XIX.
Era fitto inverno. Tutto taceva:
se non che i due abati ad ora ad ora russavano. Io non poteva chiudere le
palpebre, parte per la paura degli strazi della donna se non fossi stata pronta
ad aprir l'uscio a don Gennaro ed agli altri cinque studenti ch'eran fuori, e
parte per la naturale vigilia ch'è sempre causata dall'inedia e dal turbamento
de' nervi. L'immaginativa mi s'accese. Parvemi che il gran segreto della vita
mortale mi fosse aperto per la prima volta; né mai in questa più provetta età
mi accadde di avere una così viva rivelazione delle condizioni dell'essere.
Quel giorno, tutti gli altri scorsi, e la vita intera mi parve un fantasma, un
sogno, un incubo doloroso, ma accompagnato dalla tremenda realtà della veglia.
Mi parve che, a traverso il guizzo di quella lampada, mi trasparisse come per
lampi un ordine infinito di nuove ed ineffabili sciagure, le quali, pure
essendo dolore e pianto, si trasformavano in non so che d'umano; ed ecco larve,
spettri, sembianze ora note ora ignote, trasformarsi da belle in orrende, e
ingrandirsi, e impiccolirsi, e sparire, e ritornare. Oh padre! qual notte!
Quale ignoto e spaventoso mondo abitano in quelle ore gl'infelici! Alla fine,
erano, credo, le sette ore della notte, quando giunsero i tre Aquilani, che,
presa la chiave di sotto il guanciale degli abati, aperto il cassettone,
trangugiato quel pochissimo di residuo cibo e fumato a posta loro, entrarono
nel letto più grande e si furono presto addormentati. Poco di poi tornarono i
due congiunti di don Gaetano, e dietro a loro don Gennaro, che a quell'ora
terminava d'imbandire da cena al suo padrone. I due giovani si lamentarono un
cotal poco sommessamente a don Gennaro del saccheggiato piatto, dove non
rimanevano più né anche i segni dell'antica vivanda. Don Gennaro promise loro
che gliene avrebbe rifatto il dì seguente; e così queglino chetandosi si
raccolsero nel terzo lettuccio, e don Gennaro entrò con placido animo nella sua
camera. Io passai di là per ridurmi in cucina sul sacconcello, e passando vidi
don Gaetano e donna Mariantonia, ciascuno al suo posto che fingevano d'essere
sepolti nel più profondo sonno, e don Gennaro, che piamente spogliandosi i suoi
panni, si preparava ad entrare accanto alla sua pudica consorte.
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