XVIII.
Quella sera medesima, verso le nove, Battista,
il cocchiere, stava in iscuderia a sorvegliare il mozzo di stalla che portava
il foraggio.
La luce pioveva bene dall'alto, dando riflessi
lucidi ai mantelli bai e sauri degli animali irrequieti, che zampavano la
lettiera e nitrivano.
- Su, fa presto! - disse Battista al ragazzotto.
- C'è Febo che ti guarda e ti dà dello stupido perchè non fai presto.... Vedi
che occhio?... È più intelligente del tuo!...
Battista si divertiva ad aizzare Gigi, che non
aveva nell'occhio, veramente, l'espressione d'una intelligenza eccezionale. Il
cocchiere era un grosso uomo sui cinquant'anni, dalle folte basette, col labbro
e il mento rasati; il mozzo era mingherlino; aveva il naso puntuto e una bocca
la quale pareva lo spicchio d'un cocomero, sottile e rossa.
- Febo è sempre affamato, il vecchio! - proseguì
Battista. - Ha undici anni suonati; sarebbe tempo di venderlo, se la signora
permettesse.... Ma non vuole, e lo lascerà in iscuderia quando non potrà più
fare servizio.... Intanto va benone. La signora non si fida che di lui. Di lui
e di me, intendiamoci!
Erano i soliti discorsi. Ogni sera, all'ora
della foraggiata, Battista rifaceva a Gigi la storia di ciascun cavallo ed
esponeva le sue considerazioni intorno ai loro meriti. La cosa era tanto abituale,
che Gigi zufolava senza ascoltare, e distribuito il foraggio nelle greppie,
stava presso i cavalli per vedere se mangiavano bene.
- Nevica, eh? - riprese Battista. - Quando
nevica, io mi sento venir freddo....
- Anch'io! - rispose Gigi. - Freddo nella
schiena.
- Ma non così, ignorante; mi sento venir freddo
perchè ho paura di qualche maledetta scivolata. Hai inteso, ora?
- Ho inteso. Si tratta d'un altro freddo,
insomma.
- Ecco. Non ho mai lasciato cadere un cavallo in
trent'anni di mestiere! - esclamò Battista orgoglioso. - E ti auguro di poter
dire altrettanto!
- Io non li lascio cader di sicuro, - ribattè
Gigi, - perchè non li guido!
- Sei uno sciocco! Ah, come sei sciocco! Si fa
per dire.... A Milano, dopo la neve vien l'acqua, e allora si forma una roba
gialla, tutta pesta, che se cominci a scivolare, non ti fermi più.
- Sì che mi fermo: quando sono per terra! -
obiettò Gigi.
Battista gli scaraventò il berretto in faccia;
non aveva modo più efficace a dimostrare la sua indignazione. Poi andò a raccoglierlo,
lo ripulì con un colpo di gomito, e se lo rimise in capo.
- Non si può discorrere con te! - disse quindi.
- Ogni sera cerco d'istruirti, e ogni sera mi fai cader le braccia.
- Meglio le braccia che i cavalli, - borbottò
Gigi.
- Con quella melma è difficile trottare;
preferisco la neve, - seguitò Battista, quasi parlasse da solo, disdegnando di
ribattere alle interruzioni del suo allievo. - Con la neve, Bozzolo e Vespa
filano come sopra un tappeto. Anche Febo è bravo; non ha paura di niente, lui! Valì,
invece, è meno sicuro; troppo giovane!... Va bene in campagna....
- Andrei bene in campagna anch'io! - sospirò
Luigi.
- Una volta era Febo che mi faceva disperare....
Mi ricordo quel giorno.... Sai che Febo apparteneva prima a quel signore che si
è ucciso? Si è ucciso perchè non era più un signore....
- Allora io dovrei uccidermi tutte le mattine, -
osservò Gigi.
- E faresti bene!... Così, si è ammazzato.... Mi
ricordo quel giorno, in campagna, che Febo è uscito con la signora Moro e il signor
Falconaro. Io mi son detto: «Addio, non li vedo più!» e fin che sono stati
fuori avevo, come dire? il cuore sopra il berretto....
- Lo ha messo a prendere il fresco? - interrogò
Gigi.
- E poi li ho visti rientrare.... Ah quel
Falconaro! Che polso, che occhio, che calma! Per guidar cavalli non ci siamo
che io e lui.... Febo era un altro.
- Come, un altro? - domandò Gigi. - Aveva
cambiato cavallo per istrada?
- Animale! Si fa per dire.... E allora mi sono
calmato, ho respirato....
- Era rimasto senza respiro tutto quel tempo? O
come faceva?
Battista avrebbe certamente gettato il berretto
in faccia a Gigi, se una voce non fosse venuta in quel punto a ferire il suo
orecchio.
- Ssst! - disse mettendosi l'indice dritto a
sbarrar le labbra. - Hai udito chiamare?
I due uomini stettero in ascolto, e quasi subito
nel cortile risuonò di nuovo la voce soffocata:
- Battista!... Battista!...
- Mi chiamano! È la signora che chiama! - disse
il cocchiere, correndo fuori, nel cortile tutto bianco di neve.
E allora vide uno spettacolo che non doveva mai
più dimenticare.
Di fronte a lui stava Morella, a testa nuda, con
la pelliccia semiaperta; e tra le braccia stringeva Farfui.... Il riflesso
candido della neve faceva il viso della donna più bianco del marmo e le pupille
scure sembravano ardere in quel volto spettrale.
- Battista, - disse. - Attacca subito!...
subito!
Nonostante il rispetto e la devozione, Battista
osò interrogare a sua volta, spaventato.
- Signora.... Si sente male?... È malato
Aquileio?...
- Attacca subito! - ella, ripetè imperiosamente.
Battista rientrò in iscuderia, e prese Gigi per
il petto, sollevandolo quasi da terra.
- Fuori Febo! - ordinò con un accento che non
ammetteva replica. - Due minuti, e pronto!
Poi, afferrata una lanterna, traversò nuovamente
il cortile, balzò nella rimessa, ne tirò fuori la carrozza chiusa. In quel
momento Gigi usciva, accompagnando Febo.
Morella coi piedi nella neve, restava immobile e
dritta come una statua.
Battista udì che Farfui si lagnava, ma non ardì
gettar l'occhio da quella banda; egli e Gigi lavoravano febbrilmente e con
precisione a rivestir Febo, maneggiando groppiera e reggipetto e tirelle; e
allorchè tutto fu in ordine, Battista saltò nella rimessa e indossò la livrea.
- Pronto! - disse, dopo un attimo, avvicinandosi,
col cappello in mano, alla signora.
Ella trasalì e corse alla carrozza; ma in quel
punto un uomo apparve trafelato nel cortile.
Battista lo ravvisò subito. Era Lorenzo.
- Te ne supplico! - borbottò Lorenzo sottovoce.
- Non andartene, Morella! Ti chiedo perdono.... Qui succede uno scandalo.
Battista, salito in serpe, stava impettito,
senza voltare il capo, nell'attesa d'un ordine.
Udì Morella che diceva, pure sottovoce:
- Non una parola!... È tutto inutile! Vattene!
- Te ne supplico, te ne supplico! - insisteva
l'altro. - Non fare scandali.... È già troppo!...
- Battista! - risonò la voce squillante di
Morella. - Avanti!
Rintronò il colpo secco dello sportello che si
chiudeva.
Battista richiamò Febo e mosse. Lorenzo fece un
balzo indietro per non rimaner coi piedi sotto una ruota. Appena fuori del
cortile, Morella sporse il capo e ordinò:
- A casa di mia sorella!
Battista lanciò Febo a trotto allungato, nella
sera lugubre e silenziosa. Sul tappeto soffice di neve, le ruote passavano
senza rumore; i fiocchi bianchi aggirati da un'aria gelida turbinavano intorno
alla carrozza e parevano ispessire in un tumulto folle presso la luce dei globi
elettrici ad arco.
- Dio degli Dei! - pensava Battista, serrando in
una mano le redini e toccando con la frusta lievemente la groppa di Febo. - Che
cosa è avvenuto?... Aquileio sta bene; non lo conduce dal medico.... Ma allora
perchè fugge?... La baracca non va; è un pezzo che non va. Il padrone cammina
di traverso, e il piccino non vien più a trovarmi. Povero piccino!... Sa tutto,
lui: e questo si chiama Febo, e quest'altro è sauro e quello è baio.... Che
intelligenza, che parlantina, che garbo! Io alla sua età ero come una bestia:
mangiavo e dormivo, non distinguevo un bue da un cavallo.... Adesso i bambini
nascono con la scienza in testa, coi microbi vulcanici nel cervello, e
capiscono tutto.... Ma perchè scappa la, signora...? Eh hop!... In malora i
carri!... Guarda quest'altro che mi vuol tagliare la strada.... Eh hop!... Un
carro che vuol fermare una carrozza!... Non c'è più religione.... E la signora
tutta scombussolata, senza cappello, con gli occhi che sembravano neri come
carbone.... Io volevo dirglielo: «Non ha il cappello». Ma non ho potuto.... Sa
comandare.... Una parola e basta: si galoppa!... E il piccolo, perchè non
parlava? L'ho udito lagnarsi, lui che non si lagna mai! Che cosa è avvenuto?
Come andrà a finire?... Se tutto va bene, giuoco al lotto.... Donna in fuga,
bambino piangente, viaggio di sera.... Mi contento d'un ambo....
La carrozza volava, grazie al deserto che la
neve aveva steso per tutta la città; risonavan più nette del consueto le voci
dei passanti; i cavalli da nolo avevano in testa il cappuccio e sul dosso una
tela cerata, su cui rimbombavano i colpi di frusta.
In via Durini, innanzi alla casa d'Isidora,
Battista fermò e Morella balzò fuori, tenendosi Farfui tra le braccia.
Isidora e Federico stavano quieti nel loro
salottino ben caldo, giuocando a carte.
Essi mettevano abitualmente per posta la compera
di qualche oggettino che Isidora desiderava; e allorchè la fortuna volgeva
troppo propizia a Federico, egli si studiava di perdere, barava per rimanere
sconfitto, e si fingeva desolato.
Isidora batteva le mani, fiera, della vittoria,
ridendo come una fanciulla e beffando il marito, che ascoltava le sue graziose
millanterie con un sorrisetto malizioso.
Morella piombò tra quei due felici, come un
fulmine. Essi balzarono in piedi contemporaneamente, senza comprendere,
atterriti.
- Che è, che è, mio Dio?... - gridò Isidora,
vedendo la sorella così scarmigliata. - Che è avvenuto?
- Prendi Farfui! - disse Morella con la voce
rotta dall'affanno. - Lo lascio da te.... Vedi? L'ha battuto, l'ha ferito...!
Federico sollevò il bambino tra le braccia,
portandolo sotto la luce delle lampade elettriche.
Farfui aveva una piccola ferita presso l'occhio,
una lunga graffiatura che sanguinava ancora un poco. Non era nulla di grave; ma
il bambino appariva spaventato e tremante.
- Su, su, non è nulla, Farfui! - esclamò
Federico. - Ora sei qui, non aver paura!
Morella raccontava, con quella sua voce
soffocata, mentre Isidora le stava ai piedi, bevendone le parole e lo sguardo.
Era stato così: Tito Bardi aveva chiamato
Lorenzo per rimproverarlo della vita che conduceva, e n'era avvenuta una
discussione violenta. Tornato a casa, Lorenzo s'era scagliato contro Morella, e
l'aveva battuta, accusandola d'averlo denunziato al padre; e in quel momento
era entrato nella camera Farfui. Al vederlo, Lorenzo gli si era gettato sopra,
lo aveva schiaffeggiato, e buttato a terra.
- È ubbriaco! - diceva Morella, - È sempre
ubbriaco!... Vuole uccidere il mio bambino.... Lo odia.... Io so perchè lo
odia...!
E dimenticando d'essere alla presenza della
sorella e del cognato, soggiunse:
- Ah Mariano, Mariano, che male ci ha fatto!...
Gli ho perdonato, perchè non sapeva quel che si facesse!... Ma quanto male,
quanto male!... Ora capisco....
Federico e Isidora, ascoltavano in una terrifica
angoscia, non riuscendo ancora a comprendere bene ciò ch'era avvenuto. Morella
riprese tra le braccia Farfui.
- Ma dimani, - esclamò Federico, - veramente s'è
dato al bere Lorenzo? Io non ne ho mai saputo nulla.... Quale vergogna!...
Il brav'uomo paffuto e roseo che, con gli
occhiali d'oro a stanghetta, era l'espressione più caratteristica del pacifico
borghese, probo e leale, non avrebbe creduto a tanto sfacelo, se non ne avesse
avuto contezza da Morella.... Egli non conosceva più obbrobrioso vizio del
bere; era disposto a perdonar la passione del giuoco e lo stesso libertinaggio
prima che l'ubbriachezza, per la quale sentiva un formicolio d'orrore, uno
schifo indomabile.
Veder l'uomo ridotto a non capir ciò che si
faceva, a terra come un bruto o tentennando e barcollando per le strade, con un
codazzo di curiosi che lo aizzavano a dire cose sconce e a far lazzi immondi,
per Federico era spettacolo d'angoscia e d'umiliazione.
E fremeva spaventato in pensare che il cognato
Enzo, il vecchio amico, il collega, era stato preso a quella tagliuola; e si
spiegava infine perchè non lo si vedesse più dal suocero e sfuggisse ogni
occasione di ritrovarsi come di solito coi parenti.
Isidora fu insuperabile di sollecitudine e di
pietà; con uno sforzo di pazienza riuscì a dar la calma a Farfui e a farlo sorridere,
cosicchè in breve poterono metterlo a dormire nella camera degli ospiti; e
visto il bambino rasserenato, Morella riacquistò a sua volta il coraggio. Fu
rimandata la carrozza, e Morella passò quella notte dai Berardi.
L'indomani mattina, lasciato Farfui alla
sorella, tornò a casa sua, accompagnata da Federico, il quale ebbe un lungo
colloquio con Lorenzo.
Non ne potè cavar nulla neppur lui, Lorenzo era
sempre in procinto di parlare, e terrorizzato al pensiero del ridicolo, si
fermava; era per accusare, e avvedendosene, terminava con una risata sardonica;
passeggiava in lungo e in largo per lo studio, stringendo i pugni e
borbottando; ascoltava le rampogne di Federico e sorrideva quasi non le
capisse.
Insisteva perchè il bambino tornasse a casa. Non
poteva rimanere in casa altrui, non doveva.... Federico credette vedere in
quella insistenza una prova d'amore per Farfui, ma disperò quando comprese
ch'essa era stata suggerita soltanto dallo sbigottimento per le chiacchiere e
lo scandalo.
- Deve tornare qui, capisci? - andava dicendo
Lorenzo. - Che si dirà, quando si saprà che mio figlio è costretto a vivere
presso gli zii? Già Morella ha fatto quella scenata, ieri sera, davanti agli
uomini di scuderia, che avranno riso alle nostre spalle, ed è fuggita senza
cappello, come una pazza.... Ora si noterà che il bambino è sparito e si
continuerà a mormorare. Io non voglio diventar la favola del mercato....
- Ma lo sei già, la favola! - proruppe Federico,
al quale era scappata la flemma.
- Come, che cosa dici? Io sono la favola? -
esclamò Lorenzo esterrefatto.
- È naturale; bevendo e ubbriacandoti, non puoi
certo essere ammirato dai tuoi colleghi...!
Lorenzo alzò le spalle; aveva temuto ben peggio.
- Di questo io m'infischio.... È affar mio....
Ma non voglio che nasca uno scandalo per altre cose.... Non voglio,
assolutamente! Non sono uomo da patire il ridicolo.... Voglio che il bambino
ritorni....
- Ritornerà quando tu avrai messo giudizio, -
rispose Federico, - per ora lo teniamo noi.
Lorenzo s'irritò, maravigliato di non riuscire a
smuovere Federico, il quale era pure docile e molle di carattere, ma trovava
nella sua indignazione una forza caparbia.
Non potendo spuntarla diversamente, Lorenzo
abbondò di promesse: non avrebbe più bevuto, non avrebbe più tribolato il
bambino; ma tornasse, tornasse a casa subito....
- Sta bene, - concluse Federico inflessibile, -
Noi lo terremo una settimana; vedremo in questa settimana come si metteranno le
cose, e se le tue promesse non si risolvano in parole.
Allora Lorenzo diventò una furia, gettò a terra
la pipetta e poi quanto aveva innanzi sulla scrivania.
Che c'entrava Federico? Un nuovo padrone in
casa? Disponeva lui di suo figlio? In nome di chi e di quali diritti egli
agiva? Era una trama fra lui e Isidora e Morella?... Sfruttavano a quel modo la
sua cura di non far nascere uno scandalo? Ma egli lo avrebbe fatto nascere, se
fosse stato necessario!... Non bastavano le sue promesse? La sua parola d'onore
non aveva più significato?
Federico lo lasciò dire, come si lascia dirompere
giù per la china un torrente; e a tutte le sue minaccie non oppose che il
rifiuto testardo dell'uomo abitualmente dolce e remissivo, che quando s'impunta
non si lascia più flettere da cosa al mondo.
- Fra una settimana, caro Enzo! Vedremo fra una
settimana! Non prima d'una settimana! Puoi dire ciò che vuoi, ma il bambino me
lo tengo per una settimana....
E udì, uscendo dallo studio, che in un impeto di
furore Lorenzo rovesciava a terra e mandava in briciole la sola cosa ch'era
ancor rimasta dritta sulla scrivania, la pendoletta d'alabastro; ma non si
commosse pur tanto e salì da Morella a riferirle il senso del colloquio.
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