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Luciano Zuccoli
Farfui

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  • PARTE PRIMA.
    • XVIII.
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XVIII.

 

Arrivata a Milano quel lunedì con Lorenzo e la cameriera, Morella era scesa in via Bigli, ove il suo appartamento l'aspettava ancora intatto, mentre già Lorenzo abitava e dormiva fuor di porta.

Aveva visitato subito la casa nuova e aveva finito presto, perchè all'infuori delle camere che Lorenzo aveva fatto addobbare per , nulla era pronto, nulla era stato toccato.

Da sola, girando Milano con la vettura, in poche ore lanciò un manipolo d'operai nella casa per ripulire, far gli impiantiti, ornare, tappezzare; corse in certi negozi di stoffe e di parati, e diede commissioni precise; passò un istante da suo padre per domandargli qualche consiglio e vedere qualche modello.

E poco dopo mezzogiorno faceva la sua apparizione tra i formaggiai della cui presenza non era punto impacciata, e andava a prender Lorenzo, il quale nel frattempo aveva telefonato a Edoardo per invitarlo a colazione al caffè dei giardini pubblici. Morella era lietissima.

Amava così gelosamente la sua Milano, ne viveva con tanto piacere la vita, ne sentiva il tumulto, la febbre, la superbia, l'ardire, la supremazia con tanta acutezza e con tanta gioia, ch'ella vi sarebbe rimasta anche nei mesi più caldi senza soffrirne; e solo in omaggio alle consuetudini, passava quattro mesi ogni anno a Villa Mora, dai primi di giugno agli ultimi di settembre. Ma ogni volta che per capriccio o per necessità ritornava a Milano, era contenta.

Le pareva che sempre, in tutte le stagioni dell'anno, Milano fosse bella; bella d'una sua bellezza speciale, non fatta d'arte e di monumenti e di dorate patine preziose e d'impareggiabili edifici, ma di forza e di prepotenza, di movimento e di fretta, e d'una volontà gagliarda, a formar la quale concorrono la riflessione e l'audacia.

Figlia di quel Tito Bardi che aveva accumulato un patrimonio con infiniti sacrifici d'ogni giorno, e circondata poi da uomini che lavoravano con tenacità e vivevano con la larghezza di chi ha guadagnato e sa di poter guadagnare, Morella si compiaceva dell'espressione formidabile della sua città, nella quale erano e lusso e ricchezza, e poesia e pazienza, e pratica e sogno.

Aveva visitate altre città in diverse occasioni o con i parenti o con Lorenzo, ammirandole e sentendovisi perduta e timorosa; ne guardava la bellezza così diversa, sapiente e delicata, non osando confessarsi che desiderava tornarsene alla sua città. Era di quella schiatta di milanesi che vivono e muoiono a Milano e che in Milano vedono tutto un mondo, hanno tutto un mondo.

Ma alla somma di sentimenti ordinari, ch'ella non poteva analizzare, un nuovo s'era aggiunto quel giorno, e li soverchiava tutti: il piacere di rivedere Edoardo, la speranza di passar con lui qualche ora, da sola a solo, con qualche pretesto che certo sarebbe riuscita a trovare.

Non appena furono in carrozza, e la carrozza fu lontana dal quartiere, Morella disse risolutamente, guardando Lorenzo:

- Bisogna restituire quelle quindicimila lire a Mariano!...

Lorenzo sbarrò gli occhi stupefatto, soffiando.

- Quindicimila?... restituire?... - egli ripetè. - Che cosa ti sogni?

- Non sogno. Hai udito quel che ha osato dirti in faccia il Frigerio? Ti rimprovera d'avergli comprata la casa a un prezzo troppo basso.

Lorenzo, se la carrozza scoperta non avesse percorso strade popolose, avrebbe certo fatto qualche gesto brusco; ma si rattenne a fatica e volgendosi con tutta la persona verso la donna, rispose vivamente, adoperando una frase abituale:

- Tu devi essere matta. Con le tue idee, non ci sarebbero più a questo mondo vendite compere. Mariano ha venduto con contratto regolare la sua casa per le venticinquemila lire che io gli ho snocciolato. E ora devo dargliene altre quindicimila, come regalo, perchè egli fa intendere che è pentito dell'affare? Non discorriamo di cose delle quali non capisci nulla....

- E tu credi ch'io vivrò in una casa comprata in cotesto modo? - fece Morella freddamente.

- A che modo? al modo di tutti; comperata comperandola, ecco; cioè, il proprietario chiedendo quaranta, io offrendo venti, e ambedue accordandoci per venticinque.... C'è qualche cosa di disonesto?... Non vedo.... Secondo te, si compera dando più di quel che chiede chi vende?... Ti ripeto di non parlar di cose che non ti riguardano....

Morella non parlò più, infatti; e passando con la carrozza per via Torino, per piazza del Duomo, per via Manzoni, sogguardava i negozi conosciuti, la gente che si recava a mangiare, stipata nelle vetture del tram, curva sulle biciclette, frettolosa per la strada. Risalutava la sua Milano, affocata e sonnolenta, e tuttavia costantemente operosa.

- Restituire! - esclamò d'un tratto Lorenzo, il quale aveva seguito e ruminato per tutto quel tempo il suo pensiero. - Certi spropositi fortunatamente non li dici che a me; perchè se ti udisse qualcuno che non mi conosce, crederebbe ch'io abbia rubato quindicimila lire a quell'imbecille di Mariano.... Imbecille veramente no; sa con chi parla; ha capito subito che a te poteva tirar la frecciata, e tu te la sei lasciata accoccare.... L'imbecille non è lui....

- L'imbecille sono io? - domandò Morella sorridendo con indifferenza.

- Pigliala come vuoi! - rispose Lorenzo.

E quando la carrozza, dopo avere percorso via Manin e parte del bastione di porta Venezia, si fermò all'ingresso dei giardini pubblici, egli concluse:

- Spero che non ripeterai queste stupidaggini a Edoardo. Eccolo qua.

Edoardo, avvicinatosi in quel punto alla vettura, stese la mano a Morella per aiutarla a discendere. Si fissarono negli occhi e si sorrisero.

- Siamo in ritardo? - chiese Lorenzo mentre pagava il vetturale.

Dando la mano a Morella, serrandola tutta in uno sguardo, aspirandone l'odore della pelle bruna, Edoardo ebbe la sensazione precisa di quel corpo di donna duttile, fresco, fragrante, sotto la veste immacolata.

- Dicevo se siamo in ritardo? - ripetè Lorenzo, raggiungendo gli altri che si avviavano al padiglione del caffè. - Stai a guardare mia moglie come tu la vedessi per la prima volta!

- Ah! - esclamò Edoardo con un sussulto. - Sì, siete.... No non siete in ritardo.... Guardavo la tua signora. Infatti! Mi pare nuova.

Morella ruppe in una risata, a quella bizzarra espressione.

Era nuova per lui; andava incontro a una vita nuova con decisa e gaia fermezza, e nulla poteva esserle più gradito in quell'istante che lo strano elogio sfuggito irresistibilmente alle labbra di un uomo, ch'ella aveva scelto e soggiogato col suo spirito imperioso.

Edoardo, dal canto suo, preso nel turbine, se ne allietava. Quella stessa mattina, ricevendo l'invito di Lorenzo che gli annunciava per telefono anche l'arrivo di Morella, aveva capito; e ricordate le ultime parole di lei a Villa Mora, «Non voglio che parta.... Si fermi a Milano.... la vita può anche non essere pesante», s'era detto ch'ella veniva a Milano per darglisi.

Non ebbe sguardi per Lorenzo. Era l'amico di ieri, l'uomo che gli si era affidato ciecamente nelle ore più tristi e più difficili del suo cammino, l'uomo ch'egli aveva fatto trionfare? Non ricordava più nulla, non lo vedeva più.... Una bruma densa aveva improvvisamente circondato Lorenzo, lo aveva allontanato per sempre dall'animo di Edoardo, togliendo a questi ogni ricordo d'affezione e di consuetudine.

Così Morella ed Edoardo, allegri per un'allegria nervosa che si conteneva a fatica, chiacchierarono e risero tutto il tempo della colazione; Lorenzo era più grave, ma sorrideva di sovente, ed ascoltava.

Non c'eran che quei tre sulla terrazza del caffè Montemerlo, chiusa tra il verde smagliante del prato e il più cupo degli alberi. L'antico caffè era caro alla giovane. Poco frequentato la mattina, bizzarro con quella insolita forma somigliante a un'immensa tenda, con quelle nicchie occupate da divani e da tavole intorno alle quali il più delle volte sedevano a colazione coppie d'innamorati, rammentava a Morella giorni lontani della sua fanciullezza.

V'era venuta spesso col padre, dopo aver giocato insieme ad altre bambine sullo spiazzato ch'era innanzi al caffè, dalla parte opposta della terrazza, presso la rotonda della musica; e con loro veniva anche «Bluff» il piccolo compagno della fanciulletta, chiassoso e paziente, che non appena sedevano innanzi al tavolino intonava una violenta dimostrazione di gioia e di plauso, abbaiando furiosamente fin che Morella non gli avesse dato un grosso biscotto.

C'era molto silenzio, intorno, e una bella pace. Vi venivano così i piccoli borghesi, che gettavan briciole ai passerotti saltellanti presso i tavolini della terrazza, come vi si davan convegno i ricchi. Non c'era mai ressa; per parlar d'amore e di confidenze, per leggere, centellando una bibita fresca, per oziare e vagar col pensiero, per avere un'ora di calma tra le molte ore fragorose della vita milanese, Montemerlo era stato edificato apposta.

E questo senso di tranquillità, quasicchè il tempo scorresse più lento e più mite, era per Morella rispecchiato nella persona del capo cameriere; un vecchio dritto e adusto, ch'ella aveva veduto sempre in tutti i ventisei anni di sua vita e aveva udito sempre rimpiangere la sua Venezia; egli conosceva lei come tante altre signore giovani cresciutegli sotto gli occhi, dai giorni in cui erano apparse al Montemerlo accompagnate dalla nutrice, ai giorni in cui v'erano andate con la famiglia e col fidanzato, e poi col marito e coi figlioli.

Morella raccontava tutto questo rapidamente, gentilmente, guardandosi attorno e sgretolando coi piccoli denti uguali, tra una portata e l'altra, un certo pane dorato e crocchiante che le piaceva.

Edoardo notò con maraviglia che gli occhi di lei s'eran fatti d'un colore avana più brillante, quasicchè la luce fosse cresciuta d'intensità; ne seguì i gesti, lo sguardo, le movenze, ne osservò via via la bocca, le mani, il busto agile, ed ebbe l'illusione che i veli onde è difesa e protetta ogni giorno la donna dalla nostra curiosità concupiscente, fossero per lui caduti; egli vedeva, nettamente la femmina trepida ed eccitante, e le sentiva intorno un profumo acuto, un'atmosfera infuocata, quasi creata dal torrido desiderio che lo turbava fino in fondo al cuore.

Poi si volse a Lorenzo, il quale, ascoltando le chiacchiere graziose di Morella e interloquendo di tanto in tanto, l'aveva fissata più volte, e non aveva rilevato nulla, perchè i suoi nervi eran calmi. E notando che tra loro due, ubbriachi di desiderio impaziente, l'amico mangiava fiducioso e ignaro, attardandosi nell'onesto e ingenuo diletto della tavola, Edoardo fu punto dal rimorso, e gli parlò di quel che più poteva distrarlo, di affari, supplicando Morella con un'occhiata, perchè lo perdonasse della noia che doveva infliggerle.

Finalmente si levarono, mentre il vecchio cameriere s'inchinava, e Morella lo salutava con un sorriso. A piedi raggiunsero il corso Venezia; e detto a Morella che sarebbe andato a prenderla verso le otto in via Bigli, per il pranzo, Lorenzo aggiunse:

- Tu l'accompagni?

- Se alla signora non dispiace, - rispose Edoardo, - posso tenerle compagnia un poco.

- Sì, mi accompagni; devo fare ancora diverse compere, e lei mi consiglierà. Addio, Enzo!

Lorenzo Moro fermò una carrozza, vi salì, ripartì per il suo quartiere di porta Ticinese.

Nulla di più familiare a Morella e ad Edoardo della bianca e ampia strada ch'era il corso Venezia, quasi deserto a quell'ora sotto il sole folgorante, coi palazzi dalle finestre chiuse; e tuttavia sembrò a entrambi che avesse quel giorno un aspetto inusato, che stendesse loro le sue interminabili braccia e li guidasse con la sua linea rigida.

- Andiamo davvero a far compere? - mormorò Edoardo quasi sottovoce.

Morella che camminava a testa bassa, riparandosi con l'ombrellino candido, volse il capo e rispose semplicemente:

- Come vuole.

- Cammina molto adagio, lei! - osservò Edoardo sorridendo, con un tremito nella voce.

Ella allungò il passo, obbedendo.

- Sa dove abito io? - riprese Edoardo.

- Sì, - fece Morella, - In via Monte Napoleone.

- Al secondo piano d'un gran palazzo, - continuò Edoardo, - ove sono agenzie assicuratrici, studii d'avvocato e una modista al terzo. Il portiere non arriverebbe a tener d'occhio tutti quelli che salgono e scendono. E per questo, non c'è....

Morella non rispose.

Pensò che alla mattina aveva sperato in qualche pretesto per trovarsi da sola a sola con Edoardo, mentre ora tutte le cose si svolgevano pianamente, alla luce solare, con una infernale semplicità; e sorrise, dentro, della sua imperizia.

Seguitò a camminare a testa bassa lungo quel corso Venezia interminabile e accecante, col lastrico che abbruciava. Quando ne furono a capo, ella fece per attraversare, entrando nel corso Vittorio Emanuele; Edoardo l'avanzò d'alcuni passi, obbligandola a piegare per via Monte Napoleone.

Morella sentiva nelle orecchie un ronzìo insistente, come se il sangue fosse affluito tutto alla testa; e un battito in gola e un palpitare spasimoso del cuore.

Vide che Edoardo si toglieva il cappello salutando qualcuno, con un'apparenza perfetta di calma; poi Morella entrò nel grande arco d'una porta, ai cui lati eran numerose targhe d'ottone. Salì una scalinata, a sinistra, mentre Edoardo la precedeva rapidamente.

Nessuno per le scale.

Passò il limitare. Le persiane eran chiuse, e una frescura squisita le alitò in faccia.

Ritta in quella penombra, senza una parola, fu ghermita a un tratto per il busto come una preda lungamente bramata e lungamente bramosa, stretta, avvinta, piegata sui ginocchi.

Ed ebbe e rese un bacio così furibondo tra rantoli sommessi, che le bocche ne sanguinarono agli angoli, con un filo di sangue vivido e caldo.

 

 

 




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