La religione, il lotto e l'oppio della
miseria.
Testimonianze
cattoliche. «Si insidia e si sovverte lentamente l'unità
religiosa della patria; s'insegna la ribellione alla Chiesa,
rappresentandola quale semplice società umana, che si
arrogherebbe diritti che non ha, e di rimbalzo si colpisce anche la
società civile, e si preparano gli uomini all'insofferenza di
ogni giogo. Poiché, scosso il giogo di Dio e della Chiesa,
quale altro se ne troverà che possa frenare l'uomo, e
costringerlo al dovere duro della vita quotidiana?»: «Civiltà
Cattolica», 2 gennaio 1932, ultimo periodo dell'articolo Il
regno di Dio secondo alcuni filosofi moderni. Espressioni di
questo genere sono diventate sempre piú frequenti nella
«Civiltà Cattolica» (accanto alle espressioni che
propongono la filosofia di S. Tomaso come «filosofia nazionale»
italiana, come «prodotto nazionale» che deve preferirsi
ai prodotti stranieri) e ciò è per lo meno strano,
perché è la teorizzazione esplicita della religione
come strumento di azione politica.
La religione, il lotto e
l'oppio della miseria. Nelle Conversazioni critiche (Serie
II, pp. 300-301) il Croce ricerca la «fonte» del Paese
di Cuccagna di Matilde Serao e la trova in un pensiero del
Balzac. Nel racconto La Rabouilleuse scritto nel 1841 e poi
intitolato Un ménage de garçon, narrandosi di
madama Descoings la quale da ventun anno giocava un famoso suo terno,
il «sociologo e filosofo romanziere» osserva: «Cette
passion, si universellement condamnée, n'a jamais été
étudiée. Personne n'y a
l'opium de la misère. La loterie, la plus puissante fée
du monde, ne développerait-elle pas des espérances
magiques? Le coup de roulette qui faisait voir aux joueurs des masses
d'or et de jouissances ne durait que ce que dure un éclair:
tandis que la loterie donnait cinq jours d'existence à ce
magnifique éclair. Quelle est aujourd'hui la puissance sociale
qui peut, pour quarante sous, vous rendre heureux pendant cinq jours
et vous livrer idéalement tous les bonheurs de la
civilisation?»
Il Croce aveva già
notato (nel suo saggio sulla Serao, Letteratura della nuova
Italia, III, p. 51) che il Paese di Cuccagna (1890) aveva
la sua idea generatrice in un brano dell'altro libro della Serao, Il
ventre di Napoli (1884), nel quale «si lumeggia il gioco
del lotto come "il grande sogno di felicità" che il
popolo napoletano "rifà ogni settimana", vivendo
"per sei giorni in una speranza crescente, invadente, che si
allarga, esce dai confini della vita reale"; il sogno "dove
sono tutte le cose di cui esso è privato, una casa pulita,
dell'aria salubre e fresca, un bel raggio di sole caldo per terra, un
letto bianco e alto, un comò lucido, i maccheroni e la carne
ogni giorno, e il litro di vino, e la culla pel bimbo, e la
biancheria per la moglie, e il cappello nuovo per il marito"».
Il brano di Balzac potrebbe
anche connettersi con l'espressione «oppio del popolo»
impiegata nella Critica della filosofia del Diritto di Hegel
pubblicata nel 1844 (verificare la data), il cui autore fu un
grande ammiratore di Balzac: «Aveva una tale ammirazione per
Balzac che si proponeva di scrivere un saggio critico sulla Commedia
umana», scrive Lafargue nei suoi ricordi su Carlo Marx
pubblicati nella nota raccolta del Riazanov (p. 114 dell'edizione
francese). In questi ultimi tempi (forse nel 1931) è stata
pubblicata una lettera inedita di Engels in cui si parla diffusamente
del Balzac e dell'importanza culturale che occorre attribuirgli.
È probabile che il
passaggio dall'espressione «oppio della miseria» usata
dal Balzac per il lotto, all'espressione «oppio del popolo»
per la religione, sia stato aiutato dalla riflessione sul «pari»
di Pascal, che avvicina la religione al gioco d'azzardo, alle
scommesse. È da ricordare che proprio nel 1843 Victor Cousin
segnalò il manoscritto autentico delle Pensées di
Pascal che erano state stampate per la prima volta nel 1670 dai suoi
amici di Port-Royal molto scorrettamente, e furono ristampate nel
1844 dall'editore Faugère dal manoscritto segnalato dal
Cousin. Le Pensées, in cui Pascal svolge il suo
argomento del «pari», sono i frammenti di una Apologie
de la Religion chrétienne che Pascal non condusse a
termine. Ecco la linea del pensiero di Pascal
(secondo G. Lanson, Storia della
letteratura francese, 19a
ed., pp. 464): «Les hommes ont mépris
pour la religion, ils en ont haine et peur qu'elle soit vraie. Pour
guérir cela, il faut commencer par montrer que la religion
n'est point contraire à la raison; ensuite, qu'elle est
vénérable, en donner respect; la rendre ensuite
aimable, faire souhaiter aux bons quelle fût vraie, et puis
montrer qu'elle est vraie».
Dopo il discorso contro
l'indifferenza degli atei che serve come introduzione generale
dell'opera, Pascal esponeva la sua tesi dell'impotenza della ragione,
incapace di saper tutto e di saper qualcosa con certezza, ridotta a
giudicare dalle apparenze offerte dall'ambiente delle cose. La fede è
un mezzo superiore di conoscenza: essa si esercita oltre i limiti cui
può giungere la ragione. Ma anche se ciò fosse, anche
se nessun mezzo si avesse per giungere a Dio, attraverso la ragione o
attraverso una qualsiasi altra via, nell'assoluta impossibilità
di sapere, bisognerebbe tuttavia operare come se si sapesse. Poiché,
secondo il calcolo delle probabilità, c'è vantaggio a
scommettere che la religione è vera, e a regolare la propria
vita come se essa fosse vera. Vivendo cristianamente si rischia
infinitamente poco, qualche anno di torbidi piaceri (plaisir mêlé),
per guadagnare l'infinito, la gioia eterna. È da riflettere
che il Pascal è stato molto fine nel dare forma letteraria,
giustificazione logica e prestigio morale a questo argomento della
scommessa, che in realtà è un diffuso modo di pensare
verso la religione, ma un modo di pensare che «si vergogna di
se stesso» perché nel tempo stesso che soddisfa, appare
indegno e basso. Pascal ha affrontato la «vergogna» (se
cosí si può dire, poiché potrebbe essere che
l'argomento del «pari» oggi popolare, in forme popolari,
sia derivato dal libro del Pascal e non sia stato conosciuto prima) e
ha cercato di dare dignità e giustificazione al modo di
pensare popolare (quante volte si è sentito dire: «cosa
ci perdi ad andare in chiesa, a credere in Dio? Se non c'è,
pazienza; ma se c'è, quanto ti sarà utile aver creduto?
ecc.). Questo modo di pensare, anche nella forma pascaliana del
«pari», sente alquanto di volterrianismo e ricorda il
modo di esprimersi di Heine: «chissà che il padre eterno
non ci prepari una qualche bella sorpresa dopo la morte» o
qualcosa di simile. (Vedere come gli studiosi del Pascal spiegano e
giustificano moralmente l'argomento del «pari». Ci deve
essere uno studio di P. P. Trompeo nel volume Rilegature
gianseniste in cui si parla dell'argomento del «pari»
in rapporto al Manzoni. Da vedere anche il Ruffini pel suo studio sul
Manzoni religioso).
Da un articolo di Arturo
Marescalchi, Durare! Anche nella bachicoltura, nel «Corriere
della Sera» del 24 aprile 1932: «Per ogni mezza oncia di
seme messo in allevamento si concorre a premi che da modesta cifra
(ve ne sono 400 da mille lire) arrivano ai parecchi da 10 a 20 mila
lire e cinque che vanno da 25 mila a 250 mila lire. Nel popolo
italiano è sempre vivo il senso del tentare la sorte; nelle
campagne tutt'oggi non v'è chi si astenga dalle «pesche»
e dalle tombole. Qui si avrà gratis il biglietto che permette
di tentare la fortuna».
Del resto c'è una
stretta connessione tra il lotto e la religione, le vincite mostrano
che si è stati «eletti», che si è avuta una
particolare grazia da un Santo o dalla Madonna. Si potrebbe fare un
confronto tra la concezione attivistica della grazia presso i
protestanti che ha dato la forma morale allo spirito d'intrapresa
capitalistica e la concezione passiva e lazzaronesca della grazia
propria del popolino cattolico. Osservare la funzione che ha
l'Irlanda nel rimettere in vigore le lotterie nei paesi anglosassoni
e le proteste dei giornali che rappresentano lo spirito della
Riforma, come il «Manchester Guardian».
È da vedere inoltre
se Baudelaire nel titolo del suo libro I paradisi artificiali (e
anche nella trattazione) si sia ispirato all'espressione «oppio
del popolo»: la formula potrebbe essergli giunta indirettamente
dalla letteratura politica o giornalistica. Non mi pare probabile (ma
non è escluso) che esistesse già prima del libro del
Balzac qualche modo di dire per cui l'oppio e gli altri stupefacenti
e narcotici erano presentati come mezzo per godere un paradiso
artificiale. (Bisogna ricordare, d'altronde, che Baudelaire fino al
1848 partecipò a una certa attività pratica, fu
direttore di settimanali politici e prese parte attiva agli
avvenimenti parigini del 1848).
Giulio Lachelier, filosofo
francese (sul quale cfr. la prefazione di G. De Ruggiero al volume
dello stesso Lachelier Psicologia e Metafisica, Bari, Laterza,
1915) ha scritto una nota («acuta» dice il De Ruggiero)
sul «pari» di Pascal, pubblicata nel volume Du
fondement de l'induction (Paris, Alcan, nella «Bibliothèque
de philosophie contemporaine»). L'obbiezione principale
all'impostazione che il Pascal ha dato del problema religioso nel
«pari» è quella della «lealtà
intellettuale» verso se stessi. Pare che tutta la concezione
«pari», per quanto ricordo, sia piú vicina alla
morale gesuitica, che a quella giansenistica, sia troppo
«mercantile», ecc. (cfr. nel precedente quaderno alle
altre note su questo argomento).
Religione.
«Viaggiando, potrai trovare città senza mura e senza
lettere, senza re e senza case (!), senza ricchezze e senza l'uso
della moneta, prive di teatri e di ginnasi (palestre). Ma una città
senza templi e senza dei, che non pratichi né preghiere, né
giuramenti, né divinazioni, né i sacrifizi per
impetrare i beni e deprecare i mali, nessuno l'ha mai veduta, né
la vedrà mai». Plutarco, adv. Col., 31.
Definizione della religione
del Turchi (Manuale di storia delle religioni, Bocca 1922):
«La parola religione nel suo significato piú ampio,
denota un legame di dipendenza che riannoda l'uomo a una o piú
potenze superiori dalle quali sente di dipendere ed a cui tributa
atti di culto sia individuali che collettivi». Cioè nel
concetto di religione si presuppongono questi elementi costitutivi:
1° la credenza che esistano una o piú divinità
personali trascendenti le condizioni terrestri e temporali; 2° il
sentimento degli uomini di dipendere da questi esseri superiori che
governano la vita del cosmo totalmente; 3° l'esistenza di un
sistema di rapporti (culto) tra gli uomini e gli dei. Salomone
Reinach nell'Orpheus definisce la religione senza presupporre
la credenza in potenze superiori: «Un insieme di scrupoli
(tabú) che fanno ostacolo al libero esercizio delle nostre
facoltà». Questa definizione è troppo ampia e può
comprendere non solo le religioni ma anche qualsiasi ideologia
sociale che tende a rendere possibile la convivenza e perciò
ostacola (con scrupoli) il libero (o arbitrario) esercizio delle
nostre facoltà.
Sarebbe da vedere anche se
può chiamarsi «religione» una fede che non abbia
per oggetto un dio personale, ma solo delle forze impersonali e
indeterminate. Nel mondo moderno si abusa delle parole «religione»
e «religioso» attribuendole a sentimenti che nulla hanno
che vedere con le religioni positive. Anche il puro «teismo»
non è da ritenersi una religione; manca in esso il culto, cioè
un rapporto determinato fra l'uomo e la divinità.
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