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Luciano Zuccoli
La volpe di Sparta

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  • II.   Il pretesto.
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II.

 

Il pretesto.

 

A giudicare dagli invitati alle nozze e al banchetto, si poteva di primo acchito comprendere che il conte Folco Filippeschi, giovane di ventitrè anni, sposava una fanciulla che per nascita, per educazione, per parentado, per amicizie, non era degna del grande casato di lui della classe sociale a cui egli apparteneva.

Tutti i congiunti di Gioconda Dobelli eran della partita: gente semplice e onesta, piccoli impiegati, capi-fabbrica, sarti, modiste, commessi, merciai. Anche quelli che di solito non frequentavano la famiglia della sposa, s'eran d'un tratto rammentati dei vincoli di sangue o di lontana consuetudine e s'eran fatti invitare per vedere il nobilissimo giovane, rallegrarsi alla buona, trattarlo in confidenza, pranzare alla sua tavola, godere in qualche modo della fortuna che passava.

Un numeroso e chiassoso corteo; quasi una folla dalla casa al municipio e dal municipio alla chiesa e dalla chiesa al grande albergo, aveva fatto coda agli sposi. E non piccolo era il gaudio degli invitati, alcuni dei quali s'adagiavano per la prima volta di lor vita in carrozze con pariglie e per la prima volta vedevano una tavola fiorita, con ricche argenterie e cristalli di vario colore. Le donne toccavano e soppesavano i gioielli che Folco aveva regalato e che Gioconda portava al collo, alle mani, alle orecchie, al petto; e non v'era femmina nel suo abito da festa che non sussurrasse alla fanciulla una parola di sincero augurio o d'invidia senza acredine; le maritate maliziose scherzavano sul prossimo viaggio di nozze e sulla prima tappa; le nubili studiavano gesti, sguardi, espressioni della felice amica, della parente fortunata, quasi avessero voluto imparare come si fa la sposa o cogliere il segreto pel quale Gioconda era salita a tanto.

Dei parenti di Folco, non uno; non uno fra i regali, che provenisse da casa Filippeschi; pochi amici di lui, giovani e scapati, eran presenti alle nozze, piuttosto per vedere il bizzarro corteo di buona gente ignara, che per dimostrare a Folco la loro approvazione o almeno il loro tacito consenso. Ed eran quelli che più davano pensiero allo sposo; perchè, abusando della conoscenza del mondo e delle consuetudini d'eleganza, si pigliavano leggermente beffe delle modeste loro dame, o trattandole con esagerata cavalleria e con grottesche cerimonie, o aizzandole a spifferare spropositi.

Una cugina in terzo grado della fanciulla, Giustina Baguzzi, voleva sapere dal conte Forcioli che cosa mangia il Re, supponendo che aristocrazia e Corte fossero farina del medesimo sacco. E il Forcioli inventava le più pazze cose, i manicaretti più inconsueti che la fantasia poteva suggerirgli e gli usi più buffi, per descrivere il pranzo regale, l'altra ascoltava a bocca aperta. Il marchese Puppi aveva dato a intendere alla sua dama che nei grandi pranzi non si fa uso se non della mano sinistra; cosa agevole per lui, ch'era mancino; ma la voce correva, e dalle dame in giù tutti faticavano a tagliare, infilzare, mescere con la sinistra; e la tovaglia candida e le ghirlande di fiori ne vedevano gli effetti.

Chiuso tra quella accozzaglia di gente che in parte gli era sconosciuta, punto dagli scherzi degli amici ch'egli giudicava di cattivo gusto, mortificato di non aver visto, non ostante le lettere e i telegrammi, un solo biglietto d'augurio dei suoi parenti, Folco Filippeschi avrebbe sentito quel giorno il peso della sua irrimediabile follia, se di fronte non avesse avuto Gioconda. Gli bastava di levar gli occhi, d'incontrar gli occhi di lei, che parevano tagliati nella pietra avventurina, bruni con pagliuzze e punti d'oro, per dimenticare ogni cosa intorno e gustare finalmente una gioia calda, una felicità piena, che gli avvivava tutta l'anima.

Gioconda era sua per la vita intera; Folco non vedeva più oltre.

Aveva tremato che gliela portassero via; un giorno la madre di lei gli aveva annunciato che la fanciulla stava per fidanzarsi col giovane proprietario d'un negozio di pelliccerie. Interrogatosi alfine, durante una notte di cui ricordava ancora i dubbii, le ansie, la veglia angosciosa, s'era detto ch'egli amava Gioconda Dobelli, che non avrebbe mai amato tanto, che non avrebbe potuto vivere quand'ella fosse stata moglie d'altri.

E aveva offerto stesso in cambio del giovane pellicciaio, timidamente, quasicchè non avesse offerto nulla e fosse stata gran ventura se Gioconda avesse degnato di portare il suo nome.

Egli era stato fino a quel giorno un ragazzo ingenuo con grandi ambizioni. Celso Ornavati, tirando a indovinare, non aveva sbagliato di molto; pure Vittorina sua moglie non era andata molto lontano dal vero: una donna era nella vita di Folco Filippeschi: Gioconda; ed egli sperava di poter essere, non troppo tardi, uno scrittore celebre.

Staccatosi da Perugia per recarsi a compire certe ricerche letterarie alla Biblioteca Nazionale di Parigi, e fermatosi qualche tempo a Milano, aveva conosciuto la famiglia Dobelli, al caffè dove si recava di solito dopo pranzo, e grazie a Dick, il piccolo spinone di Piero Dobelli, padre di Gioconda. Piero Dobelli, ruvido e sospettoso verso tutti i giovani che ronzavano intorno alla figlia, visto e apprezzato col suo infallibile colpo d'occhio il conte Folco Filippeschi, aveva lasciato che Dick si recasse tutte le sere a chiedergli un dado di zucchero e a fargli festa.

Gioconda contava diciotto anni; semplice nel vestire come voleva la sua condizione, non era priva di gusto di grazia. E spiccava tra mille ragazze per il carnato così bruno che pareva di chiaro bronzo, e per gli occhi i quali avevano nel fondo qualche cosa come una gradazione leggera e tenera di quel colore, e le pagliuzze e i punti d'oro dall'avventurina li facevano brillanti; i capelli tra il bruno e il biondo, a ciocche striate; una flessuosità morbida, molle, che poteva un giorno diventar voluttuosa, era in tutte le sue movenze.

Folco Filippeschi teneva, dalla prima sera che l'aveva vista, gli sguardi su di lei; ma ella parlava poco, non rideva mai, sembrava lontana dal sospettar l'attenzione destata nell'animo del giovine, così com'era indifferente al muto omaggio che le tributavano gli altri, passando e ripassando presso il tavolino innanzi al quale sedeva colla famiglia.

Al padre di lei, Folco ebbe a confidare una sera, parlando di studi e di libri, ch'egli aveva seco certi manoscritti concernenti un poeta, francese, del decimoquinto secolo, e che desiderava farli copiare.... Ma perchè non ci si sarebbe provata Gioconda?... L'osservazione veniva dalla madre, la signora Delfina.... La fanciulla conosceva bene la dattilografia, aveva una certa coltura per la quale il poeta francese del decimo quinto secolo non l'avrebbe forse impacciata.... L'osservazione veniva dal padre, il signor Piero.... Folco non avrebbe mai osato; la signorina poteva annoiarsi; il francese del millequattrocento è un po' ostico.... Ma no, ma no, si poteva provare....

Così Folco entrò in casa Dobelli e prese a poco a poco dimestichezza con la fanciulla; fu tralasciata l'abitudine serale del caffè; i due giovani sedettero alla stessa tavola, gomito a gomito, l'uno dettando, l'altra scrivendo rapidamente a macchina, poi rileggendo e correggendo i manoscritti....

Ella era tutta lieta, instancabile: ci si divertiva.... Che cosa significa «esme» e «fetart» e «changon» e «hucque»?... Ascoltava la traduzione, sorrideva mostrando i piccoli denti, che Folco ammirava bianchissimi tra le labbra porporine.... La mamma sul tardi appariva, - il padre non s'allontanava quasi mai dal poco illuminato salotto, - recando due tazze di , preparato con le sue mani, anche perchè la domestica se ne andava subito dopo pranzo.... E i due ragazzi sospendevano il lavoro e prendevano il , a centellini, guardandosi.

Folco sentiva sorgere dal cavo delle mani, dall'onda dei capelli semplicemente divisi nel mezzo con una nitida scriminatura, dalle pieghe dell'abito, da tutta la persona di Gioconda, un profumo discreto, e pur penetrante, che mai non aveva prima avvertito.... Si perdeva a fissarla, riprendendo il lavoro di soprassalto, quando la fanciulla ve lo richiamava.

Una sera, leggendo la Ballade des menus propos, la fanciulla disse con piacere: «Com'è moderno questo poeta del quattrocentoFolco ne fu tutto commosso e felice. Giudicò straordinaria l'intelligenza di lei: sentiva dunque le bellezze dell'antica lirica, la nostalgia delle belle cose lontane? Nessuna donna poteva arrivare a tanta percezione senza avere un'anima letteraria.... E si sarebbe chinato a baciarle la mano, la mano agile e povera che non aveva anelli, se in un canto non fossero stati il padre Piero e la madre Delfina a giuocar con un bisunto mazzo di carte, ridacchiando d'ora in ora.

Folco si aperse con Gioconda: Francesco Villon era pel momento il suo poeta prediletto, e intorno alla vita e alle opere, ma sopratutto intorno alla fine di lui, voleva ricercar nuovi documenti: per ciò doveva andare a Parigi.... Perchè di Francesco Villon nulla si sapeva con certezza; nemmeno il vero nome: quel poco che si sapeva era terribile.... Sì, terribile! E Folco atteggiava il volto a una smorfia, come si fa coi bambini per impaurirli, vedendo che la fanciulla aveva spalancato gli occhi e inarcato le sopracciglia.... Che sopracciglia delicate! due archi d'un finissimo pennello....

Si sapeva ch'egli aveva ucciso, rubato, era stato capo d'una banda di malfattori; aveva commesso altre cose disoneste, onde l'avevan condannato al capestro; ma salvatosi per prodigio, grazie ad alte protezioni, era partito, scomparso per sempre e la leggenda aveva creato per gli ultimi suoi giorni le ultime sue gesta, di cui la storia dubitava.

Ladro e assassino?... Gioconda allontanò un poco le cartelle dattilografate.... Quant'era carina in quell'atto, come avesse temuto che la parola del malvivente la contaminasse!... Ma no, il poeta era altro che l'uomo; e quel contrasto fra l'anima e la vita, fra il sentimento e l'azione, non faceva più ambigua, più ermetica, più degna di studio la figura del grande primo lirico di Francia?

Come mai in quel guasto cuore di ribaldo germinavano i versi del Rondeau: «Deux étions et n'avions qu'un c[oe]ur»?

Folco guardò dentro gli occhi la fanciulla, che sembrò smarrita, fuor del mondo, sorpresa. Ella si levò per affacciarsi alla finestra a respirare. Nel triste salotto, sotto la luce d'una lampada a petrolio poco pulita s'erano stese le ali gigantesche della lirica che traversa i secoli, e fatto schermo della mano al volto, Folco Filippeschi si vide illuminato da un raggio di sole.

Ma la signora Delfina, con cautela e trepidanza, dovette far capire poche sere di poi al conte Folco Filippeschi che sarebbe stato opportuno per tutti diradare un poco le visite. Un tal Carlo Albèri, che possedeva, giù a sinistra, voltato il canto della strada, quel bel negozio di pelliccerie, ed era giovane per bene, aveva chiesto di frequentare la famiglia, col proposito di domandar poi la mano di Gioconda. Il padre, uomo prudente, non aveva risposto no; ma per giudicare se i due giovani, Gioconda e Carlo, potevano accordarsi, conveniva ammettere quest'ultimo in casa, vedere come si comportava, come Gioconda lo accoglieva.... E il conte - finì la signora Delfina con un sospiro - si sarebbe trovato forse a disagio....

Folco ebbe un istante le vertigini.

Gioconda moglie di un pellicciaio; la compagna dei suoi studii prediletti, il tesoro inestimabile inviatogli dalla sorte, la purissima, bellissima fanciulla.... con quella squisita anima letteraria che comprendeva Francesco Villon: «Prince, je connais tout en somme. - Je connais tout, hors que moi-même....»!

Folco ne rimase esterrefatto.

Aveva dimenticato il carattere particolare della sua famiglia. Un padre e una madre che credevano all'origine divina della nobiltà e de' suoi privilegi, e custodivano severamente le tradizioni della casata; una sorella, che credeva, dubitava, perchè allevata lungi dal moderno sudiciume democratico, viveva, pensava, sentiva secondo il modello rigido e perfetto impostole da sua madre; e a diciassette anni era andata sposa a un uomo di trentotto, il solo che soddisfacendo alle esigenze morali e sociali del padre, vantasse nome e censo adeguati alla nascita della giovinetta.

Interrogato a proposito di Gioconda, il padre non avrebbe ordinato a Folco che questo: dimenticarla. Non era lecito, se pure fosse stato possibile, farsene un'amante; sposarla, darle il nome dei Filippeschi, equivaleva a commettere un vero crimine.... D'altra parte non aveva, quella.... come si chiamava?... quella Gioconda, come tutte le buone ragazze, un bravo fidanzato, conveniente alla sua piccola sorte, nella persona di quel.... di quel negoziantucolo.... di quel Pianteri, Albèri; Albèri Carlo?... O perchè Folco voleva portargliela via?... Perchè era bella?... Ah, , , il mondo è così grande, e a ventidue anni non ci si ferma alla prima osteria!... Folco doveva ancora apprendere la vita invece che rompersi il collo con una ragazza del popolo, dirò meglio della plebe.... La quale ragazza pretendeva dunque entrare nella famiglia, essere accolta come figlia dal conte e dalla contessa, dar del tu a Giselda, la sorella di Folco, e a Corradino Àutari marchese di San Fiorano, suo cognato?

Ah, , , Folco scherzava!

Ben certo che non metteva conto nemmeno di parlarne in casa, Folco si sentì morire: ma nonostante l'avviso della signora Delfina, seguitò ad andar tutte le sere dai Dobelli, senza mai incontrar quel Carlo Albèri; e si bruciò al fuoco degli occhi dalle pagliuzze d'oro, nei quali scorgeva una disperata malinconia, una silenziosa rinunzia, qualche cosa tragica venuta certo dall'orrore di quel prossimo fidanzamento.

Andò anche, un giorno, a spiar dalla vetrina dentro la bottega del pellicciaio, giù a sinistra, voltato il canto della via. E scorse il giovane per bene; ma che giovane!... Era uno di quei pupazzi che si vedono nei figurini di mode; roseo in volto, con un sorriso insipido venuto dall'abitudine di servire; i capelli abbondantemente impomatati eran lucidi e grassi; due baffi arricciati col ferro caldo gli ornavano il labbro superiore. Teneva con la sinistra alta una stola di martora, che con la destra accarezzava lievemente, soffiandovi dentro e fiutando.

Folco si perdette a fissarlo, impietrito da un rabbioso disgusto. Quell'uomo voleva possedere per sempre e dominare Gioconda?... bevere ingordamente la giovinezza venusta di lei?...

Si muoveva, usciva da dietro il banco per aprire una scansia. Dietro il banco doveva esservi un rialzo di legno, perchè nel mezzo del negozio Carlo Albèri si presentava improvvisamente piccolo, mingherlino, le spalle strette, i calzoni troppo ampi per le gambe secche. Egli dovette sentire l'occhiata intensamente cruda di Folco: si volse quasi infastidito, fissando il giovane con faccia di maraviglia; poi tornò alle pelliccie e alle stole, e riprese a curarle, soffiandovi dentro. Folco si allontanò.

Oltre tutto, poi, quanto poteva guadagnare quell'Albèri Carlo con la botteguccia di pelli da gatto? D'estate le pelliccie non si vendono.... E come, con quali cure, avrebbe egli espresso la sua efficace protezione, in quale ambiente avrebbe fatto vivere la fanciulla, degna veramente per la inquietante bellezza del nome di Gioconda?

A grandi passi Folco si recò dalla bottega del pellicciaio al negozio del suo gioielliere. Chiese se la sua commissione era stata eseguita; guardò, prese un astuccio, pagò, uscì.

Aveva ormai irrevocabilmente deciso; per , pel suo amore; per Gioconda, per la sua salvezza.

La sera, fece la scena solenne, con la cecità impetuosa di chi si chiude dietro le spalle tutte le porte che possono condurlo a salvazione. Presenti il signor Piero e la signora Delfina, pregò la fanciulla di stendergli la destra; poi con grave lentezza, quasi compiesse un rito, levò dall'astuccio uno stupendo anello, un unico grosso rubino, e lo infilò all'anulare di Gioconda, la quale come trasognata sorrideva, corrugava la fronte, riprendeva a sorridere.

L'anello non aveva alcun significato, spiegò Folco, volgendosi all'uomo e alle due donne; voleva dire soltanto la gratitudine per la dolce intelligentissima collaboratrice.

Che se i signori Dobelli, - e la voce di Folco Filippeschi si fece timida, mentre gli si scoloriva il volto pel batticuore, - avessero voluto vedere in quel dono una speranza, una promessa, un vincolo, egli ne sarebbe stato felice; e allora avrebbe pregato Gioconda di leggere ciò che l'anello diceva nella faccia interna. La fanciulla trasse precipitosamente l'anello dal dito, e quasi con un grido di gioia lesse forte:

«Deux étions et n'avions qu'un c[oe]ur».

Il volto del signor Piero si era fatto paonazzo; la signora Delfina pur non comprendendo parola di quel motto, comprendeva il resto; e istupidita dalla sorpresa, pensava se non fosse conveniente abbracciare il conte Filippeschi; Gioconda aveva bianche le labbra; sentiva sui capelli il peso di un diadema di brillanti.... Folco si riebbe più presto degli altri e disse calmo:

- Allora possiamo riprendere il nostro lavoro?... Non verrà più il pellicciaio a cacciarmi?

Il signor Piero si decise a far tre passi, pesanti, e ad afferrare la mano di Folco:

- Dio vi darà la sua benedizione! - dichiarò con sicurezza.

La signora Delfina attrasse fra le braccia sua figlia e singhiozzò leggermente....

Toccò a Folco di nuovo ristabilir la calma e dissipar l'emozione smisurata.

- Gioconda, - disse alla fanciulla, prendendola per mano. - Andremo insieme a Parigi, a cercare il nostro Francesco Villon....

 

 

 




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