III.
Le due coppie.
Era una signora o una signorina?
Addossata a una delle colonne che sostengono
l'arco nel peristilio del grande albergo di Stresa, Vittorina Ornavati
rivolgeva a sè stessa quella domanda a proposito d'una giovanissima donna,
chiusa in un ampio mantello azzurro, la quale guardava insistentemente dalla
vetrata nella strada.
Vittorina si chinò verso il marito, che,
sorseggiando una tazza di tè, leggeva un libro di filosofia bergsoniana, e
rifletteva sulla facilità con cui si può diventar capo di una sètta filosofica.
- Peccato, - disse ad alta voce, - che io non ci
abbia pensato prima.
- Celso, - domandò Vittorina, - che ti pare: è
maritata o è nubile?
- Nubile! - rispose Celso, senz'alzar gli occhi
dal libro.
- Ma se non l'hai nemmeno veduta!
- Chi?... Ah, il mantello azzurro?... Nubile,
nubile, che diavolo!... Si capisce subito....
La giovanissima pareva nervosa. Si allontanava
fumando una sigaretta, con gli occhi fissi al tappeto roseo e cilestre, che le
segnava il cammino dalla porta ai piedi della scala; poi tornava a spiar dai
cristalli sulla strada, lavata dalla pioggia dirotta e fatta gialliccia.
Soffiava il vento, agitando le chiome delle
acacie, scombuiando le acque del lago; correvano pel cielo innumerevoli nubi
biancastre gonfie d'acqua, mentre da ponente si dilatavano sprazzi repentini di
luce rossa, verdognola, dorata, accompagnando il brontolìo del tuono.
- Non so da che cosa si capisca! - obiettò
Vittorina. Io direi anzi che è maritata: fuma la sigaretta.
- Ciò non significa, - rispose Celso. - Io ho un
amico, la cui figlia di diciotto anni fuma la pipa....
- E poi quella disinvoltura, quel portamento, -
seguitò Vittorina. - Certo, è maritata.... Bella: i suoi occhi.... Non ne ho
mai visti di simili....
Tacque, seguendo con lo sguardo la sconosciuta
che dai piedi della scala si rivolgeva, ripercorreva la striscia di tappeto,
andava nuovamente a guardar fuori.
La pioggia riprendeva a cadere a scroscio. Fermo
innanzi al pontile, un piroscafo battuto dall'acqua rabbiosa dava idea d'una
nave deserta abbandonata sotto la pioggia.
- Celso, - riprese Vittorina, - chi sarà?...
- Mi sembra che il tempo vada di male in peggio,
- borbottò Celso con un'occhiata malinconica al soffitto. Non potremo tornare a
casa che per l'ora di pranzo....
- Chi sarà quella signora? - insistette
Vittorina.
- È una signorina, ti dico, - s'ostinò Celso. -
Come vuoi ch'io sappia? Domandalo al portiere.
Vittorina per seguire il consiglio di suo marito
s'accingeva a chiamare un ragazzo dalla giubba rossa, quando la giovanissima si
fermò al passo d'un signore che le teneva dietro; e Vittorina stette a
osservarli.
Era il nuovo venuto un giovane sui trentacinque,
precocemente segnato da un'esistenza troppo irregolare o dalle stimmate delle
razze che si estinguono. Camminava incerto, e, quasi per ostentare la sua
debolezza, s'appoggiava con gesto esagerato a un bastoncino d'ebano
inghirlandato di pampini d'oro, che impugnava con la sinistra e che certamente
era troppo esile per sostenere la persona piuttosto alta dell'uomo. Le fattezze
di lui eran tese, come tirate da uno spasimo o da uno sforzo, la cui frequenza
gli avesse ormai formato una maschera immutabile. Non si poteva giudicar l'età
ancor fresca di lui se non dai baffi, dai capelli nerissimi, dalla vivacità
dello sguardo, dalla mancanza di rughe alle tempie e intorno agli occhi.
- Ah, siete voi! - disse la giovane con un buon
sorriso. - Guardate che tempo!... Sono molto inquieta; doveva esser qui da
almeno tre quarti d'ora....
- Non c'è alcun pericolo, - assicurò l'uomo,
chinandosi a baciar la mano inanellata della giovane. - Un modesto uragano che
va allontanandosi.
- Io sto sempre col cuore sospeso, quand'egli
parte coll'automobile. È difficile trovar due anime dannate come lui e il suo
meccanico; fanno a chi più commette audacie....
- Volete che sediamo? - disse l'altro, gettando
un'occhiata alle poltrone intorno. - Sapete che io ho l'onore di non poter
reggermi in piedi più di dieci minuti.
- Come state oggi? - domandò la signora,
prendendo posto in una poltrona, a due passi da Vittorina, della cui presenza
non si era accorta o non si curava.
L'uomo trasse con la sinistra dalla tasca
posteriore dei calzoni un astuccio d'oro, e offerse una sigaretta alla sua
interlocutrice.
- Non ne parliamo! - esclamò poi. - Dormo
malissimo; non ho appetito, non posso leggere senza che i moscerini mi ballino
innanzi agli occhi; non posso camminare; ho un dolore acuto nel braccio destro,
l'emicrania sta per riprendermi.
- Benissimo: un vero ospedale! - rilevò la
giovane freddamente. - Non so perchè insistiate tanto a far l'ammalato; è una
civetteria di cui non capisco lo spirito.
L'altro rise, mettendo il bastoncino sotto il
braccio per accendere la sigaretta.
- Spero d'ottenere un giorno la vostra pietà! -
dichiarò poscia.
- Vi dimenticate della parte, - rilevò di nuovo
la giovane. - Avete l'onore di non poter reggervi in piedi, e non pensate
menomamente a sedere; poi quel vostro bastoncino da teatro non servirebbe a
sostenere un topo e vedo che ne fate senza benissimo.... Quanto alla mia pietà,
vi assicuro che non l'otterrete mai. Non ho tempo per gli avanzi di antichi
monumenti....
- Se volete, - rispose l'uomo, soffiando il fumo
dalle nari, - -io getterò lontano da me questo bastone, camminerò come il
paralitico risanato dal calore della vostra parola. Voi potete tutto su di
me....
- Sì, fatemi il favore, cominciate da oggi! -
ribattè la signora. - Sarete meno rattristante.
- Daniele? - disse l'uomo al domestico in livrea
che, sopraggiunto, si era posto a qualche distanza. - Prendi questo bastoncino,
e ch'io non lo veda più!...
Daniele obbedì, e si allontanò portando il
bastoncino sulle due palme stese, come i paggi recano nel corteo il cuscino col
serto regale.
- Perfetto, non è vero? - rilevò il signore,
osservando il suo domestico impettito. - Sembra che porti il Tabernacolo.... Tutto,
intorno a me, deve avere uno stile....
- Anche, dovreste spianare un poco la faccia, -
riprese la giovane, scotendo col mignolo le ceneri della sigaretta. - Voi non
avete un'espressione naturale; vi siete formato un volto da matto ragionante o
da.... che so io? da morfinomane, che non ispira la menoma fiducia.
- Vediamo, - fece l'altro, recandosi innanzi a
uno specchio. - Quale faccia potrei presentarvi? Questa: il sorriso ingenuo, lo
sguardo limpido, la fronte immacolata?... oppure questa: ecco, il sorriso
diventa un po' meno insulso, mentre lo sguardo si fa umile e il solco del
pensiero nobilita la fronte?... Non avete che a chiedere: la nostra Casa è
lieta di poter rispondere ai gusti raffinati della sua numerosa clientela.
E piantato innanzi allo specchio, andava facendo
sberleffi, accompagnati da gesti veloci, come avesse incarnato un personaggio
carnevalesco.
- Su, su, - esclamò la giovane ridendo, -
smettete di fare l'arlecchino! Non vedete che vi osservano?
- Aspettate: ho quello che vi occorre. Vi prego
di guardarmi: Romeo è, al mio confronto, un utente caldaie a vapore....
Ma la giovane balzò in piedi, e, senza badargli,
corse a passi leggieri verso la soglia. Aveva visto fermarsi innanzi
all'albergo, con uno stridìo prolungato sulla ghiaia, un'automobile rossa, da
cui scendeva svelto un signore alto e biondo, il viso del quale era
incorniciato dal cappuccio dell'impermeabile.
- Amico mio, - disse la giovane con intonazione
di lieve rimprovero; - mi hai tenuta in ansia per tre quarti d'ora.
Il signore la baciò in fronte, sorridendo, poi
recò le due mani di lei alle labbra, e rispose:
- Una piccola panna al motore. Niente di grave,
come vedi.... Dov'è Lillia?
E abbassò il cappuccio, togliendosi rapidamente
l'impermeabile, che consegnò al meccanico, il quale lo seguiva.
- Lillia è su; aspetta anche lei il suo babbo, -
rispose la signora. - Ora la faccio portare,
- O Celso, - esclamò Vittorina Ornavati, che
fino a quel punto non aveva perduto nè un gesto nè una parola della scena. -
Lascia il tuo stupido libro!... Guarda se non riconosci quel signore?
- Quale? - domandò Celso alzandosi. - Ah, il
biondo?... Non l'ho mai veduto....
Vittorina fece un gesto di impazienza.
- Ma sì, ma sì, - disse poi. - Lo hai veduto e
gli hai anche parlato. Non rammenti, due anni or sono, nel negozio di
maglieria? quel conte che ti ha venduto le calze o le maglie? Il conte
Filippeschi, mi sembra.... Tu dicevi che faceva il commesso dovendo lottare con
la famiglia e darsi poi all'arte: io dicevo che c'era sotto una donna?... Poi
non lo abbiamo visto più: aveva lasciato l'impiego, ci disse il direttore,
perchè era entrato in possesso della sua sostanza.... Ed ora, eccolo qui.... Ed
ecco la donna che io aveva presentito....
- Vedo, vedo, vedo, - confermò Celso. - È una
bella donna; è una bellissima signora.
In quel momento ripassò innanzi a Vittorina
Ornavati il ragazzo dalla giubba rossa.
- Giacomo, - chiamò Vittorina. - Chi è quel
signore biondo laggiù?
Il ragazzo diede un'occhiata alla coppia che si
avviava verso la scala, accompagnata dall'uomo che aveva fatto gli sberleffi
innanzi allo specchio.
- Il conte Filippeschi, - rispose poi.
- E la signora?
- La contessa Filippeschi sua moglie.
- Ah, sua moglie! - ripetè Vittorina. - E
l'altro?
- Il marchese Ariberto Puppi....
- È loro parente?
- No, signora. È un amico.
- E hanno anche un bambino?
- Una bambina: Lillia! Ha poco più d'un anno:
ecco, la governante la conduce giù....
- O Celso, - disse Vittorina a suo marito,
mentre con un cenno del capo metteva in libertà il ragazzo, - è sua moglie,
quella bellissima giovane!
- Me ne rallegro, - rispose Celso, andando a
guardar dalla soglia nella strada.
La pioggia era cessata; tra le nuvole bianche e
dense si aprivano larghi squarci turchini: il profilo dei monti spiccava netto,
duro, su quel fondo di smalto lucido.
- Io direi che è tempo di tornare a casa, -
osservò Celso a Vittorina che lo aveva seguito. - Approfittiamo di questo
istante, perchè tra un'ora la pioggia potrebbe ricominciare....
Vittorina gli si mise al fianco senza
rispondere. Il suo pensiero era occupato dall'incontro con Folco Filippeschi e
sua moglie.
- Non avevo ragione io? - riprese d'un tratto
incamminandosi da Stresa verso la villa di Belgirate. - Ecco la donna per la
quale lavorava; mentre non si capisce affatto che egli pensi alla letteratura e
all'arte, come supponevi tu....
- Hai sempre ragione! - acconsentì Celso
distrattamente. - Del resto,chi sa?...
Quell'altro, - seguilo Vittorina, - è il
marchese Puppi, un amico. Credevo fosse loro parente....
Celso non potè nascondere un sorriso.
- L'amico non manca mai vicino alla coppia di
giovani sposi, - osservò poscia. - Gli amici hanno la missione di tentare la
virtù delle mogli.... Questa è un'idea che si potrebbe sviluppare.... Anche
noi, quando eravamo sposati da poco, avevamo molti amici per casa....
Vittorina arrossì lievemente.
- Poi se ne andarono, - seguitò Celso, - e non
restarono che i sinceri. I mariti lo sanno: vigilano e si difendono....
- Lo sanno anche le mogli, - ribattè Vittorina.
- Gli amici insomma hanno da compiere un ufficio
ben preciso e utilissimo, - continuò Celso. - Quando una donna ha superato la
crisi della, diremo così, amicizia intima di casa, il marito può dormire tra
due guanciali....
- Uhm! - fece Vittorina sbadatamente.
Ma subito soggiunse:
- Adesso, però, io vorrei conoscere per bene il
conte e la contessa Filippeschi: mi paiono molto ammodo. Andremo tutti i giorni
a prendere il tè al grande albergo, e così ci sarà facile avvicinarli.
Tacque, chinando il capo a guardare una pozza
d'acqua che suo marito studiava di evitare camminando in punta di piedi.
- Celso, - riprese quindi, - non gli dirai che
lo hai conosciuto quando vendeva le calze?
- Ti pare? - -esclamò Celso sbalordito.
- Tu sei così distratto!
E si acquetò. Il disegno di far la conoscenza
personale del conte Filippeschi e di sua moglie la rallegrava; voleva sapere,
prima di tutto, dove e da chi la contessa ordinava i suoi abbigliamenti,
ch'erano di gusto squisito, non solo, ma con un certo carattere, il quale faceva
supporre che la contessa non si acconciasse interamente e ciecamente a tutte le
minuzie della moda, e sapesse scegliere.
Il disegno di Vittorina Ornavati non era
difficile ad attuare.
Pochi giorni di poi, mentre Celso e Vittorina
prendono il tè, la piccola Lillia Filippeschi inciampa nel tappeto e cade. La
signora Ornavati, la quale sta in agguato, si lancia, rialza la bambina e la
riconsegna alla governante. Poi alla contessa accorsa spiega come Lillia non si
sia fatta male e come la governante non abbia colpa nel piccolo incidente.
Gioconda scambia alcune parole freddamente
cortesi, e tenendosi Lillia stretta Era le braccia, si allontana, dopo un cenno
di saluto alla signora premurosa.
Questa ritorna l'indomani per il tè, e chiede a
Gioconda il permesso di offrire a Lillia una graziosa bambola, che ha nel
didietro un deposito di cioccolatini. A fianco della contessa, è il conte
Folco, meno sostenuto di sua moglie, il quale ringrazia; e Celso Ornavati
coglie l'occasione per esprimere alcune idee generali sui bambini, mentre
Vittorina contempla la novità del cappello che orna la chioma tra bruna e
dorata di Gioconda.
La contessa sorride; l'altra incoraggiata,
incalza: la stola d'ermellino gettata negligentemente sull'omero sinistro di
Gioconda e ricadente sul fianco destro; l'abito d'un color grigio argentato;
gli stivaletti alti, sottili, con un infinito numero di bottoncini, son tutti
argomenti di cui si vale la signora Ornavati per piacere alla contessa
Filippeschi; e non è a dirsi la soddisfazione della prima allorchè scopre
ch'ella si serve dello stesso calzolaio, il quale eseguisce le ordinazioni
della seconda.
Gioconda, ciò non ostante, non è affatto
espansiva. Teme di esser copiata; nulla più la indispettisce che veder
riprodotti, imitati e indossati da altri gli abbigliamenti che ella combina per
sè con la sua sarta. È gentile e pronta, ma fredda; non dice parola, che non
sia voluta dalla cortesia, ma non dice altro.
La conversazione tra il conte Folco e Celso
Ornavati va meglio. Parlano di letteratura, di libri, di autori antichi e
moderni. Celso innanzi al giovane è sinceramente ammirato: la sua coltura
letteraria solida, piena, lo avvince.
- Non se ne meravigli! - -dice Folco a
un'esclamazione di Celso. - Mi sono dilettato a frugar nelle biblioteche,
principiando da quella di casa mia, che è abbastanza ricca; poi ho avuto per un
tempo l'idea di scrivere qualche saggio critico e biografico; uno studio, per
esempio, sulla vita e le opere, specialmente sulla vita romanzesca, di François
Villon.... Per ciò mi recai a Parigi con Gioconda, mia moglie.... Ma eravamo,
si figuri, in viaggio di nozze!... Sono stato a Parigi quattro mesi e ancora
oggi non so dove sia la Biblioteca Nazionale.
Celso ammutolisce al nome di François Villon;
non ne sa nulla; non ne ha mai udito parlare; ignora assolutamente quando,
dove, come, sia vissuto, che abbia fatto, che abbia scritto; la sua ammirazione
per Folco Filippeschi cresce a dismisura; per ciò non si accorge che il giovane
ride, ma ride amaro, quasi ironico, e che subito si riprende, dopo un'occhiata
alla contessa.
Questa non se n'è avveduta. Ha la destra
imprigionata nella destra di Vittorina, che guarda ad uno ad uno tutti gli
anelli, da un grosso unico rubino a una lunga turchese circondata di brillanti.
E Gioconda si chiede se dovrà condursi in camera
la signora, e spalancarle innanzi tiretti e bauli, armadi e valige, perchè li
ispezioni fino al fondo.
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