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Luciano Zuccoli
Farfui

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  • PARTE SECONDA.
    • XV.
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XV.

 

Da quel punto, Lorenzo Moro non mancò più d'iniziar la mattinata con un bicchierino, e pur durante il giorno gli avveniva spesso di traversar la strada, solo o accompagnato coi mercanti, e d'indugiarsi qualche ora nella taverna.

Aveva trovato un conforto in quel vizio. Il liquore gli riscaldava l'anima e il corpo, gli metteva indosso un'allegria indiavolata, gli snebbiava dalla mente le idee cattive; anche gli giungevano gradite le adulazioni con cui Carlotto e i frequentatori assidui lo lisciavano. Non avevan mai contato un più ragguardevole, un più facoltoso compagno, e lo tenevan caro.

Lorenzo aveva bisogno di distrarsi. S'era scelta la condanna maggiore che mai potesse imaginare un carnefice: il silenzio.

Il silenzio! Obbligato a tacere; non poteva aprir l'animo ad alcuno, o sarebbe andato incontro a quel ridicolo pel quale sentiva un gelido spavento. Tacere e sorridere; stringer la mano d'Edoardo Falconaro, di colui che lo aveva tradito, lo tradiva forse tuttavia, e mostrarglisi amico; parlar con Morella, ascoltarla, discorrere di Farfui e del suo avvenire, sapendo che Morella lo aveva ingannato, che il figlio era di Edoardo, che tutto era falsità e menzogna.

Tacere! E frattanto, l'odio e il sospetto mordevano, rodevano, come un cancro dentro il cuore.

Non poteva mostrarsi diffidente. Morella era ancora l'amante di Edoardo? si trovavano ancora ad intimi convegni? un altro figlio sarebbe nato da quell'adulterio?

Lorenzo non poteva inquisire; aveva troppi sguardi addosso. I servi, interrogati, se già non sapevano e non indovinavano, si sarebbero messi per la buona strada, a inquisir per conto proprio, con la speranza feroce d'assodar che la signora ingannava il padrone. E la signora avrebbe trovato indulgenza anche presso la servitù, perchè Edoardo Falconaro era tanto caro ai domestici quanto era uggioso Lorenzo.

Dunque non occuparsene, tacere, sorridere.

E bere.

Dopo il bicchierino, Lorenzo aveva preso l'abitudine dell'assenzio. Se lo faceva recare in istudio, e rimaneva a guardar pazientemente la goccia che cadeva con ritmo isocrono dall'imbuto di cristallo dentro la bevanda verdastra.

Intorno a lui, un silenzio d'angoscia. I commessi lavoravano senza scambiar parola, scoraggiati dallo spettacolo accorante di quella vertiginosa corsa alla rovina.

Dov'era il padrone alacre, duro, instancabile, capace di filar quattordici ore di lavoro continuo, e di tornar da un viaggio disagevole e di rimettersi all'opera senza un'ora di tregua, senza bisogno di posare la testa un istante sopra un guanciale per rifarsi del sonno perduto?

In un mese, egli era trasformato; aveva tracannato tanti bicchierini da disgradarne lo stesso Boccadelli. Nessuno osava parlargliene e fermarlo.

Ma il silenzio che lo rodeva con sì barbara pertinacia dava luogo a subitanee reazioni, terribili, pericolose. I suoi rimproveri erano veementi; la sua furia dissennata; egli aveva scagliato una volta il calamaio contro un commesso, che per poco non ne era rimasto ferito al capo. Dopo un lungo periodo di laconismo, la sua voce s'alzava d'un tratto, esplodeva in uno scoppio iroso e fremente.

- Il vulcano è in eruzione! - dicevano gli impiegati.

E per quel giorno si studiavano di schivarlo; e se eran chiamati, tremavano.

 

Morella Moro non osava ancora credere alla realtà, che le si spiegava innanzi agli occhi.

Il giorno che Lorenzo era tornato a casa ubbriaco, con l'alito greve d'un nauseante odor d'acquavite, la giovane aveva supposto si trattasse d'un caso. Era stato probabilmente costretto dagli amici a bere, e non abituato s'era sentito male. Per ciò, quel giorno ella non mosse alcuna osservazione, e allontanò Farfui, perchè non si accorgesse che suo padre barcollava.

Ma i giorni successivi, rilevò con paura che, se non interamente ubbriaco, Lorenzo era brillo; il suo alito tramandava un intollerabile odor di vino e di liquori; si eccitava per un'inezia o piombava in un silenzio testardo, dal quale nulla poteva smuoverlo; rideva sgangheratamente e fuor di proposito; e i domestici lo seguivano degli occhi con discrezione, ma strabiliando.

Farfui, del resto, denunziò subito suo padre, candidamente.

- Sai, mamma? - disse a Morella. - Non c'è più il papà in magazzino.... No, non c'è più, e Palino mi racconta le belle fiabe, perchè il papà non c'è più.

- Come, non c'è più? - domandò Morella.

- No; egli è sempre , in quella bottega.... Sai, mamma, quella bottega, dove ci son tanti bicchieri, tanti bicchieri, tutti in fila, e le belle bottiglie colorate?...

- Da Carlotto? - interrogò la giovane.

- Sì, ecco, da Carlotto. Il papà è sempre da Carlotto. Io mi piace, perchè così Palino mi racconta le fiabe.

Morella si passò una mano sulla fronte, spaurita.

Ella vedeva bene. Mariano Frigerio aveva raccontato gli amori di lei con Edoardo, e per ciò non aveva voluto il suo denaro. Lorenzo sapeva tutto, s'ubbriacava e taceva.... Morella conosceva troppo il modo di pensare di suo marito per non trovare logico quel silenzio; egli temeva il ridicolo, fingeva d'ignorare.

- Non dir niente a nessuno! - pregò Morella. - Non dire che il papà va da Carlotto! Non sta bene che i bambini dicano queste cose.

- No, non dico, mamma. Io dico tutto a te!

La madre afferrò il piccoletto, e se lo strinse convulsamente fra le braccia.

Ma sì, Mariano aveva parlato!... La prova?... Farfui!... Lorenzo messo sull'avviso da quell'altro, non aveva avuto che lasciar cadere lo sguardo sul bambino per trovar la prova inconfutabile dell'adulterio.... E, del resto, Mariano Frigerio non l'aveva additato subito, quel giorno che s'era imbattuto nel Falconaro, al cui fianco stava il bambino? «Ma questo è tuo figlio!» aveva esclamato, indicando Farfui a Edoardo.

Morella si provò a rimproverare Lorenzo.

Egli capitò a casa un martedì, giorno in cui la moglie riceveva le amiche; e contrariamente allo sue abitudini, prese parte alla conversazione, scherzò, si mostrò singolarmente irrequieto e loquace.

- Enzo, che cosa ti pensi? - gli disse Morella, quando le visitatrici se ne furono andate.

Lorenzo si fermò a guardarla con un'espressione interrogativa.

- Che cosa ti pensi? - gli disse Morella. - Tu passi le giornate da Carlotto, e dài scandalo a tutti.... Che cosa hai? Perchè sei così disordinato?...

Egli mugolò tra i denti, e levò dalla tasca la pipetta.

- Io scandalo? Non sono io, che scandalo.... non sono io lo scandaloso.... Chi scandalo, sono gli altri....

- Gli altri? Quali altri?...

- Nessuno! - rispose pronto Lorenzo. - Non so nulla io!

Morella angosciata, gli si parò innanzi, congiunse le mani:

- Te ne prego, - disse con voce supplichevole. - Pensa a ciò che fai! Pensa che hai un figlio, al quale lasci quest'esempio d'abbiezione!...

Lorenzo s'appressò velocemente fino ad avere la bocca ad un dito dalla bocca della moglie; ma si padroneggiò subito, e rispose:

- Ho un figlio! - mormorò. - È vero, ho un figlio!...

E non disse altro, rimase taciturno, con la fronte corrugata, squadrando la giovane che andava supplicandolo a mani giunte.

Discese, uscì, diede una capatina alla taverna, ove trovò il Boccadelli, che gli offerse da bere; egli bevve, poi offerse a sua volta; qualcuno fra i convenuti espresse l'ammirazione per quei forti tracannatori, e Lorenzo Moro ne fu lusingato, e ribevve.

La sera all'ora in cui egli usava tornare pel pranzo, Morella udì un brusio di voci nell'anticamera, e uno scalpiccìo inconsueto. Poco appresso comparve Pierina, la quale aveva qualche cosa da dire, e non sapeva come, guardando impacciata la sua signora.

Morella si levò e andò in anticamera.

Vide che tre facchini portavano Lorenzo, ubbriaco fradicio; due lo tenevano per lo spalle, uno per le gambe; pareva dormisse, la faccia livida, la bocca contorta.

- Mamma! - chiamò Farfui correndo in anticamera....

Morella si mise innanzi al bambino, e copertigli con la mano gli occhi, lo trascinò in salotto.

- Andiamo via, Farfui! Andiamo via! Ti racconterò una fiaba....

Egli non aveva potuto vedere, e rideva.

- Più belle che le fiabe di Palino? Più bella che la storia del re col cavallo d'oro?

- Più bella, più bella! - disse la madre.

- Ma perchè piangi? Mamma, perchè piangi?... Palino non piange quando racconta le fiabe!

 

 

 




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