XXI.
Quando rimanevano a Villa Mora, nei giorni in
cui Morella si recava a Milano, Isidora e Federico rifacevano la vita degli
innamorati, come fossero tornati appena dal viaggio di nozze.
Essi non avevano che a interrogare il loro cuore
senza ombra per trovare ancora qualche tenerezza delicata da amanti che non
conoscono segreti; e avveniva loro di rincorrersi puerilmente per i viali del
giardino, di farsi la guerra coi frutici degli abeti e dei pini, e di cader
l'una nelle braccia dell'altro, o di fingere l'una d'esser presa tra i pruni in
aperta campagna perchè l'altro accorresse a liberarla e le desse molti baci
minuti sui capelli e sul collo.
Ambedue eran tuttavia dolenti per lo spettacolo
della freddezza quasi ostile tra Morella o Lorenzo, i quali si parlavan di rado
e parevano decisi a non riaccostarsi. Isidora dava la colpa di quell'insanabile
dissidio a Lorenzo, che non capiva e non era fatto per capire sua moglie;
laddove Federico addossava la colpa a Morella, che non si lasciava capire e si
ostinava a fraintendere atti e parole e intenzioni di suo marito.
Morella era, del resto, così sfrenatamente
allegra, che i suoi occhi avana somigliavano per la luce alla pietra venturina
sfavillante di puntine d'oro. Era così volonterosa di ridere, di muoversi, così
insolitamente proclive a far disegni per l'avvenire e a parlar della sua casa,
era infine così «nuova» come Edoardo aveva osservato in quel giorno memorabile,
che nè Federico, nè Isidora non osavano alludere ai malintesi che potevano
esistere tra lei e Lorenzo; e ogni volta ch'ella partiva per Milano, speravano
che avrebbe fatto pace col marito.
A Milano in sei settimane Morella si recò sei
volte, e ciascuna volta per un periodo di tre giorni. Beveva l'amore
golosamente, come un liquore non mai delibato prima. E perchè il pretesto di
quei convegni indescrivibilmente dilettosi era originato dalla necessità di
mettere ordine alla casa, Morella aveva finito per non odiar più la casa e per
divertirsi al trambusto e al disordine che ancora qualche tempo dovevano
regnarvi.
Trascorreva a Milano giornate lunghe di piena
voluttà tra le braccia d'Edoardo; il quale aveva preso in affitto un
appartamento in quella deserta via Cappuccini, che giù dal ponte di porta
Venezia, pare un rigagnolo staccatosi da un fiume di vita e disperso nel
silenzio.
Edoardo aveva fatto mobigliare in brevi giorni
l'appartamento, e per togliere il senso spiacevole che si diffonde in una casa
dai mobili nuovi, i quali sembrano osservare i proprietari meglio che servirli,
vi aveva mandato tutti gli oggetti su cui era caduta l'attenzione di Morella
quel primo giorno d'amore in cui l'aveva piuttosto violentata che posseduta.
Dopo un solo convegno, l'appartamento s'era
fatto intimo e familiare.
Morella vi accorreva, ne partiva, vi rientrava,
con l'audacia quasi pazzesca della donna che, gettatasi perdutamente all'amore,
si sente la forza di difenderlo e di continuarlo a qualunque prezzo. Ma il
demonio della sua passione la proteggeva; la stagione calda e costante aveva
allontanato dalla città le amiche, più pericolose per la loro curiosità
indiscreta.
C'erano bensì i genitori di lei, ch'ella andava
a trovare di tanto in tanto; suo padre Tito Bardi, un vecchio rigido con poche
idee cocciute, il quale aveva voluto conservare in casa tra l'ammobigliamento
freddo e decorativo, l'annoso tavolotto di legno di noce, sul quale aveva
contato i primi mucchi d'oro e d'argento guadagnati col commercio delle
antichità, e viveva le ore d'ozio in poltrona presso il tavolotto nudo, che ai
suoi occhi rappresentava un passato tutto di gloria e di sapienza; e per non
separarsene mai, e per non trascinarlo di città in campagna e di campagna in
città col pericolo di mandarlo in ischeggie, aveva rinunziato alle vacanze.
Mangiava su quella tavola, e scriveva e giocava a carte con la moglie, e vi
avrebbe anche dormito, se non avesse avuto paura d'andare a gambe in aria
durante il sonno.
Egli aveva combinato e ordinato il matrimonio di
Morella con Lorenzo Moro e d'Isidora con Federico Berardi, parendogli che
quegli uomini fossero chiamati ad arricchirsi, e non parendogli altro.
E Gina, la madre delle due ragazze, la quale non
aveva mai contato niente nella vita d'alcuno, e si consumava a far voti e ad
esprimere desiderii che il marito distruggeva con metodo, non s'era opposta,
quantunque avesse fantasticato di matrimonii più eleganti e più gentili. Ma
paventava il marito; e quando Morella era corsa a cercare aiuto da lei, l'aveva
trovata fumigante di lagrime e risonante di singhiozzi.
Essa andava mormorando: - Oh che cosa temo!...
Mio Dio, che cosa temo!... Ah, che cosa temo! - e perchè la fanciulla
spaventata insisteva a chiedere che cosa temesse, la madre glielo aveva detto
infine, sottovoce: - Temo che non gli sarai fedele! - Morella che ancora non
capiva nè amore nè matrimonio, aveva avuto così, fin da quei giorni,
l'impressione che la fedeltà fosse una virtù difficile....
E la madre, quando poi Morella, fatta sposa e
donna, si recava a trovare i suoi, non dimenticava mai di prenderla in disparte
e di chiederle sottovoce, additando la schiena di Lorenzo: - Gli sei fedele?...
- e perchè Morella diceva che sì con gli occhi, con la voce, col capo, la madre
sospirava racconsolata, e non domandava più niente.
Tito era anche meno curioso della moglie; non
abituato a interrogare, egli affermava. Aveva assegnato dodicimila lire l'anno
a ciascuna delle figliuole, e si compiaceva della buona condotta dei due
generi. Li amava perchè semplici, Federico tutto chiuso nell'amministrazione
della grande sostanza d'una famiglia lombarda, Lorenzo sempre attento al suo
mercato, entrambi nemici delle chiacchiere e del chiasso e così della grettezza
come dello scialacquo.
Non si potevano intendere sopra la diversa
materia dei loro commerci, perchè tra gli oggetti antichi di cui trafficava il
Bardi e le tenute e gli stabili di cui s'occupava Federico, e il burro pel
quale stava combattendo Lorenzo una battaglia pericolosa, correva troppa
differenza; ma s'intendevano sopra alcuni teoremi, sulla necessità di lavorare
molto e di lavorare sempre, sull'utilità di aver molto denaro per esser pronti
a ogni sorpresa della vita e del commercio, sulla natura fastidiosa della
politica e dei partiti dai quali stavano a distanza.
E Tito affermava, di là dal suo tavolotto
storico, parlando con le figliuole, che due mariti simili non si sarebbero mai
più trovati, e che il destino li riserbava a grande fortuna; e poichè questi
discorsi chiudevano generalmente la serata, egli beveva poi una tazza di latte
caldo e si metteva a dormire.
Dopo essere stata a chiedergli consiglio per
l'addobbo della sua casa, Morella andò ancora un paio di volte a trovarlo.
La seconda volta, sua madre le rivolse la
domanda solita, stendendo l'indice verso la poltrona in cui sedeva abitualmente
Lorenzo: - Gli sei fedele? - Morella, che tornava allora allora
dall'appuntamento d'Edoardo, s'affretto a dire che sì con la voce, con gli
occhi e col capo.
Ma Tito era imbronciato. La compera della casa
fuori di porta Ticinese non gli era piaciuta per nulla.
- Troppo lontano. Questo inverno sarà
impossibile vederci. E poi mi dicono che quando ha un momento di riposo, Enzo
corre in sala da scherma e s'affatica a sciabolare con quel suo maestro. Io ho
sempre avuta poca simpatia per la scherma; una disgrazia avviene per un niente.
Ho visto molti brutti casi. Tu devi trattenerlo, tuo marito.
- Non mi ascolta, papà! - rispose Morella, che
mordicchiava un frutto candito offertole dal padre.
- Deve ascoltarti. Quando tu hai ragione, deve
ascoltarti. E allora siamo intesi: tu trattieni tuo marito, ed egli non perderà
tempo a tagliar l'aria.
Morella sorrise e guardò suo padre affondato
nella poltrona, di là dal tavolotto. Il catalogo di una vendita di collezioni
artistiche gli stava innanzi, ed egli andava sfogliandolo con la mano ossuta e
giallastra. S'arrestò un istante a guardare un ciborio del secolo decimoterzo
in rame dorato inciso e smaltato, pel quale si chiedevano centocinquantamila
lire.
- Bello, ti pare?
- Bello, - rispose la figlia.
E si alzò.
Mai non aveva sentito come quel giorno la
lontananza della sua anima dall'anima del padre e della madre.
L'uno era stato sempre così ignaro di tutto ciò
che aveva color di passione, da scambiare gli uomini per figurine immobili
incarcerate dall'artista in una qualsiasi materia plasmabile.
Vissuto tra cose morte, intenditore perfetto dei
secoli sepolti, aveva collocato bene le due figliuole, come sapeva collocar
bene una coppa in una vetrina o un pannello in una galleria; e sarebbe stato
stupefatto e incredulo, se gli avessero detto che una delle figlie non era
contenta del posto fàttole, e che tradiva suo marito, e che le sue carni avevan
voluto altri baci, e che i suoi nervi e i suoi muscoli eran vivi....
Quanto alla madre, se non fosse stato il
rispetto che le avevano insegnato da suor Maria per tutti i parenti, Morella
non avrebbe esitato a dire ch'era una sciocca; nei momenti più gravi della
vita, l'energia fluiva in lei per i vasi lacrimatorii e si perdeva in liquido;
riusciva a esprimere ciò che si sarebbe dovuto fare, ma stava con le mani in
mano; e così non era nulla, e il mondo non esisteva per lei di là da quella via
Morone nella quale abitava con suo marito da trent'anni. Tutti coloro che non
abitavano in via Morone le parevano animali fantastici.
Tito Bardi chiese ancora a sua figlia qualche
notizia intorno all'appartamento ch'ella stava addobbando.
- Avrei preferito qualche cosa di prettamente
nostro, di vero italiano, - egli osservò. - Ma tu sei donna e non capisci. Come
va?...
- Bene; credo che riesca bene.
- Sta attenta. Il XIV è lo stile più usitato fra
i Luigi; ma le stonature sono facili. Io non ho nulla da offrirti di questo
genere, per ora: e sta attenta a non lasciarti ingannare da' miei colleghi....
- Starò attenta, papà.
- Bada che non ti vendano imitazioni. Le
imitazioni sono il segreto del nostro mestiere....
E sospirò soavemente, ripensando forse al solo
segreto di tutta la sua esistenza.
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