LXXXVI.
Il segretario era un Francese di
forse cinquant'anni, assai cortese e ben parlante, che le enormità della
rivoluzione avevano condotto a quella sventura. Laonde tutte le preghiere di
Cammillo non erano valute ad ottenerne ch'egli sedesse accanto a me nell'altro posto
di fondo. Al lurco siniscalco Cammillo non istimò di dover fare troppe
cerimonie, e mi si sedette accanto, e tutto il tempo che fu buio, mi venne di
continuo stringendo col suo braccio sinistro la destra parte del mio seno al
suo cuore.
Pervenimmo, in meno che non lo
dico, alla barriera del Serraglio, ed una mano di stradieri e di birri ci fu
addosso di repente. Ma il siniscalco non ebbe loro appena mostro il passaporto
del suo signore, e detto che noi e quegli altri dodici eravamo della famiglia,
e data loro una buona mancia, che, placatisi tutti come agnelli, ci mandarono,
senza più, a buon viaggio. Io sporsi un istante il capo fuori, e diedi l'ultime
lacrime al mio povero Paolo, alla sola cara memoria della mia prima età, e
maledissi quel vero serraglio di scellerate fiere e di divorate vittime, e i
cavalcanti spronarono, ed io vidi, con ineffabile gioia, dileguarsi nel buio
della notte il funesto giallore della sua facciata.
Si corse a tutta furia insino ad
Aversa; e quivi mentre si mutavano i cavalli, io sporgeva anche il capo fuori
per vedere l'aspetto della città: ma indarno, ch'era fitta notte. Domandai
Cammillo e il Francese s'essa conservava qualche sembianza dell'origine sua
normanna. Ma l'uno e l'altro ne ignoravano insino l'origine, e mi convenne
passarmene assai leggermente.
S'arrivò a Capua, dove non è
così facile d'entrare in pace, com'è in guerra. Ma dopo tre ore che ci
arrovellammo alle porte, fu alla fine rotto il profondo sonno di quei
guerrieri, e fu andato per le chiavi che dormivano sotto il guanciale del
capitano, e fummo dentro che albeggiava. Ed io, che già fantasticavo
dell'antica Capua, e delle sue glorie, e della morte che v'apparve un dì cosa
tanto gentile, e che ben sapevo che le vestigie erano quivi a un miglio,
maledissi la Russia tutta e la sua barbarie, per cui quell'infuriato correva
fulminando le poste, per trovarsi in Roma, come intendemmo dal segretario,
all'ultima sera d'una saltatrice.
Pervenimmo a Sant'Agata, e
quindi al Garigliano, all'antico Liri, e non mi saziai di contemplare com'egli
ancora morde le sponde taciturno. Fuggimmo di Mola, dell'antico Formio, ed io
mirava estatica la collina a destra, ove Cicerone porse il collo a' sicarii di
Antonio. Vidi Gaeta a sinistra, e mi sparì ch'ancora mi sonava nella memoria:
Ed ancor tu d'Enea
fida nutrice:
che solo all'ombra adorata del Caro io debbo un tanto bene,
di conoscere, se non è bestemmia a chi non sa latino, la divinità di Virgilio.
Varcammo ed Itri e Fondi, dove io
vidi la via Appia ancora integra, e quelle mura che, già prima che Roma fosse,
guardavano il cielo. Poscia Iddio ebbe pietà di noi: e la carrozza del Russo,
dopo infiniti lanci, urtò in un gran petrone e si disfece. E poiché nessuno
pericolò, benedetto Iddio, ci riducemmo tutti a piedi a Terracina.
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