XX.
Un raggio di dolorosa luce ed un
crudo brivido di freddo mi destarono la dimane dal breve letargo che mi aveva
oppressa sul sacconcello. Quale fu il primo giorno, tali furono tutti gli altri
dei quattro anni ch'io passai in casa di donna Mariantonia. Un uomo grandissimo
disse che ogni giorno, rispetto al precedente, somiglia ad un racconto narrato
due volte: e disse vero per una parte non numerosa del genere umano. Ma se la
madre di quel grande uomo lo avesse abbandonato nella buca de' reietti, io
credo ch'egli avrebbe tolta altronde l'immagine, e il dì che segue a un altro
avrebbe paragonato più tosto alla ripetizione del parossismo d'una febbre acuta
e dolorosa.
Io non mi rammento di altri avvenimenti
che mutassero l'uguaglianza di quei giorni, se non ch'io era spesso malata. Ma
poi insensibilmente la malattia mi divenne abito, anzi seconda natura. La mia
vita divenne uno sforzo continuo; e m'avvezzai a reggermi in piedi, a camminare
e ad affaticarmi in ogni più strapazzata maniera, quando più mi prostravano a
terra il languore e le febbri causatemi dallo stento e dai patimenti infiniti
che sopportavo. Pure, essendo tutto il mio vestito quel cencio col quale venni
via dall'ospizio, non ostante che la mia complessione fosse assai cresciuta; e
non giudicando donna Mariantonia che alle fanciulle si convenisse andare
altrimenti che scalze, avveniva talvolta che dal freddo mi gelavano i piedi e
in tal guisa mi si fendevano, che il camminare mi diveniva assolutamente
impossibile. Allora io giaceva per qualche dì come morta sul pagliericcio, non
senza infinite bestemmie e mali trattamenti e battiture di donna Mariantonia,
ch'era costretta a disertarsi, pagando un grano il dì a un'altra fanciulla, che
faceva per quei giorni, ma meno percossa di me e meno faticosamente, le veci
mie.
|