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Luciano Zuccoli Farfui IntraText CT - Lettura del testo |
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XIX.
Edoardo Falconaro, andato in casa dei Moro quella medesima sera per tirar di scherma con Lorenzo, non trovò Farfui. Morella, gli disse che era ospite per alcuni giorni degli zii Berardi, e non potè aggiungere verbo. Erano presenti Lorenzo e Pino Monti. Ma Edoardo non ebbe bisogno di udire il resto; intuì che Farfui non si sarebbe mai allontanato da casa, dalla mamma, dal suo Drado, se non vi fosse stato costretto. E chi poteva averlo costretto se non Lorenzo? Non interrogò. Aveva inteso. Lorenzo continuava nella sua caccia al bambino: voleva farlo morire di patimenti e di paura, in silenzio. A questo pensiero, Edoardo si sentì d'un tratto coperto da un sudor freddo, come se l'ala della morte lo avesse realmente sfiorato. Uccidere Farfui! Farlo morire a poco a poco, in silenzio! Egli gettò un'occhiata al suo nemico e dissimulò una smorfia ironica. - A quale gioco egli gioca! - pensò. - Non ha capito ancora che per uccidere Farfui deve contare con me. Costui ha dimenticato chi sono io, o il vino gli annebbia, la mente. Egli giuoca la vita di Farfui senz'accorgersi di giuocar la sua propria. Ma di nuovo senti un brivido; e s'egli fosse scomparso? Se non avesse potuto difendere il bambino? Gli tornarono alla mente le parole del maestro: «Stia in guardia. Non si fidi!» Se una sera Lorenzo fosso riuscito a piantargli il ferro in gola, come per accidente? Guatò di nuovo, stupito, il suo nemico. Egli aveva sempre considerato Lorenzo come un impulsivo, capace d'abbandonarsi tutto alla violenza d'una passione; e gli si chiariva come un raffinato ipocrita, un calcolatore inarrivabile. Ecco ch'egli s'era giurato di non parlare, e non una parola gli usciva dalla bocca, sebbene tutti gli fossero addosso, e Morella e Tito Bardi e Federico, per sapere che cosa agitasse nell'animo suo. Ecco che s'era proposto di vendicarsi, e aveva scelta una vendetta subdola e insidiosa, che non gli recasse danno alcuno; trafiggere per un caso apparentemente disgraziato Edoardo Falconaro durante un assalto di scherma, e terrorizzare fino alla morte Farfui, impresa facile contro un carattere impressionabile come quello del bambino. Questo disegno che riusciva finalmente a penetrare, ispirò a Edoardo Falconaro un raccapriccio immenso. - È un vigliacco! - egli pensò. - Teme di dover rendere conto delle sue azioni.... Forse non è tanta la apprensione del codice quanto il tremacuore di confessarsi ingannato dalla moglie. - A proposito, - disse Lorenzo a un tratto. Edoardo non potè vincere un sussulto. - A proposito, vieni con me domani a Villa Mora? - Domani? - esclamò Edoardo. - Tu vai in campagna con questo tempo? - No, non vado in campagna, - risposo Lorenzo ridendo. - Ho fatto fare alcune modificazioni importanti alla villa, e ho promesso d'andar domani a vedere a qual punto sono i lavori.... Vuoi venire con me? - Non vi andate, Falconaro! - disse Morella. La frase le era sfuggita di bocca, irresistibilmente. Quell'invito le aveva fatto paura, ella stessa non avrebbe potuto dire perchè; ed era stata spinta ciecamente a parlare. Lorenzo guardò sua moglie con espressione interrogativa, così che la donna si trovò costretta a spiegarsi. - Non vi andate, Falconaro. Prenderete freddo e vi annoierete.... - Tu sei curiosa! - esclamò Lorenzo. - Pensi al freddo che si prenderà Edoardo, e non pensi che me lo prenderò anch'io. - Tu devi andare per forza, - rispose Morella, la quale s'era già rimessa dalla sua tema. - È ben diverso che andarci per piacere.... - Che freddo, che freddo! - rimbeccò Lorenzo. - Io ho già spedito un uomo lassù, che ci preparerà una buona fiammata, e se non potremo tornar per la sera, ci farà mettere in ordine le camere. Possiamo prendere anche i fucili con noi e combinare una partita, di caccia, se ce ne salterà il ticchio. Venga anche lei, Monti! - Io vengo di sicuro! - disse il maestro. - È un'idea che mi piace. Morella si sentì alleggerita da un gran peso. Ella sapeva da tempo che Pino Monti, uomo schietto e onesto, sorvegliava Lorenzo perchè non commettesse qualche follia, e che perciò voleva assistere alle partite di scherma; la presenza di lui a quella gita la rassicurava. Gettò un'occhiata ad Edoardo, il quale si decise: - Verrò anch'io, - disse. E poco più tardi nel congedarsi, trovò maniera di susurrare a Morella, stringendole la mano: - Non temete! Per la campagna nuda, sugli alberi scheletriti, sul terreno indurito dal gelo si stendeva un color tra il grigio e il bianco, malinconico; la neve fresca lungo i versanti dei poggi e delle colline era rotta qua o là dalla chiazza, nera di radici aggrovigliate e da pertinaci gruppi di sterpi. I rami spogli e lunghi si drizzavano sulla nicchia del cielo color di cenere con un'espressione disperata quasi invocassero dall'alto il calore e le belle foglie disperse. Da Como a Villa Mora la strada s'era fatta malagevole per i solchi fondi e duri lasciati dai carri che v'eran passati. Una vettura da nolo in cui presero posto i tre uomini volle quasi due ore a percorrere quel tratto, che la pariglia di Lorenzo compieva abitualmente in meno di trenta minuti. Giunti alla villa, Edoardo, Lorenzo e il maestro Pino Monti trovarono la colazione già apparecchiata. L'uomo di fiducia spedito innanzi, ch'era Paolino Tornaghi, aiutato dalla moglie del fattore aveva fatto miracoli. Una minestra fumava sulla tavola della sala da pranzo, e parecchie bottiglie polverose apparivan disposte in un angolo della sala come munizione di riserva se quelle ch'eran sulla tavola non fossero state sufficienti. Lorenzo mangiò poco ma bevve molto, alternando i vini bianchi ai vini rossi, e i delicati ai forti. Edoardo potè aver così coi proprii occhi la prova della intemperanza a cui l'altro s'era abbandonato da tempo; e non potè nascondere un gesto di sorpresa, quando, a colazione finita, Lorenzo fece recare anche i liquori e trangugiò ingordamente numerosi bicchierini di cognac, coronando l'opera con una larga bevuta di rhum. - Adesso, - egli annunziò levandosi in piedi, - andiamo a fare un po' di caccia. Voglio portare a casa un paio di lepri.... - A caccia andrai solo, caro mio! - rispose Edoardo. - Chi può venire a caccia con te, che traballi? Erano tutti nell'atrio, dove avevan deposto i fucili. - Io traballo? - esclamò Lorenzo. - Io non traballo mai. Bevo perchè mi fa bene, e con questo freddo bisogna bere. Andò a prendere il fucile e ne passò la cinghia sul braccio destro. - Signor Lorenzo, - intervenne il maestro Monti, - non si arrischi con questo tempo! La terra è gelata, e sa lei scivola col fucile carico, può avvenire una disgrazia. - Benone! - fece Lorenzo irritato. - Uno dice che traballo e l'altro vuole che io scivoli.... Devo portare a casa un paio di lepri.... Vado io, se avete paura.... E s'avviò, ma nell'uscir dall'atrio, incespicò nei gradini e per poco non cadde. Edoardo, Pino Monti, il Tornaghi, si guardarono in faccia. Non era possibile lasciare che Lorenzo s'avventurasse per la campagna in tale stato, con pericolo proprio e degli altri. Edoardo gli si parò innanzi risolutamente, dicendogli: - Enzo, dammi il fucile! Lorenzo vistoselo di fronte, lo squadrò ringhioso. - Darti il fucile? - rispose. - Sei matto? Lèvati dai piedi! Vado a caccia.... Non m'importunare o comincio a dar la caccia a te! Già, abbiamo dei conti da aggiustare.... Si morse la lingua; anche ubbriaco, tenuto dall'apprensione di tradirsi, capì che quella frase era imprudente. Edoardo alzò le spalle e gli si approssimò sorridendo. - Dammi il fucile, Enzo! - ripetè. - Se tu vai a caccia oggi, avremo te solo per lepre da portare a casa. Lorenzo si tolse bruscamente l'arma dalla spalla e fece un passo indietro. Fu un lampo e fu un brivido di terrore per il Monti e il Tornaghi, i quali credettero che Lorenzo spianasse il fucile e facesse fuoco. Invece egli consegnò l'arma dolcemente ad Edoardo. - Hai ragione! - disse. - Andremo a caccia un altro giorno. Egli voleva con quella sua pronta sommessione, cancellare il ricordo della frase disgraziata intorno ai conti da aggiustare, che gli era scappata dianzi di bocca. - Bene; ti ringrazio! - proferì Edoardo, passando l'arma al Tornaghi, il quale corse a riporla dopo averla scaricata. - Che cosa non farei per te? - esclamò Lorenzo con espressione sardonica, ridendo un poco. - E allora andiamo a vedere a che punto sono i lavori. I lavori erano stati eseguiti in tutta quella parte del tenimento, che s'elevava di là dall'orto, nella zona rustica. La casetta di Poldo era stata atterrata, perchè avendo Lorenzo comperati altri poderi vicini, occorreva una più vasta fattoria; e questa sorgeva, tutta fresca di calce e rossa di mattoni, con le finestre ad arco, la porta capace ad arco e larghi locali di depositi a terreno. Lorenzo s'appoggiò al braccio d'Edoardo e con lui si diresse verso la casa rustica; Pino Monti e il Tornaghi seguivano a distanza. Nel giardino verdeggiavano solo gli abeti e i pini, dritti e orgogliosi tra gli scheletri nudi degli altri alberi, e le loro fronde avevan qua e là un'incrostatura di ghiacciuoli, che sembrava il lavoro sapiente d'un orafo, il quale avesse steso tra fronda e fronda una prodigiosa collana di merletti argentei; la terra era secca e dura, coperta da uno strato di nevischio, sul quale Lorenzo sarebbe senza dubbio caduto, se Edoardo non gli avesse dato braccio. Edoardo sentiva il passo greve dell'altro, e quando gli si rivolgeva per parlare, un alito carico d'odori da gargotta gli soffiava in faccia. Preso dalla sonnolenza che le soverchie libazioni gli davano, Lorenzo si trascinava e si faceva trascinare più che non camminasse. La visita alla casa rustica fu per sua parte una cosa buffa. S'adagiò subito sulla panca la quale stava, a fianco della porta, incastrata nel muro, e disse, senza alzare il capo: - Bello! Tutto bello!... Ogni cosa al suo posto.... E guardava a terra, con lo sguardo vitreo d'un bruto. Il fattore, sua moglie, la giovane Nunziata che fattasi robusta e rosea, rideva con gli occhi grandi, uscirono per incontrare il padrone; e strabiliarono, vedendolo acconciato in tal maniera. Edoardo fu costretto a spiegare che Lorenzo era stanco; altre scuse inventarono il maestro Monti e Paolino Tornaghi, ma la brava gente di campagna aveva troppa perizia di ubbriachi per non comprendere che il padrone era cotto. Il fattore mostrò la casa a quei signori che si reggevano bene in piedi, e dalla cucina balzò fuori Poldo, il quale, alla voce di Lorenzo s'era rintanato. Ma vedendo ch'egli non compariva, il ragazzetto s'era fatto animo, e veniva a salutare Edoardo. - Come sta, signor Falconaro? Ha fatto buon viaggio? Io preparo il còmpito per domani.... E Farfui come sta? Edoardo accarezzò il piccolo amico fedele, che teneva presso la cappa del camino, appeso a un chiodo, il cavalluccio di legno bianco, diventato onninamente nero, grazie al fumo che spesso invadeva la camera. Il nome di Farfui richiamò Edoardo a tutte le sue tristezze; ma rispose: - Sta, bene, Farfui. Si fa ogni giorno più bello. Mi ha detto di salutarti.... - Oh perchè non l'ha condotto? - esclamò Nunziata con voce dolente. - Sarebbe stata una festa per noi! - Il suo papà temeva che si pigliasse troppo freddo, - disse Edoardo. E parlò d'altro, perchè quel discorso gli bruciava l'anima. Farfui era lontano, cacciato di casa, nascosto, ospite dei parenti, perchè il padre lo odiava a morte; il caro bambino era men fortunato di quel suo amico Poldo, che attendeva agli studi con tanta pace e godeva, la protezione di Morella; era men fortunato di tutti, senza aver fatto male al mondo. La sua bontà, l'innocenza non gli contavan nulla. Un ubbriacone ripugnante andava tribolandolo di continuo perchè la sua fragile fibra piegasse sotto il peso di tanta e sì barbara ingiustizia. Questi pensieri angosciarono Edoardo in tal modo, che quando coi suoi compagni uscì dalla casa e vide Lorenzo che russava sulla panca, se ne scostò con ribrezzo. - Monti, - egli disse al maestro, - lo svegli lei, e lo conduca alla villa col Tornaghi. E salutato Poldo e gli altri, s'incamminò, senza voltare il capo, mentre i due compagni svegliavano Lorenzo e sostenendolo sotto le ascelle, lo trascinavano per la strada di ritorno. Edoardo si fermò nell'orto, innanzi a quel ricettacolo nel quale si raccoglieva l'acqua irrigua. Sulla superficie torba e immobile lucevano fra lo strato verdastro alcune lastre di ghiaccio spezzato. Il Falconaro ricordò improvvisamente, fulmineamente, con la nitidezza d'una visione, l'episodio avvenuto parecchi anni prima innanzi al serbatoio; quando Lorenzo incespicando nella proda, per poco non era caduto a capofitto dentro la cisterna, ed egli l'aveva trattenuto a forza. - Bisognerebbe gettarvelo, ora! - pensò Edoardo, - Sarebbe la liberazione di Farfui.... Nessuno ne saprebbe nulla, e trovato il cadavere, Isidora e Federico potrebbero testimoniare che già altra volta aveva arrischiato di perirvi.... Sì, questa dovrebbe essere la sua tomba! E il pensiero gli si piantò nel cervello con tanta forza, che vedendo giungere Lorenzo appoggiato al braccio del Monti e del Tornaghi, gli venne voglia di propor loro l'impresa, di buttarlo là dentro fra la melma e il ghiaccio. - Bello! tutto bello, tutto in ordine! - sproloquiava Lorenzo con la lingua enfiata. - Che ne dici, Edoardo? Tutto bello, tutto in ordine.... Andiamo presto, che ho sete!... Edoardo si voltò, e non potendo vincere il tumulto repentino della sua collera: - Hai sete? - interrogò. - Vorresti bere di nuovo? - Due dita di rhum, soltanto due dita, - balbettò Lorenzo. - C'era quel pesce fritto... a tavola... che era salato.... E che vuoi? ho un pochino di sete.... - Hai sete? Io ti farò metter nella cisterna con la testa in giù, perchè tu beva! - esclamò Edoardo. - Come diventa cattivo Edoardo, quando è ubbriaco! - osservò Lorenzo. - È un ammazzasette stroppiaquattordici! Paolino Tornaghi e il Monti scoppiarono in una risata, ma Edoardo si contenne, dando una sguardata, sdegnosa al beone che buffoneggiava.
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