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Modesta Pozzo de' Zorzi (alias Moderata Fonte)
Tredici canti del Floridoro

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  • CANTO SETTIMO.
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CANTO SETTIMO.



Argomento


In premio della giostra il re propone

Regal corona. Il figlio di Silvarte

Brama provarsi, e al suo desir s'oppone

Il re. Filardo il fa partir con arte:

Ritorna armato. Amor, che 'l fa pregione

Di Celsidea, gir fallo anco in disparte.

Dalla figlia di Circe vien raccolto

Silan, che le arde il cor col suo bel volto.


Duo sproni stringon molto il nostro core,

L'uno è il commun desio d'acquistar fama,

L'altro il natural stimolo d'amore,

Che l'uom porta a colei, ch'adora e brama.

Val per sé molto il zelo dell'onore,

E per sé molto l'amorosa brama;

Ma giunte poi; qual sì costante petto

Fia che resista all'un e l'altro affetto?


Queste fur le cagion tanto possenti

Che fer di lontanissime contrade

Tanti re forti e cavallier valenti

Allor venire all'attica cittade,

Né per altro vi giunser tante genti

Che per veder l'angelica beltade

Di Celsidea, di cui sentir la nova,

E per uscire a quella giostra in prova.


Tutto il popol di Grecia era già posto

Giudice e spettator d'i cavallieri,

E si struggea perché non così tosto

Vede lancie spezzar, votar destrieri.

Or mentre stava ad aspettar disposto

Il segno grato agli animi più fieri,

Ecco portar con pompa alma e superba

Il pregio altier, ch'al vincitor si serba.


Di ricche gemme splendida e lucente

Era composta una corona, e d'oro,

Di cui Vulcan nella fucina ardente

Non più degno e più gentil lavoro.

La sposa di quel dio che l'oriente

Corse e portonne il trionfal alloro

Tal mai non l'ebbe alle sue chiome belle

Pria che splendesse in ciel fra l'altre stelle.


Grato ebbe il don promesso ogn'inclita alma

Per l'artifizio sì per la ricchezza,

Ma più perch'esser don di quella palma

Devea, che tanto ognun loda e apprezza.

In premio al cavallier, ch'avrà la palma

Colei, che vince ogn'altra di bellezza,

La nobil Celsidea di propria mano

Devea quel pregio dar superbo e strano.


Intanto il giovanetto Floridoro

Presso Cleardo ad un balcon s'appoggia,

Mirando il degno e regio concistoro

Di tanti illustri eroi che 'l campo alloggia.

Son altri re, altri principi con loro,

Ch'ingombran tutti i palchi della loggia.

Le donne di lor vista assai più scarse,

Non sono alle fenestre ancor apparse.


Se ben il re coi principi maggiori

D'età stassi a mirardegna mostra,

Sorinda la regina, e seco fuori

In sala Celsidea già non si mostra;

Che per lo gran concorso dei signori,

Ch'eran venuti ad onorar la giostra,

Non volson comparir, ma ritirate

Steron più lontan dalle brigate.


Or, come ho detto, il grazioso figlio

Di Silvarte, ch'in guardia avea Micena,

Stava a mirar quel nobile bisbiglio

Propinquo al re della prudente Atena.

Ardea negli occhi e in faccia era vermiglio,

E 'l sangue li bollia dentro ogni vena,

Così l'infiamma un generoso affetto

D'entrar anch'ei nel bel numero eletto.


Non può riposo aver, pace o quiete,

Tanto lo strugge il giovenil furore,

E con parole tacite e secrete

Il soverchio del re biasma timore,

Poi che scacciar così onorata sete

Non gli lascia dal cor per troppo amore.

Che s'armi e giostri il re non gli concede,

Ch'in sì tenera età valor non crede.


L'ama da figlio, e ha per conseguente

Timor di lui che non patisca oltraggio,

E quanto più lo prega ei men consente,

Che vol goder più tempo il suo bel raggio.

Fanciul lo chiama incauto e imprudente

Che cerchi far sì periglioso saggio,

Che tenti esporsi ad un periglio certo

Essendo all'armi inetto e poco esperto.


Qual generoso e nobile destriero

Che scorrer brami in verde campo ameno,

Se dall'esperto e savio cavalliero

Contra sua voglia è ritenuto in freno

Percuote ad or ad or col piè il sentiero

E sbuffa impaziente e rode il freno,

Né può star fermo in quel né in questo loco

Ma gira intorno e spira fiamma e foco,


Tal l'ardito garzon che d'uscir fuore

Tra tanti cavallier desira e brama,

Tutto arrabbia di sdegno e di dolore

Poi che ritienlo il re che tanto l'ama;

Gli par, s'uscisse in campo e gli il core,

Ch'acquistarebbe anch'ei splendore e fama.

Or mentre sta di ciò con tal cordoglio,

Un messo giunge e gli appresenta un foglio.


Un suo caro compagno, che da canto

Se gli era inanzi il desinar levato,

Che d'un amor l'amava intero e santo

E Filardo di Creta era chiamato,

Con cui comune avea il riso e 'l pianto,

Il mal e 'l bene, il tristo e 'l lieto stato,

Fece, per fargli un singolar piacere,

Un tratto bel, ch'or vi vo far sapere.


Scorto aveva egli il damigel dolente

Perch'alla giostra il re non vol ch'ei vada,

Onde sapendo ben quanto valente

Era e in età d'oprar l'asta e la spada,

Considerato avea, come prudente,

Qual fosse intorno ciò la miglior strada

Per adempir del giovane i disegni,

Senza che 'l re lo sappia e se ne sdegni.


E poi che s'ebbe imaginato il modo

(Ch'era pien d'accortezza e di prudenza),

A tempo sciolse alla sua lingua il nodo

E di partirsi al re chiese licenza;

E tutto intento al destinato frodo

Lascia de tanti eroi l'alta presenza,

E si va provvedendo di nascosto

D'arme e cavai con diligenza e tosto.


E senza al fatto porre altro intervallo

(Provvisto che si fu d'arme e destriero),

Si cinge intorno il lucido metallo

E chiama in molta fretta un suo scudiero,

E mesto dimostrandosi, a cavallo

Ratto si lancia, e colmo di pensiero

Una lettera finta in man gli pone,

E che la porti a Floridor gli impone.


Finge una faccia addolorata e pia,

colma de pietà, priva d'orgoglio,

Ch'ogni più san giudizio errar potria,

E creder la sua fraude e 'l suo cordoglio.

Timido il servo a Floridor s'invia

E gli appresenta il consegnato foglio,

Appunto allor che d'ira e di dispetto

Ardea nel cor come di sopra è detto.


Piglia il garzon, presente il re Cleardo,

E apre e legge il ricevuto scritto,

Ch'esser de man del padre di Filardo

Il nome fea saper che sotto è scritto.

Era il tenor ch'un mal troppo gagliardo

Avea così lo spirto oppresso e afflitto

Della sua genitrice a lui consorte,

Che l'avea addotta al punto della morte


Dice che se di lei punto gli cale,

Se di vederla viva è il suo desio,

Ratto ne venga a lei pria che quel male

Le mandi l'alma al regno stigio rio;

Pria ch'ella dica lor l'estremo vale,

Pregal che venga e faccia ogn'atto pio,

Né sia cosa di ch'impedir possa

Che non veggia il figliuol le materne ossa.


Aggiunge ch'ella in bocca altro non tiene

Che 'l suo Filardo in quello estremo duolo,

E anco spesso a ricordar si viene

Di Floridor ch'in loco ha figliuolo.

In questi due ripon tutta la spene

D'un ultimo conforto amato e solo,

Ond'egli come padre anco l'esorta

Che non aspetti udir ch'ella sia morta.


Floridor legge e si conturba tanto,

Tanto s'intenerisce di pietade,

Che non può raffrenar dagli occhi il pianto

Che 'l bel viso rigando in sen gli cade.

Si venne allora a rimembrar di quanto

Passato avea nelle dittee contrade,

Quando in Creta passò tenero infante

Ove fatte gli fur carezze tante.


E da chi scrive e da colei ch'inferma

Sta per ad or ad or chiuder i rai,

Ch'una obligazion stabile e ferma

Nel cor le avea da non pagarla mai;

E or quella pietà gli la conferma

Ch'ella dimostra in quelli estremi guai,

Quel materno, che serba, amor e zelo

Ver lui mentre ancor gode il mortal velo.


Per questo lagrimando al re s'inchina,

E con voce dolcissima e soave

Impetra di solcar l'idea marina

Per veder quella a cui tant'obligo have.

Move il re la favella alma e divina

Sì che grazia gli fa d'entrar in nave;

Di novo ei se gl'inchina, e a Silvarte,

E per giunger Filardo indi si parte.


Come se Febo asconde i raggi d'oro

Il mondo cieco e tenebroso resta,

Così tanta beltà levata loro

Rimase quella corte oscura e mesta.

Or mentre vol partirsi Floridoro

Che 'l desio del giostrar più nol molesta,

Venir si vede incontra un cavalliero

Sopra un bianco destrier d'aspetto fiero.


Il cavallier di candide arme ornato

La lancia arresta e ad incontrarlo viene,

Il giovene cavalca disarmato,

fuor che 'l brando altr'armatura tiene;

E di la via non si vede uomo nato

Che tutto in piazza il popolo conviene,

vol però dal cavallier fuggire

Che lo vienscortese ad assalire.


Ferma il cavallo e con gran cor l'aspetta,

S'avvolge il manto e in man la spada piglia;

Quel, che venia più presto che saetta,

Come gli fu vicin tenne la briglia,

E levò l'asta e discoperse in fretta

A Floridor le desiate ciglia,

Perché 'l garzon, levando a lui lo sguardo,

Conobbe il suo dolcissimo Filardo.


E col piacer che s'ha quando un diletto

D'improviso s'ottien, che non si spera,

Il caro suo compagno abbracciò stretto

Qual si richiede a una amicizia vera.

Satisfatto in gran parte al loro affetto,

Narra Filardo aver questa maniera

Tenuta, e questa fraude aver usata

Per indi trarlo, e farli cosa grata.


Egli soggionge poi che teneva anco

Per lui serbata un'armatura forte,

E un bel destrier via più che neve bianco

Ch'in una stalla ha ritrovato a sorte;

vol che impresa alcuna al lato manco

Né sopra l'elmo (a suo parer) si porte;

Floridor lieto a questo annunzio ch'ode,

Dir non potrei quanto 'l ringrazii e lode.


E di novo abbracciandolo gli dice:

Caro Filardo mio, tu sol sei quello

Ch'al mondo mi puoi far lieto e felice,

E tal per te, senza alcun par, m'appello. –

E mentre così il lauda e benedice

Di pari entrar dentro un secreto ostello,

Che lontan dalle piazze e dal tumulto,

Comodo parve al lor bisogno occulto.


Quivi Filardo avea già preparato

Arme per Floridor che farian scorno

A pura neve, e sendo ognun smontato,

Gli le aiutò col paggio a porre intorno;

Poi d'un manto di seta delicato,

Candido anch'ei, ne 'l parer più adorno,

Indi il mena al destrier di tal bellezza,

Che l'empie di stupore e di vaghezza.


Era questo destrier d'un gran signore

Venuto anch'ei tra 'l barbaro drappello,

Qual di tal forza fu, di tanto core,

Che mai temé d'alcun periglio fello.

Or un savio gli tolse il corridore,

Ch'amava Floridor gentile e bello;

Il modo non dirò ch'a tor lo tenne,

Basta ch'in man del suo Filardo venne.


Il mago era nomato Celidante

Il qual di tutti i principi avea cura;

Dico di quei, che d'animo prestante

Erano e di benigna, alma natura;

Ed è quel ch'allevato ha Risamante

E ch'aiutarla e favorir procura;

Dopo lei Floridoro ei prezza e ama

E di giovarli e d'esaltarlo ha brama.


Piacque infinitamente a Floridoro

Così leggiadro e nobile destriero,

Ch'alle fatezze e ai fornimenti d'oro

Lo giudicò di qualche gran guerriero;

E prezzò la beltà le gemme e l'oro

Ch'al corso e in atteggiar presto e leggiero,

Esser devea; tal che contento prende

La briglia in mano e nell'arcion ascende.


Miser fanciullo i suoi dolori appresta

Mentre d'armarsi anch'ei gode e procura,

E s'allegra di quel, di quel fa festa

Che gli apporterà pena iniqua e dura!

Felice se lontan gisse da questa

Patria mille e più miglia alla ventura,

Sì ch'in lui non scoccasse il colpo fiero

Che gli prepara un dispietato arciero.


Il buon ditteo, che prima era disceso

Di sella col garzon per darli aita

Dell'arme a porsi intorno il grave peso

Sì ben fatto al suo dosso, alla sua vita,

Quando lo vede in sul destrier asceso

Con quell'agilità tanto spedita,

Anch'ei montò a cavallo, e dar si fece

Due lancie scelte già fra diece e diece.


L'una per Floridor, per sé ritiene

L'altra, e al servo e questo e quel comanda,

Che se per sorte alcun cercando viene

Di lor, così risponda a chi 'l dimanda:

Che gli ha veduti in fretta uscir d'Atene

Ma non sa dove il lor pensier gli manda.

Con questo dir drizzaro i cavallieri

Ver la gran piazza incogniti i destrieri.


In questo il re, che con legale editto

Avea gli ordini dati che dovea,

E ogni parola, ogni atto avea interditto

Che produr risse e scandali potea,

Data licenzia a quel drappello invitto,

Cui lungo indugio un punto sol parea,

Tornò in palagio, e 'l bellicoso Agone

Dal balcon regio a remirar si pone.


L'alma regina poi venne, e con ella

La figlia, e mostrò il viso almo e giocondo,

E all'apparir della sua faccia bella

Risplender parve un novo sol nel mondo.

Stupida ogn'alma al re fida o ribella

Contempla la nipote d'Alismondo,

Già tutto il campo ell'ha posto sossopra,

Se ben lancia o destrier non mette in opra.


Come se la cometa in cielo appare

Tutti dan gli occhi a quel fulgor novello,

O come ognun si vede il capo alzare

Se Cinzia opponsi al lume del fratello,

Così quando la vergine compare

Ciascun si volta al raggio illustre e bello.

Col buon Filardo intanto arriva il figlio

Di Silvarte e 'l comun sente bisbiglio.


Mentre si sta ciascun stupido e intento

A contemplar la dolce giovanetta,

Se ne vien Floridor lieto e contento

Con quella compagnia tanto diletta,

Di seta adorno candida e d'argento,

Col manto puro e la corazza schietta,

E le penne sull'elmo ha per cimiero

Di quel color ch'è più contrario al nero.


Deh, Floridor, deh, non levar il guardo,

Che mal per te vedrai quel dolce riso!

Giunge il fanciullo e senza alcun risguardo

Leva le luci a quel celeste viso,

E ecco Amor d'un invisibil dardo

Gli passa il cor che stava in sull'aviso;

Crudel ferita, onde si pena e langue,

Che 'l duol si sente e non si vede il sangue.


Di mille e mille stral che 'l crudo arciero

Da quei begli occhi in un sol punto mosse,

Questo fu il più crudel, questo il più fiero,

Che 'l gentil Floridor punse e percosse.

Colto così il fanciul sopra pensiero

Tutto sì sbigottì, tutto si scosse.

Gode Amor del bel tratto e in quelle bionde

Chiome sé, l'arco e 'l suo delitto asconde.


Resta il garzon tanto alterato e pieno

Di gran spavento e d'alta maraviglia,

Che più regger non sa la mano il freno

E in arbitrio al destrier lascia la briglia;

Quel, che si sente libero ove meno

Devria, torcer il passo si consiglia,

E non si cura più di gire inanzi

Ma torna indietro onde partì pur dianzi.


E mancò poco a non uscir d'arcione,

Così rimase il giovane smarrito;

Non lo scorge Filando e non vi pone

Pensier, ch'altrove avea l'occhio invaghito.

Egli di tante illustri, alte persone

Mira buon spazio il numero infinito,

E vede ancor quella fanciulla altera,

Ma con mente più sana e più sincera.


Credea che Floridor fesse altretanto

E si voltò per dirgli alcuna cosa,

E quando aver non sel ritrova a canto

Restò con l'alma attonita e pensosa;

Poi nol veggendo in quel, né in questo canto,

Né col pensier, né col destrier riposa,

Né per mirar che faccia e raggirarsi

Della vista di lui può lieto farsi.


Come pien di dolor possente e fiero

Poi lo trovasse il cavallier di Creta,

Farvi palese in altra parte io spero,

Ch'ora Silan me lo disturba e vieta.

Ch'insieme con quell'altro cavalliero

Nella caverna entrò chiusa e secreta,

E con la donna, i cui detti possenti

Gli liberar da tigri e da serpenti.


Creduto avria ch'in loco oscuro e cieco

Lo avesse a trar del re latino il figlio,

E se n'andò timidamente seco

Com'uom, che per onor segue il periglio.

Ma come fu nel sotterraneo speco

Col buon Clarido ambi inarcaro il ciglio,

Colmi di maraviglia, che maggiore

Dentro era che di fuor luce e splendore.


A prima giunta in quelle stanze occolte

Mirar con maestà, grazia e decoro

Tre belle donne in un drappello accolte,

Assise intorno un ricco e bel lavoro.

Avean gli occhi e le mani intente e volte

Le gemme in compartir, la seta e l'oro,

E in recamar quel fregio almo e divino

Tenean fissa la mente e 'l viso chino.


Ma nell'aprir del picciolo portello

E nell'entrar della donzella altera,

Tutte inalzaro a un tratto il viso bello

E riverir quella novella schiera.

La gentil donna al nobile drappello

Comanda in vista assai grave e severa,

Che per allor dall'ago si rimagna,

E 'l desinar apparecchi alla compagna.


Preste le Donne al primo motto inteso

Lasciar la bella e imperfetta veste,

Chi di cuocer i cibi ha tolto il peso,

Chi di candido lin la mensa veste,

L'altra ad altro esercitio ha 'l core inteso

E v'ha la mente pronta e le man preste,

E già Cerere e Bacco eletto e santo

Della lunga tovaglia empie ogni canto.


Mentre di preparar studiano a pieno

Le diverse vivande allesse e arroste,

E col pepe e col mel, ch'in copia avieno

Apparecchian le torte e le composte,

Quella, ch'avea del bel paese il freno,

Come cortese e gentilissima oste

Facea l'indugio con parlar soave

Ai convitati suoi parer men grave.


Era costei di quella Circe figlia

Che fu sì dotta e sì perfetta maga,

Giovene onesta e saggia a maraviglia,

Di bellissimo gesto, accorta e vaga;

Tal che qualunque in lei volge le ciglia

Si sente 'l cor ferir d'acerba piaga,

E s'era il buon Silan privo d'amore

Donava certo al suo bel viso il core.


Ma perché serba impresso nella mente

La gran beltà della cecropia dama

Come gli la scolpì profondamente

Nel regno suo la relatrice fama,

Non poteva altra donna esser possente

Di creargli nel cor novella brama,

Che 'l bel volto che dielli il colpo crudo

Gli è contra ogn'altro stral riparo e scudo.


Poi che ciascun di lor securtà prende

Si traggono ambi i due guerrier gli elmetti,

E la donna, ch'in lor le luci intende,

Loda tra sé sì generosi aspetti;

Ma Silano più bello il cor le accende

E par che più le piaccia e le diletti,

Non però ch'in mirar l'alta presenza

Desse a begli occhi suoi troppo licenza.


La prega il bel Silano e la scongiura

Che le piaccia a narrar ciò c'ha promesso

Dell'isola e di lei l'alta avventura,

E degli empi animal tutto il successo.

Ella, che pone accortamente cura

Ch'era dal bel garzon mirata spesso,

Tutta lieta rispose a preghi suoi

Quel che nell'altro canto io dirò a voi.




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