XXVI.
La disgrazia era manifesta.
Esaminata la maschera, quella che Lorenzo
prediligeva e aveva soprannominata il «campanone», si vide che alcune maglie
erano contorte da tempo, e che le barrette di traverso s'eran qua e là
staccate, formando spazii irregolari, onde la lama, trovato un passaggio
facile, era stata presa e addentrata per la rapidità e l'impeto d'attacco di
Lorenzo.
Se anche il primo colpo ed unico, non fosse
riuscito mortale, la lama d'Edoardo sarebbe dovuta in ogni modo saltare per la
stessa veemenza con cui l'altro vi aveva dato di cozzo; la temerità di Lorenzo
riusciva evidente.
Così giudicarono gli esperti.
Il maestro Pino Monti potè aggiungere non poche
esatte informazioni intorno alla maniera pericolosa con la quale Lorenzo Moro
stava sulla pedana, talchè se qualche cosa s'avesse voluto notare intorno al
fatto funesto, era da notarsi che soltanto la calma e la prudenza d'Edoardo
Falconaro avevan potuto ritardare una catastrofe. Di qualunque altro avversario
Lorenzo avrebbe assai prima toccato la lama nel corpo, grazie alla rabbia con
cui si slanciava e alla noncuranza intera e ostinata d'ogni buona regola
cortese.
L'imprudenza e il disprezzo dell'urbanità,
tradizionale fra i tiratori, avevan dunque trovato una ben tragica punizione.
E circa al pensiero che il colpo, invero
formidabile, fosse stato volontariamente assestato da Edoardo, se i tecnici non
avessero già avuto a dimostrare che la maschera era smagliata, non si sarebbe
trovato un solo capace di fermarsi a quella orrenda ipotesi, ricordando che i
due combattenti erano alla vigilia di stringere vie più l'amicizia col fondare
una società; alla quale Edoardo avrebbe portato un capitale egregio, da cui
certamente avrebbe ritratto utile copioso, grazie alla rinomanza di cui già
godeva la Casa Moro.
Onde ben si poteva affermare che dalla morte
dell'amico egli non aveva avuto che perdita e lutto; precisamente l'opposto di
ciò che occorre per dar forma a un crimine, non essendovi persona ragionevole
al mondo - ed Edoardo Falconaro era ragionevole - che uccida pel solo piacere
di recar nocumento materiale e morale a sè medesimo.
Così giudicarono gli esperti.
Edoardo Falconaro viaggiò un anno, quando solo e
quando accompagnato dal piccolo Aquileio; e da questo delicato particolare si
vide ancor meglio quali nobili sentimenti egli nutrisse per il defunto amico,
il cui figlio tenerello divenne in breve il più caro ingenuo compagno suo. Era
facile indovinare che un giorno avrebbe anche meglio riparato alla sciagura non
solo, ma al danno di cui era stato artefice involontario.
Perchè, ordinata e condotta a termine da Paolino
Tornaghi la liquidazione della Casa commerciale che aveva nome da Lorenzo Moro,
si rilevò che quanto rimaneva non sarebbe stato sufficiente a far vivere con
decoro, se non col lusso abituale, la vedova e il figlio. Talchè parve a tutti
commendevole atto quello del Falconaro, che spirato appena l'anno, sposava
Morella Bardi, apportandole il patrimonio egregio di cui già si parlava a
proposito della società.
La casa abitata un giorno dai Moro fu venduta
con tutto il mobiglio a Tonino Boccadelli per venticinquemila lire, quantunque
ne valesse ormai sessanta, grazie alle comodità e al fasto che la giovane
signora vi aveva introdotto; e Tonino Boccadelli la rivendette per settanta a
un signore, il quale aveva notato che nei sobborghi le femmine sono, se non più
facili, spesse volte più leggiadre che nelle vie principali della città; ed
egli tornò a farvi ballare, come diceva il povero Mariano Frigerio, qualche
Ninetta e qualche Bruciata con un'orchestra di zanzare.
Venne conservata invece la Villa Mora,
rimutandone l'addobbo, e la cisterna dell'orto fu chiusa, sollevandone pur la
proda intorno. Dei cavalli uno solo non fu venduto, Febo, il quale passò nelle
scuderie d'Edoardo Falconaro, col nome risonante di «Uhland» che Battista,
cocchiere in soprannumero, fece diventare «Ulano» per comodità di desinenza.
Il piccolo Farfui, cresciuto bello e forte,
chiassoso e ardito, è pur sempre l'amico de suoi primi amici, di quel Paolino
Tornaghi, il quale, diventato segretario d'Edoardo Falconaro, può trattenersi
ora liberamente col fanciullo, senza tema d'essere sorpreso a raccontar fiabe e
a disporre in quadrato i soldatini di piombo. Ed è l'amico, il piccolo Farfui,
dell'umile Poldo, «il rivelatore», al quale ha regalato da poco l'elmo e il
cavallo a dondolo; e di quel Fausto Frigerio, che pel suo carattere birichino,
giullaresco, buontempone, accenna a diventar leggermente un rompicollo, ma
dimostra tanta gratitudine e tanto rispetto per Morella Falconaro, che in
questo sentimento troverà forse il freno alle sue troppo allegre tendenze.
Edoardo Falconaro e Morella non osano dirselo,
ma sono felici.
Edoardo si stupisce qualche volta che tanto bene
sia potuto originare dalla semplice scomparsa d'un uomo; e nelle ore in cui osa
discendere fino al fondo di sè stesso per fermare trafiggere l'ultimo anello di
quel serpe avvelenato che è il cuore, si dice che se il barbarico duello fosse
avvenuto qualche tempo prima, si sarebbero risparmiate molte noie a Morella, e
a Farfui. Egli può considerar con occhio tranquillo e polso fermo quel
terribile gesto del braccio teso a tutta forza contro la faccia del nemico,
perchè in quell'ora e in quel luogo ha rischiata e difesa la sua vita.
Ciò che Morella ignora. Ella non ha dubitato mai
di quanto ebbero a stabilire gli esperti, e siccome crede in Dio, non ha
bisogno di cercar tra gli uomini l'autore della sua liberazione.
Anzi, tanto è sicura della disgrazia accertata,
che un giorno, rimproverando dolcemente con la voce morbida e voluttuosa
Edoardo Falconaro, il quale ha per prima legge il desiderio di Farfui, non s'è
peritata a dirgli sorridendo:
- Non concedergli tutto. Tu gli vuoi troppo
bene. Saresti capace d'uccidere per difenderlo!...
Edoardo ha avuto un tremito subito dissimulato.
E prendendo fra l'indice e il pollice il mento
della donna e sollevandone un poco la testa per baciarla, in bocca, ha
risposto, rievocando tutto un passato:
- «Lei non sa!...»
FINE.
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