiesa che abbia la capacità di
limitarne il dominio spirituale sulle moltitudini.
Si può prevedere che
le conseguenze di una tale situazione di fatto, restando immutato il
quadro generale delle circostanze, possono essere della massima
importanza. La Chiesa è uno Shylok anche piú
implacabile dello Shylok shakespeariano: essa vorrà la sua
libbra di carne anche a costo di dissanguare la sua vittima e con
tenacia, mutando continuamente i suoi metodi, tenderà a
raggiungere il suo programma massimo. Secondo l'espressione di
Disraeli, i cristiani sono gli ebrei piú intelligenti che
hanno capito come occorreva fare per conquistare il mondo. La Chiesa
non può essere ridotta alla sua forza «normale»
con la confutazione in sede filosofica dei suoi postulati teorici e
con le affermazioni platoniche di una autonomia statale (che non sia
militante): ma solo con l'azione pratica quotidiana, con
l'esaltazione delle forze umane creatrici in tutta l'area sociale.
Un aspetto della quistione
che occorre ben valutare è quello delle possibilità
finanziarie del centro vaticano. L'organizzazione sempre piú
in isviluppo del cattolicismo negli Stati Uniti dà la
possibilità di raccogliere fondi molto vistosi, oltre alle
rendite normali ormai assicurate (che però dal 1937
diminuiranno di 15 milioni all'anno per la conversione del debito
pubblico dal 5% al 3,50%) e all'obolo di S. Pietro. Potrebbero
nascere quistioni internazionali a proposito dell'intervento della
Chiesa negli affari interni dei singoli paesi, con lo Stato che
sussidia permanentemente la Chiesa? La quistione è elegante,
come si dice.
La quistione finanziaria
rende molto interessante il problema della cosí detta
indissolubilità tra Trattato e Concordato proclamata dal
pontefice. Ammesso che il papa si trovasse nella necessità di
ricorrere a questo mezzo politico di pressione sullo Stato, non si
porrebbe subito il problema della restituzione delle somme riscosse
(che sono legate appunto al Trattato e non al Concordato)? Ma esse
sono cosí ingenti ed è pensabile che saranno state
spese in gran parte nei primi anni, che la loro restituzione può
ritenersi praticamente impossibile. Nessuno Stato potrebbe fare un
cosí gran prestito al Pontefice per trarlo d'imbarazzo e tanto
meno un privato o una banca. La denunzia del Trattato scatenerebbe
una tale crisi nella organizzazione pratica della Chiesa, che la
solvibilità di questa, sia pure a grande scadenza, sarebbe
annientata. La convenzione finanziaria annessa al Trattato deve
essere pertanto considerata come la parte essenziale del Trattato
stesso, come la garanzia di una quasi impossibilità di
denunzia del Trattato, prospettata per ragioni polemiche e di
pressione politica.
Brano di lettera di Leone
XIII a Francesco Giuseppe (in data pare del giugno 1892, riportata a
pp. 244 e sgg. del libro: Francesco Salata, Per la storia
diplomatica della Questione Romana, 1, Treves, 1929): «E
non taceremo, che in mezzo a tali impacci Ci manca pure il modo di
sopperire del proprio alle incessanti e molteplici esigenze
materiali, inerenti al governo della Chiesa. Vero è che ne
vengono in soccorso le offerte spontanee della carità; ma Ci
sta sempre innanzi con rammarico il pensiero che esse tornano di
aggravio ai Nostri figli; e d'altra parte non si deve pretendere
che inesauribile sia la carità pubblica». «Di
proprio» significa «riscosse con imposte» dai
cittadini di uno Stato pontificio, per i cui sacrifizi non si prova
rammarico, a quanto pare: sembra naturale che le popolazioni
italiane paghino le spese della Chiesa universale.
Nel conflitto tra Bismarck
e la Santa Sede si possono trovare gli spunti di una serie di
quistioni che potrebbero essere sollevate per il fatto che il
Vaticano ha la sede in Italia ed ha determinati rapporti con lo Stato
italiano: Bismarck «fece lanciare da' suoi giuristi (scrive il
Salata, vol. cit., p. 271) la teoria della responsabilità
dello Stato italiano per i fatti politici del Papa che l'Italia aveva
costituito in tale condizione di invulnerabilità e
irresponsabilità per danni ed offese recate dal Pontefice ad
altri Stati».
(Cfr. p.
15 bis). Il Direttore Generale del Fondo per il Culto,
Raffaele Jacuzio, ha pubblicato un Commento della nuova
legislazione in materia ecclesiastica con prefazione di Alfredo
Rocco (Torino, Utet, 1932, in 8°, pp. 693, L. 60) dove raccoglie
e commenta tutti gli atti sia degli organi statali italiani, che di
quelli vaticaneschi per la messa in esecuzione del concordato.
Accennando alla quistione dell'Azione Cattolica lo Jacuzio scrive (p.
203): «Ma poiché nel concetto di politica non rientra
soltanto la tutela dell'ordinamento giuridico dello Stato, ma anche
tutto quanto si attiene alle provvidenze di ordine economico sociale,
è ben difficile... ritenere nell'Azione Cattolica a priori
esclusa ogni azione politica quando... si fanno rientrare in essa
l'azione sociale ed economica e l'educazione spirituale della
gioventú».
Sul concordato è
anche da vedere il libro di Vincenzo Morello: Il conflitto dopo il
Concordato (Bompiani, 1931) e la risposta di Egilberto Martire:
Ragioni della Conciliazione (Roma, «Rassegna Romana»,
1932). Sulla polemica Morello-Martire è da vedere l'articolo
firmato Novus nella «Critica Fascista» del 1°
febbraio 1933 (Una polemica sulla Conciliazione). Il Morello
pone in rilievo quei punti del Concordato in cui lo Stato è
venuto meno a se stesso, ha abdicato alla sua sovranità, non
solo, ma, pare, mette anche in rilievo come in alcuni punti le
concessioni fatte alla Chiesa siano piú ampie di quelle fatte
da altri paesi concordatari. I punti controversi sono principalmente
quattro: 1) il matrimonio; per l'art. 43 del Concordato il matrimonio
è disciplinato dal diritto canonico, cioè viene
applicato nell'ambito statale un diritto ad esso estraneo. Per esso i
cattolici, in base a un diritto estraneo allo Stato, possono avere
annullato il matrimonio, a differenza dei non cattolici, mentre
«l'essere o non essere cattolici dovrebbe essere irrilevante
agli effetti civili»; 2) per l'art. 5, comma 3°, c'è
l'interdizione da alcuni uffici pubblici per i sacerdoti apostati o
irretiti da censura, cioè si applica una «pena»
del Codice Penale a persone che non hanno commesso, di fronte allo
Stato, nessun reato punibile; l'art. 1° del Codice vuole invece
che nessun cittadino possa essere punito se non per un fatto
espressamente preveduto dalla legge penale come reato; 3) per il
Morello non si vede quali siano le ragioni di utilità per cui
lo Stato ha fatto tabula rasa delle leggi eversive, riconoscendo agli
enti ecclesiastici e ordini religiosi l'esistenza giuridica, la
facoltà di possedere ed amministrare i propri beni; 4)
insegnamento; esclusione recisa e totale dello Stato dalle scuole
ecclesiastiche e non già solo da quelle che preparano
tecnicamente i sacerdoti (cioè esclusione del controllo
statale dall'insegnamento della teologia, ecc.) ma da quelle dedicate
all'insegnamento generale. L'art. 39 del Concordato si riferisce
infatti anche alle scuole elementari e medie tenute dal clero in
molti Seminari, collegi e conventi, delle quali il clero si serve per
attrarre fanciulli e giovinetti al sacerdozio e alla vita monastica,
ma che in sé non sono ancora specializzate. Questi alunni
dovrebbero aver diritto alla tutela dello Stato. Pare che in altri
concordati si sia tenuto conto di certe garanzie verso lo Stato, per
cui anche il clero non sia formato in modo contrario alle leggi e
all'ordine nazionale, e precisamente imponendo che per avere molti
uffici ecclesiastici è necessario un titolo di studio pubblico
(quello che dà adito alle Università).
La circolare ministeriale
su cui insiste «Ignotus» nel suo libretto Stato
fascista, Chiesa e Scuola (Libreria del Littorio, Roma, 1929),
dicendo che «non viene da molti giudicata un monumento di
prudenza politica, in quanto si esprimerebbe con eccessivo zelo, con
quello zelo che Napoleone (vorrà dire Talleyrand) non voleva
assolutamente, con uno zelo che potrebbe sembrare eccessivo se il
documento anziché da un Ministero civile, fosse stato diramato
dalla stessa amministrazione ecclesiastica», è firmata
dal ministro Belluzzo e inviata il 28 marzo 1929 ai Provveditori
(Circolare n. 54 pubblicata nel «Bollettino Ufficiale»
del Ministero dell'Educazione Nazionale il 16 aprile 1929, riportata
integralmente nella «Civiltà Cattolica» del 18
maggio successivo). Secondo «Ignotus» questa circolare
avrebbe facilitato ai cattolici un'interpretazione estensiva
dell'articolo 36 del Concordato. Ma è poi vero? «Ignotus»
scrive che l'Italia con l'art. 36 del Concordato non riconoscerebbe
ma appena (!?) considererebbe «fondamento e
coronamento dell'istruzione pubblica l'insegnamento della Dottrina
cristiana secondo la forma ricevuta dalla tradizione cattolica».
Ma è logica questa restrizione di «Ignotus» e
questa interpretazione cavillosa del verbo «considerare»?
La quistione certo è grave e probabilmente i compilatori dei
documenti non pensarono a tempo alla portata delle loro concessioni,
quindi questo brusco arretramento. (È da pensare che il
cambiamento di nome del Ministero, da «Istruzione pubblica»
in «Educazione nazionale», sia legato a questa necessità
di interpretazione restrittiva dell'articolo 36 del Concordato,
volendo poter affermare che altro è «istruzione»,
momento «informativo», ancora elementare e preparatorio,
e altro è «educazione», momento «formativo»,
coronamento del processo educativo, secondo la pedagogia del
Gentile).
Le parole «fondamento
e coronamento» del Concordato ripetono l'espressione del R.
Decreto 1° ottobre 1923 n. 2.185 sull'Ordinamento dei gradi
scolastici e dei programmi didattici dell'istruzione elementare:
«A fondamento e coronamento della istruzione elementare in ogni
suo grado è posto l'insegnamento della dottrina
cristiana, secondo la forma ricevuta nella tradizione cattolica».
Il 21 marzo 1929 la «Tribuna» in un articolo,
L'insegnamento religioso nelle scuole medie, ritenuto di
carattere ufficioso, scrisse: «Lo Stato fascista ha disposto
che la religione cattolica, base dell'unità intellettuale
e morale del nostro popolo, fosse insegnata non soltanto nella scuola
dei fanciulli, ma anche in quella dei giovani».
I cattolici, naturalmente,
mettono in relazione tutto ciò col 1° articolo dello
Statuto, riconfermato nel 1° articolo del Trattato con la Santa
Sede interpretando che lo Stato, in quanto tale, professa la
religione cattolica e non già solo che lo Stato, in
quanto, nella sua attività, ha bisogno di cerimonie religiose,
determina che esse devono essere «cattoliche».
Confrontare sul punto di vista cattolico per la scuola pubblica
l'articolo (del padre M. Barbera) Religione e filosofia nelle
scuole medie, nella «Civiltà Cattolica» del 1°
giugno 1929.
Allegata alla legge delle Guarantigie fu una disposizione in cui
si fissava che se nei prossimi 5 anni dopo la promulgazione della
legge stessa il Vaticano si rifiutava di accettare l'indennità
stabilita, il diritto all'indennità sarebbe venuto a cadere.
Appare invece che nei bilanci fino al 1928 era sempre impostata la
voce dell'indennità al Papa: come mai? fu forse modificata la
disposizione del 1871 allegata alle Guarantigie e quando e per quali
ragioni? La quistione è molto importante.
Natura dei Concordati.
Nella sua lettera al cardinal Gasparri del 30 maggio 1929, Pio XI
scrive: «Anche nel Concordato sono in presenza, se non due
Stati, certissimamente due sovranità pienamente tali, cioè
pienamente perfette, ciascuna nel suo ordine, ordine necessariamente
determinato dal rispettivo fine, dove è appena d'uopo
soggiungere che la oggettiva dignità dei fini, determina non
meno oggettivamente e necessariamente l'assoluta superiorità
della Chiesa».
Questo è il terreno
della Chiesa: avendo accettato due strumenti distinti nello stabilire
i rapporti tra Stato e Chiesa, il Trattato e il Concordato, si è
accettato questo terreno necessariamente: il Trattato determina
questo rapporto tra due Stati, il Concordato determina i rapporti tra
due sovranità nello «stesso Stato», cioè si
ammette che nello stesso Stato ci sono due sovranità uguali,
poiché trattano a parità di condizioni (ognuna nel suo
ordine). Naturalmente anche la Chiesa sostiene che non c'è
confusione di sovranità, ma perché sostiene che nello
«spirituale» allo Stato non compete sovranità
e se lo Stato se l'arroga, commette usurpazione. Anche la Chiesa
sostiene inoltre che non ci può essere duplice sovranità
nello stesso ordine di fini, ma appunto perché sostiene la
distinzione dei fini e si dichiara unica sovrana nel terreno dello
spirituale.
Il padre L. Taparelli nel
suo libro Esame critico degli ordini rappresentativi cosí
definisce i concordati: «... sono convenzioni fra due autorità
governanti una medesima nazione cattolica». Quando si
stabilisce una convenzione, hanno per lo meno uguale importanza
giuridica le interpretazioni della convenzione stessa che ne danno le
due parti.
Chiesa e Stato in Italia
prima della Conciliazione. È da rivedere a questo
proposito l'articolo La Conciliazione fra lo Stato italiano
e la Chiesa (Cenni cronistorici) nella «Civiltà
Cattolica» del 2 marzo 1929 (la rubrica continua nei fascicoli
successivi ed è da rivedere), per alcuni accenni interessanti
(– interessanti anche perché avere accennato a certi
fatti indica che ad essi, quando avvennero, si dava una certa
importanza –). Cosí si fa un cenno speciale alla
«Settimana Sociale» di Venezia del 1912, presieduta dal
Marchese Sassoli de Bianchi e alla «Settimana sociale» di
Milano del 1913 che trattò delle «libertà civili
dei cattolici»; perché proprio nel 1912 e 1913 i
cattolici come organizzazione di massa trattarono della Quistione
romana e ne determinarono i punti fondamentali da superare per la sua
soluzione? Basta pensare alla guerra libica, e al fatto che in ogni
periodo di guerra lo Stato ha bisogno della massima pace e unità
morale e civile.
In questo articolo sono
riportati brani di articoli d'occasione pubblicati al momento della
conciliazione. Cosí il sen. Petrillo (nel «Popolo
d'Italia» del 17 febbraio 1929) ricorda ciò che avvenne
nei circoli governativi e parlamentari italiani alla morte di
Benedetto XV (Il governo Bonomi voleva evitare una commemorazione in
Parlamento di Benedetto XV, ciò che avrebbe costretto il
governo a intervenire ed esso non voleva fare nessuna manifestazione
politica né in un senso né in un altro. Bonomi era
appoggiato dai popolari e aveva ministri popolari nel gabinetto;
ricordare che io mi trovavo a Roma in quei giorni e mi recai da
Bevione – sottosegretario alla presidenza – in compagnia
di Bombacci per avere un passaporto: Bevione era impaziente e voleva
assicurarsi che nessun gruppo avrebbe preso un'iniziativa che potesse
trascinare altri gruppi e mettere il governo nella necessità
di intervenire. In realtà nessuno parlò, ma Petrillo si
guarda bene dallo spiegare perché, proprio nessuno, nessuno,
abbia parlato. Sarebbe stato bene, da certi punti di vista, che
avesse parlato Salandra, si può concedere; ma perché,
avendo rifiutato Salandra di parlare, nessun altro parlò? e
perché solo Salandra deve essere rimproverato?)
Conflitto tra Stato e
Chiesa come categoria eterna storica. Cfr. a questo proposito il
capitolo corrispondente di Croce nel suo libro sulla politica. Si
potrebbe aggiungere che, in un certo senso, il conflitto tra «Stato
e Chiesa» simbolizza il conflitto tra ogni sistema di idee
cristallizzate, che rappresentano una fase passata della storia, e le
necessità pratiche attuali. Lotta tra conservazione e
rivoluzione, ecc., tra il pensato e il nuovo pensiero, tra il vecchio
che non vuol morire e il nuovo che vuol vivere, ecc.
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