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Antonio Gramsci
Note sul Machiavelli, sulla politica e sullo Stato moderno

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  • V. Azione Cattolica Gesuiti e modernisti
    • La religione, il lotto e l'oppio della miseria.
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La religione, il lotto e l'oppio della miseria.

 

 

Testimonianze cattoliche. «Si insidia e si sovverte lentamente l'unità religiosa della patria; s'insegna la ribellione alla Chiesa, rappresentandola quale semplice società umana, che si arrogherebbe diritti che non ha, e di rimbalzo si colpisce anche la società civile, e si preparano gli uomini all'insofferenza di ogni giogo. Poiché, scosso il giogo di Dio e della Chiesa, quale altro se ne troverà che possa frenare l'uomo, e costringerlo al dovere duro della vita quotidiana?»: «Civiltà Cattolica», 2 gennaio 1932, ultimo periodo dell'articolo Il regno di Dio secondo alcuni filosofi moderni. Espressioni di questo genere sono diventate sempre piú frequenti nella «Civiltà Cattolica» (accanto alle espressioni che propongono la filosofia di S. Tomaso come «filosofia nazionale» italiana, come «prodotto nazionale» che deve preferirsi ai prodotti stranieri) e ciò è per lo meno strano, perché è la teorizzazione esplicita della religione come strumento di azione politica.

 

 

La religione, il lotto e l'oppio della miseria. Nelle Conversazioni critiche (Serie II, pp. 300-301) il Croce ricerca la «fonte» del Paese di Cuccagna di Matilde Serao e la trova in un pensiero del Balzac. Nel racconto La Rabouilleuse scritto nel 1841 e poi intitolato Un ménage de garçon, narrandosi di madama Descoings la quale da ventun anno giocava un famoso suo terno, il «sociologo e filosofo romanziere» osserva: «Cette passion, si universellement condamnée, n'a jamais été étudiée. Personne n'y a l'opium de la misère. La loterie, la plus puissante fée du monde, ne développerait-elle pas des espérances magiques? Le coup de roulette qui faisait voir aux joueurs des masses d'or et de jouissances ne durait que ce que dure un éclair: tandis que la loterie donnait cinq jours d'existence à ce magnifique éclair. Quelle est aujourd'hui la puissance sociale qui peut, pour quarante sous, vous rendre heureux pendant cinq jours et vous livrer idéalement tous les bonheurs de la civilisation?»

Il Croce aveva già notato (nel suo saggio sulla Serao, Letteratura della nuova Italia, III, p. 51) che il Paese di Cuccagna (1890) aveva la sua idea generatrice in un brano dell'altro libro della Serao, Il ventre di Napoli (1884), nel quale «si lumeggia il gioco del lotto come "il grande sogno di felicità" che il popolo napoletano "rifà ogni settimana", vivendo "per sei giorni in una speranza crescente, invadente, che si allarga, esce dai confini della vita reale"; il sogno "dove sono tutte le cose di cui esso è privato, una casa pulita, dell'aria salubre e fresca, un bel raggio di sole caldo per terra, un letto bianco e alto, un comò lucido, i maccheroni e la carne ogni giorno, e il litro di vino, e la culla pel bimbo, e la biancheria per la moglie, e il cappello nuovo per il marito"».

Il brano di Balzac potrebbe anche connettersi con l'espressione «oppio del popolo» impiegata nella Critica della filosofia del Diritto di Hegel pubblicata nel 1844 (verificare la data), il cui autore fu un grande ammiratore di Balzac: «Aveva una tale ammirazione per Balzac che si proponeva di scrivere un saggio critico sulla Commedia umana», scrive Lafargue nei suoi ricordi su Carlo Marx pubblicati nella nota raccolta del Riazanov (p. 114 dell'edizione francese). In questi ultimi tempi (forse nel 1931) è stata pubblicata una lettera inedita di Engels in cui si parla diffusamente del Balzac e dell'importanza culturale che occorre attribuirgli.

È probabile che il passaggio dall'espressione «oppio della miseria» usata dal Balzac per il lotto, all'espressione «oppio del popolo» per la religione, sia stato aiutato dalla riflessione sul «pari» di Pascal, che avvicina la religione al gioco d'azzardo, alle scommesse. È da ricordare che proprio nel 1843 Victor Cousin segnalò il manoscritto autentico delle Pensées di Pascal che erano state stampate per la prima volta nel 1670 dai suoi amici di Port-Royal molto scorrettamente, e furono ristampate nel 1844 dall'editore Faugère dal manoscritto segnalato dal Cousin. Le Pensées, in cui Pascal svolge il suo argomento del «pari», sono i frammenti di una Apologie de la Religion chrétienne che Pascal non condusse a termine. Ecco la linea del pensiero di Pascal (secondo G. Lanson, Storia della letteratura francese, 19a ed., pp. 464): «Les hommes ont mépris pour la religion, ils en ont haine et peur qu'elle soit vraie. Pour guérir cela, il faut commencer par montrer que la religion n'est point contraire à la raison; ensuite, qu'elle est vénérable, en donner respect; la rendre ensuite aimable, faire souhaiter aux bons quelle fût vraie, et puis montrer qu'elle est vraie».

Dopo il discorso contro l'indifferenza degli atei che serve come introduzione generale dell'opera, Pascal esponeva la sua tesi dell'impotenza della ragione, incapace di saper tutto e di saper qualcosa con certezza, ridotta a giudicare dalle apparenze offerte dall'ambiente delle cose. La fede è un mezzo superiore di conoscenza: essa si esercita oltre i limiti cui può giungere la ragione. Ma anche se ciò fosse, anche se nessun mezzo si avesse per giungere a Dio, attraverso la ragione o attraverso una qualsiasi altra via, nell'assoluta impossibilità di sapere, bisognerebbe tuttavia operare come se si sapesse. Poiché, secondo il calcolo delle probabilità, c'è vantaggio a scommettere che la religione è vera, e a regolare la propria vita come se essa fosse vera. Vivendo cristianamente si rischia infinitamente poco, qualche anno di torbidi piaceri (plaisir mêlé), per guadagnare l'infinito, la gioia eterna. È da riflettere che il Pascal è stato molto fine nel dare forma letteraria, giustificazione logica e prestigio morale a questo argomento della scommessa, che in realtà è un diffuso modo di pensare verso la religione, ma un modo di pensare che «si vergogna di se stesso» perché nel tempo stesso che soddisfa, appare indegno e basso. Pascal ha affrontato la «vergogna» (se cosí si può dire, poiché potrebbe essere che l'argomento del «pari» oggi popolare, in forme popolari, sia derivato dal libro del Pascal e non sia stato conosciuto prima) e ha cercato di dare dignità e giustificazione al modo di pensare popolare (quante volte si è sentito dire: «cosa ci perdi ad andare in chiesa, a credere in Dio? Se non c'è, pazienza; ma se c'è, quanto ti sarà utile aver creduto? ecc.). Questo modo di pensare, anche nella forma pascaliana del «pari», sente alquanto di volterrianismo e ricorda il modo di esprimersi di Heine: «chissà che il padre eterno non ci prepari una qualche bella sorpresa dopo la morte» o qualcosa di simile. (Vedere come gli studiosi del Pascal spiegano e giustificano moralmente l'argomento del «pari». Ci deve essere uno studio di P. P. Trompeo nel volume Rilegature gianseniste in cui si parla dell'argomento del «pari» in rapporto al Manzoni. Da vedere anche il Ruffini pel suo studio sul Manzoni religioso).

Da un articolo di Arturo Marescalchi, Durare! Anche nella bachicoltura, nel «Corriere della Sera» del 24 aprile 1932: «Per ogni mezza oncia di seme messo in allevamento si concorre a premi che da modesta cifra (ve ne sono 400 da mille lire) arrivano ai parecchi da 10 a 20 mila lire e cinque che vanno da 25 mila a 250 mila lire. Nel popolo italiano è sempre vivo il senso del tentare la sorte; nelle campagne tutt'oggi non v'è chi si astenga dalle «pesche» e dalle tombole. Qui si avrà gratis il biglietto che permette di tentare la fortuna».

Del resto c'è una stretta connessione tra il lotto e la religione, le vincite mostrano che si è stati «eletti», che si è avuta una particolare grazia da un Santo o dalla Madonna. Si potrebbe fare un confronto tra la concezione attivistica della grazia presso i protestanti che ha dato la forma morale allo spirito d'intrapresa capitalistica e la concezione passiva e lazzaronesca della grazia propria del popolino cattolico. Osservare la funzione che ha l'Irlanda nel rimettere in vigore le lotterie nei paesi anglosassoni e le proteste dei giornali che rappresentano lo spirito della Riforma, come il «Manchester Guardian».

È da vedere inoltre se Baudelaire nel titolo del suo libro I paradisi artificiali (e anche nella trattazione) si sia ispirato all'espressione «oppio del popolo»: la formula potrebbe essergli giunta indirettamente dalla letteratura politica o giornalistica. Non mi pare probabile (ma non è escluso) che esistesse già prima del libro del Balzac qualche modo di dire per cui l'oppio e gli altri stupefacenti e narcotici erano presentati come mezzo per godere un paradiso artificiale. (Bisogna ricordare, d'altronde, che Baudelaire fino al 1848 partecipò a una certa attività pratica, fu direttore di settimanali politici e prese parte attiva agli avvenimenti parigini del 1848).

 

Giulio Lachelier, filosofo francese (sul quale cfr. la prefazione di G. De Ruggiero al volume dello stesso Lachelier Psicologia e Metafisica, Bari, Laterza, 1915) ha scritto una notaacuta» dice il De Ruggiero) sul «pari» di Pascal, pubblicata nel volume Du fondement de l'induction (Paris, Alcan, nella «Bibliothèque de philosophie contemporaine»). L'obbiezione principale all'impostazione che il Pascal ha dato del problema religioso nel «pari» è quella della «lealtà intellettuale» verso se stessi. Pare che tutta la concezione «pari», per quanto ricordo, sia piú vicina alla morale gesuitica, che a quella giansenistica, sia troppo «mercantile», ecc. (cfr. nel precedente quaderno alle altre note su questo argomento).

 

 

Religione. «Viaggiando, potrai trovare città senza mura e senza lettere, senza re e senza case (!), senza ricchezze e senza l'uso della moneta, prive di teatri e di ginnasi (palestre). Ma una città senza templi e senza dei, che non pratichipreghiere, né giuramenti, né divinazioni, né i sacrifizi per impetrare i beni e deprecare i mali, nessuno l'ha mai veduta, né la vedrà mai». Plutarco, adv. Col., 31.

Definizione della religione del Turchi (Manuale di storia delle religioni, Bocca 1922): «La parola religione nel suo significato piú ampio, denota un legame di dipendenza che riannoda l'uomo a una o piú potenze superiori dalle quali sente di dipendere ed a cui tributa atti di culto sia individuali che collettivi». Cioè nel concetto di religione si presuppongono questi elementi costitutivi: la credenza che esistano una o piú divinità personali trascendenti le condizioni terrestri e temporali; il sentimento degli uomini di dipendere da questi esseri superiori che governano la vita del cosmo totalmente; l'esistenza di un sistema di rapporti (culto) tra gli uomini e gli dei. Salomone Reinach nell'Orpheus definisce la religione senza presupporre la credenza in potenze superiori: «Un insieme di scrupoli (tabú) che fanno ostacolo al libero esercizio delle nostre facoltà». Questa definizione è troppo ampia e può comprendere non solo le religioni ma anche qualsiasi ideologia sociale che tende a rendere possibile la convivenza e perciò ostacola (con scrupoli) il libero (o arbitrario) esercizio delle nostre facoltà.

Sarebbe da vedere anche se può chiamarsi «religione» una fede che non abbia per oggetto un dio personale, ma solo delle forze impersonali e indeterminate. Nel mondo moderno si abusa delle parole «religione» e «religioso» attribuendole a sentimenti che nulla hanno che vedere con le religioni positive. Anche il puro «teismo» non è da ritenersi una religione; manca in esso il culto, cioè un rapporto determinato fra l'uomo e la divinità.




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