VII.
Il dramma scoppiò di repente, mentre nessuno se
l'aspettava più, con una furia terrifica.
Milano quell'anno sembrava palesar meglio del
consueto la gioia strapotente di vivere che l'attività gigantesca le
insufflava.
I suoi teatri luminosi, i caffè, i ritrovi erano
stipati di pubblico. La, borghesia che dopo l'esposizione nazionale del 1881
aveva avuto la rivelazione della propria forza, s'era data appassionatamente
alle industrie e al commercio, mutando viso in una ventina d'anni alla città e
centuplicandone la possanza. Il frastuono era interminabile, soverchiato appena
dal battere reiterato e senza requie della campana dei trams; tutte le vie
formicolavano il giorno d'una folla avida di lavoro e di guadagno; quando
s'accendevano i lumi, era uno straripar nelle strade d'un'altra folla che
correva a pagarsi i suoi piaceri. I milanesi non vanno mai piano.
Milano andava formandosi quella maschera di
città inesorabile, che abbatte e uccide i deboli, che non dà quartiere agli
imbelli, e suscita ed esalta e innebria i forti.
Edoardo Falconaro, Morella, Lorenzo, tre
milanesi di razza, vivevano la vita prosperosa della loro città con un senso di
compiacimento.
La prepotenza trionfatrice della metropoli
lombarda andava dilatandosi; quasi si sarebbe detto che si vedeva salire di
giorno in giorno e dirompere come un fiume dalle acque veementi e torbe.
Il piccolo Farfui aveva compiuto quattr'anni, e
prendeva parte anche lui alla vita milanese.
Passava sul Corso in carrozza con la sua mamma,
e rideva felice quando i cavalli dovevano fermarsi per dar luogo a tante
carrozze e alle automobili e ai trams ch'erano avanti; egli rideva, sapendo che
Battista, il grosso cocchiere, si mordeva le labbra pel dispetto di dover
fermare Bozzolo e Valì, che stavano spiegando le loro stupende virtù di
trottatori.
E al piccolo piaceva di dovere nel frastuono
alzar la voce, a farsi intendere. Sua madre e la signorina gli avevano
insegnato che in casa non si alza la voce, che la voce non si alza mai, se non
per una necessità; e quando il fragore della vita pulsante intorno era più
vivo, Farfui urlando come un indemoniato, si ripagava a usura del tono sommesso
che doveva usar tutto il giorno; e non era poco il suo spasso a veder le faccie
costernate della mamma e della governante.
Egli andava anche a teatro con Morella e Lorenzo
a veder «le maschere». Per lui tutti gli artisti, lirici o drammatici, erano
maschere, perchè vestivano in costume e comparivano sul palcoscenico; ma aveva
per quelle maschere e per le altre che incontrava in istrada durante il
carnevale un rispetto non privo d'invidia, un timore di venerazione,
aspettandosi da loro cose stravaganti e difficili.
Farfui prendeva parte alla vita milanese;
conosceva i bei negozii della città, e sapeva indicar benissimo alla cameriera
dove occorreva recarsi per comperare i «marrons glacés» più grossi o i
soldatini più solidi. Egli proteggeva tre o quattro negozianti di specialità, e
quando recavano un involto, lo osservava per rilevare se venisse veramente da
qualcuno dei suoi prediletti. Non sapeva ancora leggere; ma ricordava bene che
la carta dell'uno era stampata con lettere rosse, e che il nastrino dell'altro
era verde, e che il terzo dava insieme all'involto un bel libriccino con le
figure. E faceva gran conto di quelle infallibili indicazioni.
Appunto per accondiscendere alle preferenze di
lui, un giorno Morella condusse il bambino da un pasticciere che piaceva molto
a Farfui, e gli lasciò comperare i dolci di suo gusto.
Mentre ella usciva dal negozio, un uomo che
ronzava là intorno da qualche tempo, le fece un profondo saluto. Morella
rispose, e allungò un poco il passo....
- Chi è, mamma, quel signore? - domandò Farfui.
Morella, non rispose e il bambino volgendosi
vide che l'uomo salutava anche lui.
- Mi ha salutato, mamma, quel signore! - egli
disse con aria importante.
- E tu, che hai fatto? - domandò Morella
continuando a camminare.
- Io l'ho salutato. Va bene, mamma? L'ho
salutato anch'io!
- Va bene, - disse Morella.
Il signore che aveva salutato era Mariano
Frigerio. Aveva salutato e tirato dritto, non osando fermare Morella; la sua
camicia era priva di solino, il mantello spelacchiato, le scarpe sudice di
mota; già gli pareva troppo che la signora avesse risposto chinando
graziosamente il capo.
Mariano Frigerio sentiva d'esser condannato a
sparire nel tumulto furioso di vita e di ricchezza che imperversava per la
città, spazzando via gli uomini inutili. Egli non aveva posto; i suoi compagni
di lavoro l'avevan così sopravanzato, che quand'anche gli fosse stato possibile
di riprender la corsa, non li avrebbe raggiunti più mai.
Del resto, l'abitudine all'ozio imperava più
forte di qualunque ragionamento. In casa c'erano ancora Livia, la quale si
dilettava d'ubbriacarsi quando poteva, e il piccolo Fausto che aveva ormai
valicato l'anno; ma non c'era altro.
Una delle due camere non aveva per addobbo che
una tavola di rozzo legno bianco, nella quale era riposta una rivoltella,
comperata quando Mariano aveva ancora qualche cosa da difendere. Gli oggetti
d'arte, venduti pezzo per pezzo e non più a prezzi «di favore» come Mariano
definiva la vendita fatta a Edoardo, ma a prezzi «di fame», a rivenduglioli e a
rigattieri.
Nell'altra camera rimanevano il letto veneziano
in cui dormivano Livia e Fausto, e quel divano di cuoio, che un giorno faceva
parte del «servizio per pancioni» e ora dava asilo al disgraziato, il quale si
copriva con un paio di vecchie tende. Qua e là, stoviglie sporche e catinelle e
forchette gettate alla rinfusa con pezzi di sapone, e coltelli con cosmetici e
pomate; perchè in quel naufragio spaventevole, Livia aveva perduto tutto,
fuorchè l'abitudine d'imbellettarsi e di farsi un viso.
Mariano era agli estremi; e come certi animali
che diventan più feroci quando si sono addossati a un tronco e parano o
inferiscono gli ultimi colpi, Mariano s'era fatto pericoloso. La sua agonia
morale doveva essere tremenda.
Di Livia non gli importava nulla; spesso la
saziava a pedate. Ma egli teneva l'occhio su Fausto; il bambino aveva fame, era
stato slattato e non gli davan da mangiare; strillava l'intero giorno e i
vicini cominciavano a lagnarsene; se avessero mosso qualche osservazione al
padron di casa, sarebbe venuto lo sfratto, perchè Mariano era in arretrato col
pagamento del fitto.
Andò a cercare di Scopa, di quel mercante di
formaggio, rissoso e provocatore, che Mariano si divertiva a beffare. Scopa era
ricco, e sotto la scorza brutale non aveva cuor cattivo; per Mariano doveva
nutrire una specie di simpatia poichè non l'aveva mai accoppato con un pugno; e
ora lo avrebbe aiutato, rivedendolo dopo tanto tempo così mal ridotto, senza
scarpine verniciate.
Per trovarlo, Mariano si trascinò a piedi fino a
Corsico, in una giornata frigida e nebbiosa. La bruma era pesante e su dal
Naviglio fumigava un denso vapore acqueo, il quale si diffondeva nell'aria e
toglieva la vista degli oggetti a pochi passi di distanza; una acquerugiola quasi
impalpabile scendeva senza posa dalla mattina, tramutando la strada in molle e
lubrico pantano.
Scopa non c'era.
Mariano interrogò i conoscenti e non potè averne
notizie precise. Ma un pizzicagnolo, largo d'epa e sciolto di lingua, il quale
stava sul limitare della sua bottega, udì quel nome e rispose con un sogghigno:
- Ah cerca di Scopa, lei?... Scopa è in galera.
- Accidenti! - pensò Mariano con un brivido. -
Gliel'avevo detto!
- Già; dieci anni di reclusione, - seguitò l'altro,
contento dell'effetto ottenuto con le sue parole. - E sono dieci perchè non
sono trenta. Ha avuto fortuna, nel suo genere.... Guardi: proprio dov'è lei,
Scopa ha aperto la pancia di Pinotto con una coltellata, e Pinotto è caduto
lì.... Conosceva Pinotto? Bene.... Sa che Scopa aveva sempre in tasca quel suo
coltello, largo tre dita, che gli serviva per il grana?... Bravo. E con quello
ha «liquidato» Pinotto.... Dieci anni di reclusione, perchè gli avvocati....
Basta pagarli, gli avvocati.... Negherebbero Cristo in croce.... Gli avvocati
han dato ad intendere che il povero Pinotto aveva schiaffeggiato lo Scopa. Ma
io che ho visto con questi occhi perchè ero qui, come adesso, sulla porta....
Mariano non volle udire più. Era la maledizione;
gli amici gli cadevano al fianco, il vuoto gli si faceva intorno.... Fissò il
fango a terra, pastoso e sdrucciolevole; veramente, la terra gli sfuggiva sotto
i piedi....
E ripensò all'atroce profezia gettata in faccia
allo Scopa in un giorno di buonumore, con venticinquemila lire nel portafoglio:
«Morirà in pace, al reclusorio di Pallanza». Ne ebbe rimorso e paura.... Scopa
aveva risposto con un'altra profezia....
Stette un paio di giorni chiuso nelle sue
camere, mangiando quei rifiuti dei salumieri, che la plebe milanese chiama
«repubblica»; poi uscì, e s'imbattè in Morella Moro, che aveva per mano
Aquileio.
La carrozza l'aspettava; una bella carrozza
chiusa di color verde cupo filettato di rosso, tratta da Febo, che invecchiando
s'era ammansato.
Fu un raggio di luce. Bisognava parlare a
Lorenzo Moro, chiedere a lui, commuoverlo. E si recò da Lorenzo.
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