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Luciano Zuccoli
Farfui

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  • PARTE PRIMA.
    • XIV.
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XIV.

 

Nubi leggère e diafane come grandi veli serici viaggiavano pel cielo, scherzando intorno alla luna, senza romperne il raggio; e a un gomito della strada, un pino diritto s'ergeva altissimo tra la bassura degli alberi circostanti, quasi il dominatore di tutta quella zona.

Morella fermò l'occhio sulla bella pianta superba, come poco innanzi aveva fermato l'occhio su Edoardo, tra Lorenzo che fumava beatamente una sua pipetta di radica e Federico che coi grandi occhi miopi dietro le lenti studiava sulla spianata del Faggio Storto la campagna illuminata.

Edoardo si drizzava tra que' suoi compagni e molti altri uomini con la veemente indipendenza del carattere e l'orgoglio della sua vita chiusa.

La luna andava trasfigurando il paesaggio. I versanti dei monti e dei poggi e le spianate verdi eran mantelli d'argento, su cui la forma degli alberi si proiettava con la mordacità precisa d'una incisione.

Il ritorno da quella gita fu assai piacevole.

Gettata la sciarpa sulle spalle, Morella non scambiò con Isidora il suo posto presso Edoardo.

- Tu hai paura di Febo, - disse. - Ora c'è la luna, e il cavallo può spaventarsi.

Isidora rispose con una piccola risata, che Morella comprese.

E partirono; il cavallo non si spaventò.

Ripercorsero tutta la strada a un buon trotto uguale, ripassando pei boschi affascinati e immobili nell'incanto lunare. I boschi sembravano immensi, con una popolazione immensa d'alberi misteriosi dai tronchi perlacei e dalle dense chiome, su cui s'adagiavano i dolci raggi bianchi.

In alcuni punti la strada si chiudeva alla vista, quasicchè le piante l'avessero sbarrata con le fantastiche parvenze, che dileguavano non appena la corsa del cavallo le avvicinava; qua la strada s'apriva tra l'alberato per qualche tratto, tornava a richiudersi con altri gruppi di piante. Tutto era inquietante da lungi; fantasmi chiomati, giganti curvi, cadaveri stesi a terra, crocchi di streghe raccolte a tregenda; da presso, tutto velocemente si chiariva al passare di Febo, e gli alberi rivestivan le loro linee, i cadaveri eran fusti abbattuti, i crocchi eran groviglio di tronchi e di fronde placide....

- Non ha mai letto nulla di Ludwig Uhland? - chiese a un tratto Morella.

- Uhland? - ripetè Edoardo cercando nella memoria. - Ah sì! Il mio professore di tedesco mi obbligò una volta a studiare una poesia, della quale non ricordo che il ritornello: «Husch Husch! piff paff! trarà

Morella diede in una lunga risata.

- È vero, è vero! - esclamò. - È il canto del Cervo bianco; l'ho studiato anch'io: «Husch Husch! piff paff! trarà!», Ma l'Uhland ha molte ballate ammirevoli; in collegio, da suor Maria, si leggeva sempre l'Uhland, e io gli volevo bene.

- È stata la luna a ricordarle i canti dell'Uhland? - domandò Edoardo, sogguardandola con un sorriso.

- Sì - rispose la giovane. - Io ho la testa romantica; almeno così mi han detto.

- Le hanno detto una famosa sciocchezza, - dichiarò Edoardo recisamente. - Lei non è più romantica di me.

Poi soggiunse, quasi parlando con stesso:

- Forte e calcolatrice.

Morella non rispose; la definizione non le spiaceva, e solo le pareva strano che le toccasse udirla dalla bocca di lui, e che mai prima d'allora nessuno l'avesse trovata.

Stette in silenzio qualche tempo, ascoltando un coro assordante di grilli e di ranocchi, il quale si innalzava da tutta la campagna con veemenza; insetti e batraci s'abbandonavano furiosamente al loro canto, si rispondevano, s'interrompevano, sostavano un poco per riprender forza, e stridevano e gracchiavano a distesa, liberi e felici in quella grande solitudine notturna.

- Che cosa ricorda del suo poeta? - riprese Edoardo.

- Molte cose, - disse Morella, - Il ritorno, per esempio.

- Ah, lo ricordo io pure! - esclamò Edoardo. È graziosissimo.

Mise Febo al passo, e volgendosi alla giovane, recitò con voce piana:

- «Oh non ti rompere, ponticello! Tu tremi assai. Oh non precipitare, roccia! Tu minacci gravemente. - Terra, non sprofondare; cielo, non cadere, prima che io possa giungere dalla mia diletta

Morella sentì gli sguardi dell'uomo fin dentro all'anima; era veramente nelle sue mani e pareva che, sapendolo, egli si compiacesse di ricordarle d'ora in ora il suo dominio assoluto.

- Andiamo! - ella disse, guardando Febo, perchè Edoardo lo rimettesse a corsa.

Ma egli non obbedì, e la giovane riprese allora:

- Ascolti questa; è originale e piena di sentimento: Mutter und Kind. La madre dice: «Alza gli occhi, o figlio; guarda il cielo, dove è beato il tuo fratello minore. Mai non mi diede alcun dolore, e un angioletto lo portò con ». E il bambino risponde: «Perchè dalle tue braccia, o madre mia, un angioletto non mi porti via, dimmi che posso fare, o madre mia, per attristarti?» Non è vero, ch'è originale e bella?

- Non ha scritto che questo sui bambini, l'Uhland? - chiese Edoardo, accarezzando con la punta della frusta il collo di Febo.

- No, - rispose Morella lentamente. - C'è anche una poesia di lui, Auf den Tod eines Kindes, intorno alla sorte delle vite infantili che s'aprono e finiscono subito, lasciando la loro traccia nel cuore straziato del padre e della madre. E un'altra, tutta dolorosa, in cui descrive gli ultimi istanti d'un bambino moribondo, rallegrati dal canto d'un uccelletto.

- Lei è molto crudele! - interruppe Edoardo.

E non la guardò più; e raccolse la sua attenzione sul cavallo e su quel tanto di paesaggio e di cielo che gli si presentava a mano a mano innanzi agli occhi.

Morella non pensò a scusarsi; appoggiata allo schienale della carrozza, le mani raccolte in grembo, sbirciava ogni poco la fronte rabbuiata di Edoardo, il quale non ricordava forse più d'aver Morella al fianco e di traversare il bosco addormentato. Passavan vicino agli olmi così che le fronde s'agitavano, e la giovane doveva allontanarne qualcuna perchè non le sferzasse il volto.

Edoardo le si rivolse d'un tratto:

- Io era per sposare la mamma di quel mio bambino, - disse con voce studiatamente calma. - Era una fanciulla inglese, che avevo conosciuta in Riviera; sola, ricca, libera. Il bambino morì, di un anno, per meningite; la mamma se lo vide spasimare tra le braccia e spirare. Poco di poi, ripartì, e non sarà possibile che c'incontriamo ancora. Essa ha sentito in quella morte qualche occulta vendetta del destino. E così ci siamo lasciati. E il piccolo Riccardo è sepolto a Bordighera. La sua mamma s'è sposata, a Liverpool, l'anno scorso; l'ho saputo in questi giorni; è diventata mistress....

Ma invece di dire il nome, richiamò Febo con lo schioccar della lingua e lo lanciò al trotto. Poi si volse ancora a Morella e concluse:

- Tutto ciò è semplice; molto più semplice che una ballata dell'Uhland.

La giovane non capì se nella voce fosse un'intonazione ironica o beffarda, come le pareva, quasicchè Edoardo avesse voluto vendicarsi d'essere stato costretto a riparlar di quella sua sventura. Ma poco importava a Morella il tono; possedeva il segreto per intero, e sapeva finalmente che l'amante non si sarebbe incontrata più con Edoardo, e non gli avrebbe più dato alcun figlio.

Tuttavia, le rimaneva ancora qualche cosa da sapere; e dalla strada che percorrevano, s'accorse che poco tempo ormai le avanzava. Edoardo doveva partire l'indomani con Lorenzo e tornarsene a Milano; sarebbe stato impossibile riprendere il colloquio; bisognava sbrigarsi, dir tutto, finirla.

- Io non so, - ella fece cautamente, - perchè desiderando un bambino, lei non pensi a sposarsi....

Ma quasi spaventata da quel consiglio che una logica elementare le aveva suggerito, aggiunse a furia, tentando sorridere:

- È vero che non occorre sposarsi, per avere un bambino.

So l'avessero costretta, una settimana prima, a esprimersi in tal maniera innanzi a un uomo, si sarebbe piuttosto mozzata la lingua coi denti; ma ora cedeva tutta a una forza che andava incalzandola. Così in una fiera battaglia si calan colpi alla cieca, brutalmente, reiteratamente, senza ritegno, senza pietà, per vincere.

- Pare anche a me! - osservò Edoardo. - E sarebbe troppo strano incappare in qualche fanciulla, che non avesse pei bambini amore, intelligenza.

- Io conosco, - disse lentamente Morella, calando un altro colpo, - io conosco tante madri ridicole o stupide o apatiche, che saranno la morte o la rovina dei loro figliuoli.

E guardò Edoardo ritto sul busto, serrate in pugno le redini, l'occhio intento al cavallo ombratico e infido, ch'egli aveva domato con facilità. E le tornò il pensiero al quale s'era abituata in poche ore, nel quale s'era adagiata con impudica gioia, e il quale al suo primo affacciarsi le aveva ispirato un timor verecondo; il pensiero della creatura bella e forte che sarebbe nata da lei e da quell'uomo diverso dagli altri, che passava nella vita solo, senza chiedere, aprendosi la via a forza.

La vettura di Lorenzo li raggiunse poco lungi da Villa Mora; e s'udivano Lorenzo e Federico cantare, una canzonetta napoletana distesamente e Isidora dar di quando in quando in uno scoppio di risa alle variazioni comiche del cognato.

- Effetto di luna, - disse Edoardo senza malignità - Cantano i grilli, cantano le rane, cantano gli uomini.

Esitò un istante, poi, lanciando uno sguardo a Morella, terminò:

- E canta il cuore.

- Bella, bella luna! - esclamò la giovane con impeto. - Oggi è più bella che mai.

Febo al passo girava l'ultimo gomito di strada; e dietro, giravano i due bai al passo, sbuffando.

Allorchè si fermarono in giardino, avanti alla villa, Morella balzò presto dalla carrozza, e corse presso i larghi cespi di gelsomini notturni, che s'erano aperti e le avevano mandato un soffio di mordente profumo. Edoardo la raggiunse, mentre gli altri scendevan dalla loro carrozza.

- Non parta! - gli disse Morella sottovoce, arditamente, con voce imperiosa, gettando tutto il suo pudore ai piedi di lui. - Non parta per la Russia, per la Norvegia. È troppo triste, è troppo lontano.

E in quella notte di plenilunio splendente, le tornarono alla memoria i versi disperati di Jaufré Rudel:

Amore di terra lontana Per voi tutto il cuore mi duol.

Edoardo incontrò con la mano la mano di lei che s'alzava a offrirgli un ramoscello di gelsomini, e la guardò in quel settore d'ombra in cui la figura magra e pieghevole della donna stava immobile come una svelta colonnetta.

- Ha capito? - ella implorò, chiudendo gli occhi.

Meglio avrebbe voluto chiudere le orecchie per non udire ella stessa le parole che il suo destino, il suo istinto, il suo desiderio le dettavano e l'obbligavano a proferire.

- Non voglio che parta. Si fermi a Milano. La vita può anche non essere pesante.

Sentì prendersi la mano, e se la lasciò stringere tacitamente, con forza. Poi mosse incontro agli altri che s'avanzavano.

- Guardate, - esclamò, - questi gelsomini di notte.... Come si sono tutti aperti! Vieni, Isidora, che te li metta nei capelli.

E d'un tratto, rise pienamente, quasi gridando:

- «Husch Husch! piff paff! trarà

E così pienamente rideva, col suo bel riso morbido e carezzevole, che Edoardo pure dovette ridere al ricordo.

 

 

 




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