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Luciano Zuccoli
Farfui

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  • PARTE SECONDA.
    • IV.
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IV.

 

Arrivato al fondo d'ogni miseria e d'ogni dolore, Edoardo Falconaro cominciò a risorgere. Egli pensava che i piatti di quella bilancia ch'è la vita vanno altalenando di continuo, onde non v'è che attendere e durare perchè salga a poco a poco il piatto più basso e discenda a poco a poco il più alto; e non v'ha dolore senza confine, e non havvi gioia che non si ripaghi con un dolore.

In questa semplice filosofia, Edoardo Falconaro aveva attinto sempre la forza di sostenere le avversità, e la caparbia, mostruosa fiducia nella vittoria.

Usava dire che alle disgrazie egli dava appuntamento per il giorno dopo, e nel frattempo raccoglieva le forze a combatterle; non era mai parso sbigottito innanzi a difficoltà alcuna; qualche volta, anzi, lo si era visto allegro perchè il momento richiedeva un'energia non comune, ed egli sembrava compiacersene, con la certezza di non trovare avversarii capaci di tenergli fronte e di compiere uno sforzo pari al suo.

Ignorava che cosa fosse una notte insonne; anche quando le difficoltà gli si accavallavano intorno, anche quando era precipitato in ventiquattr'ore dalla ricchezza nel bisogno, Edoardo aveva dormito saporitamente, risvegliandosi pronto l'indomani con una immediata e nitida visione di tutto ciò che doveva compiere e di tutte le amare insidie che lo aspettavano.

Soltanto la malattia di Farfui aveva potuto, colpendolo nel sentimento, fargli dimenticare la prudenza e metterne a rischio la pacata energia; ma ne era uscito vittorioso, pur quella volta, e aveva potuto goder lo spettacolo dei primi giorni di convalescenza, mentre Lorenzo Moro era assente.

Farfui si era avvinto a Edoardo con quella tenerezza dei bambini, che per essere spontanea, piena, ingenua, ha dell'adorazione. Il piccolo non aveva visto al suo letto se non Morella ed Edoardo, e pareva ricordarsene. Voleva Edoardo ad ogni istante; una parola d'Edoardo lo incuorava; il più bel premio per lui era di farsi condurre dalla signorina a casa di Edoardo, per vedere l'amico, e giuocare ai suoi piedi.

Edoardo, il duro uomo dalla fronte tagliata, non disdegnava di giuocare col piccoletto, a terra, sopra una pelle di tigre; e la signorina Claudia Sacchi, vedendoli affaccendati intorno a una lunga fila di soldatini di piombo o intorno alle carrozze d'un treno minuscolo, si chiedeva scandalizzata qual dei due fosse meno ragionevole.

In quei giorni, Edoardo aveva anche potuto ristorare notevolmente le sue finanze con qualche colpo ardito; la sua casa riprendeva, adagio adagio, l'aspetto signorile del quale s'era dovuta bruscamente spogliare; la rimessa riaccoglieva le carrozze, e la scuderia i cavalli. Il piatto della bilancia risaliva.

Ed era un piacere ineffabile per Edoardo uscire in carrozza con Farfui, che la signorina teneva sulle ginocchia. Edoardo guidava e si recava quasi sempre sui bastioni, percorrendo il corso Venezia; giunto, metteva i cavalli al passo e discorreva col bambino, del quale comprendeva il linguaggio ancora ingarbugliato.

Quando non guidava, usciva in carrozza col solo Farfui, e non lo riconduceva a casa che qualche minuto prima del pranzo. Un giorno appunto ch'egli percorreva il Corso in calesse e Farfui tutto vestito di rosso con un gran cappello rosso era seduto al suo fianco, Edoardo si avvide che un uomo lo salutava e andava chiamandolo a nome. Diede ordine di fermare, e guardò.

Non gli fu possibile riconoscere subito colui che si avvicinava; più che dall'aspetto, indovinò dal passo lento e strascicante, ch'egli era Mariano Frigerio, il quale dovette fermarsi un paio di volte per lasciar passare le carrozze padronali, che si dirigevano ai bastioni e le poderose vetture color cioccolatte del tram di Monza.

Era così allampanato e lacero, che Edoardo non potè dissimulare una smorfia, e rinunziò all'idea di farlo salire.

Mariano, fermatosi presso il legno, disse attonito, fissando Farfui:

- Che?... Tu sei ammogliato?

- Io? Io no, - rispose Edoardo, attonito a sua volta.

- Per Dio, non sarai ammogliato, ma questo è tuo figlio! - incalzò Mariano. - Sei ammogliato senza moglie; è più comodo.

- Suvvia, mi hai fatto fermare per dirmi queste cose?

- No; ho da dirti altro.... Ma che bel bambino!... Come ti chiami?

Farfui a veder l'uomo pallidissimo e mal vestito, che gli avvicinava la faccia alla faccia, si ritrasse timoroso.

- Non gli quadro. Ai cani e ai bambini io non quadro mai, - annunzio Mariano. - Ha i tuoi occhi, la tua bocca, il tuo colorito.... E i capelli d'oro....

Parve riflettere un istante, come per cercar nella memoria, ma Edoardo lo interruppe:

- Lasciamo gli scherzi, Mariano. Che cosa desideri?

- Ecco, - disse Mariano. - Il suocero di Lorenzo Moro, voglio dire il padre della signora Morella Moro è antiquario, se non erro?

- Mi sembra.

- Bene; potresti darmi un biglietto di presentazione per lui, o parlar di me alla signora?

- Come vuoi, - rispose Edoardo, - l'una cosa e l'altra.

- Tu hai molto credito presso quella signora, - e gli occhi di Mariano ricaddero sopra Farfui, - e puoi essermi utilissimo. Io ho diversi oggetti da vendere, ma vorrei venderli senza essere taglieggiato. Il padre della signora potrebbe comperarli onestamente.... Che ne dici?...

Edoardo lo rovistò di nuovo, da capo a piedi, con una maraviglia nello sguardo, della quale Mariano s'accorse.

- Pensi che io a Parigi non ho fatto fortuna? - egli disse. - E hai torto; ho guadagnato molto; ma la vita a Parigi è cara, e tanti ne ho guadagnati tanti ne ho spesi.... A proposito; mi dimenticavo di farti i miei complimenti; ti ho lasciato a piedi e ti ritrovo in carrozza; i tuoi affari si sono accomodati, a quel che ne capisco.... Ne sono contento.... Io, invece, non so come sfangarmela. Ho poi, qui a Milano, delle complicazioni speciali, che ti dirò.... Del resto, sono stato derubato più volte.... Credo che tu lo sappia.... Lorenzo mi ha dato della mia casa quindicimila lire meno di quanto valeva, e anche nella compera di Febo, lo conoscevi Febo?, un buon cavallo, mi ha strozzato.

Edoardo lo arrestò con un gesto:

- Caro Mariano, io non posso ascoltare queste accuse contro un mio ottimo amico, che conosco per galantuomo....

- Tuo ottimo amico, siamo d'accordo; ma facevo per dire.... Dunque ti occuperai di questa faccenda? Mi presenterai all'antiquario?

- Senza dubbio; vieni da me fra un paio di giorni.

- Un paio di giorni! - esclamò Mariano. - Io sperava che tu sbrigassi tutto subito....

- Subito, qui in carrozza? Devo parlar con la signora: penso sarà meglio che vada lei da suo padre a raccomandarti.

- È giusto, - concluse Mariano rassegnato. - A posdomani, allora. Ciao, Edoardo.... Che bel bambino!... Come si chiama?

- Aquileio, - disse Edoardo.

- E non è tuo figlio, dunque?

- Ma no, te l'ho detto. È il bambino di Lorenzo.

- Ah ecco!

Mariano proferì «Ah ecco!» con la medesima intonazione con cui avrebbe esclamato: «Allora è tuo figlio!» ma non insistette oltre, e rattenne il sorriso che già gli errava, sulle labbra, perchè aveva bisogno d'Edoardo in quel momento e non voleva irritarlo.

Edoardo fece segno al cocchiere di proseguire, poi, invece d'andare sui bastioni come di solito, si fece condurre a casa di Lorenzo Moro.

- Già di ritorno? - disse Morella, vedendo Farfui comparire con quella sua aria grave e meditabonda, ch'era tanto comica nel piccoletto.

- Sì; ho trovato Mariano, - rispose Edoardo.

Erano in quella vasta, sala in cui circa tre anni addietro, mentre una sera, pranzavano, Morella era stata colta da uno svenimento. La giovane seduta in una poltrona, volgendo il capo a Edoardo, ritto in piedi, il quale le narrava l'incontro e il colloquio con Mariano Frigerio.

- Mi dispiace che sia tornato, - osservò Morella. - Quell'uomo mi fa sempre paura. Mi fa paura e compassione; un sentimento strano.

- Dispiace anche a me, - rispose Edoardo sedendo. - Egli mi ha detto subito che Farfui è mio figlio, e che io devo avere molto «credito» presso di voi.

- Lo sfacciato! - esclamò la giovane arrossendo.

- Bene, - ribatte Edoardo con un sorriso. - La conclusione si è che bisogna comprargli quei suoi oggetti antichi. Vostro padre non li comprerà di sicuro, perchè del loro pregio è da dubitare assai, e dunque li comprerò io, ma vorrei che Mariano credesse di dover tutto alla vostra raccomandazione; a questo modo egli vi sarebbe certo obbligato. Occorre, però, che vostro padre vi aiuti, e che, se Mariano si pensasse d'interrogarlo in proposito, vostro padre gli lasciasse intendere di aver veramente comperato.

- Mio padre non si presterà mai a simile giuoco, - osservò Morella. - Lo conosco.

- Tentate, ve ne prego!

- Non posso tentare; egli sarebbe molto sorpreso della mia insistenza.

- È vero, - confessò Edoardo, - E allora andrò io da Mariano, e comprerò io, apertamente, dicendogli che voglio fare qualche regalo, dicendogli una qualunque cosa....

Egli era per alzarsi, ma la giovane lo rattenne ancora con un gesto. Tra l'uno e l'altra stava Farfui, immobile, scrutando ora il volto della madre, ora il viso d'Edoardo, quasi fosse conscio dell'importanza di quel colloquio. L'uomo si chinò a baciarlo.

- Pensiamo un istante, - disse Morella. - È necessario comperare?

- Se io non lo aiutassi, me ne farei un nemico; non ha mai dimenticato che già qualche anno addietro ho rifiutato di curare i suoi interessi in Borsa.

- E quando fosse vostro nemico, che cosa ci potrebbe fare? - domandò Morella.

Edoardo si strinse nelle spalle.

- Che so io? - rispose. - Basterebbe ch'egli andasse propalando tra gli amici che Aquileio è mio figlio.

- Va! - disse Morella, tornando improvvisamente al tuono affettuoso d'un giorno.

 

 

 




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