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Antonio Ranieri
Ginevra o L'orfana della Nunziata

IntraText CT - Lettura del testo

  • Parte Quarta
    • LXXXVI.
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LXXXVI.

 

Il segretario era un Francese di forse cinquant'anni, assai cortese e ben parlante, che le enormità della rivoluzione avevano condotto a quella sventura. Laonde tutte le preghiere di Cammillo non erano valute ad ottenerne ch'egli sedesse accanto a me nell'altro posto di fondo. Al lurco siniscalco Cammillo non istimò di dover fare troppe cerimonie, e mi si sedette accanto, e tutto il tempo che fu buio, mi venne di continuo stringendo col suo braccio sinistro la destra parte del mio seno al suo cuore.

Pervenimmo, in meno che non lo dico, alla barriera del Serraglio, ed una mano di stradieri e di birri ci fu addosso di repente. Ma il siniscalco non ebbe loro appena mostro il passaporto del suo signore, e detto che noi e quegli altri dodici eravamo della famiglia, e data loro una buona mancia, che, placatisi tutti come agnelli, ci mandarono, senza più, a buon viaggio. Io sporsi un istante il capo fuori, e diedi l'ultime lacrime al mio povero Paolo, alla sola cara memoria della mia prima età, e maledissi quel vero serraglio di scellerate fiere e di divorate vittime, e i cavalcanti spronarono, ed io vidi, con ineffabile gioia, dileguarsi nel buio della notte il funesto giallore della sua facciata.

Si corse a tutta furia insino ad Aversa; e quivi mentre si mutavano i cavalli, io sporgeva anche il capo fuori per vedere l'aspetto della città: ma indarno, ch'era fitta notte. Domandai Cammillo e il Francese s'essa conservava qualche sembianza dell'origine sua normanna. Ma l'uno e l'altro ne ignoravano insino l'origine, e mi convenne passarmene assai leggermente.

S'arrivò a Capua, dove non è così facile d'entrare in pace, com'è in guerra. Ma dopo tre ore che ci arrovellammo alle porte, fu alla fine rotto il profondo sonno di quei guerrieri, e fu andato per le chiavi che dormivano sotto il guanciale del capitano, e fummo dentro che albeggiava. Ed io, che già fantasticavo dell'antica Capua, e delle sue glorie, e della morte che v'apparve un cosa tanto gentile, e che ben sapevo che le vestigie erano quivi a un miglio, maledissi la Russia tutta e la sua barbarie, per cui quell'infuriato correva fulminando le poste, per trovarsi in Roma, come intendemmo dal segretario, all'ultima sera d'una saltatrice.

Pervenimmo a Sant'Agata, e quindi al Garigliano, all'antico Liri, e non mi saziai di contemplare com'egli ancora morde le sponde taciturno. Fuggimmo di Mola, dell'antico Formio, ed io mirava estatica la collina a destra, ove Cicerone porse il collo a' sicarii di Antonio. Vidi Gaeta a sinistra, e mi sparì ch'ancora mi sonava nella memoria:

Ed ancor tu d'Enea fida nutrice:

che solo all'ombra adorata del Caro io debbo un tanto bene, di conoscere, se non è bestemmia a chi non sa latino, la divinità di Virgilio.

Varcammo ed Itri e Fondi, dove io vidi la via Appia ancora integra, e quelle mura che, già prima che Roma fosse, guardavano il cielo. Poscia Iddio ebbe pietà di noi: e la carrozza del Russo, dopo infiniti lanci, urtò in un gran petrone e si disfece. E poiché nessuno pericolò, benedetto Iddio, ci riducemmo tutti a piedi a Terracina.

 

 

 

 

 




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