CANTO
QUARTO
Argomento
Mette
in cor a Risardo il buon nocchiero
Del
greco re la giostra e la figliuola,
Tal
ch'ei si fa condur nel greco impero
Per
mirar la beltà stupenda e sola;
V'abbatte
l'uno e l'altro cavalliero
D'Odoria,
e ella il cor gli accende e invola.
Lideo
contra l'amata arso di sdegno
L'accusa
d'omicidio e usurpa il regno.
Le
donne in ogni età fur da natura
Di
gran giudizio e d'animo dotate,
Né
men atte a mostrar con studio e cura
Senno
e valor degli uomini son nate;
E
perché se comune è la figura,
Se
non son le sostanze variate,
S'hanno
simile un cibo e un parlar, denno
Diferente
aver poi l'ardire e 'l senno?
Sempre
s'è visto e vede (pur ch'alcuna
Donna
v'abbia voluto il pensier porre)
nella
milizia riuscir più d'una,
E
'l pregio e 'l grido a molti uomini torre;
E
così nelle lettere e in ciascuna
Impresa,
che l'uom pratica e discorre,
Le
donne sì buon frutto han fatto e fanno,
Che
gli uomini a invidiar punto non hanno.
E
benché di sì degno e sì famoso
Grado
di lor non sta numero molto,
Gli
è perché ad atto eroico e virtuoso
Non
hanno il cor per più rispetti volto.
L'oro
che sta nelle minere ascoso,
Non
manca d'esser or, benché sepolto,
E
quando è tratto e se ne fa lavoro
E
così ricco e bel come l'altro oro.
Se
quando nasce una figliuola al padre,
La
ponesse col figlio a un'opra eguale,
Non
saria nelle imprese alte e leggiadre
Al
frate inferior né disuguale,
O
la ponesse in fra l'armate squadre
Seco
o a imparar qualche arte liberale,
Ma
perché in altri affar viene allevata,
Per
l'educazion poco è stimata.
Se
la milizia il mago a Risamante
Non
proponea né disponeale il core,
Non
avria di sua man condotto tante
Inclite
imprese al fin col suo valore.
Dissi,
che questa giovene prestante
Fu
dal cortese e liberal signore
Condotta
in una loggia a disarmarsi,
Ove
dovea la cena apparecchiarsi.
Ma
mentre di costei ragiono e canto
Il
trace cavallier mi viene in mente,
Il
qual com'io narrai nell'altro canto,
Cinto
l'acciar s'avea terso e lucente,
E
per gir in Egitto a trar di pianto
E
di prigion la giovene innocente,
Tolto
da suoi commiato, il patrio lido
Lascia,
e si crede al mar noioso e infido.
Sciolto
avea già tutto contento e lieto
Al
fiato d'Aquilone il lino attorto,
Né
vedea l'ora mai nel suo secreto
Che
potesse veder l'Egizio porto.
Avea
in nave un nochier saggio e discreto
E
d'un ingegno assai vivo e accorto;
A
cui piacea d'intender le novelle
Di
ciò ch'occorre in queste parti e in quelle.
Costui,
veggendo il vento al suo cammino
Esser
propizio, e 'l ciel chiaro e giocondo,
E
che per gire al porto alessandrino
Avea
l'aer con l'aura e 'l mar fecondo,
Si
pose in atto riverente e chino
Com'uom
discreto e pratico del mondo
Tra
quei signori, e giunto in lor presenza
Ottenne
anch'ei di ragionar licenza.
E
disse: – Esser vi dee, signor, palese
Quella
sì cara e sì gradita nova
Che
d'ogni region, d'ogni paese
Tutti
i guerrier, in cui virtù si trova
Tragge
in Atene all'onorate imprese,
Dove
una giostra il re Cleardo approva,
Che
'l grido altier di sì lodevol opra
Già
tutto 'l mondo ha posto sottosopra.
Corre
ciascuno all'attica pendice,
E
tanto più ch'egli ha una figlia sola
Che
di bellezza al mondo è una fenice
E
a tutte l'altre belle il pregio invola;
E
ben si potrà dir colui felice
Che
goderà così gentil figliuola,
Che
presso la bellezza ond'ella è ornata
D'ogni
virtù mirabile è dotata.
E
oltre ciò sol a costei s'aspetta
La
eredità di sì famoso regno,
Perché
questa leggiadra giovanetta
È
(com'io dissi) al padre unico pegno,
E
questa è la cagion, cred'io, ch'alletta
A
gir in Grecia ogni guerrier più degno,
Che
speran che la faccia il re consorte
A
quel di lor ch'è più gagliardo e forte. –
Mentre
costui ragiona, il bel Risardo
Novi
pensier per la sua mente gira,
L'ascolta
attentamente, e 'l viso e 'l guardo
Tien
in lui fermo e appena il fiato spira.
Segue
il Nochiero: – Ogn'uom forte e gagliardo,
Che
di mostrar la sua virtù desira
O
mirar il bel viso di costei,
A
gara or se conduce a' liti achei.
Grande
è la fama che d'intorno spande
Del
grido altier di questa alma fanciulla,
Ma
l'altro dì ch'io giunsi in quelle bande
Trovai
che 'l vero ogni credenza annulla.
E
sua grazia e bellezza è così grande
Che
si può dir che sia la fama nulla.
Io
la vidi, signor, né agli occhi miei
A
pena credo ancor quel, ch'io vedei.
Crespo
oro il crine, avorio rassomiglia
La
fronte più, ch 'l ciel serena e tersa,
Direste
che son d'ebeno le ciglia,
Là
donde Amor foco e dolcezza versa.
Sembra
la guancia candida e vermiglia
Neve
di grana o di cinabro aspersa,
Par
che la bocca al minio il vanto invole,
Onde
nascon soavi, alme parole.
Il
sottil collo è d'alabastro eletto,
Tondo
come colonna, e di cristallo
È
l'ampio sodo e delicato petto,
La
man di perle e l'unghie di corallo.
Insomma
il tutto è in lei bello e perfetto,
Non
fé natura in lei punto di fallo,
Ma
lo splendor degli occhi e la vaghezza
Vince
poi tutto il resto di bellezza.
Chi
de' gesti la grazia e leggiadria
Corrispondente
alla beltà del viso,
Chi
la soavità narrar potria
Delle
dolci parole e dolce riso?
Ch'in
lei regna modestia e cortesia
Dànno
gli ornati suoi costumi aviso,
Tal
ch'io non credo a lei trovarsi pare
Dovunque
il sol riscalda e cinge il mare. –
Già
non potea il nochier trovar suggetto
Miglior
di questo, o più lieta novella
Che
più movesse assalto al tracio petto
E
gli fesse acquistar voglia novella.
Come
Risardo ha inteso il suo concetto,
Più
d'ir non cura in Alessandria bella
E
al nochier comanda allora allora
Che
ver la patria achea volga la prora.
Obedisce
il nochier, nissun non osa
Contra
'l mandato suo la bocca aprire,
E
più ch'essendo ogn'alma allor bramosa
D'acquistar
fama e di mostrar ardire,
A
quella giostra nobile e famosa
Comune
di trovarsi era il desire.
Ciascun
brama c'ha 'l cor forte e invitto
Di
gir prima in Atene ch'in Egitto.
Già
Silibria e Perinto a destra mano
Lasciando
passa il buon nochier lo stretto,
Dove
Leandro e Hero amarsi invano
Ch'all'un
e all'altro fu sepolcro e letto.
In
faccia e Creta, ancor che di lontano,
E
dal sinistro lato il frigio tetto,
E
all'isola di Tenedo vicina
Giunge,
e solcando va l'egea marina.
Entra
poscia nel mar che 'l nome ottenne
Dall'audace
di Dedalo figliuolo,
Ch'ascese
al ciel con l'incerate penne
E
poi cadde, e finì la vita e 'l volo.
Al
promontorio Cafareo poi venne,
Ove
del verde mar l'instabil suolo
Per
dritto fil ver mezzodì non fende,
Ma
ver Favonio il suo viaggio stende.
Andro
lascia a sinistra, e Negroponte
Dal
destro lato, e sì Volturno spira
Ch'in
breve spinge il legno al Sunnio monte
E
'l bel terreno alfin Cecropio mira.
Giunto,
a terra gettar fa 'l trace il ponte,
E
smonta, e l'occhio or quinci or quindi gira,
E
seguendo l'esempio di Risardo,
Dismonta
al lito ogni guerrier gagliardo.
Alla
scoperta gir non fa disegno,
Ma
da prudente a tutti si nasconde,
Per
l'odio e nemicizia, che tra 'l regno
Achivo
è nato e le paterne sponde.
Vol
prima intender meglio il tracio pegno,
Se
'l bando regio al suo voler risponde;
Vol
saper s'in quei giorni almi e felici
Cleardo
fa sicuri anco i nemici.
Non
vole entrar ancor nella cittade,
Ma
se ne va per la campagna erbosa,
Rimirando
coi suoi quelle contrade,
E
scopre or questa ora quell'altra cosa;
Quando
passar per le più trite strade
Vede
dinanzi alla città famosa
Tre
cavallier con arme e destrier neri,
Senza
insegna nei scudi o nei cimieri.
Parea
ciascun in vista esser gagliardo
E
(senza fregio aver di gemme o d'oro)
Nel
sembiante all'altrui giudizio e sguardo
Mostravan
degnità, grazia e decoro.
Come
gli vede il giovane Risardo
Disegna
di provar la virtù loro,
E
in atto di giostrar tutto cortese
Gli
sfida, e l'asta in sulla coscia prese.
Quel
de tre cavallier ch'andava prima,
Che
non sa quanto in arme il garzon vaglia,
L'invito
accetta e senza dubbio stima
Rimaner
vincitor della battaglia.
Per
veder chi di lor sia di più stima
Fermarsi
gli altri e chi più in pregio saglia;
Gli
è ver ch'i traci discostarsi alquanto,
E
gli altri duo guerrier fero altrettanto.
Risardo
intento al destinato assalto
Ritien
alquanto al suo destrier il morso,
Lo
spinge nel principio a salto a salto
Destro
e leggier con arte e con discorso;
Indi
voltato poi l'erboso smalto
Premer
gli fa con più spedito corso,
E
sì rallenta il freno e i sproni stringe
Ch'el
suo nimico ad incontrar lo spinge.
L'esterno
cavallier di lui non meno
Ardito,
pronto e di giostrar maestro,
Gira
con arte al suo destrier il freno
Dal
manco lato e 'l punge col piè destro;
Quel
con prestezza tal preme il terreno
Che
non lascia orma il piè leggiero e destro.
Le
dure lancie agli elmi ambi drizzaro,
E
a mezzo il corso i cavallier s'urtaro.
Risardo
al cui ardimento, al cui vigore
Un
sol della sua età si paragona,
Portò
nel colpo altier tanto valore,
Senza
incomodo aver nella persona,
Che
rimasto all'incontro vincitore
Continuamente
al corso s'abbandona;
L'altro,
ch'uscì di sella al colpo fiero,
Con
poco onor restò sopra il sentiero.
D'un
incontro sì fiero e sì gagliardo
Ciascun
si maraviglia e 'l loda e approva,
E
vaghi del valor del buon Risardo
Bramano
di veder qualch'opra nova,
Dato
avendo egli volta a Ruggipardo,
Veniva
audace alla seconda prova,
E
l'altro, che lontan venir lo vede,
Di
cor, d'arte e di forza si provede.
Piglia
del campo, e minacciante e crudo
Per
vendicar se può dell'altro il danno,
Passa
al feroce in contro il tracio scudo
E
rompe l'asta in fra l'usbergo e 'l panno.
Ma
Risardo a lui trova il petto nudo
E
'l pone in tal angustia, in tal affanno,
Che,
se non ch'alla groppa del destriero
Si
stese, l'avria occiso il colpo fiero.
Fu
vicino a cader, pur si ritenne,
Ma
nel levarsi e in quel che 'l brando trasse,
Non
so come il cavallo a inciampar venne,
Sì
che necessità fu che cascasse.
Poi
che 'l secondo voto il tracio ottenne,
Ch'uopo
non fu che più con quel giostrasse,
Come
sempre al suo onor fortuna arrida
Il
terzo cavallier superbo sfida.
Ma
quel senza far atto, o movimento
Che
per giostrar al tracio corrisponda,
Ver
lui move il destriero a passo lento
E
con voce umanissima e gioconda
Disse:
– Deh cavallier, fammi contento,
Ch'io
sappi in chi tal pregio il ciel nasconda,
Dimmi
qual padre, e patria ti diè il fato,
I
parenti e 'l paese onde sei nato.
Quel
proferir, ch'ei fé dolce e umano
Con
piana e soavissima favella
A
Risardo, ch'ascolta e parli strano,
Sembra
non di garzon ma di donzella.
E
rispondendo al prego umile e piano,
Tutto
cortese anch'ei parla e favella.
–
Benché mi
piaccia altrui sempre occultarmi,
Pur
teco son contento appalesarmi.
Risardo
io son, del re nacqui Agricorno
Dell'antica
Bizanzio imperadore;
Ma
tu che mostri al favellar adorno
Esser
donna dignissima d'onore,
Fammi
saper chi ti diè al mondo e al giorno,
E
s'io giudico il ver, s'io piglio errore;
L'abito
fa stimarti uomo virile,
Ma
la voce è di donna alma e gentile. –
Già
non si rende al suo desir ritroso
Colui,
ma discoprendo il volto amato,
Così
ragiona al principe amoroso:
–
Vedi che 'l tuo vero
giudizio è stato;
Io
donna son di grado alto e famoso;
Di
là dal Gange è il mio felice stato,
Sono
il mio regno e i patri alberghi miei
I
campi felicissimi sabei. –
Come
il forbito acciar lucido e grave
Lascia
scoperto alla donzella il viso,
E
che 'l lume dolcissimo e soave
Coglie
il barbaro petto all'improvviso,
Sì
stupido riman, sì trema e pave,
E
ne divien sì attonito e conquiso,
Che
'l nome più di vincitor non gode,
E
ne riporta Amor tutta la lode.
Perché
tosto, ch'in lei le luci intende
E
vede l'aurea chioma errar col vento,
Amor,
che l'arco ne begli occhi tende,
Per
abbassar quel barbaro ardimento,
D'una
saetta il cor tanto gli offende,
Che
'l priva d'ogni onor, d'ogni ornamento,
E
già di tal desio l'arde e allaccia
Che
non sa che si dica o che si faccia.
Con
un bel modo alfin ragiona, e osa
Chieder
qual causa fà, ch'or si allontani
Dalla
felice sua patria famosa,
E
cerchi i regni a lei longinqui e strani;
E
se del suo viaggio il fin riposa
Ne
campi Achei men fertili e men sani,
O
pur s'in altro loco si conduce
Per
farlo illustre e altier con la sua luce.
La
vergine, ch'Odoria era nomata,
Che
s'era accorta ai gesti e alle parole
Quanto
la tracia mente era infiammata
Delle
bellezze sue divine e sole,
Se
non si rende al primo voto grata,
Il
secondo negar non però vole,
Tace
perché lasciato ha l'oriente
E
del resto compiace alla sua mente.
E
dice che di gir per la più trita,
E
breve strada in Delfo è il suo desio,
Ch'in
oriente avea la fama udita
Del
responso fatal del biondo dio,
Che
le cose venture all'altrui vita
Predice
con l'oracol santo e pio,
E,
perc'ha due pensier dubbi nel petto
Vol
saper qual di lor sia 'l più perfetto.
Come
la donna a questo punto arriva,
Pensa
Risardo anch'ei di gir al tempio
Per
saper dalla voce eterna e diva
Se
la donzella ha 'l cor pietoso od empio;
Vol
saper se l'apprezza o se lo schiva,
S'avrà
del novo amor diletto o scempio,
E
da quest'altra impresa il cor disvia
E
s'offre a lei di farle compagnia.
Consente
la donzella al gentil figlio,
Che
per la sua virtù l'ha in pregio molto,
E
tuttavia tra sé prende consiglio
Come
veder potesse il suo bel volto.
Già
poco poi ch'ella scoperse il ciglio,
S'era
'l tracio collegio ivi raccolto
Pieno
d'alto stupor ch'una gentile
Giovane
andasse in abito virile.
Andava
così armata la donzella
Non
perché fusse in lei forza né core,
Ma
per non dar a quei che gìan con ella
Spesso
materia onde mostrar valore;
Che
per esser fanciulla e tanto bella
Potrian
venir per lei spesso a rumore,
Potrian
più d'un guerrier trovar per via
Che
per suo amor all'arme ne verria.
Onde
per non aver tante contese,
Che
ritardar lor fessero il cammino,
La
donna di coprir partito prese
All'altrui
sguardo il volto almo e divino.
Risardo
si scusò tutto cortese
Coi
due guerrier che stanno a capo chino,
E
mostra gran cordoglio e pentimento
D'aver
lor dato questo impedimento.
Eran
questi guerrier molto pregiati
Da
lei, che visto avea di lor gran cose,
Ma
sendo da Risardo scavalcati;
In
lei stupore, in lor vergogna pose.
Or
poi che furo in sella rimontati,
La
bella Odoria l'elmo si ripose,
Benché
Risardo, a cui spiacea l'aviso,
La
pregasse a tener scoperto il viso.
Ma
come il nano intende che Risardo
I
vestigi seguir brama Sabei,
E
che lascia l'impresa di Cleardo
E
vole in Delfo accompagnar costei,
Non
è piangendo a scongiurarlo tardo
Per
la fé c'hanno gli uomini alli dèi,
Che
non mandi più in lungo la promessa
Che
d'aiutar fé la sua donna oppressa.
Risardo
lo conforta e gli promette
Di
far presto per lui quanto far deve,
E
se prima in Egitto il piè non mette
E
'l seguitarlo a lui forse par greve,
Che
torni in Alessandria, e che l'aspette
(Dice)
ch'a lui verrà quanto più in breve,
Ove
poi non si dubiti che trarla
Non
debbia d'ogni affanno e liberarla.
Poi
che prego non val, pianto o lamento
Perché
Risardo altro cammin non prenda,
Partesi
il nano irato e mal contento
E
fa che la sua ingiuria ognun intenda,
Per
trovar uom più fido al suo talento
Che
l'innocente giovane defenda,
E
incontra alfine un cavallier istrano
Dopo
molto girar per monte e piano.
I
cavallier compagni di Risardo
Che
mandò seco il trace imperatore,
Per
volontà del principe gagliardo
Si
ritornaro indietro al lor signore.
Ma
lascio questi, e di che acuto dardo
Raggidora
a Lideo passasse il core
Vuo'
dirvi, e come uccise egli in Egitto
Il
re, dando a lei colpa del delitto.
Dal
nano voi sentiste in che maniera
Fosse
costei nel regno suo trattata,
Ma
la cagion dir non vi seppe intera
Perché
fosse del fallo essa incolpata.
Ora
vuò farvi udir l'istoria vera
E
dir che per amor fu impregionata,
Per
quell'amor così crudel e reo
Che
tanto errar fé il cavallier Lideo.
Poi
che la gran beltà della donzella
Ebbe
il guerrier d'Eubea legato e stretto,
Che
giunto a caso in Alessandria bella
Restò
pregion del suo leggiadro aspetto,
E
che la mente feminil ribella
Trova,
e contraria al suo amoroso affetto,
La
tenta con più vie ch'usan gli amanti,
Feste,
versi, tornei, preghiere e pianti.
La
giovene crudel non ebbe mai
Pietà
di lui che gli avea dato il core,
Non
mai ver lui drizzò cortesi i rai,
Non
mai gli fece un minimo favore;
Onde
il meschin tenea in continui guai
L'anima
involta in sì fallace errore,
Poi
che più d'aspe sorda e più che scoglio
Dura
costei godea del suo cordoglio.
Quando
nel fin quel cor fero e spietato
Non
move servitù d'alcuna sorte
E
che Lideo si trova disperato,
Vol
di sua propria man darsi la morte;
Poi
ripensando a un animo sì ingrato
Non
vol morir ma vendicar sua sorte,
Pensa
occider il re nascosamente,
E
dar la colpa a lei ch'era innocente.
Non
manca al rio pensier chi dia favore,
Che
oltra che al mal far fortuna arride,
Coi
servi può dell'or sì lo splendore
Che
nella propria stanza il trova e uccide;
Esente
se n'andò d'un tanto errore
Ch'alcun
non se n'accorse, alcun no 'l vide,
E
per far più sicuro il suo difetto
Uccise
poi quei che sapean l'effetto.
Aggiunta
colpa a colpa, danno a danno
Per
le vie più nascoste e più secrete,
Tosto
ch'a tutti è noto e tutti sanno
Che
'l re varcato avea l'onda di Lete,
Per
coprir meglio il suo crudele inganno
E
far le voglie sue contente e liete,
Accusa
Raggidora, e s'offre e spera
La
calunnia crudel sostener vera.
Se
ben non era il cavallier d'Eubea
Di
troppo bello e grazioso aspetto,
Pure
un proceder sì benigno avea,
Un
conversar così amoroso e schietto,
Che
aggiunto al gran valor ch'in lui splendea
Gli
portavano amor tutti e rispetto;
Sol
Raggidora è quella che non l'ama
E
non prezza i suoi gesti e la sua fama.
Lideo
col mezzo e col favor ch'ottenne
Dai
più gran personaggi di quel regno,
A
poco a poco in tal grandezza venne
Con
arte, con astuzia, e con ingegno
Che
signor dopo Galbo ne divenne,
E
riuscì talmente il suo disegno
Che
senza aver contrasto dalla gente
Fu
salutato re publicamente.
Ma
ben che sia di sì gran regno erede
E
porti regio manto e la corona,
Che
si riposi Amor non gli concede
Che
più che prima ancor l'instiga e sprona
Per
Raggidora, che 'l suo cor possiede,
E
niega a lui la bella sua persona,
Poi
ch'è tanto contraria alle sue voglie
Che
vol prima morir ch'esser sua moglie.
Egli
che l'ama e che l'ha offesa tanto
Sol
per l'ingratitudine di lei
Si
conduce a mirar quel viso santo
Non
una volta al dì, ma cinque e sei;
E
move per placarla il prego e 'l pianto
Per
celebrarne i debiti imenei.
Sdegnosa
ella lo sprezza e non si piega,
E
di mirarlo infin superba niega.
L'innamorato
re soffre ogni cosa,
Ogni
sua crudeltà si toglie in pace,
Che
spera più di renderla pietosa
Col
dimostrarsi umil seco che audace;
E
ben ch'ella superba e disdegnosa
Mostri
portarli un odio pertinace
E
sia di sguardi avara e di parole,
Egli
l'onora e l'ama e amar la vole.
Più
non la tiene in tenebrosa parte
Ma
in un libero albergo illustre e altero,
E
di tutti quei beni a lei fa parte
Che
può donar il suo superbo impero;
Ogni
grazia al suo cor largo comparte
Che
può render felice il suo pensiero,
E
come fosse la regina propia,
Le
fa d'ogni tesor, d'ogni ben copia.
Di
visitar fa voto in Papho e in Gnido
La
dea delle delizie e dei piaceri,
Acciò
che 'l soavissimo Cupido
Pieghi
la bella donna a' suoi voleri;
Ella
ch'è d'ogni grazia albergo e nido
Non
però cangia i suoi costumi alteri,
Ma
che ritorni il nano ogni dì aspetta
Portando
in altre man la sua vendetta.
Di
punto in punto aspetta il re pigmeo
Che
con qualche campion faccia ritorno,
Il
qual levi al tiranno ingiusto e reo
Non
pur lei, ma 'l reame, e l'aura e 'l giorno;
Ben
congetture avea ch'el fier Lideo
Avesse
fatto al re l'ultimo scorno,
Avea
più volte ben tra sé discorso
Come
dovea quel fatto essere occorso.
Onde
via più che prima in odio e in ira
Avea
l'infido re con gran ragione,
Ed
ei, che indarno lagrima e sospira,
Né
si puo trar del cor la passione,
Vinto
dal duol che l'ange e lo martira
Spedisse
un messo in fretta a Stellidone,
Che
venga a mantener contra l'altera,
Giovene
il detto suo, perché al fin pera.
Era
venuto in Alessandria fama
Che
molti cavalier di sommo ardire
Per
le ragion di difender la dama
S'erano
mossi e già dovean venire;
Il
re, ch'ordito avea l'ingiusta trama
E
sentiva per lei tanto martire,
Per
onor suo non men, che per la doglia
Vol
che di cio 'l fratel l'impresa toglia.
Di
tre fratei che fur d'alto valore
Che
dominavan l'isola d'Eubea,
Questo
Lideo ch'io dico era il maggiore,
L'ultimo
Stellidon di cui dicea,
L'altro
Tisandro fu molto migliore,
Di
cui Lideo novella non avea,
Però
sù Stellidon fece disegno.
Ma
giunta son di questo canto al segno.
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