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Luciano Zuccoli
Farfui

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  • PARTE SECONDA.
    • XX.
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XX.

 

Il pensiero andò maturando, ingrandendo, facendosi intimo ed assiduo.

Edoardo lo trovò sul guanciale la mattina, allorchè prima di balzar dal letto rievocava le impressioni del innanzi e ordinava le occupazioni alle quali avrebbe dovuto attendere durante il giorno; lo vide seduto presso la sua scrivania, e in carrozza, a viso a viso, come ospite inesorabile e taciturno; lo incontrò nei salotti, e nei teatri, alla Borsa, e alla passeggiata, nelle ore d'ozio e, a tratti a tratti, quando più ferveva il lavoro. S'era fatto persona, così che ad Edoardo sembrava di poterlo afferrare, stendendo la mano.

E il pensiero diceva: «Bisogna ucciderlo, o Farfui morirà».

Farfui era stato condotto a casa prima che la settimana spirasse.

In casa degli zii non aveva pace. Le cure instancabili d'Isidora e di Federico, e i balocchi di cui gli avevan riempita la cameretta, e le fiabe narrate dalla zia con inesauribile pazienza, e gli spassi e le serate al Circo equestre, per i quali Isidora e Federico avevano rinunciato volentieri alla loro placida vita semplice, e lo studio di distrarre il bambino senza posa; tutto era tornato inutile.

Non stava bene Farfui, lungi dalla sua mamma. Sebbene questa passasse il più della giornata presso Isidora, non appena ella ripartiva Farfui diventava nervoso, e trasaliva ai minimi rumori; di notte si svegliava di soprassalto, gridando.

Era atterrito. Visto Lorenzo ubbriaco quella sera che tornando dal suocero aveva battuto Morella, il bambino non s'era potuto liberar più da quella impressione. Non aveva capito l'ubbriachezza di Lorenzo; gli era parso agitato da un furor misterioso di distruzione, e s'imaginava che ogni sera fosse la stessa cosa, che il papà battesse ogni sera la mamma, e che questa fuggisse nella silente notte nevosa, finchè l'alba non apparisse.

Fu ricondotto a casa prima dello spirare di quella settimana che Federico aveva stabilito come termine per sincerarsi delle buone intenzioni di Lorenzo.

Le buone intenzioni eran naufragate a Villa Mora donde Edoardo e gli altri avevan dovuto ricondurlo in uno stato pietoso, e riprendendo la sua vita l'indomani, s'era fatto più che mai assiduo della bettola di Carlotto, e s'ubbriacava anche in casa, dopo pranzo, se non aveva avuto tempo di ubbriacarsi fuori.

Farfui si rasserenò presso la sua mamma; e questa si mostrava con lui ridente e gaia, perchè egli non temesse nulla. Il bambino andava ancora a trovare gli amici e Paolino Tornaghi, e visitava le scuderie, e stava a chiacchierare con Battista e Gigi, ma di soppiatto, quando il babbo russava nella sala da pranzo.

E un giorno la mamma lo condusse in una casetta monda e tranquilla, che sorgeva in quella zona fuori di porta Monforte, la quale pareva per virtù di miracolo andar coprendosi di caseggiati nuovi e popolati, che dovevan formare di dalle barriere antiche tutta una città novella.

In un appartamento piccolo, ma tenuto con lindura e addobbato con qualche eleganza, stava una giovane dalla bella faccia aperta, e sana, che accolse Morella e Farfui con espressione di rispetto.

- Che sorpresa! - ella disse, facendosi loro incontro. - Che sorpresa, signora! È quello il suo bambino? È un amore! Si accomodi, qui in questa camera, che è calda....

Farfui si guardava intorno. La giovane portava tra le braccia un altro bambino più piccolo di Farfui, il quale rideva. Non era bello; aveva un carnato pallido, quasi cereo e occhietti smorti; ma in quel visetto era un'espressione comica e ridanciana, la quale dava allegrezza. Vestiva modestamente un grosso abito di lana, che doveva tenerlo riparato come in un nido; e l'abito non aveva strappi macchie e alle scarpette non mancava un bottone; attraverso il grembialino era ricamato il saluto ch'egli non aveva dato ai visitatori: «Buon giorno

Morella sedette, e pregò la donna:

- Mettetelo a terra, Giovanna. Vediamolo camminare.

Giovanna mise a terra il bambino, che camminò frettoloso e andò subito a tirare il naso di Farfui.

- Com'è bello, mamma! - disse questi ridendo. - Come si chiama?

- Giovanna diede i ragguagli a Morella, che li chiedeva: il bambinetto era anemico, ma il dottore diceva che con un buon vitto e una cura attenta si sarebbe presto rinfrancato; doveva aver patito la fame nei primi mesi di sua vita, e ora bisognava nutrirlo e rifargli....

- Rifargli quei cosi rossi, - concluse Giovanna.

- I globuli, - disse Morella.

- Sì, signora. Ma è tanto buono; non piange mai, e mi vuol bene come fossi la sua mamma. Non mi alcun disturbo, e io posso lavorare in casa, mentre lui sta a giuocare.

- Mi dici come si chiama? - ripetè Farfui.

- Fausto, - rispose Morella. - Fausto Frigerio.

E stette assorta a mirare il bambino che le sorrideva, quasi la riconoscesse.

Farfui lo preso a mano.

- Non hai giuocattoli? - domandò. - Non hai il bel cavallo che dondola?

L'altro lo fissò un poco, e quindi lo condusse, sempre in fretta, a guardar presso la stufa, ov'erano conservati un paio di pantofole, alcuni rocchetti, una cannuccia da scrivere logora e rosicchiata, un gomitolo, scampoli di stoffa; e li indicò a Farfui, superbamente, stendendo un dito.

- Sono i tuoi giuocattoli? - esclamò Farfui scandalizzato. - Non hai i soldatini?

- «Tatini»? - ripetè il figlio di Mariano Frigerio. - «Tatini»?

E rideva come a dire che per divertirsi quei «tatini» erano affatto superflui; bastava un po' di buona volontà, un po' di buon umore.

- Mamma, - disse Farfui, - io voglio regalargli i miei soldatini, a Fausto.

- Sì, caro, glieli manderemo, - rispose Morella.

Fausto aveva nel frattempo tirato alla luce una delle pantofole alla quale era legato una lunga funicella, e passeggiava frettoloso, trascinandosi dietro quel veicolo informe, per dimostrare a Farfui che il giuoco era interessante; Farfui sedette a terra, caricò i rocchetti e la cannuccia sulla pantofola, e cominciò un servizio di trasporti, un viavai tra Fausto e Farfui, che d'un subito s'intesero tra loro mirabilmente.

Il figlio di Mariano Frigerio e il figlio di Morella Moro vicini l'uno all'altro, povero il primo e milionario il secondo, esprimevano un contrasto intraducibile. Fausto, strappato alla morte per miracolo, allevato per carità, ancora malfermo per la fame patita, era un buffone incorreggibile, che tendeva gherminelle al suo compagno e sorrideva dalla bocca e dagli occhi. Farfui lo proteggeva gravemente, con una indileguabile ombra di melanconia sul volto incorniciato dai capelli d'oro. L'uno aveva sofferto in una età di cui nulla si comprende e si ricorda; l'altro cominciava a soffrire quando il cuore e l'intelligenza si aprono a ricevere impressioni perdurabili.

Essi giuocavano fraternamente coi visetti accostati, e Fausto dava d'ora in ora in una risatina, ammirando la saggezza di Farfui che sapeva condurre la pantofola senza rovesciarne il carico, mentre quando l'ufficio toccava a Fausto, egli correva troppo con quei passettini minuti e sbatacchiava la pantofola qua e , contro le gambe delle sedie e della tavola. Ma Fausto non s'irritava mai; aiutato da Farfui, rifaceva il carico e ripartiva, per riperderlo indi a poco; e di nuovo i due bambini s'inginocchiavano, tra le risate di Fausto, ad ammonticchiare i rocchetti sul veicolo.

Avrebbero seguitato ancora a lungo se Morella non avesse richiamato Farfui, prendendo congedo da Giovanna, alla quale aveva portato denaro per il figlio di Mariano.

Farfui salutò il suo amico, tenendolo sotto le ascelle e baciandolo sulle gote.

- Addio, - gli disse, - ti manderò i soldatini. Non è vero, mamma?

- Sì, caro. Glieli manderemo domani.

E uscirono, mentre Fausto si metteva a saltellar per la casa gridando gioioso:

- Tatini, tatini, tatini!

Non sapeva che fossero, ma imaginava cose straordinarie.

Quando furono in istrada, Farfui domandò:

- Chi è, mamma, quel bambino?

- Te l'ho detto, caro, è Fausto Frigerio.

- No, - fece Farfui scuotendo il capo. - Non così. Poldo è il figlio del fattore. E questo chi è?

- Ah, - disse Morella. - Vuoi sapere dov'è il suo babbo?

- Sì; dov'è?

- Non c'è più, caro. Il suo babbo è morto.

- Che cosa vuol dire che è morto? - interrogò Farfui.

- Vuol dire che dorme, - rispose Morella.

- Come il papà, allora. Dorme come il papà? Morella strinse la piccola mano del fanciullo, fremendo.

- No, caro, non come il papà.

- Ma il papà «dormava» anche oggi.

- Sì, dormiva; ma poi si sveglia. Invece il papà di Fausto dorme sempre, sotto terra, e non si sveglia più.

- E la sua mamma dorme sempre anche lei? - interrogò Farfui.

- La sua mamma? Non l'hai vista?...

- No, che non è la sua mamma, quella! - esclamò Farfui. - Non hai sentito che non la chiama mamma? La chiama con tanti nomi, ma non dice mai mamma.

- Oh bambino mio, tu hai notato anche questo?

- Sì; e tu hai detto la bugia?

- Ho detto la bugia, - confessò Morella sorridendo, - perchè non so dov'è la sua mamma. È andata lontano, è sparita, è perduta.... Non so.

- Che cosa vuol dire perduta? Che è in un bosco scuro, scuro come Pucetto, e non trova più la strada?

- Sì, scuro, scuro! - ripetè Morella pensierosa.

- Oh mamma, perchè non le mandi un lume, poveretta, che trovi la strada?

- Non ci sono lumi, amore mio!

E tacque; e tacque anche il bambino, che le camminava al fianco, levando di tanto in tanto lo sguardo a investigare il volto della madre; ma vistala assorta in una meditazione, non interrogò più.

I passanti lo guardavano. Vestito con giacca e calzoncini velluto verde scuro, su cui s'abbottonava il soprabito nero, i capelli biondi coronati da un berretto d'astrakan, le manine guantate di bianco, Farfui si distingueva per un'espressione dolce e signorile che lo svelava subito come un rampollo di razza finemente nervosa. I suoi grandi occhi grigi, non avevano più quel significato di piena ingenuità che è proprio dei bambini, ma già un'ombra di pensiero vi si affacciava, dando allo sguardo una saviezza inconsueta fra i piccoli di quella età. Egli camminava dritto e svelto, a passi quasi inavvertibili tanto eran leggieri.

Sarebbe stato impossibile dire che quella signora impellicciata, la quale lo teneva per mano non era sua madre. Aveva lo stesso portamento di lui, semplice e pur fiero, lo stesso sguardo ombrato da una lieve malinconia, identico l'oro delicatamente pallido dei capelli; e non differiva che pel color degli occhi, grigio nel bambino, avana nella donna. Erano gli occhi di suo padre, pensavano i viandanti.

Ma se avessero visto colui che la legge chiamava padre del piccolo Aquileio, avrebbero riso per l'enorme differenza ch'era tra padre e figlio; l'uno tozzo, pletorico, plebeo, l'altro snello, gracile, elegantissimo; e di giorno in giorno il distacco si faceva più rilevante.

- Mamma, - chiese a un tratto Farfui, - perchè tu vuoi bene a Fausto?

- Perchè è piccino, - rispose Morella.

- Tu vuoi bene a tutti i piccini?

- Un po' più, un po' meno, a tutti. Bisogna voler bene ai piccini, che sono innocenti.

- E gli porti il denaro, mamma?

- Sì, perchè comperi da farsi la pappa.

- E agli altri piccini non lo porti?

- No, perchè non li conosco.

- E Fausto lo conosci?

- Hai visto; lo conosco.

- E il suo papà e la sua mamma li conosci?

- Il suo papà è morto, ti ho detto.

- Ma prima lo conoscevi?

- Sì, lo conoscevo.

- Era buono il suo papà, o era, cattivo?

- Era disgraziato.

- Che cosa vuol dire disgraziato, mamma?

- Vuol dire che se era cattivo non ne aveva colpa.... Ma dove vuoi andare con queste domande, bambino mio?

- Dove voglio andare? A casa! - rispose maravigliato Farfui.

- No, - fece Morella sorridendo. - Perchè mi rivolgi tante domande? Ecco.

- Perchè voglio sapere se è più cattivo il papà di Fausto o il mio papà....

- Non dire queste cose, Farfui! - esclamò la madre. - Il papà non è cattivo.

- Sì che è cattivo, e io non gli voglio bene. Io voglio bene a te e a Drado.

- Non dire queste cose, Farfui! - ripetè Morella, stringendogli forte la mano.

- Non devo dirle neanche a te? - chiese Farfui malcontento.

- No; perchè tu mi fai cadere in tentazione, - mormorò Morella, quasi parlando a stessa.

Farfui non disse nulla; era sbalordito per quella frase imperscrutabile, di cui non aveva afferrato che le prime parole, «mi fai cadere», e si domandava come mai le sue parole potessero far andare a terra la mamma....

Dopo un tratto di strada, percorso in silenzio, Morella gli disse:

- Ebbene, caro, non parli più?

- No, mamma.

- Perchè non parli più?

- Perchè no.

- Sai che mi dispiace quando tu dici «perchè no» e «perchè.sì». Bisogna sempre dare ragione di quel che si fa, e «perchè no, perchè sì» non sono ragioni.... Dunque, perchè non parli più?

- Per non farti cadere, mamma! Morella si fermò e si chinò a baciarlo.

- Non temere, - disse. - Parla, parla pure, amore mio!

S'erano arrestati all'angolo di via Monte Napoleone, e rendendo il bacio a sua madre, Farfui riprese:

- Mamma, andiamo a trovare Drado?

- No, no, caro, Dobbiamo tornare a casa; è tardi.

- Andiamo, mamma, - pregò Farfui, - Egli è contento che andiamo a trovarlo; non è vero?

- Sì, è contento; ma a quest'ora non c'è!

- Come sai che non c'è? - chiese il bambino attonito.

Morella si sentì arrossire, e tagliò corto:

- Io so tutto, - rispose.

La millanteria rispondeva così bene al concetto che Farfui aveva di sua madre, ch'egli non insistette oltre. La mamma sapeva tutto e il papà non sapeva niente; questa era l'opinione ferma del bambino; non aveva mai rivolto una domanda a sua madre senza ottenerne una risposta chiara e immediata; quando invece, anche nei tempi migliori s'era rivolto a suo padre, non ne aveva avuto che grufolii e alzate di spalle. Un altro che per Farfui sapeva tutto, era Edoardo Falconaro, pazientissimo a spiegare e a persuadere e a far comprendere.

Il bambino trovava naturale che sua madre, senza aver messo piede sulla soglia di casa sapesse che Edoardo era fuori; ella poteva vedere e sapere cose, le quali sfuggivano a chiunque altri. Per ciò egli l'ascoltava come un oracolo e l'obbediva con piacere, per quell'ammirazione ch'era in lui non minore dell'affetto.

- Io voglio diventare grande! - disse a un tratto, risolutamente.

- E perchè, caro?

- Per sapere tutto anch'io, come te!

- Ahimè, piccolo mio, non è affatto divertente! - esclamò sua madre. - E poi, quando sarai grande, nessuno ti darà, più baci e non ti porterà i cioccolatini.

- No? - fece Farfui dolente. - Tu non mi darai più baci, mamma?

- Io sì, sempre, amore.

- E allora i «cociolatini» me li comprerò io! - concluse Farfui, drizzando il capo con aria vittoriosa.

 

 

 




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