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Luciano Zuccoli
Farfui

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  • PARTE PRIMA.
    • XIII.
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XIII.

 

Era libera.

La violenza di suo marito, l'estremità a cui era giunto, le ridavano il possesso di medesima; nessuna ingiuria era troppa per vendicare quell'ingiuria. Lorenzo la considerava veramente una cosa, un oggetto, un balocco; lo dicevano i pochi fatti di quei giorni, il trasporto della casa compiuto senza nemmeno avvertir lei, che pur doveva vivervi il più gran tempo, e le percosse, l'offesa bestiale, di cui si macchiano gli uomini delle infime classi. A tanto egli non era mai arrivato; pareva fatto cieco da una fatalità, che volesse rompere ogni legame tra lui e la sua donna. E questa non soffriva; era quasi lieta dell'oltraggio, che faceva fermentar nel suo animo una nausea senza nome.

Non appena Lorenzo ebbe varcata la soglia, e sbatacchiando la porta se ne fu andato, Morella con un balzo corse alla sua «psiche» e girandola sul perno, si guardò avidamente.

Era brutta?... Era brutta come le aveva detto Lorenzo? Di tutta la scenata, questo le importava più d'ogni altra cosa. Era brutta? Si avvicinò allo specchio, si studiò con un'attenzione meticolosa; non aveva una ruga, non una macchia in volto; ma forse la carnagione scura coi capelli biondi, forse i capelli biondi con gli occhi tané, forse le labbra sanguigne nel volto scarno e affilato, stonavano; e il corpo era troppo sottile.

Andò alla porta, chiuse a doppia mandata, e in un attimo si spogliò interamente, e tornò allo specchio a scrutarsi.

Bella no, non era; sembrava ancora una ragazza; veramente una frusta sembrava; il petto magro; piccoli gli ùveri dei seni; il ventre appena disegnato; le gambe lunghe; i fianchi esili, le reni troppo lunate; decisamente era brutta.

Si riabbigliò adagio, adagio, umilmente.

Ma le tornò alla memoria qualche frase, che le diede un nuovo guizzo d'orgoglio. «È un uomo di ferro chiuso in un'armatura». E l'uomo s'era chinato verso di lei per susurrarle il suo dolore, il suo segreto, il suo rimpianto. Non perchè era bella, no, ma perchè aveva sentito ch'ella poteva comprenderlo e serrar nel cuore la confidenza preziosa; ch'ella fosse brutta, a lui non importava; egli la vedeva con altri occhi....

Quando tutti si raccolsero, la mattina di poi, nella grande sala della prima refezione, Morella comparve sorridente.

La giornata s'annunziava stupenda; il sole scherzava sulle vetrate color di croco e sui rosoni di cobalto, dipingendo a bizzarre strisce d'oro e d'azzurro il pavimento; la frescura arrecata dall'ultimo temporale durava tuttavia, e dalle porte-finestre si scorgevano le miriadi di foglie tremolanti all'aria. Echeggiava or qui or , or prossimo or lontano, il grido dell'assiuolo.

Edoardo, salutando Morella, fu colpito dal suo aspetto, che tanto poco s'accordava col sorriso; era pallidissima, e la notte insonne le aveva segnato gli occhi con due cerchi turchinicci.

Il Falconaro non aveva mai avuto agio di considerare il mal garbo con cui Lorenzo trattava sua moglie, perchè non s'era mai trovato più giorni di seguito in loro compagnia; ma il contegno di lui gli riusciva ora così urtante, e le parole taverniere ch'egli si lasciava scappar di bocca alla presenza delle donne eran per lui così inaspettate, che rapidamente scemavano nel suo animo la stima e l'affetto per l'amico.

Già fin dal giorno dell'arrivo, Edoardo s'era accorto che Morella aveva pianto pel cruccio della balorda compera fatta da Lorenzo, e quella mattina poteva notare che qualche cosa più grave era avvenuta, a giudicar dall'aspetto di Morella e dalla ostentazione di Lorenzo, che non le rivolgeva mai la parola.

Anche ad Isidora non andarono inosservati quei particolari, e cinse la sorella con uno sguardo ch'era una carezza immensamente affettuosa.

- Io propongo una gita, dopopranzo, - disse Lorenzo.

- Sì, - aggiunse Federico, - andiamo al Faggio Storto; credo che Edoardo non ci sia mai stato.

- Non ci sono mai stato, infatti, - confermò il Falconaro.

- È molto lontano, - obiettò Morella.

- Attaccheremo i cavalli, - ribattè Lorenzo guardando la tavola. - I due bai alla canestra, e Febo ai quattro-ruote.

- Edoardo guiderà Febo, - stabilì Federico.

- Io non ci metterò piede in quel quattro-ruote, - annunziò Isidora.

- Ci vado io, - disse Morella con fermezza.

- Come, tu, con tanta paura? - esclamò Isidora sorridendo.

- Lascerò la paura a terra, - rimbeccò Morella seccamente.

- È difficile Febo? - chiese Edoardo.

- Che, che! Mia moglie trova tutti difficili, gli uomini e i cavalli! - disse Lorenzo ridacchiando. - È un po' bisbetico, ma quando sente una mano ferma non fa scherzi.

- Trovo tanto poco difficili i cavalli, che andrò io con Febo, - osservò Morella. - Lei mi vuole?

- Io la voglio! - rispose Edoardo con un sorriso:

- Pensate che al ritorno avremo il chiaro di luna, - consigliò Isidora inquieta, - e il cavallo può spaventarsi per qualche ombra.

- È deciso così! - concluse Morella alzandosi. - Falconaro e io nel quattro-ruote; e voi nella canestra. Ci deve essere qualcuno al fianco di Falconaro; non vorrete lasciarlo andare solo? E una donna, anche quando val poco, è sempre miglior compagnia in una gita che non un uomo.

- Morella si trasforma, - disse Federico ingenuamente. - Non ha più paura dei temporali, non ha più paura dei cavalli.

La giovane volse rapidamente il capo a guardar fuori, nel giardino; ma su quella frase meditò sua sorella che aveva pure notato il mutamento dell'altra.

Era vero: Morella si trasformava; non solo non s'arrestava più innanzi a quelle piccole difficoltà che poco prima l'avrebbero sbigottita, non solo non aveva più i mille timori delle donne sensibili e nervose, ma una vivacità nuova, una spigliatezza audace eran nate in lei; e sempre quando Edoardo era presente, sempre quando si trattava di sfidare con Edoardo qualche congiuntura alla quale dianzi ella avrebbe dato il nome di pericolo.

Isidora strinse le labbra, afferrata da un dubbio che le si affacciava di continuo e che non si lasciava scacciare.

Febo era un baio bruciato di sei anni, lungo e snello, con garretti d'acciaio; quando Edoardo lo vide, quel dopopranzo, mentre stavano attaccandolo al quattro-ruote, uscì in un'esclamazione ammirativa. Senza paraocchi, coi finimenti di cuoio naturale, il trottatore era elegantissimo.

- Ma tu t'intendi di cavalli? - chiese Edoardo a Lorenzo.

Stavano tutti intorno alla vettura, le donne in vesti leggerissime, osservando Febo dall'occhio acceso e dalle froge rosee.

- Eh, che ne dici? - rispose Lorenzo soddisfatto. - Era di Mariano anche Febo; gliel'ho comperato l'anno scorso, per poco, perchè diceva ch'era un brocco.

- Quel povero Mariano fa sempre cattivi affari, - osservò Edoardo sorridendo.

- E noi gli portiamo via tutto! - concluse Morella con voce sorda.

Edoardo salì nella vettura, prese le redini e si volse alla giovane.

- Polso fermo, - disse Lorenzo all'amico. - E vedrai che va come una saetta; del resto, tu ne sai più di me. Donne e cavalli sono il tuo forte.

A Morella che, salita, stava sedendosi al fianco del Falconaro, brillò un lampo negli occhi; ricordò Natascia, la zambracca russa, le parve di vedersela innanzi, e scosse il capo quasi per allontanare il pensiero molesto.

- Noi andiamo avanti, - ella disse, - Arrivederci!

- Falconaro, mi raccomando a lei! - gridò Isidora. - Mia sorella è nelle sue mani.

- Lo so, - rispose Edoardo, mentre Febo si avviava. - E non mi sfugge.

Morella avvertì che in taluni momenti della vita, le parole rivestono un senso doppio, un significato recondito, che si crederebbe studiato a bella posta. Quella stessa mattina, essa aveva detto al Falconaro: «Mi vuole?» e solo dopo aver pronunziata la frase, le era sembrata sconveniente. Ora sua sorella diceva ch'essa era «nelle mani» dell'uomo, cosa sua, e ancora la frase ingenua le sembrava piena di significazioni.

Pel primo tratto di strada, Morella Edoardo parlarono.

S'erano staccati celeremente dagli altri, e Febo trottava velocissimo, rizzando inquieto le orecchie. Col braccio destro Edoardo avrebbe potuto serrar la vita di Morella e attirar la donna al suo petto; lo sentirono entrambi, quasi insieme, e rimasero taciturni, dicendosi in cuor loro per iscusarsi che il cavallo difficile non dava tempo alle chiacchiere.

Poi Edoardo si volse con un sorriso a Morella, e le osservò:

- Ma va benissimo, Febo, non è vero?

- Sì, va benissimo, - ripetè Morella. - Non corriamo troppo?

- È meglio. La polvere della nostra carrozza disturberebbe gli altri.

La strada si snodava per boschi silenziosi di verdissimi castagni. Il sole era caduto, e un'ampia frescura spirava dalle gole dei monti e s'animava nei boschi attraverso le fronde mormoranti.

Febo, lanciato a tutta corsa sulla strada piana, rallentava tra l'alberato, seguendo la via a frequenti gomiti. Ed era di tratto in tratto, l'affacciarsi di un panorama nuovo; era una verdastra catena di monti staccata netta sul fondo purissimo del cielo, era una lingua di strada bianca lungo il versante della collina, era la macchia bruna e fitta di alberi, che parevano avvicinarsi rapidamente per chiudere nell'ombria del fogliame la carrozza veloce.

- Temo che lei abbia troppo fresco al ritorno, - riprese Edoardo.

- Ho una sciarpa con me.

Ma Edoardo rise, vedendo che la sciarpa era un velo sottilissimo, intessuto di stellucce d'argento, una cosa delicata da soffiar via.

- Questa è sufficiente, - affermò la giovane.

Egli non ribattè; con la destra prese il velo dalle mani di Morella e, gettandoglielo sulle spalle, le sue dita sfiorarono inavvertitamente la nuca della donna.

- Sta molto bene, - disse guardandola. - Lei è sempre elegante.

Morella sorrise; infine, un complimento gli era sfuggito dalle labbra! Egli s'era fatto più cortese da quando aveva sospettato che Lorenzo la tormentasse con la sua brutalità; e si sarebbe detto che volgendosi a lei, addolcisse ora anche la voce. Le ritolse la sciarpa dalle spalle, e con la destra gliela depose lievemente in grembo.

Non parlavano; la vicinanza, il contatto fuggevole, l'assenza d'ogni umano sguardo, facevano rinascere in loro il desiderio, un desiderio selvaggio e rude quale Edoardo non aveva mai provato; e Morella che s'accorgeva di non aver più volontà, di non poter più resistere s'egli approssimava il volto al suo volto, gli disse con voce soffocata:

- Rallenti, la prego. Siamo troppo lontani dagli altri.

Egli rallentò a poco a poco, fin che Febo si mise al passo. Attraversavano un querceto dai tronchi poderosi, e sul terriccio le ruote passavano quasi in silenzio. Ma giusto in quel punto s'udì il tintinnio delle sonagliere; la pariglia di bai era poco lungi. Edoardo richiamò Febo e lo lanciò a corsa di nuovo.

- Lasciarci prendere no, poi! - disse. - Basta che odano la sonagliera di Febo. Non le piace così?

- Sì, molto mi piace! - proruppe Morella, sentendo il viso accarezzato dall'aria, la fronte baciata da quel bacio imponderabile. E seguitò quasi sottovoce, con un ardire che le faceva martellar dentro il cuore:

- Parte?

Edoardo non rispose. Febo s'era gettato da banda con un movimento brusco, soffiando; l'uomo lo riprese vigorosamente, lo lanciò di nuovo, lo trattenne, e quando lo ebbe tutto in pugno, gli assestò una sferzata. Febo diede un balzo in avanti, cercando di puntare sul morso, ma non trovò l'appoggio e toccò invece una seconda frustata; prigioniero d'una mano salda e implacabile, non osò altra ribellione, e filò via rapidamente.

- Sì, parto! - disse Edoardo.

- Per un viaggio lungo? - domandò Morella, che aveva seguito senza trepidare la breve lotta.

- Non so. Ciò dipende dagli affari che lascio a Milano.

- E fa un viaggio lungo, tutto solo, senza un amico?

- In viaggio, - rispose Edoardo, - si trovano gli amici del quarto d'ora, che bastano.

- E va in Russia?

- In Russia? - ripetè l'uomo stupito. - Perchè in Russia?

- Non ha detto Federico?... - balbettò Morella, tentando spiegarsi.

- Federico ha parlato della Norvegia; ma non so; sceglierò al momento di partire; viaggio per viaggiare.

E aggiunse dopo una pausa:

- La vita è pesante, cara, amica.

Morella non insistette. Edoardo aveva detto veramente «cara amica», un'espressione non mai udita dalla bocca di lui, un'espressione affettuosa e inaspettata, che le aveva fatto molto piacere.

- Non le sembra? - egli disse. - La vita è pesante?

Ella assentì con un moto del capo.

Andavano nuovamente al passo, Febo bianco il muso e i fianchi di spuma; e in breve furono raggiunti dagli altri, che accostarono la loro alla carrozza d'Edoardo.

- Come va, Morella? - gridò Isidora dalla canestra.

- Bene, Dora!

- E Febo è stato buono?

- Buonissimo; una pecora.

Lorenzo, sdraiato nella canestra a godersi l'aria, borbottò con un senso d'ammirazione:

- Ci voleva Edoardo; un demonio piega l'altro. Quello cangerebbe in pecora un elefante inferocito!

Isidora diede in uno scoppio di risa.

- Falconaro, Falconaro! - esclamò. - Enzo fa il suo elogio!

- Sparla di me? - chiese Edoardo.

- No, no; dice che lei doma tutti!

Morella, nell'ombra della sera profumata, sorrise misteriosamente.

 

 

 




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