Note sparse
Americanismo.
Confrontare Carlo Linati, Babbitt compra il mondo, nella
«Nuova Antologia» del 16 ottobre 1929. Articolo mediocre,
ma appunto perciò significativo come espressione di una media
opinione. Può servire appunto per fissare cosa si pensa
dell'americanismo, da parte dei piccoli borghesi piú
intelligenti. L'articolo è una variazione del libro di Edgard
Ansel Mowrer, This American World, che il Linati giudica
«veramente acuto, ricco di idee e scritto con una concisione
tra classica e brutale che piace, e da un pensatore a cui certo non
fanno difetto né lo spirito d'osservazione né il senso
delle gradazioni storiche né la varietà della cultura».
Il Mowrer ricostruisce la storia culturale degli Stati Uniti fino
alla rottura del cordone ombelicale con l'Europa e all'avvento
dell'Americanismo.
Sarebbe interessante
analizzare i motivi del grande successo avuto da Babbitt in
Europa. Non si tratta di un gran libro: è costruito
schematicamente e il meccanismo è anche troppo manifesto. Ha
importanza culturale piú che artistica: la critica dei costumi
prevale sull'arte. Che in America ci sia una corrente letteraria
realistica che incominci dall'essere critica dei costumi è un
fatto culturale molto importante: significa che si estende
l'autocritica, che nasce cioè una nuova civiltà
americana cosciente delle sue forze e delle sue debolezze: gli
intellettuali si staccano dalla classe dominante per unirsi a lei piú
intimamente, per essere una vera superstruttura, e non solo un
elemento inorganico e indistinto della struttura-corporazione.
Gli intellettuali europei
hanno già in parte perduto questa funzione: non rappresentano
piú l'autocoscienza culturale, l'autocritica della classe
dominante; sono ridiventati agenti immediati della classe dominante,
oppure se ne sono completamente staccati, costituendo una casta a sé,
senza radici nella vita nazionale popolare. Essi ridono di Babbitt,
si divertono della sua mediocrità, della sua ingenua
stupidaggine, del suo modo di pensare a serie, della sua mentalità
standardizzata. Non si pongono neanche il problema: esistono in
Europa dei Babbitt? La quistione è che in Europa il piccolo
borghese standardizzato esiste, ma la sua standardizzazione invece di
essere nazionale (e di una grande nazione come gli Stati Uniti) è
regionale, è locale. I Babbitt europei sono di una gradazione
storica inferiore a quella del Babbitt americano: sono una debolezza
nazionale, mentre l'americano è una forza nazionale; sono piú
pittoreschi ma piú stupidi e piú ridicoli; il loro
conformismo è intorno a una superstizione imputridita e
debilitante, mentre il conformismo di Babbitt è ingenuo e
spontaneo, intorno a una superstizione energetica e progressiva. Per
il Linati, Babbitt è «il prototipo dell'industriale
americano moderno», mentre invece Babbitt è un piccolo
borghese e la sua mania piú tipica è quella di entrare
in famigliarità con gli «industriali moderni», di
essere un loro pari, di sfoggiare la loro «superiorità»
morale e sociale. L'industriale moderno è il modello da
raggiungere, il tipo sociale a cui conformarsi, mentre per il Babbitt
europeo il modello e il tipo sono dati dal canonico della cattedrale,
dal nobilastro di provincia, dal capo sezione del Ministero. È
da notare questa acritica degli intellettuali europei: il Siegfrid,
nella prefazione al suo libro sugli Stati Uniti, contrappone
all'operaio taylorizzato americano l'artigiano dell'industria di
lusso parigino, come se questo fosse il tipo diffuso del lavoratore;
gli intellettuali europei in genere pensano che Babbitt sia un tipo
puramente americano e si rallegrano con la vecchia Europa.
L'anti-americanismo è comico, prima di essere stupido.
Ancora Babbitt. Il
piccolo borghese europeo ride di Babbitt e quindi ride dell'America,
che sarebbe popolata di 120 milioni di Babbitt. Il piccolo borghese
non può uscire da se stesso, comprendere se stesso come
l'imbecille non può comprendere di essere imbecille (senza
dimostrare con ciò di essere un uomo intelligente) per cui
sono imbecilli quelli che non sanno di esserlo e sono piccoli
borghesi i filistei che non sanno di esserlo. Il piccolo borghese
europeo ride del particolare filisteismo americano, ma non si accorge
del proprio, non sa di essere il Babbitt europeo, inferiore al
Babbitt del romanzo del Lewis, in quanto questo cerca di evadere, di
non essere piú Babbitt; il Babbitt europeo non lotta col suo
filisteismo ma ci si crogiola e crede che il suo verso, e il suo
qua-qua da ranocchio infisso nel pantano sia un canto da usignolo.
Nonostante tutto, Babbitt è il filisteo di un paese in
movimento, il piccolo borghese europeo è il filisteo di paesi
conservatori, che imputridiscono nella palude stagnante del luogo
comune della grande tradizione e della grande cultura. Il filisteo
europeo crede di aver scoperto l'America con Cristoforo Colombo e che
Babbitt sia un pupazzo per il suo divertimento di uomo gravato da
millenni di storia. Intanto nessuno scrittore europeo è stato
capace di rappresentarci il Babbitt europeo, cioè di
dimostrarsi capace di autocritica: appunto è imbecille e
filisteo solo chi sa di non esserlo.
[Cultura e tradizioni
culturali.] Il Duhamel ha espresso l'idea che un paese di alta
civiltà debba fiorire anche artisticamente. Ciò è
stato detto per gli Stati Uniti, e il concetto è esatto: ma è
esatto in ogni momento dello sviluppo di un paese? Ricordare la
teoria americana che in ogni periodo di civiltà i grandi
uomini esprimono l'attività fondamentale dell'epoca, che è
anch'essa unilaterale. Mi pare che le due idee possono accordarsi
nella distinzione tra fase economica corporativa di uno Stato e fase
etico-politica. La fioritura artistica per gli Stati Uniti può
concepirsi essere quella europea, data l'omogeneità nelle
forme di vita civile; cosí in un certo periodo l'Italia
produceva artisti per tutta la cosmopoli europea ecc. I paesi allora
«tributari» dell'Italia si sviluppavano «economicamente»
e a questo sviluppo è successa una propria fioritura
artistica, mentre l'Italia è decaduta: cosí è
avvenuto dopo il Rinascimento per rispetto alla Francia, alla
Germania, all'Inghilterra. Un elemento storico molto importante nello
studio delle «fioriture artistiche» è il fatto
della continuità dei gruppi intellettuali, cioè
dell'esistenza di una forte tradizione culturale, ciò che
appunto è mancato in America. Un altro elemento negativo, da
questo punto di vista, è certamente rappresentato da ciò,
che la popolazione americana non si è sviluppata organicamente
su una base nazionale, ma è il prodotto di una continua
giustapposizione di nuclei emigrati, sia pure emigrati da paesi
anglosassoni.
Vittorio Macchioro e
l'America. Vittorio Macchioro ha scritto un libro: Roma capta.
Saggio intorno alla religione romana, Casa Ed. G. Principato,
Messina, in cui tutta la costruzione si basa sulla «povertà
fantastica del popolo romano». Nel 1930 è andato in
America e ha inviato delle corrispondenze al «Mattino» di
Napoli e nella prima (del 7 marzo) ecco il motivo (cfr. «Italia
Letteraria» del 16 marzo 1930): «L'americano non ha
fantasia, non sa creare immagini. Non credo che, fuori dell'influenza
europea (!), mai ci sarà un grande poeta o un grande pittore
americano. La mentalità americana è essenzialmente
pratica e tecnica: da ciò una particolare sensibilità
per la quantità, cioè per le cifre. Come il poeta è
sensibile verso le immagini, o il musicista è sensibile verso
i suoni, cosí l'americano è sensibile verso le cifre. –
Questa tendenza a concepire la vita come fatto tecnico, spiega la
filosofia americana medesima. Il pragmatismo esce per l'appunto da
questa mentalità che non pregia e non afferra l'astratto.
James e piú ancora Dewey sono i prodotti piú genuini di
questo inconsapevole bisogno di tecnicismo, per cui la filosofia
viene scambiata con l'educazione, e un'idea astratta vale non in se
stessa, ma solo in quanto si può tradurre in azione. ("La
povertà fantastica del popolo romano avviò i Romani a
concepire la divinità come un'energia astratta la quale si
estrinseca solo nell'azione"; cfr. Roma capta). E per
questo l'America è la terra tipica delle chiese e delle
scuole, dove la teoreticità si innesta alla vita».
Mi pare che la tesi del
Macchioro sia un berretto per tutte le teste.
America. È
latina l'America centrale e meridionale? E in che consiste questa
latinità? Grande frazionamento, che non è casuale. Gli
Stati Uniti, concentrati e che attraverso la politica
dell'emigrazione cercano non solo di mantenere ma di accrescere
questa concentrazione (che è una necessità economica e
politica come ha dimostrato la lotta interna tra le varie nazionalità
per influire sulla direzione del governo nella politica della guerra,
come dimostra l'influenza che l'elemento nazionale ha
nell'organizzazione sindacale e politica degli operai ecc.),
esercitano un grande peso per mantenere questa disgregazione, alla
quale cercano sovrapporre una rete di organizzazioni e movimenti
guidati da loro: 1) Unione panamericana (politica statale); 2)
Movimento missionario per sostituire il cattolicismo con il
protestantesimo; 3) Opposizione della Federazione del Lavoro ad
Amsterdam e tentativo di creare una Unione panamericana del lavoro
(vedere se esistono anche altri movimenti e iniziative di questo
genere); 4) Organizzazione bancaria, industriale, di credito che si
estende su tutta l'America. Questo è il primo elemento.
L'America meridionale e
centrale è caratterizzata: 1) da un numero ragguardevole di
pellirossa, che, sia pure passivamente esercitano un influsso sullo
Stato: sarebbe utile avere informazioni sulla posizione sociale di
questi pellirossa, sulla loro importanza economica, sulla
partecipazione loro alla proprietà terriera e alla produzione
industriale; 2) le razze bianche che dominano nell'America centrale e
meridionale non possono riallacciarsi a patrie europee che abbiano
una grande funzione economica e storica: Portogallo, Spagna (Italia),
paragonabile a quella degli Stati Uniti; esse in molti Stati
rappresentano una fase semifeudale e gesuitica, per cui si può
dire che tutti gli Stati dell'America Centrale e Meridionale
(eccettuato l'Argentina, forse) devono attraversare la fase del
Kulturkampf e dell'avvento dello Stato moderno laico (la lotta del
Messico contro il clericalismo dà un esempio di questa fase).
La diffusione della cultura francese è legata a questa fase:
si tratta della cultura massonico-illuministica, che ha dato luogo
alle cosí dette Chiese positivistiche, alle quali
partecipano anche molti operai che pur si chiamano sindacalisti
anarchici. Apporto delle varie culture: Portogallo, Francia, Spagna,
Italia. Quistione del nome: America latina, o iberica, o ispanica?
Francesi e italiani usano «latina», portoghesi «iberica»,
spagnoli «ispanica». Di fatto la maggiore influenza è
esercitata dalla Francia; le altre tre nazioni latine hanno influenza
scarsa, nonostante la lingua, perché queste nazioni americane
[sono] sorte in opposizione a Spagna e Portogallo e tendenti a creare
proprio nazionalismo e propria cultura. Influenza italiana,
caratterizzata dal carattere sociale dell'emigrazione italiana:
d'altra parte in nessun paese americano gli italiani sono la razza
egemone.
Un articolo di Lamberti
Sorrentino, Latinità dell'America nell'«Italia
Letteraria» del 22 dicembre 1929. «Le repubbliche
sudamericane sono latine per tre fattori principali: la lingua
spagnola, la cultura prevalentemente francese, l'apporto etnico
prevalentemente (!) italiano. Quest'ultimo è, dei tre, il
fattore piú profondo e sostanziale, perché conferisce
appunto alla nuova razza che si forma il carattere latino (!); e in
apparenza (!) il piú fugace, perché alla prima
generazione, perdendo quanto esso ha di originale e proprio (è
un bell'indovinello, tutt'insieme!), si acclimata spontaneamente (!)
nel nuovo ambiente geografico e sociale». Secondo il Sorrentino
c'è un interesse comune tra Spagnuoli, Francesi e Italiani che
sia conservata (!) la lingua spagnola, tramite per la formazione di
una profonda coscienza latina capace di resistere alle deviazioni (!)
che sospingono gli americani del sud verso la confusione (!) e il
caos. Il direttore di un periodico letterario ultra-nazionalista
dell'Argentina (il paese piú europeo e latino dell'America) ha
affermato che l'uomo argentino «fisserà il suo tipo
latino-anglosassone predominante». Il medesimo scrittore che si
autodefinisce «argentino al cento per cento» ha detto
ancora piú esplicitamente: «Quanto ai nordamericani, il
cui paese ci ha dato la base costituzionale e scolastica, è
bene dirlo una buona volta, noi ci sentiamo piú vicini a loro
per educazione, gusti, maniera di vivere, che non agli europei e agli
spagnoli afro-europei, come amano qualificarsi questi ultimi; e non
abbiamo mai temuto lo staffile degli Stati Uniti». (Si
riferisce alla tendenza spagnola di considerare i Pirenei come una
barriera culturale tra l'Europa e il mondo iberico: Spagna,
Portogallo, America Centrale e Meridionale e Marocco. Teoria
dell'iberismo – ibero-americanismo – perfezionamento
dell'ispanismo – ispano-americanismo –). L'iberismo è
antilatino: le repubbliche americane dovrebbero solo orientarsi verso
Spagna e Portogallo. (Pure esercitazioni da intellettuali e da grandi
decaduti che non vogliono persuadersi di contare ormai ben poco). La
Spagna fa dei grandi sforzi per riconquistare l'America del Sud in
tutti i campi: culturale, commerciale, industriale, artistico. (Ma
con quale risultato?). La egemonia culturale della Francia è
minacciata dagli anglosassoni: esistono un Istituto Argentino di
Cultura Inglese e un Istituto Argentino di Cultura Nordamericana,
enti ricchissimi e già vivi: insegnano la lingua inglese con
grandi agevolazioni agli alunni il cui numero è in costante
aumento e con programmi di scambi universitari e scientifici di
sicura attuazione. L'immigrazione italiana e spagnola è
stagnante; aumenta l'immigrazione polacca e slava. Il Sorrentino
desidererebbe un fronte unico franco-italo-iberico per mantenere la
cultura latina.
Varie. Sono da
ricordare alcuni libri di Guglielmo Ferrero sull'America: quanti dei
luoghi comuni coniati dal Ferrero sono entrati in circolazione e
continuano a essere spesi senza ricordare il conio e la zecca?
(Quantità contro qualità, per esempio, è di
origine ferreriana, che pertanto è il padre spirituale di
tutta l'ideologia scema sul ritorno all'artigianato ecc. Il libro del
Ferrero Fra i due mondi è da rivedere come la bibbia di
una serie di banalità delle piú trite e volgari).
Sull'americanismo è
da vedere l'articolo L'America nella letteratura francese del
1927, di Étienne Fournol nella «Nuova Antologia»
del 1° aprile 1928, comodo come repertorio delle banalità
piú marchiane sull'argomento. Parla del libro del Siegfried e
di quello del Romier (Qui sera le maître?), accenna a un
libro di Andrea Tardieu (Devant l'obstacle: l'Amérique et
nous, Parigi, Librairie Emil Paul) e a due libri di Luc Durtain,
un romanzo, Hollywood depassé, e una raccolta di
novelle, Quarantième étage, editi ambedue dalla
N.R.F. e che paiono interessanti.
A proposito del prof.
Siegfried è da notare questa sua contraddizione: a p. 350 del
suo volume Les États-Unis d'aujourd'hui egli riconosce
nella vita americana «l'aspetto di una società realmente
(!) collettivistica, voluto dalle classi elette e accettato
allegramente (sic) dalla moltitudine», ma il Siegfried scrive
poi la prefazione al volume del Philip sul movimento operaio
americano e lo loda, nonostante che non vi si dimostri precisamente
questa «allegria» e che in America non esista lotta di
classe, ma anzi vi si dimostri l'esistenza della piú sfrenata
e feroce lotta di una parte contro l'altra. Lo stesso confronto si
potrebbe fare tra il libro del Romier e quello del Philip. È
da rilevare come in Europa sia stato accettato molto facilmente (e
diffuso molto abilmente) il quadro oleografico di un'America senza
lotte interne (attualmente i nodi son venuti al pettine) ecc. ecc.
Cosí che nello stesso tempo si è combattuto
l'americanismo come sovversivo della stagnante società
europea, ma si è presentata l'America come esempio di
omogeneità sociale per uso di propaganda e come premessa
ideologica di leggi eccezionali.
[Industria americana.]
Nel n. del 16 febbraio 1930 della «Nuova Antologia» sono
pubblicati due articoli: Punti di vista sull'America: Spirito e
tradizione americana del professor J. P. Rice (il Rice nel 1930
fu designato dall'Italy-America Society di New York a tenere
l'annuale ciclo di conferenze stabilito dalla Fondazione
Westinghouse per intensificare i rapporti tra l'America e
l'Italia); l'articolo vale poco; e La rivoluzione industriale
degli Stati Uniti, dell'ing. Pietro Lanino, interessante da
questo punto di vista: come un accreditato pubblicista e teorico
dell'industria italiana non ha capito nulla del sistema industriale
capitalistico americano. (Il Lanino nel 1930 ha scritto anche una
serie di articoli sull'industria americana nella «Rivista di
politica economica» delle società per azioni). Fin dal
primo paragrafo il Lanino afferma che in America è avvenuto
«un capovolgimento completo di quelli che sino allora erano
stati i criteri economici fondamentali della produzione industriale.
La legge della domanda e dell'offerta rinunziata nelle paghe. Il
costo di produzione diminuito pure aumentando queste». Non è
stato rinunziato nulla: il Lanino non ha compreso che la nuova
tecnica basata sulla razionalizzazione e il taylorismo ha creato una
nuova e originale qualifica psico-tecnica e che gli operai di tale
qualifica non solo sono pochi, ma sono ancora in divenire, per cui i
«predisposti» sono contesi con gli alti salari; ciò
conferma la legge dell'«offerta e della domanda» nelle
paghe. Se fosse vera l'affermazione del Lanino non si spiegherebbe
l'alto grado di turnover nel personale addetto, cioè
che molti operai rinunzino all'alto salario di certe aziende per
salari minori di altre. Cioè non solo gli industriali
rinuncerebbero alla legge della domanda e dell'offerta, ma anche gli
operai, i quali talvolta rimangono disoccupati rinunziando agli alti
salari. Indovinello che il Lanino si è ben guardato dal
risolvere. Tutto l'articolo è basato su questa incomprensione
iniziale. Che gli industriali americani, primo Ford, abbiano cercato
di sostenere che si tratta di una nuova forma di rapporti, non fa
maraviglia: essi cercarono di ottenere oltre all'effetto economico
degli alti salari, anche degli effetti sociali di egemonia
spirituale, e ciò è normale.
Mino Maccari e
l'americanismo. Dal Trastullo di Strapaese di Mino Maccari
(Firenze, Vallecchi, 1928):
Per un ciondolo luccicante
| Il tuo paese non regalare: | Il forestiero è trafficante |
Dargli retta non è affare | Se tu fossi esperto e scaltro |
Ogni mistura terresti discosta: | Chi ci guadagna è sempre
quell'altro | Che la tua roba un mondo costa / Val piú un
rutto del tuo pievano | Che l'America e la sua boria: | Dietro
l'ultimo italiano | C'è cento secoli di storia | [...]
Tabarino e ciarlestone | Ti fanno dare in ciampanelle | O Italiano
ridatti al trescone | Torna a mangiare il centopelle | Italiano torna
alle zolle | Non ti fidar delle mode di Francia | Bada a mangiar pane
e cipolle | E terrai a dovere la pancia.
Il Maccari, però, è
andato a fare il redattore capo della «Stampa» di Torino
e a mangiar pane e cipolle nel centro piú stracittadino e
industriale d'Italia.
Tendenze contro le
città. Ricordare nel libro del Gerbi sulla Politica del
'700 l'accenno alle opinioni di
Engels sulla nuova disposizione da dare agli agglomerati cittadini
industriali, dal Gerbi malamente interpretate (e le opinioni di Ford
che il Gerbi anche interpreta male). Questi modi di vedere non sono
da confondere con le tendenze «illuministiche» contro la
città. Vedere le opinioni di Spengler sulle grandi città,
definite «mostruosi crematorii della forza del popolo, di cui
essi assorbono e distruggono le energie migliori». –
Ruralismo, ecc.
Emigrazione. Il
viaggio di Enrico Ferri nell'America meridionale avvenne nel 1908-9
(ma il suo discorso in Parlamento mi pare proprio che sia del 1911).
Nel 1911 si recò nel Brasile una commissione di rappresentanti
delle organizzazioni operaie di cooperazione e di resistenza per
farvi una inchiesta sulle condizioni economico-sociali: pubblicò
a Bologna nel 1912 una relazione (Emigrazione agricola al Brasile,
Relazione della Commissione, Bologna 1912). (Questi dati molto
imprecisi sono nell'articolo del Virgilii citato nella nota
precedente). Della commissione faceva parte il prof. Gaetano
Pieraccini che pare sia stato l'estensore della relazione.
A proposito delle
concezioni di Enrico Corradini sulla nazione proletaria e
sull'emigrazione, sarebbe interessante sapere se non abbia influito
su di lui il libro di Ferruccio Macola, L'Europa alla conquista
dell'America latina, Venezia, 1894, di cui il Virgilii cita
questo brano: «È necessario che la vecchia Europa pensi
che le colonie fondate dal suo proletariato nel continente nuovo
devono considerarsi, non piú come strumento di produzione a
beneficio dei rapaci e viziosi discendenti di avventurieri spagnoli e
portoghesi, ma come le avanguardie della sua occupazione». (Il
libro del Macola deve essere molto voluminoso, perché la
citazione è presa da p. 421, e deve essere molto divertente e
sintomatico dello stato d'animo di molti crispini).
Americanismo. La
delinquenza. Di solito si spiega lo sviluppo della delinquenza
organizzata in grande stile negli Stati Uniti come una derivazione
del proibizionismo e del relativo contrabbando. La vita dei
contrabbandieri, le loro lotte ecc. hanno creato un clima di
romanticismo che dilaga in tutta la società e determina
imitazioni, slanci avventurosi ecc. È vero. Ma un altro
fattore occorre cercarlo nei metodi di inaudita brutalità
della polizia americana: sempre lo «sbirrismo» crea il
«malandrinismo». Questo elemento è molto piú
efficiente di quanto non paia nello spingere alla delinquenza
professionale molti individui che altrimenti continuerebbero
nell'attività normale di lavoro. Anche la brutalità
delle «terze sezioni» serve a nascondere la corruzione
della polizia stessa ecc. L'illegalità elevata a sistema degli
organi di esecuzione determina una lotta feroce da parte dei
malcapitati ecc.
La filosofia americana.
Studiare la posizione di Josiah Royce nel quadro della concezione
americana della vita. Quale importanza e quale funzione ha avuto
l'hegelismo in questa concezione? Può il pensiero moderno
diffondersi in America, superando l'empirismo-pragmatismo, senza una
fase hegeliana?
America ed Europa.
Nel 1927 l'Ufficio internazionale del Lavoro di Ginevra ha pubblicato
i risultati di una indagine sui rapporti fra padroni e operai negli
Stati Uniti Les rélations industrielles aux États
Unis. Secondo Gompers gli scopi finali del sindacalismo americano
consisterebbero nell'istituzione progressiva di un controllo
paritetico, estendentesi dalla singola officina al complesso
dell'industria e coronato da una specie di parlamento organico.
(Vedere quale forma assuma nelle parole di Gompers e C. la tendenza
degli operai all'autonomia industriale).
L'America e il
Mediterraneo. Libro del professor G. Frisella Vella, Il
traffico fra l'America e l'Oriente attraverso il Mediterraneo,
Sandron, Palermo, 1928, pp. XV-215, L. 15. Il punto di partenza del
Frisella Vella è quello «siciliano». Poiché
l'Asia è il terreno piú acconcio per l'espansione
economica americana e l'America comunica con l'Asia attraverso il
Pacifico e attraverso il Mediterraneo, l'Europa non deve opporre
resistenze a che il Mediterraneo diventi una grande arteria del
commercio America-Asia. La Sicilia ritrarrebbe grandi benefici da
questo traffico, diventando intermediaria del commercio
americano-asiatico ecc. Il Frisella Vella è persuaso della
fatale egemonia mondiale dell'America ecc.
Sull'americanismo.
Roberto Michels, Cenni sulla vita universitaria negli Stati
Uniti, «Nuova Antologia», 1° novembre 1928.
Qualche spunto interessante.
Azione Cattolica. Cfr.
l'articolo La durata del lavoro nella «Civiltà
Cattolica» del 15 marzo 1930 (del padre Brucculeri). Difende il
principio e la legislazione internazionale sulle 8 ore contro Lello
Gangemi e il libro di costui, Il problema della durata del lavoro,
Vallecchi, Firenze, pp. 526. L'articolo è interessante; il
libro del Gangemi è stroncato molto bene. È
interessante che un gesuita sia piú «progressista»
del Gangemi che è abbastanza noto nella politica economica
italiana attuale come discepolo del De Stefani e della sua
particolare tendenza nel campo della politica economica.
Lello Gangemi, Il
problema della durata del lavoro, Firenze, Vallecchi, 1929, L.
25. (Dalla breve recensione di Luigi Perla in «Italia
Letteraria» del 18 agosto 1929 si ricava: il problema della
durata del lavoro, passato in seconda linea dopo il miglioramento
delle condizioni economiche seguito al periodo di depressione che
ebbe inizio nel 1921, è ritornato ora in discussione per la
crisi economica attuale. Esame della legislazione vigente in materia
nei vari paesi, ponendo in luce la difficoltà di una
regolamentazione uniforme. Il problema e [la convenzione di]
Washington. Dal punto di vista dell'organizzazione scientifica del
lavoro. Le pretenzioni teoriche e sociali, che hanno dominato il
problema, si sono dimostrate inapplicabili nella pratica azione
legislativa. Di contro alle ideologie che vorrebbero abolire le
ingiustizie sociali e finiscono invece col moltiplicarle e renderle
piú gravi, la pratica ha confermato come la semplice riduzione
delle ore lavorative non possa, da sola (!), raggiungere l'intento di
una maggiore produttività e di maggiori vantaggi (!) per il
lavoratore. Resta invece dimostrata la utilità di determinare
un limite dello sforzo lavorativo; ma questo limite non deve essere
imposto in base a ideologie astratte, ma deve risultare dalla
razionale coordinazione di concetti (!) fisiologici, economici ed
etici).
L'Unione internazionale
dei Soccorsi. Iniziativa di origine italiana. Creata nel 1927 in
una Conferenza internazionale alla quale furono invitati anche gli
Stati che non fanno parte della Società delle Nazioni (Stati
Uniti, U.R.S.S., ecc.). L'Unione coordina l'attività delle
organizzazioni di soccorso esistenti, aggiungendovi la partecipazione
dei governi. Le calamità considerate sono i disastri e i
rivolgimenti dovuti a casi di forza maggiore quando colpiscono
popolazioni intere, quando superano i calcoli di un'amministrazione
anche previdente, quando hanno un carattere eccezionale. L'aiuto non
comporta riparazioni né ricostruzione. Stretta neutralità
nazionale, politica, religiosa, ecc.
«Mente et Malleo».
Organo ufficiale dell'Istituto «M. Fossati»,
pubblicato a cura dell'Associazione Nazionale Esperti
nell'Ordinamento della Produzione, Torino, via Rossini 18, Anno 1°,
n. 1, 10 aprile 1929, in 4°, pp. 44-XVI.
Bollettino tecnico
quindicinale, si propone di portare un contributo all'organizzazione
scientifica del lavoro od ordinamento razionale della produzione in
qualsiasi campo dell'Industria, dell'Agricoltura, del Commercio.
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