XVI.
Lorenzo Moro stava, tre giorni dopo, lavorando
nella grande corsia dei formaggi svizzeri.
Gli eran calati dalla provincia diversi
mercanti, ed egli stesso vigilava, come di solito, alla vendita. Due facchini
toglievano prestamente dalle alte impalcature, disposte lungo le pareti e
trasversalmente per tutto il vano della corsia, le grandi forme bionde e piatte
dell'emmenthal, e maneggiandole come dischi leggeri le portavano innanzi ai
mercanti.
Lorenzo, piantato nel fianco della forma un
arnese di ferro lungo e cavo, estraeva il «tassello», un pezzo conico di
formaggio, e lo offriva ai mercanti perchè lo gustassero.
Larghi di spalle e di ventre, paonazzi in viso,
i mercanti discutevano vociando la qualità e il prezzo; e le forme scelte eran
pesate sopra una stadera e messe in disparte; un impiegato, ritto alle spalle
di Lorenzo, notava in un taccuino, e i facchini rapidamente recavano altre
forme.
Lorenzo Moro aveva di quel commercio la passione
attenta e la cognizione perfetta, alle quali doveva la sua fortuna. Egli
visitava ogni giorno le corsie ove nell'ombra eran disposte le forme scure e
lucide del reggiano e le forme chiare degli emmenthal e le rosse sfere degli
olandesi, e il magazzino ove s'allineavano a centinaia i gorgonzola ancora in
attesa della barite e del rossetto che ne fortificassero la crosta, e i locali
a vôlta che accoglievano i pani di burro giallo-dorato coperti da un velo
umido.
Gli uomini di fatica, i quali dovevano curare
l'assetto di quella merce preziosa, temevano Lorenzo per la sua severità, e lo
rispettavano vedendolo lavorare con instancabile foga e con perizia, ora tra i
mercanti e i mediatori scaltriti, ora nel suo studio, tra i commessi, sui registri,
innanzi ai fasci della corrispondenza.
Gli acquisti ch'egli faceva, per cospicue somme,
in Isvizzera, dove si recava a scegliere egli stesso e a vigilar la fazionatura
dei formaggi, erano sempre fortunati; ma per allargare il suo commercio aveva dovuto
lottare lungamente.
Gli altri produttori di burro gli avevano
contrastato la supremazia, cercando di tagliargli la strada con una concorrenza
sfrenata, a prezzi di perdita. Egli s'era trovato più volte in pericolo, non
potendo resistere; e non era riuscito a tener fermo se non con l'aiuto
fiducioso e ripetuto di Edoardo Falconaro, che gli aveva fatto prestiti
importanti, liberalmente, a un interesse minimo.
Gli avversarii cedettero, vinti non solo dalla
caparbia tenacità di cui non s'erano stupiti, ma dalla provvista di danaro, di
cui s'erano stupiti molto, in grazia della quale aveva potuto Lorenzo
fronteggiarli.
Tra i conoscitori non si sapeva che Lorenzo
disponesse d'un forte patrimonio; ogni settimana si credeva di vederlo fallire
e si aspettava l'annunzio ch'egli restringeva la speculazione al formaggio; e
ogni settimana, pazientemente, egli vendeva il suo burro a prezzo disperato.
Comunque fosse, checchè si dicesse intorno
all'origine di quel danaro, il danaro c'era, e pareva ce ne fosse ancora a staia,
a udir le voci sempre esagerate, che un tempo davano per inevitabile il
fallimento, e ora mostravano i favolosi capitali messi a disposizione di
Lorenzo Moro.
Gli altri cedettero; i nemici di ieri lo
ammirarono. Non più avversato dalla concorrenza pazza, il suo commercio fiorì;
l'esportazione del burro e del gorgonzola per le grandi case di commestibili
fini che prosperano a Londra, a Vienna e a Pietroburgo gli diede guadagni
lauti.
Edoardo Falconaro riebbe tutto il danaro
prestato; Lorenzo Moro fu ricco.
E continuava a occuparsi del suo commercio
appassionatamente, de' suoi rudi uomini olezzanti di cacio, e di quei mercanti
vocianti danarosi e furbi, che compravano da lui con larghezza.
Egli era grato a tutti della vittoria, e
contemplava sovente le ampie impalcature cariche di buon formaggio occhiuto e
gocciolante, come il poeta contempla le strofe canore e imaginose della sua
lirica.
Una vittima della sorda guerra tra il burro e il
formaggio c'era stata tuttavia; ed era Mariano Frigerio, che di quei giorni
commerciava egli pure come Lorenzo e contro Lorenzo, e aizzato dagli altri, più
impetuoso e meno avveduto degli altri, aveva fatto grandi sacrifici, producendo
molto burro e gettandolo sul mercato con perdita.
Già stremato finanziariamente pei vizii e gli
stravizii, per le donne e il giuoco, Mariano aveva toccato il colpo finale in
quella mischia, ed era fallito lui in luogo di Lorenzo.
E andatosene dal quartiere di porta Ticinese,
pel quale sentiva un odio inenarrabile, lo si vedeva da tempo in compagnia di
eleganti sospetti, di femmine da conio, di industriali di non si sapeva quali
industrie.
Mariano aveva da poco valicata la quarantina.
L'anemia gli aveva sbiancato il volto così da
dargli il colore d'una patata cotta. Il suo portamento era stanco, molle, da
uomo indifferente e noiato, e la voce strascicante come il passo.
Ma non riusciva, con tutto questo, repulsivo;
aveva bei modi; uno spirito mordace, affinato nelle vicende scabrose della sua
vita, nutrito dalla non volgare consuetudine alla osservazione, ringagliardito
da un cinismo senza rimedio, gli dettava qualche volta piacevoli ragionamenti.
La sfiducia completa verso gli altri e sè stesso lo faceva arguto; mancava di
forza e di volontà, e ne rideva; ma rideva pure degli «eroi» come Lorenzo Moro
ed Edoardo Falconaro.
Dacchè aveva venduto la casa a Lorenzo, andava a
trovare questo suo compagno di scuola, per vedere che cosa ne sapesse foggiare
il «Tamerlano del burro», e lo stuzzicava, lo mordicchiava di continuo, mentre Lorenzo,
non abituato a giuocar di parole e inetto a scherzare, sbuffava come un toro
molestato da una mosca pungente e inarrivabile.
- Mi sembri molto impacciato, Enzo, - gli diceva
Mariano, socchiudendo gli occhi. - Non sei tagliato per essere padron di casa.
Non hai messo in ordine che la sala da scherma. È un fior di sala,
confessiamolo. Io vi facevo ballare la Ninetta e la Bruciata, in abiti leggeri,
d'estate, con un'orchestra di zanzare.
- Vedrai quando tornerà mia moglie. Ci penserà
lei a metter tutto in ordine! - rispose un giorno Lorenzo.
- Già; la tua signora ha buon gusto; basta
guardarti!...
Egli conservava ancora intatte le
venticinquemila lire della vendita. Di tutti i suoi debiti non aveva pagato un
centesimo, perchè erano debiti onesti, che si potevan confessare in piazza; e
per Mariano, i soli debiti che non si potevan non pagare erano i debiti
inconfessabili, che danno paura, che si saldano sotto la tavola. La vendita
della casa, fatta rapidamente e abilmente, lo aveva messo al sicuro da ogni
molestia.
E con quelle venticinquemila lire aveva
disegnato di tentare qualche affare in Borsa, e ne aveva parlato con Edoardo
Falconaro.
L'agente di cambio non dissimulò il suo stupore,
dicendogli che la Borsa non era speculazione confacente al carattere di lui; in
un batter d'occhio, con la sua imprevidenza, avrebbe visto sfumare il piccolo
capitale e sarebbe arrivato a giuocare senza il danaro pronto in cassa, il che
era pericoloso.
- Ma tu puoi consigliarmi! - obiettò Mariano. -
Io ti obbedirò.
- Non mi obbedirai, - rispose Edoardo. - Sei
audace e impressionabile, e vuoi subito il guadagno grosso; ti conosco!
- Insomma, rifiuti di aiutarmi? - incalzò
Mariano, piantando lo sguardo obliquo negli occhi grigi d'Edoardo. - Hai pure
aiutato Lorenzo anche quando s'arrischiava molto.
L'osservazione era indiscreta, ma Edoardo non la
rilevò e con molta cortesia si sottrasse all'incarico di curare il suo giuoco.
Egli sapeva che Mariano non aveva che quelle venticinquemila lire e gli
spiaceva di vederlo gettarsi allo sbaraglio, in una speculazione nuova,
difficile e malfida, di cui non aveva un'idea esatta; e glielo disse.
- Vuoi che torni al burro, insomma? - rimbeccò
Mariano ridendo. - Se tu non avessi aiutato Lorenzo sottomano, il «padrone del
burro» sarei io, a quest'ora.... Ma tu gli fornivi i capitali e gli davi forza
contro di me.... Se mi facessi guadagnare un pochino oggi, in Borsa,
ripareresti al male che mi hai fatto.... Hai molta simpatia per quel tuo
Lorenzo; è una cosa inesplicabile!... E non appartiene alla tua razza,
diciamolo; mi pare un teppista.... Tu sei più elegante ed educato; devi piacere
alle donne. Dunque niente, non vuoi insegnarmi il giuoco?... Almeno se ti
domandano, darai buone informazioni di me in Borsa?
- Io sono onesto, - fece Edoardo seccamente,
rispondendo all'ultima domanda e insieme a tutte le insinuazioni del Frigerio.
Questo dialogo, avvenuto due o tre giorni dopo
che Edoardo era tornato da Villa Mora, non rimase senza eco nell'animo di lui.
Si ricordò che Morella sentiva per Mariano una repulsione istintiva, quasi
indovinasse nel pallido uomo un nemico naturale; e le parole ambigue intorno
alla protezione ch'egli giudicava «inesplicabile» accordata da Edoardo a
Lorenzo, parevan fatte per afforzare la diffidenza di Morella.
Si lasciarono i due uomini, stringendosi la mano
con un sorriso, ma risoluti a guardarsi l'un dall'altro.
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