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Antonio Ranieri
Ginevra o L'orfana della Nunziata

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  • Parte Prima
    • IV.
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IV.

 

Padre mio amoroso, io non imprendo a raccontarvi quello ch'io soffersi in quell'infame borgo tutto l'inverno e tutta la seguente state. I miei patimenti furono inauditi, e s'io li raccontassi, sarebbero incredibili. Ah padre mio! così divisa, come mi sento, da ogni cosa terrena, così vicina, quale sono, al sepolcro, a quel porto che tanto sospirai, pure s'io mi rivolgo a contemplare l'oceano di dolore dal quale approdo, non posso fare che non mi prenda un'infinita pietà di me medesima, e ch'io non versi un torrente di lacrime. Ah padre! se un lampo di piacere balenò nella vita, si dileguò per sempre; e se traluce un istante al pensiero, non è più piacere: ma la memoria del dolore, è dolore sempre.

Come io guarissi della spalluccia slogata e delle ferita nel petto, non mi rammento. Ma certo la sola natura n'ebbe il merito. Io passava i giorni e le notti scalza e presso che ignuda fra la più mortale umidità, e sentivo quasi sempre quel senso di smania inenarrabile, che poscia intesi essere la febbre. Un tozzo di nerissimo pane inzuppato nell'acqua era tutto il mio nutrimento; quello squallido tugurio era tutto lo spazio ove mi era conceduto di estendere i miei mal fermi passi; quel poco di strame tutto il mio letto; e le più barbare e spietate percosse erano il solo avvenimento che veniva a rompere l'orribile uniformità della mia giornata. O Dio pietoso! se nella tua ineffabile bontà hai impresso nel cuore di ogni animale un istinto d'amore per il suo simile, come puoi consentire che la creatura umana odii tanto la creatura umana?

La donna vedendomi malandata e quasi vicina a morire, e per la inferma età ancora incapace di poterle essere utile di nulla, cominciò a pentirsi fieramente della sua risoluzione. S'ella mi dava un bandolo d'una matassa per isvilupparla, io lo smarriva e più inviluppava la matassa. S'ella mi dava a tenere l'asino per la cavezza, quello o me la strappava di mano, o, s'io teneva forte, mi gittava per terra e mi strascinava. S'ella mi comandava la sera di destarla la dimane innanzi giorno, io, giusto quando dovevo destarla, m'addormentava: e se di notte era picchiato all'uscio alla sprovvista, la donna, che non voleva alzarsi dal caldo pagliaccio, mandava me, ch'ero nuda sullo strame, acciocch'io lo aprissi; ed io, con le mie tenere mani, non bastava a dischiavarlo. Tutte queste o simili colpe erano punite con pugni, con calci, con ceffate; con l'afferrarmi pei capelli e gittarmi a furia sullo strame, o, tenendomi forte per quelli, percuotermi la tempia al muro, e rialzarmi talvolta il viso in su a tutta forza per battermi, quasi togliendo la mira, su gli occhi, e lasciarmi per più giorni come cieca.

 

 




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