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Luciano Zuccoli
Farfui

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  • PARTE SECONDA.
    • XII.
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XII.

 

Il malore di Lorenzo Moro, abbattuto dalla parola velenosa di Mariano Frigerio come da un colpo di clava, non era durato a lungo. I suoi uomini lo rialzarono, e adagiatolo in una sedia, gli spruzzarono il viso con acqua ghiaccia; e mentre Paolino Tornaghi stava per correre a chiamare un medico, Lorenzo Moro aprì gli occhi e si riebbe.

Gli si specchiò innanzi lucidamente la nozione della realtà; rivide con piacere, quasi tornasse da un viaggio pericoloso, i suoi facchini, la corsia dalle impalcature cariche di bei formaggi, i commessi che lo attorniavano trepidanti. Egli notò che Mariano Frigerio era scomparso, e non ne chiese notizie.

- Come sta,? - gli domandavano. - Si sente meglio!

Qualcuno disse:

- Vada a casa, signor Lorenzo. Lei lavora troppo e ha bisogno di riposarsi.

- Accompagnamolo a casa, - propose un altro. - Un buon sonno gli darà subito forza.

Allora avvenne una discussione:

- No; aspettate un poco. La sua signora potrebbe spaventarsi, vedendolo tornare al braccio d'un uomo....

- Sì, aspettiamo. Piuttosto si potrebbe chiamare un medico.

- Andate a prendere un caffè; un caffè bollente....

Tutti gli stavano sopra, interrogandone l'occhio; tutti quegli uomini tremavano per lui e per stessi, comprendendo che la scomparsa di Lorenzo Moro avrebbe condotto alla chiusura dei magazzini, al licenziamento, alla ricerca d'un nuovo impiego; ed essi pensavano alla città divoratrice e alla stagione inclemente.

Lorenzo Moro ascoltava l'un dopo l'altro i suoi compagni di lavoro; poi d'improvviso li allontanò con un gesto e si levò in piedi.

- Che medico, che sonno, che storie andate contando? - esclamò irritato. - Mi credete morto? Un po' di freddo allo stomaco. Via, dove sono i Friburgo?... Avanti, non perdiamo tempo e non mi state a mormorar litanie, o la spedizione oggi non si fa più....

Gli uomini di fatica si dileguarono in un batter di ciglio scomparendo dentro i magazzini, e i commessi ripresero posto in istudio. La gagliardia fisica di Lorenzo destava la loro ammirazione; non si poteva disobbedirgli; era aspro come un macigno, ostinato e rabbioso; nessuno ricordava d'averlo visto ridere coi suoi impiegati; ma non aveva tenerezze per stesso, come non ne aveva per gli altri, e questo fatto gli assicurava le simpatie che la sua inflessibilità gli avrebbe allontanate. Parlava poco; era stato fra i commercianti milanesi che per primi avevano affisso nello studio il cartello con le parole: «Visite brevi», e spesse volte riceveva in piedi i suoi visitatori, perchè l'efficacia di quell'avvertenza non andasse perduta.

Ora tornava al lavoro. Ma notando le sue insolite distrazioni, i facchini si chiedevano se lo svenimento di poco prima non lo avesse colpito nella memoria, e lo sogguardavano con mal nascosta inquietudine.

A un certo punto non potè più reggere; chiamò uno dei principali commessi, e gli diede ordine di sorvegliare gli uomini di fatica, ed egli si chiuse nella camera che gli serviva per ricevere i rappresentanti delle altre case di commercio.

Il lavoro continuò egualmente rapido; ma parve a tutti che una grande malinconia fosse piombata d'un subito tra di loro; rasentando la porta dietro la quale stava il padrone, gli uomini la sbirciavano in silenzio e alleggerivano il passo.

Lorenzo Moro ordinava le sue idee. Fra poco sarebbe dovuto ritornare a casa, e per quel momento egli voleva aver tutto deciso. Il primo impeto gli aveva messo innanzi una visione rossa: uccidere.... Ah sua moglie lo aveva tradito?... Ah il bambino era d'Edoardo Falconaro, e gli viveva in casa, e mangiava e portava il suo nome, e avrebbe avuto il danaro accumulato con tanta fatica?... Ebbene egli strozzava la donna e il ragazzo, e prendeva a colpi di rivoltella l'amico.... O forse valeva meglio cacciar di casa donna e bambino, rimandandoli a quell'idiota di suo suocero, il quale credeva d'avere in Morella una figlia portentosa, e più candida e più ingenua della stessa Isidora.... Se li tenesse il vecchio!...

Ma l'istinto d'uomo d'affari lo dominò tirannicamente. In un caso o nell'altro, uccidendo o cacciando, avrebbe fatto ridere alle sue spalle; uccidendo poi, sarebbe finito in galera, e molti nemici avrebbero passato un allegro quarto d'ora a spese di lui.... Gli sibilavan già all'orecchio i piacevoli discorsi che si sarebbero fatti «Bene; la moglie ha aggiustato il nostro conto; ora si capisce perchè il Falconaro lo aiutava; il grand'uomo non se n'è mai avvisto; e le aveva così lunghe, che non passava dalla porta! Già, quel marmocchio era troppo bello; non poteva averlo fatto lui.... E ne era superbo, l'imbecille, senza vedere che Aquileio era il ritratto in miniatura d'Edoardo! E che bel colpo, Mariano Frigerio!... Pareva vinto ed è il vincitore; ha aspettato più di cinque anni, ma lo ha raggiunto, da maestro, e l'ha spazzato via come un mucchio di letame, lui, la moglie, l'amante, e il bambino!...»

Ah no! Non metteva conto davvero che per una donna infedele e per un amico traditore, egli si rendesse ridicolo! Aveva avuta la fortuna, una grande fortuna, di cadere in deliquio alla rivelazione; se non fosse stato quel malore, egli si sarebbe slanciato su Mariano e lo avrebbe finito.... Lo svenimento gli aveva impedito di commettere uno sproposito marchiano; e ora voleva commetterlo a mente più calma, fare un chiasso infernale, dichiarare a tutti che l'amico e la moglie lo ingannavano?...

No.

Egli disse: «no» ad alta voce. Ma poi si chiese: «E allora?»

Presa una sedia, s'avvicinò alla tavola, e rimase coi gomiti appoggiati, la testa fra le mani, lungamente.

Udì gli nomini passare, le voci lontano dei commessi che gridavan dei numeri; indi, a poco a poco il silenzio. Guardò l'orologio; bisognava tornare a casa.

Aveva formato in mente la sua risoluzione e si sentiva meglio. Il freddo della strada finì di risvegliarlo; sì fregò le mani dicendosi che di tutti, il lottatore più forte sarebbe stato lui.

In anticamera trovò Farfui nervoso, con la boccuccia agitata dal tremito che indicava nel piccino una forte commozione. Egli aspettava che il papà lo baciasse, ma Lorenzo non parve averlo nemmen visto, e il bambino rimase con le braccia alzate, nel gesto ch'egli faceva sempre per essere sollevato dal babbo.

- La signora non è ancora tornata! - annunziò la governante.

Lorenzo non rispose; andò nel suo appartamento e si mise a sedere.

Il dubbio che Mariano avesse mentito non era possibile. Morella, aveva sempre avuto una certa ritrosia a darsi al marito, e un giorno, - Lorenzo ricordava bene, perchè il caso non era comune, - non solo ella s'era data, ma aveva cercato quasi le occasioni per provocarlo; poi s'era rifatta frigida e repellente.... Sarebbe bastato questo episodio, il quale doveva, nel concetto di Morella, giustificare la gravidanza. Ma v'eran poi mille altri segni, che tornavano ora in mente a Lorenzo e ch'egli si stupiva di non aver prima avvertito; la singolare somiglianza di Farfui con Edoardo, per esempio, e meglio ancora la passione, una vera passione che Edoardo sentiva pel bambino; e l'assiduità dell'uomo nel curare Farfui durante la malattia, e quella specie di vigilanza con cui lo accompagnava via via in ogni cosa della sua piccola esistenza, e il piacere che Edoardo provava conducendoselo a passeggio e qualche volta a teatro, e le osservazioni ch'egli faceva sul modo di educarlo.

Quanti segni, quanti indizii! Mariano aveva avuto ragione dandogli dell'imbecille.

- Enzo, Enzo, dove sei? - risuonò una voce. Era Morella che lo chiamava. Egli si levò, andò nella sala da pranzo, dove Morella e Aquileio lo aspettavano.

- Ho fatto tardi, non è vero? - disse la giovane. - Devi scusarmi. Sono uscita per un'opera di carità, e il tempo mi è passato di volo.

- Un'opera di carità? - ripetè Lorenzo sbirciandola di sottecchi. - A quest'ora?

- Preferirei non dirti nulla, - confessò Morella con un sorriso.

- Ma io non ti chiedo nulla, - rispose Lorenzo.

A tavola serviva Pierina che si muoveva svelta e senza rumore, e sorvegliava Farfui, al quale tagliava il pane e la carne. Seguì una lunga pausa, poi Morella disse:

- Farfui è un po' triste stasera, perchè il suo babbo non l'ha nemmeno salutato....

Lorenzo ebbe uno scatto repentino, ch'egli stesso non si aspettava:

- Finiamola - esclamò - con queste sciocchezze! Farfui, Farfui, Farfui! Che è questo? Egli si chiama Giuseppe, e voglio che lo si chiami Giuseppe.... E poi da domani mangerà in cucina....

Morella lo guardò intontita; la cameriera fu così sorpresa, che dimenticando il suo contegno impassibile, restò un istante col piatto in alto senza posarlo in tavola....

- Andate pure, - disse Morella, - tornerete quando vi chiamerò....

Pierina mise il piatto sulla tavola e scomparve.

- Che cosa è? - chiese Morella, non appena la ragazza se ne fu andata. - Tu vuoi scherzare?...

- Non ne ho alcuna voglia. Ho detto che Giuseppe deve chiamarsi Giuseppe e che domani mangerà in cucina....

- Ma, caro Enzo, non si dànno simili ordini senza spiegarli; non si fa l'educazione d'un ragazzetto in cucina, - osservò Morella freddamente. - Io non intendo che mio figlio viva con la cuoca....

- Ah, vuoi la spiegazione degli ordini? - ribattè Lorenzo.

Si morse le labbra; stava per prorompere, per commettere una sciocchezza.

- Non ci sono spiegazioni, - corresse immediatamente. - Io gli ordini perchè posso darli; e gli altri non hanno che a obbedire.

- T'inganni. Queste parole tu le dirai ai tuoi facchini. Io non obbedisco che allorchè gli ordini sono ragionevoli, e allorchè, se non sono ragionevoli, il sacrificio è mio. Ma mi ribello quando si tratta di nostro figlio, e lo difendo.

A udire quel «nostro», la mano di Lorenzo corse al coltello ma si acquietò subito, e con voce pacata obiettò:

- Appunto perchè si tratta di nostro figlio ho il diritto di ordinare.

- Tu vuoi insomma ch'io vada a mangiare in cucina? - osservò Morella.

- Tu? Ho parlato di Giuseppe, e non di te....

- Io andrò a mangiare in cucina con lui, domani, perchè non lo lascerò solo, - annunzio la giovane.

Farfui aveva seguita la discussione, socchiusa la piccola bocca ad arco, gli occhi dilatati dallo stupore. E si volse a suo padre, dicendo:

- Papà, che cosa ti ho fatto? Non sono stato cattivo. È vero, mamma, che non sono stato cattivo?

- E chi parla, con te, stupido? - interruppe Lorenzo.

Morella si alzò, andò a prendere Farfui, e si avviò senza più dir parola.

- Dove vai? - chiese Lorenzo.

Ella non rispose e non si volse; ritiratasi nella sua camera da letto, chiamò la cameriera, fece portare quanto ancora mancava del pranzo, poi rinviò Pierina a servire Lorenzo.

Farfui sedette gravemente nella sua seggiolina verde a fiori rossi; la mamma gli pose innanzi una poltrona, sulla quale piantò una tavoletta e gli preparò il pranzo.

- Siamo in castigo, mamma? - egli chiese.

- Si, caro, siamo in castigo.

- Io mi piace! - dichiarò Farfui. - Io mi piace di mangiare così. E tu non mangi?

- No, bambino, non ho fame.

Farfui mangiava; evidentemente non gli importava nulla delle sgarberie di suo padre; poco prima era atterrito perchè la mamma tardava a rincasare, ma trovarsi in castigo con lei non gli dispiaceva affatto. Si faceva servire, allungando ogni poco la mano ad accarezzare il volto della madre, e chiedeva aiuto anche per bere, affinchè la mamma gli stesse più vicina.

- Drado non è in castigo? - egli domandò.

Drado era Edoardo Falconaro. Come mai il bambino pensava a lui, sembrandogli che il castigo dovesse raggiungere anche il suo amico?

- Non è in castigo, no, - rispose Morella. - Nessuno può castigarlo.

- È troppo grande, vero? Anch'io quando sarò grande non sarò più in castigo.

Morella pensava. Il sospetto balenatole in mente alla presenza di Mariano Frigerio le si riaffacciava ora, udendo il bambino parlar d'Edoardo Falconaro. Che Mariano li avesse denunciati a Lorenzo? Ma come avrebbe Lorenzo potuto credere a un uomo che si presentava ad accusare senza alcuna prova?

- Io mi piacerebbe che Drado fosse in castigo, - riprese Farfui d'un tratto.

- E perchè mai? - domandò Morella. - Non gli vuoi bene a Drado?

- Sì, ma, allora Drado sarebbe qui; e tu sei più contenta se Drado è qui.

- Ah bambino mio, che cosa dici! - esclamò la giovane stringendo al petto Farfui.

- Non è vero? - egli insistette. - Anch'io sarei contento; e allora lui si metterebbe qui vicino a me. Perchè, mamma, non lo mandi a chiamare?

- Non si può. Una signora non può chiamare un amico nella sua camera da letto.

Farfui guardò la madre stupefatta. Quella regola di buon vivere gli pareva assai stramba; ma egli che aveva una memoria portentosa, obiettò subito:

- Quando io ero malato, Drado veniva nella tua camera da letto....

- Sei pazzo, Farfui! - esclamò Morella. - Chi ti ha detto queste cose?...

- Io l'ho visto....

- Hai visto male.

- No. Drado veniva da me, e poi veniva da te che «dormavi» sul letto.... Non ti ricordi, mamma? Io mi ricordo....

- Mangia, caro, mangia questo biscotto; così, a pezzettini.... Veniva anche la zia Dora però....

- Sì veniva la zia Dora, e mi ha portato il pulcinella. Ti ricordi, mamma? E dopo, andava via.... Ma Drado non andava via, e stava qui tanti giorni, tanti giorni, quando faceva chiaro e quando faceva scuro....

Morella ascoltava sbigottita. Quale testimonianza e con quanta nitidezza esposta! Il bambino aveva veduto tutto, e tutto gli era impresso nella mente col rilievo preciso d'ogni particolare; ma quasi intuendo un pericolo, egli non ne aveva parlato mai, e si confidava solo con sua madre.

- Veniva anche il papà a trovarti, - soggiunse questa.

- No.

- Come no? L'ho visto io!

Farfui diede in una risata.

- Non l'hai visto, - rispose. - Dici la bugia. Il papà non veniva a trovarmi, perchè è cattivo.

- Zitto, zitto, per carità! Veniva a trovarti mentre dormivi.

- E allora, perchè non mi ha portato il pulcinella anche lui? E non ti guardava quando eri nel letto grande, come faceva Drado?

Il pranzo era finito, e Morella invitò Farfui a giuocare coi suoi soldatini; ma avendo altri pensieri pel capo, egli non toccò la scatola, che sua madre gli aveva aperta innanzi.

- Vuoi che giuochiamo a mosca cieca? - disse Morella.

- No. Domani andiamo a mangiare in cucina? - interrogò Farfui.

- Non so, caro. Faremo quel che dirà il babbo.

- Io non mi piace in cucina. Voglio star qui anche domani.

Si fermò. Un campanello aveva squillato.

- È Drado, è Drado! - esclamò il bambino saltando in piedi.

Poteva essere Edoardo infatti, il quale veniva spesso dopo pranzo a tirar di scherma con Lorenzo. Farfui assisteva a quelle partite, e si divertiva al fragor del ferro, al gridio e ai salti dei combattenti. I due uomini coi volti riparati dietro le maschere da sciabola gli sembravano due grossi insetti che s'azzuffassero; Lorenzo la formica, Edoardo la cicala; e Farfui batteva le mani quando un bel colpo arrivava a toccar la formica, per la quale non aveva troppa simpatia.

Lorenzo era impetuoso in quel giuoco come nella vita. Non parava quasi mai, e attaccava con velocità incredibile per la sua tozza corporatura, scoprendosi imprudentemente. Edoardo, più alto e calcolatore, riusciva a tenerlo a distanza, nell'attesa gli presentasse il destro di colpirlo a pieno. L'altro, spinto dalla sua furia, incoraggiato dal giuoco d'Edoardo che in suo paragone si sarebbe detto tardo e pigro, finiva sempre per lasciarsi cogliere alla sprovvista, e più d'una volta, s'era egli stesso gettato sul ferro, venendo a una misura troppo corta.

- Dove vai? - chiese Morella, che vedeva il bambino correre all'uscio.

- Vado a chiamare Drado.

- Ma no, ma no, siamo in castigo! Drado non può venir qui.

Farfui rimase sulla soglia mortificato.

- E allora, - osservò, - come farà Drado senza Farfui e senza la mamma?

- Io non so come farà, - rispose Morella sorridendo.

Essa non si aspettava la visita del Falconaro, ch'era stato da lei quello stesso giorno e che aveva parlato di Mariano Frigerio. Per un riguardo elementare, egli non si recava mai in casa dei Moro due volte nel medesimo, e Morella andava chiedendosi che cosa fosse mai avvenuto, quando la cameriera si presentò a dire che il signor Lorenzo e il signor Falconaro pregavan la signora di passar nel salotto, perchè dovevano darle una notizia importante.

 

 

 




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