XVI.
L'odio di Lorenzo Moro contro Farfui s'accrebbe
improvvisamente in quei giorni e in maniera paurosa. Taceva per tutto e su
tutto, ma non poteva tollerare la presenta del bambino, ch'egli si piaceva a
contrastar nei gusti e nelle abitudini.
Con un calcio aveva mandato in frantumi la
seggioletta verde a fiorellini rossi, che Farfui amava come una persona viva, e
sua madre aveva dovuto comprargliene subito un'altra e relegarla nella
cameretta di lui, affinchè un secondo calcio non la arrivasse.
Lorenzo aveva anche proibito a Farfui di metter
piede in magazzino, col pretesto ch'egli distraeva gli impiegati. Era un
togliergli il meglio del suo piacere, perchè il piccoletto godeva trovarsi fra
quei giganteschi amici, i quali, accogliendolo sempre festosamente,
s'ingegnavano a esser garbati con lui.
Non doveva neppur visitare le scuderie, nè
fermarsi presso il portiere. Il suo regno vasto, vasto, andava così
restringendosi d'ora in ora, e come la seggioletta non poteva uscir dalla
camerina egli era obbligato a non uscir dall'appartamento.
Per ciò viveva il più gran tempo fuori di casa,
presso Edoardo Falconaro o la zia Isidora o il nonno.
Non parlava e non piangeva; sembrava piuttosto
sorpreso che addolorato; i suoi grandi occhi grigi avevano preso un'espressione
quasi costante di stupore; ma si faceva pallido e dimagriva.
I parenti, ai quali Morella non aveva ancor
detto verbo del dramma che si svolgeva in casa, osservando che Farfui era
intristito, pensavano fosse colpa del freddo clima nebbioso. E Farfui stava
zitto, come aveva promesso alla mamma.
Il solo che vedeva tutto era Edoardo Falconaro.
S'era accorto subito del mutamento di Lorenzo,
tirando di scherma con lui. Una sera, per poco, durante un assalto, Lorenzo non
gli era caduto tra le braccia, e le sere di poi il suo giuoco era stato tanto
rabbioso e pien d'agguati, che Edoardo se n'era dovuto guardare come si fosse
trovato sul terreno, a viso a viso d'un nemico.
Assisteva a quelle partite il maestro Pino
Monti, un colosso dal petto gagliardo, che con la sciabola e la spada in pugno
spiegava l'agilità d'un gattopardo. Egli aveva ben capito che da qualche tempo
Lorenzo non sapeva quel che si facesse, e avanzando la scusa di voler seguire e
correggere l'azione del suo vecchio allievo, l'aveva persuaso a lasciarlo
presenziare gli assalti.
L'intervento del maestro era stato utile a
moderare più d'una volta l'impeto di Lorenzo Moro.
- È strano, è strano, - diceva una sera Pino
Monti a Edoardo, mentre, lasciata la casa dei Moro, se ne tornavano in città. -
Quell'uomo beve come un otre e ha le idee fisse degli ubbriachi; ma si direbbe
che ha la sua idea soltanto con lei. Ha osservato? A lei tira sempre vicino al
collo, dove la maschera finisce.... È un gioco pericoloso; stia attento!
- Sto attento, non dubiti! - rispose Edoardo.
- A me non fa mai questo scherzo.... E mi scusi
una domanda, se è indiscreta: perchè lei si presta? Io rifiuterei di tirare con
un pazzo. Lo lasci tirare con me, che ci penso io a levargli la pelle, se si
prende qualche confidenza con la mia! Lei si rifiuti, signor Falconaro!...
- Non posso! - risposo Edoardo.
L'esclamazione gli era scappata di bocca, ma
l'aggiustò subito:
- Non posso; sarebbe come dirgli che è ubbriaco
e che non mi fido di lui. Gli voglio troppo bene....
- Io lo manderei sulla forca! - disse il maestro
ruvidamente. - Ad ogni modo, stia in guardia....
In verità se Edoardo avesse rifiutato di tirare
i quattro soliti colpi, avrebbe rinunziato all'unico pretesto per andar tutti i
giorni in casa di Morella e seguire con instancabile sollecitudine ciò che avveniva.
Messo sull'avviso dalla giovane, egli vigilava attentamente. La sua presenza
impediva gli sfoghi contro Farfui, e distraeva il bambino che era tutto scosso
dall'improvviso mutamento delle sue abitudini.
Certo ormai che Lorenzo dava la caccia a Farfui
e s'inventava ogni giorno colla malvagia fantasia del beone qualche gherminella
nuova per tormentar l'innocente, sul capo del quale aveva raccolto tutto il suo
odio, il Falconaro avrebbe voluto strappargli di mano il fanciullo e tenerselo.
Farfui era suo. Nessuno doveva toccarglielo.
Nessuno poteva disporre di lui.
Ma come levarlo agli artigli dell'uomo, che la
legge chiamava suo padre? In ogni caso, il bambino avrebbe dovuto trovare asilo
presso gli altri parenti, gli zii o il nonno; non si sarebbe spiegato mai come
fosse andato a vivere in casa di Edoardo, che non aveva altro vincolo
confessabile con quella famiglia, all'infuori di una semplice amicizia.
Edoardo s'arrovellava intanto a trovare
espedienti per non allontanarsi troppo; si rassegnava alle partite di scherma,
durante le quali sentiva l'odio di Lorenzo traboccare cercando di piantargli il
ferro in gola; non mancava durante il giorno di far visita a Morella, messa in
non cale la discrezione osservata fin là, e si tratteneva volentieri a pranzo,
perchè Farfui mangiasse riposato e senza paura. Il bambino viveva, difeso ora
da sua madre, ora da Edoardo; uno dei due, che per intendersi non avevano avuto
bisogno di parlare, stava sempre al fianco di Farfui; e le astuzie di Lorenzo
il quale teneva in serbo ogni giorno qualche dispetto o qualche durezza per il
fanciullo, si spuntavano contro quella scaltra vigilanza, che non posava mai;
onde l'odio di Lorenzo cresceva, ribollendogli in cuore.
Dietro un'apparenza placida e comune, la vita
era diventata un inferno.
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