XXI.
Gli affari di Lorenzo Moro andavano male da
qualche tempo.
Paolino Tornaghi come principale agente e uomo
di fiducia della casa commerciale si sforzava a tenere dritta la barca nella
tempesta, ma non aveva l'autorità sufficiente alla bisogna ponderosa. I
facchini, abbandonati dall'occhio freddo di Lorenzo e non più serrati da una
disciplina inflessibile, tardavano a presentarsi in magazzino o vi giungevano
brilli, cosicchè le vendite e le spedizioni si facevano con lentezza e senza
quelle cure meticolose le quali ne assicuravano la riuscita.
Spesseggiavano i protesti dei committenti per
interi carichi di tonnellate, che, perchè non fossero respinti, venivan
ribassati fino a un prezzo rovinoso; e i mercanti, avvezzi a trattar con
Lorenzo e ad essere serviti presto, non ascoltavano i commessi; Lorenzo non
permetteva discussioni e nelle rare discussioni vinceva sempre; con gli
impiegati, i mercanti discutevano e imponevano il prezzo.
Poi, a poco a poco, uno per uno, disertavano;
erano attratti da quei negozianti che Lorenzo Moro aveva schiacciati alcuni
anni addietro dopo la lotta furibonda capitanata da Mariano Frigerio. Ora i
vinti rialzavano il capo; lo sbevazzare di Lorenzo preparava il loro trionfo, e
non combattevano l'antico avversario con dissennati ribassi, ma con la
puntualità e la speditezza, con la bontà della merce e la rapidità del
servizio.
Il bottigliere Carlotto era il loro più
formidabile alleato; pensava lui a somministrare a Lorenzo quanto bastava per
le stoppe colossali, che lo mettevano fuor di combattimento.
Gli avversari conquistavano con andare lento e
sicuro il commercio di Lorenzo Moro, non soltanto sui mercati italiani, ma
anche all'estero. Alcune ditte di Pietroburgo e di Vienna rifiutavano già di
trattar con la Casa Moro, e si rivolgevano spontaneamente ai suoi nemici, i
quali lavoravan con uno zelo appena superato dalla gioia di fiaccare il padrone
della vigilia.
- Chi ce l'avrebbe detto? - osservava uno di
quei vinti che si rimettevano. - Se ci fosse qui il povero Mariano Frigerio non
crederebbe alla realtà!... Ancora sei mesi, e Lorenzo Moro dovrà chiudere, o
saltare.
- Salterà, salterà! - disse un altro. - Non c'è
da temere una sorpresa. Beve cinque bicchieri d'assenzio al giorno oltre il
rhum e l'acquavite; è una cura infallibile!
Paolino Tornaghi e alcuni altri pochi fedeli
erano così addolorati, che avrebbero pianto. Stavan sulla breccia con Lorenzo
dai tempi in cui questi lottava furiosamente, aiutato di straforo da Edoardo; e
s'erano affezionati all'impresa, nata sotto i loro occhi, ingranditasi d'anno
in anno, divenuta possente, citata a modello. Ora se la vedevano crollare, tra
il giòlito e i battimani dei concorrenti, che ronzavano intorno come uccelli
predaci, per istrapparne ogni giorno un pezzo.
La merce insecchiva in magazzino e si fendeva
qualche volta per l'incuria degli uomini di fatica; le grandi corsie, già
risonanti delle voci dei mercanti, erano il più del tempo mute; i viaggi soliti
a Friburgo e a Rorschah donde Lorenzo tornava ogni anno con merce di bontà
impareggiabile, non si facevano più.
Lorenzo sonnecchiava nella gargotta, tra il fumo
acre delle pipe e l'odor mordente dei liquori; o compariva in istudio per una
di quelle sue sfuriate bestiali, che atterrivano gli impiegati e facevan
perdere ogni rispetto di lui.... Non si poteva parlargli di mettersi in
viaggio, nella tema che ubbriacatosi alla prima stazione, si lasciasse
svaligiare.
Paolino Tornaghi al quale non mancava l'ardire,
non aveva per contro tale esperienza da arrischiarsi egli solo ad acquisti di
tanta importanza. Si studiava di rimediare, vedendo con apprensione
sopraggiungere il momento delle scadenze, e tremando di non poterle
fronteggiare, non per mancanza di denaro, ma pel disordine che s'era infiltrato
nell'amministrazione.
Ne aveva coraggiosamente tenuto parola con
Lorenzo, un giorno in cui questi pareva meno annebbiato del solito:
- La scongiuro; pensi a quello che fa.... Di
tanta ricchezza, resterà ben poco....
- Resterà sempre troppo! - rispose l'altro.
- Ma lei ha un bambino; vuol lasciarlo povero?
- Va in malora, tu e il bambino! - urlò Lorenzo,
afferrando un calamaio.
Paolino Tornaghi dovette svignarsela; ma non
cedette, e corse da Edoardo Falconaro.
Trovatolo nei pressi della Borsa, gli espose
nettamente le condizioni dell'azienda; occorreva un aiuto, come ai bei tempi,
un aiuto di quelli che non posson dare che gli amici.
- Me lo immaginavo, - disse Edoardo. - Dopo la
bettola, il fallimento!
- Non è il fallimento, - rettificò Paolino. - La
casa è troppo forte per cedere alle prime scosse; ma gli introiti diminuiscono
sempre e le spese rimangono; bisogna provvedere in tempo, ed io le chiedo,
signor Falconaro, se possiamo più tardi contare su di lei?...
- Ma lei parla in nome di Lorenzo, - domandò
Edoardo, - o per sua iniziativa?
- Il signor Lorenzo non sa nulla, - confessò
Paolino.
- Sta bene; e allora, se crede che, quantunque
lontano, il fallimento sia inevitabile, segua il mio consiglio: lasci che
l'acqua vada per la sua china, e si cerchi un impiego.
Parlavano, fermi in piazza del Duomo, tra lo
scampanìo dei trams, il rumore delle carrozze, il brusio dei passanti, che
trottavano in tutte le direzioni.
Paolino in quell'insolente strepito
dell'attività nel quale si confondevano un tempestar di voci e uno stridere di
ruote, in quel continuo avvicendarsi d'uomini e di veicoli, sentiva più
insanabile la tristezza per la novina, ancor non prossima e pur certa, che si
sforzava a rimuovere.
Comprendeva bene che il crollo da lui paventato
come l'annientamento della sua pertinace opera di collaboratore, non avrebbe
fatto voltare il capo a un solo di quei frettolosi, e che tutta la vita
rugghiante e trionfale della città sarebbe passata sopra i rottami della
florida impresa, distruggendone in un baleno anche le ultime vestigia.
Sentiva d'essere piccolo e incapace, ricco
soltanto d'una inutile buona volontà.
- Come mai lei parla così, signor Falconaro? -
osò chiedere, mortificato.
Edoardo inarcò le ciglia.
- Quanto occorrerà? - disse. - Un patrimonio, di
sicuro, se il fallimento tarderà molto. Non posso disporre d'un patrimonio in
un colpo; e se potessi, a chi lo affiderei? a un ubbriacone? Si ricorda la
nostra gita a Villa Mora, e ha visto che cosa è diventato Lorenzo? Bisognerebbe
essere pazzi...!
- Ma no, - interruppe il Tornaghi. - Lei
dovrebbe entrare col capitale, prender la direzione, e con la sua energia....
Edoardo Falconaro sorrise.
- Io far da padrone in casa altrui o per un
commercio che non conosco? - esclamò. - Ne ho abbastanza, di sopraccapi...! No,
caro Tornaghi.... La sua premura è ammirevole, e mi fa piacere di conoscere un
brav'uomo.... Ma ascolti il mio consiglio, e si ricordi che per lei ho sempre
un posto libero di segretario presso di me.... Con gli ubbriachi non c'è da far
nulla, e sarebbe più ragionevole accender la sigaretta coi biglietti da mille,
che darli a Lorenzo!
- Sono desolato! - mormorò Paolino. - Penso
anche a quel povero Aquileio che quando sarà grande non troverà più un soldo.
-
Aquileio? - ripetè Edoardo. - Aquileio?
Per poco non si tradì, gridando: «Aquileio è
mio!»
- Aquileio lavorerà, - disse vincendosi
immediatamente. - È piacevole lavorare, e mi par che il bambino sia tomo da
farsi strada. Non sembra anche a lei?
- È un tesoro! - esclamò Paolino toccato nel
vivo.
Edoardo gli strinse la mano fortemente,
salutandolo; e ciascuno riprese la sua via, Paolino scervellandosi per trovare
il capitale e un socio, Edoardo pensando con tenerezza inquieta al suo Farfui.
Farfui in quel giro di tempo era tornato a
formar come il bersaglio di Lorenzo.
Questi sentiva rombar nell'aria le ali della
catastrofe; non era abbastanza ubbriaco per non avvedersi che il suo commercio
declinava e che gli avversarii lavoravano con profitto a soppiantarlo rapidamente.
Allorchè questo pensiero lo coglieva, Lorenzo si faceva cupo e sospettoso,
cercando le cause della disdetta all'infuori di sè, nella malevolenza della
clientela e nella incapacità de' suoi uomini.
Finalmente si fermò sopra un'idea: era Farfui che
gli portava disgrazia. Dacchè Farfui aveva visto la luce, tutto s'era voltato
contro; e Lorenzo inventava una serie di sciagure, di cui dava colpa al
bambino, distribuendole pei varii anni della vita di lui.
- Non mi resta che fuggire! - disse un giorno
Morella ad Edoardo. - Torna daccapo; ieri lo ha battuto, e non passa ora che
non lo rimbrotti e lo spaventi. Io fuggirò con Farfui; andrò da mio padre....
Non posso più reggere; devo difendere mio figlio.... Enzo me lo uccide, e se
tollerassi ancora, diventerei sua complice.... Del resto, la mia vigilanza non
basta.... Me lo ha terrorizzato in tal maniera, che il poveretto non dorme la
notte, e non mangia quasi più.... Ho deciso; parlerò con mio padre, e cercherò
ricovero da lui....
- Aspettate, - interruppe Edoardo.
- Aspettare? - esclamò Morella, irritandosi
subitamente. - Aspettare che Farfui muoia? che cosa devo aspettare?
- Non so, - disse Edoardo. - Aspettate....
Quel medesimo giorno egli si fermò a pranzo dai
Moro. Lorenzo non era ubbriaco, ma aveva sul volto i segni della devastazione
che l'alcool andava producendo nel suo organismo; già accennava a non poter
tollerare la vista del bianco; la tovaglia nitidissima e nivea gli disturbava
lo stomaco, e un lieve tremito gli agitava, ostinatamente le mani.
Presso di lui era Farfui.
Il bambino, vestito con un abito di velluto
marrone che una cintura di cuoio naturale stringeva ai fianchi, era bello e
fresco, a dispetto delle sofferenze. Il volto bianco sotto i riccioli biondi
con quella sua espressione di dolce pensosità pareva più gentile a confronto
della faccia precocemente rugosa, pavonazza, di Lorenzo. Portato ad amare,
amava tutti, tutte le cose e tutte le persone, con sereno candore; non sapeva
agguati nè infingimenti. Egli era la speranza del domani.
Vicino a lui, l'uomo che aveva vissuto
largamente e piacevolmente, divenuto crudele e pericoloso, agitato da quel
tremito sinistro, l'occhio bieco iniettato di sangue, l'alito graveolente
d'alcool, pesava con tutto il peso della sua animalità brutale sulla vita
dell'innocente ch'egli avrebbe voluto soffocar nel pugno a poco a poco, in
silenzio.
Edoardo contemplò più volte durante il pranzo le
due figure che gli stavano di fronte.
E quel pensiero dal quale era sempre
accompagnato, gli sfolgorò innanzi con la luce insostenibile d'una fiamma
ardente: «Bisogna ucciderlo, o Farfui morirà».
Ucciderlo, spazzar via l'inutile carcame
impregnato di vino e d'acquavite, lasciare il passo alla fanciullezza che ride,
che vuole, che deve procedere....
Lorenzo si alzò, dopo pranzo, e toccò una spalla
d'Edoardo.
- Ho da, parlarti, - disse. - Accompagnami nel
mio studio.
Edoardo interrogò con l'occhio Morella, ma
questa non gli seppe rispondere. Le risoluzioni di suo marito erano improvvise,
imprevedute, nè egli s'apriva con alcuno; Morella stessa non aveva idea di che
cosa potesse trattarsi in quel colloquio.
- Non so, - rispose con lo sguardo. - Siate
prudente....
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