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Luciano Zuccoli
Farfui

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  • PARTE PRIMA.
    • I.
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PARTE PRIMA.

 

 

I.

 

Perchè avesse comperato quella casetta, egli stesso non avrebbe saputo dire.

Gliel'avevano offerta in un periodo di fortuna, quando il rialzo di certi valori gli aveva dato larghi profitti.

Era una casa a due piani, dipinta in giallo chiaro con le persiane verdi, richiusa da un giardino di mediocre grandezza, il quale al momento dell'acquisto era in buono stato, con belle piante, con piccola serra, vialetti lindi.

Il mobiglio valeva da solo il prezzo della casa; nel salotto a terreno erano un eccellente piano a coda, ampli divani coperti di broccato color d'oro a fiorami rosei; una tavola centrale intarsiata di madreperla a lavoro finissimo; e in tutte le camere si notava il medesimo decoro d'addobbo e di legni.

Questa era stata altra delle cause per le quali Lorenzo Moro aveva esitato a comperare. Andato a vedere e visto rapidamente, aveva detto:

- Non mi conviene; troppo bello; è roba da donne.

Poi la casa sorgeva fuori di Milano, oltre il dazio di Porta Ticinese, in una zona occupata quasi interamente da vasti magazzini di formaggio e di burro, e da depositi di legname; quartiere di popolo e di lavoratori, di operai e di gente arricchita, quartiere classicamente milanese per l'attività, il frastuono, l'uso d'un dialetto più aperto e più tipico.

Lorenzo Moro aveva appunto in quel quartiere i suoi magazzini e lo studio, e non desiderava avervi anche la casa; ciò avrebbe mutato le abitudini della sua vita operosa, togliendogli la ragione delle lunghe passeggiate tra casa e studio, ch'egli faceva la mattina ed il pomeriggio fin che abitava in via Bigli.

Anzi, in via Bigli aveva già adocchiata la casa che gli sarebbe convenuta, ne aveva parlato al proprietario e sperava d'averla a un prezzo giusto.

Non voleva comperare la casa fuori di porta. Ma le premure di Mariano Frigerio, la noia di discutere, la favorevole offerta, lo avevano vinto.

Lorenzo Moro odiava gli uomini imbelli o corrotti. Mariano Frigerio, suo compagno di scuola, avviato ormai dal giuoco e dalla crapula alla rovina sicura, non gli concedeva tregua dacchè aveva fissato in mente di vendergli la casa; andava a trovarlo in istudio, glie ne parlava a teatro e al caffè, gliene scriveva.

Aveva cominciato col chiederne quarantamila lire; per tagliar corto e non essere più importunato, Lorenzo glie ne aveva offerta la metà, e a venticinquemila Mariano l'aveva ceduta con tutto il mobiglio, purchè il denaro fosse pronto.

- Devi essere al secco, - gli aveva detto Lorenzo, gettandogli un'occhiata obliqua.

- Brucio l'ultima cartuccia! - aveva risposto Mariano.

- E allora non la voglio, non so che farmene!

Ma, impaurito da quegli scrupoli, Mariano Frigerio si mise a scherzare: no, non era ridotto così male; vendeva perchè non avendo più affari in quei paraggi, gli riusciva comodo sbarazzarsi della casetta e prendere alloggio in un quartiere più centrale.

- Non so che farmene! - ripetè Lorenzo.

- Pare impossibile che tu dica questi spropositi! - osservò Mariano. - Non si rifiuta mai un'occasione stupenda; se avessi pazienza, troverei certo le quarantamila lire che la casa può valere; ma preferisco sbrigarmene subito e darla a un amico....

Lorenzo fece un grugnito.

- Venticinque, - egli disse. - Non un centesimo di più, perchè non so che farmene.

- Non chiedo altro, - concluse Mariano.

Pattuita la compera, Lorenzo andò a vedere meglio la casa, i mobili, il giardino. Mariano Frigerio non aveva torto; l'affare era ottimo e più apprezzabile perchè non chiesto e non voluto.

Durante la seconda visita, balenò a Lorenzo un'idea che gli fece amare la casa nuova. Il salotto a pian terreno era inutile, poi che ve n'era un altro al primo piano; quella camera spaziosa bene illuminata, con l'impiantito solido, si poteva adattare a sala da scherma, separandone un lato con tramezzo e mutandolo in ispogliatoio.

Lorenzo Moro non aveva da anni, all'infuori del suo commercio, se non un'inclinazione veramente notevole, voluta dal suo temperamento pletorico e dal suo bisogno di movimento: la scherma; dava alla scherma gran parte del tempo di cui poteva disporre: chiuso lo studio, saliva in una vettura, correva da Pino Monti, il suo maestro, e vi passava qualche ora; ma sempre si rammaricava di dover rimanere a lungo nello spogliatoio, specialmente con le basse temperature invernali, prima di poter tornare in istrada.

Una sala da scherma in casa propria gli avrebbe risparmiato queste noie, e il maestro avrebbe potuto andar da lui in giorni prestabiliti.

Per tale ragione, il salotto a pian terreno fu sgomberato lestamente; Lorenzo Moro acquistò il materiale necessario a una bella sala da scherma, e fu lieto come un ragazzo quando vide le sciabole e le spade e i fioretti brillare alle pareti, tra le maschere e i guanti.

Era l'estate; Morella Bardi, la moglie di Lorenzo, villeggiava con la sorella e il cognato sul lago di Como.

Lorenzo comperò, modificò, adattò, fece tutto in silenzio; egli temeva il giudizio di Morella, quantunque fingesse in ogni occasione di non tenerne conto, e non di rado fosse brutale con lei. Quando le cose gli parvero in ordine, e già egli era passato nella casa nuova, decise di parlarne a Morella.

Giunse in campagna il sabato, con quella corsa del pomeriggio che raccoglieva e stipava nelle vetture del treno i mariti, come si raccoglie e si stipa in un treno di merci il bestiame.

Edoardo Falconaro lo accompagnava, per rimanere quella settimana ospite nella villa.

I due uomini non si somigliavano.

Lorenzo Moro, rubicondo con piccoli occhi acuti e neri, ampio di spalle e basso di statura, non s'era mai potuto togliere di dosso un'espressione di trivialità, di cui si rammaricava in segreto, perchè gli dava l'amarezza di venire scambiato qualche volta pel cocchiere o pel custode del magazzino. E quanto più si studiava d'essere elegante, svelto, spigliato, e tanto più cadeva nella goffaggine e nella volgarità.

A vederlo, non si sarebbe detto ch'egli fosse un tenace e facoltoso lavoratore: pareva uomo interamente volto ai piaceri materiali, schiavo della gola e dei sensi. Il diuturno esercizio della scherma aveva esagerato la sua gagliarda muscolatura, ciò che faceva meglio risaltare la statura piccola, mettendo in contrasto la brevità delle gambe con la larghezza delle spalle. Egli invidiava Edoardo Falconaro, al quale gli abiti stavano sempre bene, mentre a lui stavano sempre male.

Edoardo era alto, e non magro e non grasso, coi baffi lunghi e diritti e i capelli folti neri, la faccia bruna solcata da una cicatrice, che partendo dalla tempia sinistra gli traversava la fronte, e finiva tra l'uno e l'altro sopracciglio, dandogli un'espressione di forza non comune. Tutti credevano che quell'antica ferita testimoniasse di qualche terribile avventura, e solo gli amici d'infanzia ricordavano che Edoardo era caduto da ragazzo, e s'era malamente ferito al volto.

Ma lo sguardo penetrante degli occhi grigi, più notabili per il carnato bruno del viso, ma il mento breve, la struttura parca e nervosa del corpo, l'abitudine di qualche gesto risoluto e quasi tagliente, la parola secca, dicevano ch'egli era veramente uomo energico e deciso.

In lui il sentimento affievoliva qualche volta la volontà, e un'improvvisa dolcezza temperava i consigli della fredda ragione; il suo sguardo, che perdeva talvolta la luce metallica per velarsi e quasi inumidirsi, ripeteva con chiarezza gli interni mutamenti e le gradazioni dell'anima.

Lorenzo Moro era violento; Edoardo Falconaro era forte.

Insieme a Edoardo Falconaro, quel sabato, Lorenzo Moro si recò in campagna col proposito d'intrattenere Morella sull'acquisto della casa. Durante il viaggio non parlava, pensando e ripensando alla proprietà nuova e alle comodità che doveva ancora introdurvi perchè piacesse alla moglie.

Edoardo leggeva un giornale. Il caldo era pesante, benchè il sole fosse già per tramontare.

- Pino Monti è stato da me ieri, - annunziò infine Lorenzo.

- Ahi - mormorò Edoardo, abbassando il giornale sulle ginocchia. - E che cosa ti ha detto?

- Ohe la sala è bella e pare fatta apposta per lezioni d'armi.

- Allora sei contento? - chiese Edoardo.

- Contento.

Ma subito la fronte gli si rannuvolò, e non potendo tacere all'amico la segreta inquietudine che lo teneva, soggiunse:

- Vedremo che cosa ne dirà Morella.

Edoardo era per rispondere, quando alcuni negozianti presero posto in quello scompartimento e cominciarono a parlare della Borsa e d'un fallimento inatteso che aveva commosso il mercato.

Lorenzo s'interessò alla discussione, ed Edoardo riprese a leggere il giornale.

 

 

 




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