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Luciano Zuccoli
Farfui

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  • PARTE SECONDA.
    • IX.
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IX.

 

Farfui stava seduto ai piedi di Morella su quella sua piccola seggiola verde a fiori rossi dalla quale non sapeva separarsi. L'aveva vista in un magazzino di mobili comuni e l'aveva voluta; era una sedia rozza dal piano di paglia, dalla decorazione ingenua a fiorellini, e nel salotto faceva un bizzarro contrasto coi mobili fastosi e pesanti.

Farfui seguiva sua madre nell'appartamento, trascinandosi dietro la seggioletta di camera in camera; e quand'egli si coricava, la seggiola accoglieva i suoi piccoli indumenti, che Farfui non avrebbe posato per nulla al mondo sopra un altro mobile.

Morella pensava a Mariano che aveva incontrato poco innanzi.

Ella avrebbe voluto fermarsi e dirgli qualche buona parola, ma quell'uomo dal ferraiuolo spelato e dalle scarpe senza tacco attirava troppo gli sguardi dei passanti.

E tuttavia Morella non poteva dimenticarlo. Egli aveva salutato umilmente anche Farfui, come aveva detto il bambino, e l'atto le era piaciuto.

Allorchè Edoardo Falconaro venne quello stesso giorno a farle visita, Morella gliene parlò. Desiderava aiutare quell'infelice e trovar modo di fargli pervenir del denaro.

Edoardo scosse la testa sorridendo.

- No, - egli disse, - è inutile. Non fategli pervenire alcun denaro perchè qualunque somma gli si liquefa tra le mani. Io ho provato ad aiutarlo, e non sono riuscito a nulla. Non mi lascerei ingannare una seconda volta, e non mi dispiace tanto per lui e per la donna che vive con lui, quanto per il suo bambino....

- Il suo bambino? - esclamò la giovane, gettando da parte il ricamo al quale attendeva. - Il suo bambino? Ha un figlio?...

- Sì, un piccoletto, di poco più d'un anno, che si chiama Fausto.

Seguì un silenzio. Morella allungò la mano ad accarezzare la testolina bionda di Farfui, che guardava le incisioni d'un albo aperto sulle ginocchia.

- Voi non volete aiutare quell'infelice, - riprese Morella con voce addolorata. - Mi dispiace d'udirvi parlare così....

- Mi sono spiegato male, - disse Edoardo. - Non è che io rifiuti d'aiutare il bambino; è che io dispero di poterlo aiutare. Mariano giuoca, e quella sua donna beve; ogni sforzo in vantaggio del piccolo sarebbe vano di fronte ai vizii e alla follia dei suoi.... Ecco perchè io non mi lascerò ingannare più.

- Qualche cosa arriverebbe anche al bambino, - osservò Morella. - Un po' di bene lo avrebbe anche lui.... Ora fa freddo; morirà dal freddo, il poveretto!... Io non posso reggere a questo pensiero.

Nella sala era diffuso un buon tepore e dentro al caminetto borbottavano le legna, innalzando gaie fiamme azzurre e gialle.

- Ne parleremo con Enzo, - disse Edoardo per calmare la donna. - Vedremo con lui che cosa si possa fare.

Egli non aveva alcuna inclinazione per l'opera di bontà che Morella gli proponeva. Lo spettacolo di bassezza a cui aveva dovuto assistere tempo addietro, gli aveva fatto schifo, uccidendo in lui ogni sentimento di commiserazione.

Ma rimasta sola, Morella non trovò requie.

Nell'ora medesima e nel medesimo giorno in cui Mariano Frigerio parlava con Lorenzo Moro per l'ultima volta e lo feriva mortalmente, Morella pensava alla miseria orrenda, alla catastrofe spaventosa ond'erano stati abbattuti Mariano e suo figlio.

Eran passati quasi cinque anni da quella visita ch'ella aveva fatta a suo marito, tra i mercanti, lo stesso giorno nel quale s'era data a Edoardo. Ma i cinque anni non avevan potuto cancellare dal suo animo l'impressione dell'amaro sarcasmo con cui Mariano aveva rinfacciato a Lorenzo la compera della sua casa e del suo cavallo.

Ora ella viveva in quella casa, si faceva condurre a passeggio in una vettura tirata da quel cavallo, e Mariano e suo figlio morivano di fame, basivano dal freddo.

Morella gettò un'occhiata alla pendola; poi si decise.

Conosceva l'indirizzo di Mariano, che s'era fatto dare da Edoardo, e non potendo chiamare il disgraziato in casa sua dove avrebbe arrischiato d'imbattersi con Lorenzo, voleva andare lei a trovarlo. Il timore e la ripugnanza eran vinti dalla sollecitudine per quel bambino che soffriva.

Indossò la pelliccia e uscì in vettura chiusa, affidando Farfui alla governante.

Mariano era tornato da poco, soddisfatto di essersi vendicato finalmente e di Lorenzo e di Edoardo. Ma Livia, la quale lo aspettava col denaro, lo accolse con una tempesta d'ingiurie e di bestemmie.

- Calma! - egli le disse. - Calma e sangue freddo, o io ti do una razione di schiaffi.

Egli aveva indosso ancora il suo mantello e si frugava nelle tasche.

- Eccoti trenta centesimi, - seguitò mettendo fuori pochi soldi. - Con questi comprerai un po' di latte, un po' di pane, un po' di «repubblica» e mangeremo tutti.... Non ho denaro, siamo d'accordo. Ma c'è qualcuno che sta peggio di noi, oggi, benchè abbia danaro fino agli occhi.... È un compenso il quale non ha niente di comune con la culinaria....

- E bere? - osservò Livia, contando le monete sul palmo della mano. - Non si beve niente?

- Acqua fresca! - dichiarò Mariano. - L'acqua fresca aiuta la digestione....

Livia gli gettò il denaro ai piedi.

- Va tu a pigliarti da mangiare!... Se non si beve, io non mangio....

Mariano s'avvicinò al letto, e guardò lungamente Fausto che dormiva.

Il bambino era pallido; due segni azzurrastri gli cerchiavano gli occhi. In quel viso eran già i sintomi d'una grande estenuazione, come se la fatica di vivere gravasse troppo sui fragili omeri dell'innocente. Il suo sonno non era riposato e pieno; egli si agitava di tanto in tanto, ed emetteva qualche lagno dalle labbra smorte.

Mariano stava contemplandolo pensieroso, quando una scampanellata lo fece sussultare.

- Dev'essere qualcuno che vuol danaro, - egli disse a Livia. - Non ricevere.

Livia era già andata ad aprire, e udendo un'esclamazione di stupore, Mariano si voltò.

Il suo viso naturalmente pallido si fece verdastro; un tremore repentino e indomabile lo afferrò e lo scosse tutto.

Sulla soglia stava Morella Moro, un poco impacciata, ma sorridente. Effondeva intorno un lieve profumo e dietro il veletto che le riparava il volto, si delineava un sorriso amichevole. Il contrasto fra quella signora elegante e squisita in ogni particolare, nobile nell'espressione e nel portamento, e Livia già vecchia, imbellettata, spettinata, stracciata, inebetita dal vizio e dalla miseria, era così rilevante, che sebbene Mariano Frigerio fosse molto confuso, lo notò di prim'acchito, e se ne sentì mordere il cuore.

Egli aveva pensato vedendo Morella, che Lorenzo riavutosi d'un tratto fosse già andato a casa, che una scena brutale ne fosse seguita, e che la donna, spinta dalla disperazione, fosse corsa da lui a chiedergli spiegazione delle sue accuse.

Ma la giovane sorrideva un poco impacciata, ed era tranquilla. Evidentemente ignorava ancora ogni cosa.

Mariano, rinfrancatosi, le corse incontro, e, allontanando Livia, disse a Morella Moro:

- Signora.... A che cosa debbo l'onore?... Sono dolentissimo di doverla ricevere così.... Livia, vattene nell'altra camera!... La prego, si accomodi.... Io non posso offrirle una bella poltrona....

Morella avanzò, sempre col suo sorriso un po' timido; nascondeva a maraviglia il senso di scoramento che quella camera fredda le aveva ispirato subito e la repulsione per un cattivo odore di rinchiuso che vi aleggiava....

- Non si disturbi, - ella disse, prendendo posto sul divano, in un angolo. - Devo chiederle scusa d'essere capitata così all'improvviso....

Livia se ne andava pigramente, sotto l'impero delle occhiate che Mariano le gettava, ma andando si voltava ad ogni passo per ammirar la signora e la sua pelliccia e i guanti lunghi e fini e gli stivaletti la cui punta sbucava dal lembo della gonna. Scomparve nell'altra camera, ma restò dietro l'uscio ad origliare.

Morella che non le aveva prestato alcuna attenzione, guardava qua e cercando Fausto, e non riusciva a scoprirlo.

- Dov'è Fausto? - ella chiese a Mariano sorridendo.

 




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