XIII.
Così valicai due altri anni, dei
venticinque ove mi sono strascinata. Venticinque anni! Se ora mi rivolgo un
istante a considerarli, paiono un lampo, com'è un lampo il pensiero che li
percorre. Oh Dio! ma a passarli fu un'eternità di dolore!
Un giorno, in sull'aurora, io
fui bruscamente destata da una monaca, la quale mi disse ch'io mi fossi presto
vestita e condotta nel parlatorio, che v'era gente di fuori che mi voleva. E
volte le spalle, andò via. Io non sapeva immaginarmi qual ente umano fuori la Casa della Madonna potesse volermi. Più volentieri avrei creduto che mi volesse un cane, s'io
non avessi con questi orecchi udito agonizzare e morire quel mio primo e solo
amico; che certo, s'egli fosse vissuto, ben mille volte sarebbe tornato a
quell'ospizio a domandarmi; ma gli uomini lo avrebbero cacciato col bastone.
A un tratto mi balenò al
pensiero la strega di Sant'Anastasia, e ch'ella non fosse tornata per me, ora
ch'era meno impossibile ch'io resistessi alle fatiche alle quali ella mi
destinava. E fu un momento ancora, in cui la mia mente delirò fra i sogni di
arcani genitori, d'una tenera madre che venisse una volta a svelarmi il suo seno
materno ed a farmene uno scudo contro le atrocità degli uomini. E già
cacciandomi indosso la vesticciuola, e correndo al parlatorio, mi rompeva dagli
occhi un torrente di calde lacrime di speranza e di gratitudine...
Quando giunsi al parlatorio,
vidi la monaca che s'intratteneva con tre figure, che, appena io comparvi, mi
cacciarono gli occhi addosso molto curiosamente. Erano due uomini, e una donna.
La donna era vestita d'un abito di romagnuolo ovvero pelone bruno, accollato;
era calzata di calze e di scarpe assai ruvide; aveva un fazzoletto bianco,
sudicio, al collo; ed in testa una pezzuola di cotone bianco ripiegata ad
angolo, della quale due becchi le si annodavano sotto il mento in tal modo che
buona parte del viso n'era coperta, e gli altri due combacianti l'uno con
l'altro le penzolavano dall'occipizio. Costei era goffamente appoggiata al
braccio d'un giovane macro e lungo. Questi aveva la testa incredibilmente
piccola, con un viso bronzino, con un nasuccio e due occhiolini in fronte, nei
quali si leggevano in istrano accordo l'effeminatezza, la ferocia e la
codardia. Era tutto vestito a nero, benché non portasse bruno, ed avea la
cravatta e i guanti bianchi, e di sopra la giubba aveva un vestone così lungo
che quasi toccava la terra, con un cappellino puntuto in mano ed un bastone
così grosso e lungo che appena lo bastava a reggere, ed era assai ridicolo a
riguardare. Dietro a questa coppia un poco, era in atto fra brusco e rimesso un
altro uomo, dal cui volto veniva fuori il più lungo naso ch'io abbia mai
veduto. Aveva indosso un vestone del panno medesimo onde era l'abito della
donna, un paio di stivalacci ai piedi, un grosso bastone in mano, e per
gagliofferia aveva tuttavia il cappello in testa. Volendo parere di tutto fare,
non faceva nulla, e pendeva dagli sguardi della donna e del suo bracciere.
Veramente bellina! esclamò la
donna appena mi vide. Di questa età la volevo, e di questa bellezza. Quanto è
carina!
E prendendomi per la mano e
carezzandomi:
Povera bambina mia! Vieni, vieni
alla mamma tua:
Diceva con grandi apparenze di
tenerezza. E volta al bracciere:
Che ne dite, don Gaetano, può
essere più aggraziata? Perfettamente, rispose don Gaetano. Non può essere più
aggraziata.
Perfettamente, ripetette
quell'altro di dietro.
Allora la donna volta alla
religiosa:
Zia mia, le disse, io me la
voglio condurre meco or ora.
E voglio che sia sempre mia,
povera la mia bimba! poverina! Ed afferrando le cesoie che pendevano dal cinto
della monaca:
Permettete, le disse,
tagliandomi il nastro ov'era impiombato il marchio che mi pendeva alla gola: e,
fattasi a un finestrone ingraticolato di ferro, lo gittò sulla via per un vano
della grata, aggiungendo:
Voglio togliermi ogni futura
tentazione.
Di poi la monaca, ammonito don
Gaetano e l'altr'uomo di rimanersi nel parlatorio, seguita dalla sola donna,
che già mi menava per mano come cosa sua, ci condusse di qua e di là
nell'ospizio, baciando la mano a questa e a quella monaca, ed al padre rettore,
ed a non so quale principe o duca o marchese, appo il quale era la somma delle
cose; e finalmente ci condusse in una stanza remota, dove, in uno degl'infiniti
volumi in foglio ch'erano in tanti scaffali intorno intorno alla stanza, fu
scritto il dì e l'ora della mia consegna alla signora donna Maria Antonia
Volpe, nata Fiore, moglie legittima di don Gennaro Volpe, capocuoco nella
cucina del principe di san Marcello. Di poi ritornammo al parlatorio: ed avendo
donna Maria Antonia, don Gaetano e don Gennaro preso amorevolmente commiato
dalla religiosa, me ne menarono via con loro.
|