CANTO
SETTIMO.
Argomento
In
premio della giostra il re propone
Regal
corona. Il figlio di Silvarte
Brama
provarsi, e al suo desir s'oppone
Il
re. Filardo il fa partir con arte:
Ritorna
armato. Amor, che 'l fa pregione
Di
Celsidea, gir fallo anco in disparte.
Dalla
figlia di Circe vien raccolto
Silan,
che le arde il cor col suo bel volto.
Duo
sproni stringon molto il nostro core,
L'uno
è il commun desio d'acquistar fama,
L'altro
il natural stimolo d'amore,
Che
l'uom porta a colei, ch'adora e brama.
Val
per sé molto il zelo dell'onore,
E
per sé molto l'amorosa brama;
Ma
giunte poi; qual sì costante petto
Fia
che resista all'un e l'altro affetto?
Queste
fur le cagion tanto possenti
Che
fer di lontanissime contrade
Tanti
re forti e cavallier valenti
Allor
venire all'attica cittade,
Né
per altro vi giunser tante genti
Che
per veder l'angelica beltade
Di
Celsidea, di cui sentir la nova,
E
per uscire a quella giostra in prova.
Tutto
il popol di Grecia era già posto
Giudice
e spettator d'i cavallieri,
E
si struggea perché non così tosto
Vede
lancie spezzar, votar destrieri.
Or
mentre stava ad aspettar disposto
Il
segno grato agli animi più fieri,
Ecco
portar con pompa alma e superba
Il
pregio altier, ch'al vincitor si serba.
Di
ricche gemme splendida e lucente
Era
composta una corona, e d'oro,
Di
cui Vulcan nella fucina ardente
Non
fé più degno e più gentil lavoro.
La
sposa di quel dio che l'oriente
Corse
e portonne il trionfal alloro
Tal
mai non l'ebbe alle sue chiome belle
Pria
che splendesse in ciel fra l'altre stelle.
Grato
ebbe il don promesso ogn'inclita alma
Per
l'artifizio sì per la ricchezza,
Ma
più perch'esser don di quella palma
Devea,
che tanto ognun loda e apprezza.
In
premio al cavallier, ch'avrà la palma
Colei,
che vince ogn'altra di bellezza,
La
nobil Celsidea di propria mano
Devea
quel pregio dar superbo e strano.
Intanto
il giovanetto Floridoro
Presso
Cleardo ad un balcon s'appoggia,
Mirando
il degno e regio concistoro
Di
tanti illustri eroi che 'l campo alloggia.
Son
altri re, altri principi con loro,
Ch'ingombran
tutti i palchi della loggia.
Le
donne di lor vista assai più scarse,
Non
sono alle fenestre ancor apparse.
Se
ben il re coi principi maggiori
D'età
stassi a mirar sì degna mostra,
Sorinda
la regina, e seco fuori
In
sala Celsidea già non si mostra;
Che
per lo gran concorso dei signori,
Ch'eran
venuti ad onorar la giostra,
Non
volson comparir, ma ritirate
Steron
più dì lontan dalle brigate.
Or,
come ho detto, il grazioso figlio
Di
Silvarte, ch'in guardia avea Micena,
Stava
a mirar quel nobile bisbiglio
Propinquo
al re della prudente Atena.
Ardea
negli occhi e in faccia era vermiglio,
E
'l sangue li bollia dentro ogni vena,
Così
l'infiamma un generoso affetto
D'entrar
anch'ei nel bel numero eletto.
Non
può riposo aver, pace o quiete,
Tanto
lo strugge il giovenil furore,
E
con parole tacite e secrete
Il
soverchio del re biasma timore,
Poi
che scacciar così onorata sete
Non
gli lascia dal cor per troppo amore.
Che
s'armi e giostri il re non gli concede,
Ch'in
sì tenera età valor non crede.
L'ama
da figlio, e ha per conseguente
Timor
di lui che non patisca oltraggio,
E
quanto più lo prega ei men consente,
Che
vol goder più tempo il suo bel raggio.
Fanciul
lo chiama incauto e imprudente
Che
cerchi far sì periglioso saggio,
Che
tenti esporsi ad un periglio certo
Essendo
all'armi inetto e poco esperto.
Qual
generoso e nobile destriero
Che
scorrer brami in verde campo ameno,
Se
dall'esperto e savio cavalliero
Contra
sua voglia è ritenuto in freno
Percuote
ad or ad or col piè il sentiero
E
sbuffa impaziente e rode il freno,
Né
può star fermo in quel né in questo loco
Ma
gira intorno e spira fiamma e foco,
Tal
l'ardito garzon che d'uscir fuore
Tra
tanti cavallier desira e brama,
Tutto
arrabbia di sdegno e di dolore
Poi
che ritienlo il re che tanto l'ama;
Gli
par, s'uscisse in campo e gli dà il core,
Ch'acquistarebbe
anch'ei splendore e fama.
Or
mentre sta di ciò con tal cordoglio,
Un
messo giunge e gli appresenta un foglio.
Un
suo caro compagno, che da canto
Se
gli era inanzi il desinar levato,
Che
d'un amor l'amava intero e santo
E
Filardo di Creta era chiamato,
Con
cui comune avea il riso e 'l pianto,
Il
mal e 'l bene, il tristo e 'l lieto stato,
Fece,
per fargli un singolar piacere,
Un
tratto bel, ch'or vi vo far sapere.
Scorto
aveva egli il damigel dolente
Perch'alla
giostra il re non vol ch'ei vada,
Onde
sapendo ben quanto valente
Era
e in età d'oprar l'asta e la spada,
Considerato
avea, come prudente,
Qual
fosse intorno ciò la miglior strada
Per
adempir del giovane i disegni,
Senza
che 'l re lo sappia e se ne sdegni.
E
poi che s'ebbe imaginato il modo
(Ch'era
pien d'accortezza e di prudenza),
A
tempo sciolse alla sua lingua il nodo
E
di partirsi al re chiese licenza;
E
tutto intento al destinato frodo
Lascia
de tanti eroi l'alta presenza,
E
si va provvedendo di nascosto
D'arme
e cavai con diligenza e tosto.
E
senza al fatto porre altro intervallo
(Provvisto
che si fu d'arme e destriero),
Si
cinge intorno il lucido metallo
E
chiama in molta fretta un suo scudiero,
E
mesto dimostrandosi, a cavallo
Ratto
si lancia, e colmo di pensiero
Una
lettera finta in man gli pone,
E
che la porti a Floridor gli impone.
Finge
una faccia addolorata e pia,
Sì
colma de pietà, priva d'orgoglio,
Ch'ogni
più san giudizio errar potria,
E
creder la sua fraude e 'l suo cordoglio.
Timido
il servo a Floridor s'invia
E
gli appresenta il consegnato foglio,
Appunto
allor che d'ira e di dispetto
Ardea
nel cor come di sopra è detto.
Piglia
il garzon, presente il re Cleardo,
E
apre e legge il ricevuto scritto,
Ch'esser
de man del padre di Filardo
Il
nome fea saper che sotto è scritto.
Era
il tenor ch'un mal troppo gagliardo
Avea
così lo spirto oppresso e afflitto
Della
sua genitrice a lui consorte,
Che
l'avea addotta al punto della morte
Dice
che se di lei punto gli cale,
Se
di vederla viva è il suo desio,
Ratto
ne venga a lei pria che quel male
Le
mandi l'alma al regno stigio rio;
Pria
ch'ella dica lor l'estremo vale,
Pregal
che venga e faccia ogn'atto pio,
Né
sia cosa di là ch'impedir possa
Che
non veggia il figliuol le materne ossa.
Aggiunge
ch'ella in bocca altro non tiene
Che
'l suo Filardo in quello estremo duolo,
E
anco spesso a ricordar si viene
Di
Floridor ch'in loco ha figliuolo.
In
questi due ripon tutta la spene
D'un
ultimo conforto amato e solo,
Ond'egli
come padre anco l'esorta
Che
non aspetti udir ch'ella sia morta.
Floridor
legge e si conturba tanto,
Tanto
s'intenerisce di pietade,
Che
non può raffrenar dagli occhi il pianto
Che
'l bel viso rigando in sen gli cade.
Si
venne allora a rimembrar di quanto
Passato
avea nelle dittee contrade,
Quando
in Creta passò tenero infante
Ove
fatte gli fur carezze tante.
E
da chi scrive e da colei ch'inferma
Sta
per ad or ad or chiuder i rai,
Ch'una
obligazion stabile e ferma
Nel
cor le avea da non pagarla mai;
E
or quella pietà gli la conferma
Ch'ella
dimostra in quelli estremi guai,
Quel
materno, che serba, amor e zelo
Ver
lui mentre ancor gode il mortal velo.
Per
questo lagrimando al re s'inchina,
E
con voce dolcissima e soave
Impetra
di solcar l'idea marina
Per
veder quella a cui tant'obligo have.
Move
il re la favella alma e divina
Sì
che grazia gli fa d'entrar in nave;
Di
novo ei se gl'inchina, e a Silvarte,
E
per giunger Filardo indi si parte.
Come
se Febo asconde i raggi d'oro
Il
mondo cieco e tenebroso resta,
Così
tanta beltà levata loro
Rimase
quella corte oscura e mesta.
Or
mentre vol partirsi Floridoro
Che
'l desio del giostrar più nol molesta,
Venir
si vede incontra un cavalliero
Sopra
un bianco destrier d'aspetto fiero.
Il
cavallier di candide arme ornato
La
lancia arresta e ad incontrarlo viene,
Il
giovene cavalca disarmato,
Né
fuor che 'l brando altr'armatura tiene;
E
di la via non si vede uomo nato
Che
tutto in piazza il popolo conviene,
Né
vol però dal cavallier fuggire
Che
lo vien sì scortese ad assalire.
Ferma
il cavallo e con gran cor l'aspetta,
S'avvolge
il manto e in man la spada piglia;
Quel,
che venia più presto che saetta,
Come
gli fu vicin tenne la briglia,
E
levò l'asta e discoperse in fretta
A
Floridor le desiate ciglia,
Perché
'l garzon, levando a lui lo sguardo,
Conobbe
il suo dolcissimo Filardo.
E
col piacer che s'ha quando un diletto
D'improviso
s'ottien, che non si spera,
Il
caro suo compagno abbracciò stretto
Qual
si richiede a una amicizia vera.
Satisfatto
in gran parte al loro affetto,
Narra
Filardo aver questa maniera
Tenuta,
e questa fraude aver usata
Per
indi trarlo, e farli cosa grata.
Egli
soggionge poi che teneva anco
Per
lui serbata un'armatura forte,
E
un bel destrier via più che neve bianco
Ch'in
una stalla ha ritrovato a sorte;
Né
vol che impresa alcuna al lato manco
Né
sopra l'elmo (a suo parer) si porte;
Floridor
lieto a questo annunzio ch'ode,
Dir
non potrei quanto 'l ringrazii e lode.
E
di novo abbracciandolo gli dice:
–
Caro Filardo mio, tu
sol sei quello
Ch'al
mondo mi puoi far lieto e felice,
E
tal per te, senza alcun par, m'appello. –
E
mentre così il lauda e benedice
Di
pari entrar dentro un secreto ostello,
Che
lontan dalle piazze e dal tumulto,
Comodo
parve al lor bisogno occulto.
Quivi
Filardo avea già preparato
Arme
per Floridor che farian scorno
A
pura neve, e sendo ognun smontato,
Gli
le aiutò col paggio a porre intorno;
Poi
d'un manto di seta delicato,
Candido
anch'ei, ne 'l fé parer più adorno,
Indi
il mena al destrier di tal bellezza,
Che
l'empie di stupore e di vaghezza.
Era
questo destrier d'un gran signore
Venuto
anch'ei tra 'l barbaro drappello,
Qual
di tal forza fu, di tanto core,
Che
mai temé d'alcun periglio fello.
Or
un savio gli tolse il corridore,
Ch'amava
Floridor gentile e bello;
Il
modo non dirò ch'a tor lo tenne,
Basta
ch'in man del suo Filardo venne.
Il
mago era nomato Celidante
Il
qual di tutti i principi avea cura;
Dico
di quei, che d'animo prestante
Erano
e di benigna, alma natura;
Ed
è quel ch'allevato ha Risamante
E
ch'aiutarla e favorir procura;
Dopo
lei Floridoro ei prezza e ama
E
di giovarli e d'esaltarlo ha brama.
Piacque
infinitamente a Floridoro
Così
leggiadro e nobile destriero,
Ch'alle
fatezze e ai fornimenti d'oro
Lo
giudicò di qualche gran guerriero;
E
prezzò la beltà le gemme e l'oro
Ch'al
corso e in atteggiar presto e leggiero,
Esser
devea; tal che contento prende
La
briglia in mano e nell'arcion ascende.
Miser
fanciullo i suoi dolori appresta
Mentre
d'armarsi anch'ei gode e procura,
E
s'allegra di quel, di quel fa festa
Che
gli apporterà pena iniqua e dura!
Felice
se lontan gisse da questa
Patria
mille e più miglia alla ventura,
Sì
ch'in lui non scoccasse il colpo fiero
Che
gli prepara un dispietato arciero.
Il
buon ditteo, che prima era disceso
Di
sella col garzon per darli aita
Dell'arme
a porsi intorno il grave peso
Sì
ben fatto al suo dosso, alla sua vita,
Quando
lo vede in sul destrier asceso
Con
quell'agilità tanto spedita,
Anch'ei
montò a cavallo, e dar si fece
Due
lancie scelte già fra diece e diece.
L'una
per Floridor, per sé ritiene
L'altra,
e al servo e questo e quel comanda,
Che
se per sorte alcun cercando viene
Di
lor, così risponda a chi 'l dimanda:
Che
gli ha veduti in fretta uscir d'Atene
Ma
non sa dove il lor pensier gli manda.
Con
questo dir drizzaro i cavallieri
Ver
la gran piazza incogniti i destrieri.
In
questo il re, che con legale editto
Avea
gli ordini dati che dovea,
E
ogni parola, ogni atto avea interditto
Che
produr risse e scandali potea,
Data
licenzia a quel drappello invitto,
Cui
lungo indugio un punto sol parea,
Tornò
in palagio, e 'l bellicoso Agone
Dal
balcon regio a remirar si pone.
L'alma
regina poi venne, e con ella
La
figlia, e mostrò il viso almo e giocondo,
E
all'apparir della sua faccia bella
Risplender
parve un novo sol nel mondo.
Stupida
ogn'alma al re fida o ribella
Contempla
la nipote d'Alismondo,
Già
tutto il campo ell'ha posto sossopra,
Se
ben lancia o destrier non mette in opra.
Come
se la cometa in cielo appare
Tutti
dan gli occhi a quel fulgor novello,
O
come ognun si vede il capo alzare
Se
Cinzia opponsi al lume del fratello,
Così
quando la vergine compare
Ciascun
si volta al raggio illustre e bello.
Col
buon Filardo intanto arriva il figlio
Di
Silvarte e 'l comun sente bisbiglio.
Mentre
si sta ciascun stupido e intento
A
contemplar la dolce giovanetta,
Se
ne vien Floridor lieto e contento
Con
quella compagnia tanto diletta,
Di
seta adorno candida e d'argento,
Col
manto puro e la corazza schietta,
E
le penne sull'elmo ha per cimiero
Di
quel color ch'è più contrario al nero.
Deh,
Floridor, deh, non levar il guardo,
Che
mal per te vedrai quel dolce riso!
Giunge
il fanciullo e senza alcun risguardo
Leva
le luci a quel celeste viso,
E
ecco Amor d'un invisibil dardo
Gli
passa il cor che stava in sull'aviso;
Crudel
ferita, onde si pena e langue,
Che
'l duol si sente e non si vede il sangue.
Di
mille e mille stral che 'l crudo arciero
Da
quei begli occhi in un sol punto mosse,
Questo
fu il più crudel, questo il più fiero,
Che
'l gentil Floridor punse e percosse.
Colto
così il fanciul sopra pensiero
Tutto
sì sbigottì, tutto si scosse.
Gode
Amor del bel tratto e in quelle bionde
Chiome
sé, l'arco e 'l suo delitto asconde.
Resta
il garzon tanto alterato e pieno
Di
gran spavento e d'alta maraviglia,
Che
più regger non sa la mano il freno
E
in arbitrio al destrier lascia la briglia;
Quel,
che si sente libero ove meno
Devria,
torcer il passo si consiglia,
E
non si cura più di gire inanzi
Ma
torna indietro onde partì pur dianzi.
E
mancò poco a non uscir d'arcione,
Così
rimase il giovane smarrito;
Non
lo scorge Filando e non vi pone
Pensier,
ch'altrove avea l'occhio invaghito.
Egli
di tante illustri, alte persone
Mira
buon spazio il numero infinito,
E
vede ancor quella fanciulla altera,
Ma
con mente più sana e più sincera.
Credea
che Floridor fesse altretanto
E
si voltò per dirgli alcuna cosa,
E
quando aver non sel ritrova a canto
Restò
con l'alma attonita e pensosa;
Poi
nol veggendo in quel, né in questo canto,
Né
col pensier, né col destrier riposa,
Né
per mirar che faccia e raggirarsi
Della
vista di lui può lieto farsi.
Come
pien di dolor possente e fiero
Poi
lo trovasse il cavallier di Creta,
Farvi
palese in altra parte io spero,
Ch'ora
Silan me lo disturba e vieta.
Ch'insieme
con quell'altro cavalliero
Nella
caverna entrò chiusa e secreta,
E
con la donna, i cui detti possenti
Gli
liberar da tigri e da serpenti.
Creduto
avria ch'in loco oscuro e cieco
Lo
avesse a trar del re latino il figlio,
E
se n'andò timidamente seco
Com'uom,
che per onor segue il periglio.
Ma
come fu nel sotterraneo speco
Col
buon Clarido ambi inarcaro il ciglio,
Colmi
di maraviglia, che maggiore
Dentro
era che di fuor luce e splendore.
A
prima giunta in quelle stanze occolte
Mirar
con maestà, grazia e decoro
Tre
belle donne in un drappello accolte,
Assise
intorno un ricco e bel lavoro.
Avean
gli occhi e le mani intente e volte
Le
gemme in compartir, la seta e l'oro,
E
in recamar quel fregio almo e divino
Tenean
fissa la mente e 'l viso chino.
Ma
nell'aprir del picciolo portello
E
nell'entrar della donzella altera,
Tutte
inalzaro a un tratto il viso bello
E
riverir quella novella schiera.
La
gentil donna al nobile drappello
Comanda
in vista assai grave e severa,
Che
per allor dall'ago si rimagna,
E
'l desinar apparecchi alla compagna.
Preste
le Donne al primo motto inteso
Lasciar
la bella e imperfetta veste,
Chi
di cuocer i cibi ha tolto il peso,
Chi
di candido lin la mensa veste,
L'altra
ad altro esercitio ha 'l core inteso
E
v'ha la mente pronta e le man preste,
E
già Cerere e Bacco eletto e santo
Della
lunga tovaglia empie ogni canto.
Mentre
di preparar studiano a pieno
Le
diverse vivande allesse e arroste,
E
col pepe e col mel, ch'in copia avieno
Apparecchian
le torte e le composte,
Quella,
ch'avea del bel paese il freno,
Come
cortese e gentilissima oste
Facea
l'indugio con parlar soave
Ai
convitati suoi parer men grave.
Era
costei di quella Circe figlia
Che
fu sì dotta e sì perfetta maga,
Giovene
onesta e saggia a maraviglia,
Di
bellissimo gesto, accorta e vaga;
Tal
che qualunque in lei volge le ciglia
Si
sente 'l cor ferir d'acerba piaga,
E
s'era il buon Silan privo d'amore
Donava
certo al suo bel viso il core.
Ma
perché serba impresso nella mente
La
gran beltà della cecropia dama
Come
gli la scolpì profondamente
Nel
regno suo la relatrice fama,
Non
poteva altra donna esser possente
Di
creargli nel cor novella brama,
Che
'l bel volto che dielli il colpo crudo
Gli
è contra ogn'altro stral riparo e scudo.
Poi
che ciascun di lor securtà prende
Si
traggono ambi i due guerrier gli elmetti,
E
la donna, ch'in lor le luci intende,
Loda
tra sé sì generosi aspetti;
Ma
Silano più bello il cor le accende
E
par che più le piaccia e le diletti,
Non
però ch'in mirar l'alta presenza
Desse
a begli occhi suoi troppo licenza.
La
prega il bel Silano e la scongiura
Che
le piaccia a narrar ciò c'ha promesso
Dell'isola
e di lei l'alta avventura,
E
degli empi animal tutto il successo.
Ella,
che pone accortamente cura
Ch'era
dal bel garzon mirata spesso,
Tutta
lieta rispose a preghi suoi
Quel
che nell'altro canto io dirò a voi.
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