III.
Fra i molti che avevano goduto del dissesto di
Edoardo Falconaro, certamente il più soddisfatto era stato Mariano Frigerio.
Egli odiava Edoardo perchè era ricco, perchè,
secondo le sue induzioni, aveva posseduto Morella Moro, perchè aveva aiutato
Lorenzo Moro, perchè aveva rifiutato di consigliare lui, Mariano, nei giuochi
di Borsa, perchè era un bell'uomo, il quale non aveva bisogno d'alcuno, e
piaceva alle donne.
La notizia della grave perdita toccata a Edoardo
Falconaro lo aveva fatto andare in visibilio; per conto suo, invece di giuocare
in Borsa, s'era dato a giuocare a faraone e al macao nei piccoli caffè e nelle
ore tarde, perdendo e vincendo, senza mai azzeccare il colpo che lo mandasse
finalmente in rovina o che lo mettesse, com'egli diceva, «a cavallo». Ma il suo
patrimonio di venticinquemila lire s'era di molto assottigliato.
Dopo essersi sbarazzato di Stella Bonaretti,
facendole rompere un vetro da pochi soldi e dandole a credere che avesse rotto
una tazza murrina da cinquemila lire, egli s'era innamorato di Livia Minucci,
la quale godeva di molta rinomanza tra il pubblico dei caffè-concerto, non
tanto per la potenza della voce quanto per la linea dell'anca e per la
bianchezza delle poppe.
Livia Minucci, che aveva rifiutato l'amor
passeggero di qualche giovanotto ricco ed elegante, s'era lasciata invescare da
Mariano Frigerio, di cui le piaceva il colorito smorto, il linguaggio cinico,
l'esistenza irrequieta.
Egli possedeva infatti quella estetica fisica
del nottambulo vizioso e del crapulone incorreggibile, la quale nei bassi fondi
morali trova molte ammiratrici; si sentiva in lui l'uomo che via via ha perduto
tutto, e che domani in un estremo sforzo arriverà al delitto o al suicidio.
Questo aggrada a talune femmine, che conducono
una vita ugualmente febbrile e disperata, cinica e pericolosa. Esse hanno un
singolar fiuto per scovare l'uomo capace di batterle e di compensare una notte
d'amore con una pedata; e scovatolo, gli si sommettono ciecamente e gli
sacrificano talora anche il bisogno di mentire e d'essere infedeli.
Con Livia, Mariano diede fondo a quel che gli
rimaneva, poi, ricacciata la donna sul palcoscenico donde l'aveva tolta,
annunziò agli amici che si recava a Parigi a dirigere una grande vendita di
oggetti antichi dei quali si vantava peritissimo.
Prima di partire, egli ebbe la soddisfazione
d'incontrare Edoardo Falconaro per le vie di Milano, nelle vicinanze della
Borsa.
Si fermò a parlare con lui e a chiedergli
notizie del «cappotto» che gli era toccato. E notò con piacere, a proposito di
cappotto, che Edoardo indossava un soprabito, se non vecchio, certo non
nuovissimo, e che il collo della sua camicia era un poco sfilacciato.
Edoardo non lo temeva e non diffidava più.
L'amore con Morella era finito, e se anche la prevenzione della giovane per il
vizioso uomo era giusta, Mariano ormai non poteva nuocere, non aveva nulla da
scoprire e da distruggere.
Per ciò, il Falconaro lo trattò gentilmente e
gli chiese che cosa facesse.
- Accidenti! - esclamò Mariano. - Avevi ragione
di non lasciarmi giuocare in Borsa; vedo che anche tu ne capisci tanto come
me!... Io?... Io vado a Parigi a commerciare in oggetti d'arte. Sì, dopo il
burro e il formaggio, il salto è un po' brusco.... Ma mi sono sempre occupato
di antichità, io; e ne ho la casa piena.... Domandalo a Stella Bonaretti....
Non la conosci?... Ah, scusami, hai ragione; tu non ti degni.... Ma è una bella
ragazza, ti assicuro.... Sì, sì, capisco, tu preferisci le mogli degli
amici.... Addio, dunque; anzi, arrivederci, perchè conto di tornare presto e
con un carro di marenghi.... A Parigi li chiamano «louis».... Basta
intendersi!...
E da quel giorno, Mariano Frigerio era scomparso
da Milano, e tra le baldracche e i libertini a poco a poco fu dimenticato, e
non se ne parlò più.
Edoardo Falconaro continuò per la sua strada,
duramente e saldamente, senza cercare aiuti, calmo, cortese, rapido all'azione,
breve nelle parole.
Avveniva intorno a lui un mutamento tardo, ma
salutare. La considerazione in cui era tenuto già dagli uomini savii,
s'accrebbe. Aveva risposto a tutti i suoi obblighi con esattezza quasi
pedantesca vendendo, dicevano, anche i chiodi di casa per salvare il suo buon
nome. Altri agenti avevano invece tardato a pagare, uno era scappato, uno s'era
ucciso.
Edoardo Falconaro rimaneva dritto, scherzando
non di rado sul rovescio toccatogli, come avrebbe scherzato a proposito d'un
acquazzone estivo. Piacque a molti la serenità con cui affrontava la mala
sorte, e a tutti il buon gusto che non gli faceva lecito di piagnucolare.
La strada gli diventò meno aspra; poi che non
era uomo da lasciar le penne neppure in un incontro così sfavorevole, molti che
lo avversavano per antipatia, gli si fecero amici, e qualche volta alleati. Era
più forte di quanto s'era supposto; bisognava rispettarlo, e se occorreva,
schierarsi dalla sua parte.
Ma ancora per molto tempo dovette pensare a
vivere con una parsimonia a cui non gli riusciva di abituarsi.
Egli era continuamente crucciato anche per la
rottura con Lorenzo, la quale lo aveva per forza allontanato da Farfui.
Morella gli conduceva il bambino di tanto in
tanto, o con lui andava a passeggio nelle vicinanze della Borsa affinchè
riuscisse facile a Edoardo d'incontrarli. Ma quei convegni eran pericolosi
perchè tutti potevan notarli e Farfui cominciava a parlare, a tentar di
spiegarsi, a ricordar quel signore che si fermava con la mamma, ed era bello
perchè era grande.
Farfui cadde ammalato in quel tempo, e per
Edoardo fu una disperazione.
Il piccolo fu in preda a una di quelle malattie
insidiose e bizzarre, ora con febbre altissima, ora senza febbre, ora con
fenomeni contradditorii e improvvisi, che sono caratteristiche dei bambini.
Una notte stette per morire; e Lorenzo, il quale
non sentiva per Farfui l'affetto sconfinato di cui lo circondava la madre, si
lasciò scappar di bocca una frase disgraziata, che nel suo concetto doveva
essere consolatrice.
- Su, su, - disse a Morella, - non ti disperare
così!... Potremo farne un altro.
Volle fortuna che nella camera di Farfui fossero
presenti i medici, perchè Morella, cieca di dolore e d'ira, sarebbe balzata
alla gola del marito. Ma l'indomani mattina, presto, scrisse una riga a
Edoardo: «Vieni a trovare tuo figlio. - Morella».
Edoardo accorse, e passò alcune ore presso il lettuccio
del bambino, in quella camerina fiorita come una canestra, dolce come una
culla, della quale Farfui era, meglio che il padrone, l'ornamento più squisito
e prezioso.
E quando verso mezzogiorno, Lorenzo tornò a
casa, il Falconaro gli andò incontro e gli strinse la mano senza dir parola. Fu
fatta la pace così, ma Lorenzo, non potendo dimenticare che l'amico aveva
respinto il suo aiuto, non era più espansivo e cordiale verso Edoardo come per
lo passato.
Se l'occhio di Lorenzo Moro fosse stato, del resto,
avvezzo ad osservare, avrebbe rilevato in quei giorni alcuni fatti i quali gli
sarebbero riusciti strani e sospettabili.
Il dolore d'Edoardo era così intenso e chiaro,
da oltrepassare la misura naturale che la semplice amicizia, doveva segnargli,
e non aveva confronto se non nel dolore di Morella, la quale vegliava da sei
notti senza posa.
Edoardo trascurava evidentemente i suoi affari,
sacrificava un tempo inestimabile, passando giornate intere nella camerina
fiorita. A poco a poco, dimenticando d'essere osservati dalle persone di
servizio, Morella ed Edoardo s'eran divisi il còmpito; e per lasciar riposare
la giovane affranta, il Falconaro la mandava a dormire di giorno, in quella sua
gran camera lilla e cremisi attigua alla camerina di Farfui; ed egli camminava
in punta di piedi, vigilando il sonno dell'amante che si gettava vestita sul
letto, e il sopore del bambino ammalato.
Pierina, la cameriera, l'aveva sorpreso più
d'una volta curvo a fissare il volto disfatto di Morella o a investigar
l'occhio di Farfui; un giorno, entrando silenziosamente nella cameretta del
bambino, aveva udito Edoardo mormorare alla giovane:
- Per carità, fatti coraggio; tu arrischi
d'ammalarti....
Ma incuteva alla servitù maggior paura e
rispetto che lo stesso Lorenzo; e i medici si consultavano con lui, davano a
lui notizie, lo confortavano, con quella speciale discrezione degli uomini di
scienza, che capiscono e sanno fingere di non aver capito.
Isidora e Federico, i quali adoravano il
nipotino, erano accorsi subito per dare aiuto a Morella; e questa s'era
lasciala quasi trascinare a una confessione con la sorella.
- Ti ringrazio, Dora; ma non occorre che tu ti
stanchi. C'è Edoardo; lasciami con Edoardo. Te ne prego, dillo anche a
Federico, che gli sono molto grata; ma lasciatemi con Edoardo. Venite quando
volete....
Edoardo! Ella non diceva più «Falconaro», come
una volta; ma intimamente, confidenzialmente «Edoardo» solo.... Nell'occhio
smarrito di lei, Isidora lesse la stanchezza enorme, e comprendendo ciò che
aveva sempre sospettato, ebbe paura per lei, ebbe paura che in quello sbaraglio
di nervi e di volontà, la sorella si tradisse anche con Lorenzo, con Federico,
coi domestici, con tutti.
- Mora, - le rispose, - Falconaro non può
rimanere sempre qui. Finirebbe col far pensare male; e pure Enzo potrebbe
stupirsi di veder Falconaro e non me, e non Federico.
- Ma sì, sì, - mormorò la giovane, - dovete
venire, venite tutti i giorni.... Soltanto, non allontanatemi Edoardo, ve ne
scongiuro, non allontanatelo da Farfui.... Non ci uccidete!...
E scoppiò in lagrime convulse tra le braccia
della sorella, che vibrava con lei, che sentiva il suo dolore, la sua follia,
la sua disperazione con un'indulgenza infinita.
Il còmpito d'Isidora fu, per tutta la malattia
di Farfui, delicato e geloso; ella s'ingegnò a persuadere suo marito che
Morella non aveva bisogno se non d'essere sola, e si sforzò di rimediare alle
imprudenze della sorella e d'Edoardo, senza lasciarsi comprendere nè dall'uno
nè dall'altra, fingendo sempre d'ignorare, di non sospettare nulla, di trovar
naturale l'abnegazione di Edoardo pel piccolo ammalato.
La bontà dava alla «quaglia,», alla timida e
sommessa Isidora, un'intelligenza e una preveggenza stupende, che furono per
quei disperati non meno efficaci dell'assistenza che i due disperati prestavano
a Farfui.
Di tutto questo, poco o nulla aveva notato
Lorenzo. Preso dalla passione del suo commercio, tornava a casa stanco ogni
giorno, andava a dare un'occhiata al bambino e a udir ragguagli da Morella.
Mangiava fuori di casa, perchè in casa non si osservavan più esattamente le
abitudini, e si coricava presto in quella sua camera ch'era al lato opposto
dell'appartamento di Morella, e si alzava all'alba e si rigettava alla sua vita
di lavoro. Di ciò che avveniva, aveva notizie sommarie dalla moglie o da
Isidora, la quale taceva, quando poteva, la presenza quasi continua di Edoardo.
Sull'ultimo, chiamato a Friburgo per affari,
Lorenzo se n'era andato, dicendo a Morella che non poteva frapporre indugi e
che Farfui stava meglio e non v'era più pericolo alcuno.
Edoardo, il quale assisteva per caso a quel
colloquio, lanciò un'occhiata a Morella perchè non si opponesse. Eran da tempo
abituati a intendersi con uno sguardo, e la giovane acconsentì subito dicendo
ella pure che Farfui stava meglio e che non v'era pericolo.
In tal maniera Lorenzo partì, e per una
settimana non mandò notizie e non ne chiese; e nessuno pensò a lui; ma Isidora
notava, e riferiva a Federico, per convincerlo che i torti eran dalla parte di
Lorenzo Moro e non di Morella; perchè quelle due anime candide stavano ancora
innanzi al problema dei dissapori tra Lorenzo e sua moglie, e ancora ne
cercavano le cause.
Tornato da Friburgo, Lorenzo trovò il bambino
convalescente.
- Te l'avevo detto io? - osservò a Morella. -
Non c'era pericolo!...
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