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Modesta Pozzo de' Zorzi (alias Moderata Fonte) Tredici canti del Floridoro IntraText CT - Lettura del testo |
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CANTO DODICESIMO
Argomento
Narra Circetta ai cavallier latini L'imprese di VENEZIA illustri e rare, Com'ella i fondamenti suoi divini Dovea locar (come poi fè) nel mare. Dei terrestri trionfi e dei marini, Di mille onor, di mille palme chiare Gli fa capaci, e nel fatato muro Lor fa ogni gesto suo veder futuro.
Chi provò mai sì avventurosa sorte O nella nostra, o nell'antiqua etade, Dai liti iberi alle caucasee porte O dall'ardenti all'umide contrade, Che potesse trar vita dalla morte E tesoro cavar di povertade, Di guerra pace, e gran piacer di duolo, E d'infiniti petti un voler solo?
Fortunata città; tu sola il cielo Avesti al nascer tuo largo e cortese, E di tai privilegi ornasti il velo Che scordò il mondo le passate offese. Anzi sforzato fu (se 'l ver non celo) A benedir le sanguinose imprese De l'immanissimo Attila, ch'a foco E a ferro pose Italia in ogni loco.
Distrusse tutte l'altre, e fé una sola Sorger città delle reliquie sparse, Per cui la mesta Italia si consola E ne godon le terre e le mur'arse. Vita costei dell'altrui morte invola, Dell'altrui povertà splendida apparse. Questo con tutto ciò, ch'a lei s'aspetta, Vol riferire ai cavallier Circetta.
S'eran, com'io dicea, con l'eloquente Giovane presso i cavallier condotti, Dove apparean della futura gente Le lunghe istorie con diversi motti; Mà di ciò che dir voglian finalmente Non si pon far da sé medesmi dotti, Né per legger di brevi e di scritture Possono interpretar quelle figure.
Quattro quadri per faccia eran distinti Tra una fenestra e l'altra; e da quel lato Nel primo appar d'uomini d'arme cinti Un infinito esercito adunato; Parean di sangue uman bagnati e tinti Strugger il più bel loco e 'l più pregiato Che fusse al mondo (ahi, troppo iniqua stella) E di sopra era scritto ITALIA BELLA.
Stavano intenti a quell'orrendo marte Ch'uscir vedean di quella gente armata, La materia lodando e insieme l'arte Onde sì vivamente era intagliata, Quando la bella donna a quella parte S'accosta anch'ella e per mostrarsi grata Al suo Silan di quanto gli promise, Così l'istoria a raccontar si mise:
– Fu di mia madre il principal intento, Quando mostrò sì bei ritratti espressi, Sol per far noto a noi dal fondamento D'una illustre città gli almi successi. Di lei l'avventurato avvenimento E la gloria mostrò de suoi progressi, Poi ch'in lei fiorirà donna col tempo Che sia onor del suo sesso e del suo tempo.
Di questa altera e gloriosa donna Prevedendo l'ingegno alto e sottile, E come vestirà sì chiara gonna Di bei costumi e d'ogn'atto gentile; E che fia di virtù salda colonna Sì che null'altra a lei sarà simile, Tanto mia madre amor li pose sopra, Ch'a gloria sua fé sì mirabil opra.
E anco ciò più volontier descrisse Poi ch'ella in sposo avrà (felice sorte) Un'almo eroe che da mio padre Ulisse Discenderà, di lui più saggio e forte. Il bel nome di lei ch'a me predisse, Di sì degno signor cara consorte, BIANCA è, che rende ogn'altro oscuro e fosco, E ei FRANCESCO sia gran duca tosco.
Or mirate quel re superbo e crudo, C'ha il gran flagello in loco della spada, Contra cui non varrà maglia né scudo Alla misera Italia che non cada; Attila nome avrà, di pietà nudo, Ch'allagherà di sangue ogni contrada, E struggerà con mille infami esempi L'eccelse torri e gli onorati tempi.
Vedete il fior delle famiglie illustri, Ch'abandonar la cara patria denno, Per viver, se potran, più lunghi lustri E a fuggire avran fortuna e senno. Mirate come son pronte e industri A dar le spalle al regnator di Lenno, Benché col viso tinto di paura Mirino ancor lontan l'amate mura.
Così pria, che da gli Unni arsa e destrutta Con le terre vicine e le lontane Sia la città d'Antenore costrutta Delle reliquie nobili troiane, Si troverà la nobiltà ridutta Delle misere genti italiane Ad abitar fra i più deserti scogli Con le sostanze lor, con le lor mogli.
E veggendo sicura la marina Per li tesor, per la servata prole, Daran principio alla città divina Ch'empirà poi di maraviglia il sole. O fortunata italica ruina Che innalzerà così superba mole, Che fia cagion di partorir nel mondo Un mostro sì stupendo e sì giocondo.
E ben c'abbia di pria ne i lazii prati Raro cespo a fiorir d'alme radici Che i figli dalla lupa nutricati Vi pianteran con opportuni auspici, Non però avrà così benigni i fati Come questo gran germe e i cieli amici, Il qual frondi aprirà sì ricche e belle, Che l'orneran sì come il ciel le stelle.
E, sebben quello insin ad or si vanta Che 'l capo in lui della futura fede Resider dee di quella fede santa, In ch'ora alcun non spera, alcun non crede, Non men del mar questa celebre pianta Si pregia e stima e punto non gli cede, Che mille volte sia per lei difesa Roma col papa e la cristiana chiesa.
Questa immortal republica non Marte, Non Giove adorerà, non altri mille Gentili dèi, ch'or hanno in ogni parte Del mondo sacrifici, are e faville, Ma solo un Dio, di cui predetto parte Hanno le prudentissime Sibille; Che venir dee per trar d'errore il mondo, Che cieco or giace e tenebroso al fondo.
Di questo poi che sia successo in terra L'alto e miracoloso avvenimento, Comincerà la sopradetta guerra Anni cinquanta aggiunti ai quattrocento. E così allor per gloria della terra Si fonderà nel liquido elemento L'alma cittade al cui felice stato Eterna libertà promette il fato,
Bench'al venir di Radagasso in prima Con Gepidi in Italia e Goti sia D'abitar questo sen l'origin prima Che lo spavento i popoli v'invia; E Alarico un'altra volta opprima Ogni cor sì (che dopo un tempo fia) Che per tema il terren patrio gradito Cangia con questo mar, con questo lito.
Vedete come cresce a poco a poco Quasi fanciulla ingenua, alma e gentile, E par che 'l ciel, la terra, il mar e il foco Donin favore al suo ridente aprile, Ch'i fondamenti suoi nell'onde han loco Miracolosamente oltra ogni stile. Il ciel la copre e la sostien la terra Non men del mar, che la circonda e serra.
Né questi pur, ma sì lieta e ridente Ai bei principi arriderà fortuna, Che mentre in altre parti avrà la gente La sorte al suo desir contraria e bruna, S'amplierà costei quietamente Senza contrasto e senza guerra alcuna, E grande aquisterà forza e vantaggio Prima che pensi alcun di farle oltraggio.
Né mai sì bella e sì leggiadra forma Fu vista al mondo o su nel ciel superno Com'in costei, che di virtute l'orma Seguirà ogni or nel suo divin governo; Tal che per lei convien che 'l vizio dorma, Anzi che muoia e scenda nell'inferno. Felice dunque e cinque volte e sei Beato l'uom, che nascer debbe in lei.
E più felice e più beato quello, A cui l'affezion prestando ardire Depingerà con stil leggiadro e bello Non la di lei beltà, ma 'l suo desire. Che non fia mai così divin pennello Che pur le sappia il manto colorire, Ond'almen dee di generoso affetto Tal nome aver che ne fia sempre detto.
E perché di sì degna alma figura Voi ne veggiate il vero esempio espresso, Eccol di qua, non di superbe mura Ma di mar cinto, anzi fondato in esso. Il breve là di sopra è la scrittura Ond'e VENEZIA, il suo bel nome impresso, E se vi fusse spaZio seguirebbe: «A cui l'Europa e tutto 'l Mondo debbe.» –
Cosi dicendo una Città superba Addita loro in mezzo 'l mar fondata, Ch'in sé tal mestà, tal gloria serba, Che par divinamente fabricata. In forma poi d'una donzella acerba Nel terzo quadro a studio era intagliata, Ch'a guisa di regina eccelsa e diva Siede e ha in man la preziosa oliva.
Dall'un de lati una fanciulla bionda Le porge riverente una corona, E specchiandosi in lei tutta gioconda D'un'altra sé medesima incorona; Indi una giovenetta rubiconda Di lieta palma un ramuscel le dona, E un di verde allor dall'altro lato Le dà un garzon di ricche spoglie ornato.
Un'altro bel fanciul pur da quel canto, Ha tra le labbra una sonora tromba, E par che tanto suoni e suoni tanto Che tutto l'universo ne rimbomba. La damigella instrutta dell'incanto, Disse: – Costei ch'a guisa di colomba Porta l'olivo glorioso e sacro È di Venezia bella il simulacro.
La nobil giovanetta, che l'ammira E di ricca corona ornar la vuole È detta gloria, e questa che rimira Più fiso in lei, che l'aquila nel sole E mentre gli occhi al suo bel viso gira Le dà la palma, onde l'onora e cole, Vittoria è nominata; e sia ben degna Dell'una e l'altra gloriosa insegna.
Quel leggiadro fanciul, che le offerisce Il lauro d'immortal pregio dotato È 'l trionfo divin che comparisce Di sì superbi e ricchi manti ornato. L'altro, che per contrario non patisce Di vestir drappo e mostra il dorso alato E porge fiato all'instrumento arguto, Da tutti per la fama è conosciuto. –
Già parendole aver detto abbastanza Circetta all'altro spazio si volgea, Quando chiese Silan con molta istanza Ciò che un leon significar volea. – Significa l'estrema sua possanza – Diss'ella. – E il Liocorno? – ei soggiungea. Ed ella a lui: – Sua castità cred'io, Che accennar voglia: e poi così seguio:
– Poni pur mente a questa ultima parte, A sì bella union d'incliti eroi Che seguiran chi Pallade e chi Marte. Parlo de quei che sian principi suoi, De' quai se tutti i nomi io vo contarte Temo che 'l mio parlar troppo t'annoi; Ben'alcun ne verrò così nomando Mentre i fatti di lei verrò contando.
Fioriran questi ingegni pellegrini, Come tu sentirai, d'età in etade, E con gesti mirabili e divini Conserveran la patria in libertade, Mentre fuori allargando i lor confini Giustizia manterran nella cittade, Di tempo in tempo avendo instituiti Ordini, leggi, magistrati, e riti.
E benché sian nel Vatican famoso Vari i parer de' vari senatori, Ch'al ben comune, al comodo, al riposo Concorreran negli alti concistori, Fia nondimen quel sol vittorioso (Non per autorità, non per favori) Che dal sacro e giustissimo senato Fia come l'oro al paragon provato.
E di sì chiare e gloriose squadre De' padri, figli, e principi di questa Non sarà figlio, principe, né padre, Né porterà sì ricco corno in testa, Chi d'esser degno di tal figlia e madre Non mostrerà per prova manifesta, Tenendo i merti suoi proporzione Con l'alto seggio di quel gran leone.
Quivi si può veder, come sia eletto Prima da quattro e poi da quarantuno, Ed in che guisa il suo candido affetto E 'l libero voler spenda ciascuno. D'ottantasei n'è qui un drappello eletto Che l'un succede all'altro e l'altro all'uno. Che tanti sien so senza che gli conte Da Paulo Lucio a Nicolò da Ponte.
I successori lor mia madre avria Scolpiti ancor, ma ad escusar la vegno Che pien fu il quadro e più non vi capia, Onde non poté 'l suo seguir disegno. – E così ragionando tuttavia Si ritrovaro al fin del quarto segno; La donna allor che compiacer li volse Alla seconda faccia gli raccolse.
– Visto, dice ella, i fondamenti strani D'una eterna, divina, alma cittade, Ben dritt'è ancor ch'in questa parte io spiani L'alte sue imprese in più matura etade, Perché qui sian veduti i Veneziani Spogliar le toghe e accingere le spade, E divenir in terra, e 'n mar sì forti Che sian terror de più superbi porti.
Ma perché cerco ognor d'esser più breve Ch'io possa a fin ch'a tedio il dir non vegna, E perché ne' primi anni ella non deve Impresa far de vostri orecchi degna, Cominciarò dal tempo che riceve Il primo duce la pregiata insegna, Tanto più ch'anco Circe, avendo sculto Da questi in poi, lasciò il principio occulto,
Quando nel tempo di sua etate acerbo Le ancor divise e picciole isolette Ch'un dominio verran poi sì superbo Fian da tribuni amministrate e rette, Che scorreran dall'incarnar del verbo Seicento anni oltre nontasette. E venticinque manco di trecento Dal di lei memorabil nascimento.
Ora volgete a questa gente il guardo Ch'insieme parla e fa amicizia e lega, E l'un e l'altro principe lombardo Che col duce primier s'accorda e lega. Ecco un tempo da poi che lo stendardo Sotto altro duce ella in lor danno spiega, E del sommo pontefice ad instanza Gli fa uscir di Ravenna e mutar stanza.
Lascierà poi Venezia il principato Con speranza d'aver miglior fortuna, E crierà novello magistrato Sotto di cui non veggio impresa alcuna; Ma poco poi parendogli allo stato Più la cura de principi opportuna, Ritorna al duce, e al tempo che 'l domino Terrà Obelerio in mar vince Pipino.
Sotto i Participatii (ch'in Rialto L'un dopo l'altro i primi onori ottiene), Vince il Friuli e dal moresco assalto Va qui a difender le sicane arene, Poscia ottenendo il Gradenico l'alto Seggio, Narenta in cruda guerra tiene. Qui contra i Saracin spiega l'insegna E ne riporta una vittoria degna.
Qui si prende Comacchio, i Narentani Son quei colà cui tocca a star di sotto. Quello è Piero Tribun, dalle cui mani L'esercito degli Ungheri sia rotto. Né men vinto a temer de' Veneziani È Berengario, imperador condotto. Quei luoghi d'Istria son presi da loro, Che Barri aiuteran poi contra il Moro.
L'Orseolo, quel che di tal nome fia Secondo, star fa la Dalmazia al segno. L'altro è 'l figliolo e ben convien che sia Giovane saggio e di maturo ingegno, Poi ch'è dal re stimato d'Ungheria Degli imenei della sua figlia degno Vedete qui ch'egli racquista Grado Mentre della sua patria ha 'l maggior grado.
Vedete il Contarini uomo gagliardo Rifar pur Grado al patriarca tolta, E tornar sotto il veneto stendardo Zara che s'era al Corvatin rivolta. Vedete in Puglia poi vinto Guiscardo Da lui che la sua gente in fuga volta, E esaltar sì di Venezia il grido Che ne fia piena ogni sponda, ogni lido.
Onde l'imperador greco per moglie Al successor di lui dà la sorella. Quivi il Faletro ottiene alle sue voglie Le città di Dalmazia e le castella. Ecco l'armata il Michael discioglie E manda in Asia il suo figliuol con ella, Che presso Rodi venirà alle mani E ventidue galee torrà a Pisani.
E vincitor con fama eterna e chiara Di Smirna e in Puglia di Brindici fia. Ecco un'altro Faletro che prepara L'armata per andarsene in Soria. Ecco ritorna a obbedienza Zara Datasi a Caloman re di Ongaria. Del sangue padovan rosse le glebe Farà poi con suo onor presso le Bebe.
Nel secondo quadrato a preghi giusti Mosso del papa ecco spiegar le vele, E liberarne Ioppe dagli ingiusti Turchi assediata. Un'altro Michaele Qui prende Tiro e mette a passi angusti Con le sue forze il popolo infedele Avendo quella al patriarca data Della città che santa sia chiamata.
E Rodi avendo e Metelin rivolte Alla devozion del suo bel regno, Con Andro, Samo, e Scio, con altre molte Si mostrerà di tanto impero degno. Questo e 'l genero poi c'ha l'arme tolte Contra Pisani e rompe il lor disegno, Riceve Fano sotto il gran leone, E i Padovani vince e 'n fuga pone.
Ecco che dà soccorso a Emanuello Contra Ruggier di Puglia allor signore E racquista Corcira e 'n gran flagello Pon la Sicilia col suo gran valore. Vedete il Moresin successo a quello De rei Corsali opprimere il furore, E mossa a Pola e a Parenzo guerra, Tributarie le fa della sua Terra.
Sotto costui verran gli Anconitani, Già fatti amici, del dominio in lega; E non pur quei ma 'l re de Siciliani Fa con Venezia pace e si collega. Ecco il Michael terzo ch'i Pisani Vecchi nemici ad amicarsi piega. Il muro tracio qua rovina e spezza, Là di Ragusi atterra ogni fortezza.
Questa naval battaglia, ove si vede L'onda di sangue orribilmente rossa, Dove la troppo audace aquila cede Al gran leon che l'ha vinta e percossa, Sarà tra Veneziani e tra l'erede Dell'empio Federico Barbarossa, Che scaccierà di Roma il papa giusto E ne fia preso il suo figliuol Augusto.
Ecco che torna e mena Otton con esso Il gran Ziani e le vittrici schiere, E 'l santo padre allegro del successo L'abbraccia qui come si può vedere. Ecco ch'in dito un'annel d'or gli ha messo Col qual gli dà ragion di possedere Del mar l'imperio, e vol da indi in poi Che sia soggetto a successori suoi.
Questo è l'Imperador poi, che discende Dove sicuro il gran vicario regna, Perché l'amor paterno il cor gli accende A seguitar la vincitrice insegna; E così umiliato se gli rende Che 'l santo piè baciar non si disdegna, E Alessandro allor conculca e preme L'altera testa, onde sospira e freme.
Nel terzo spazio ecco mirate quante Vele di novo in alto mar spiegate Son dal Leon Cattolico in levante Per racquistar Hierusalem mandate. E da lor presa è Tolemaida e tante Gente del Saladin rotte e spezzate; Qui Pola e Zara avendo riavuto, Si fanno a' Triestin pagar tributo.
Vedete la città di Costantino Presa da loro e l'isola dittea, E col Peloponneso al lor domino Ogni scoglio ridur dell'onda egea; E non pur quei, ma quanti ha 'l mar vicino Di Creta e insieme l'isola d'Eubea, E i Padovani ancora e i Genovesi Vinti da loro e molti altri paesi.
Ecco che sotto il Tiepolo è soccorsa Candia, allor da pirati molestata. Ecco per torle un grave assedio scorsa Sin a Costantinopoli l'armata. Ecco fortuna che sua rota inforsa, Come l'ha sotto il gran leon fermata, Che mille e più vittorie e paci e tregue Di tempo in tempo e mille onor consegue.
Ecco che a' preghi di Gregorio santo Sopra la Puglia andran queste galere (Le dovete com'io conoscer tanto Al ritratto leon nelle bandiere). Queste che son di numero altrettanto Van contra Federico alle riviere Di Genoa, che per lor si racconsola, Zara a Venezia ricovrando e Pola.
Mirate un'altra impresa assai maggiore Contra Ezzelin di Padua allor tiranno, Del cui furor fia d'Attila minore L'usata crudeltà, men grave il danno, Perché quei mostrerà rabbia e furore Contra nimici e gli porrà in affanno. Ma questo a' propri suoi con infinita Pena torrà l'onor, l'oro e la vita.
Però dal gran pontefice ammonito Vedete qui dov'io v'addito e mostro Che dal senato è 'l Moresin spedito Per trar dal mondo un sì nefando mostro. E vedetelo alfin di stral ferito Mandar lo spirto di Pluton nel chiostro; E Padoa, sciolta da sì grave incarco, Respirar sotto il protettor san Marco.
Mirate ultimamente i Genovesi Esser pur dal leon perseguitati, E vinti quei di Fano e i Felsinesi E gli Istri a sua devozion tornati. E da lui Pera di là a pochi mesi Presa e disfatta, e con più legni armati Assalir Greci, e trarne con molt'oro Quindeci mille e più pregion di loro.
Vedete qui che si farà signore Di Spalato, Tragurio e Sebenico, E che difende il muro di Antenore Dal signor di Verona suo nemico. Ecco che manda al papa ambasciatore Per trattar contra il turco emulo antico, E che 'l re di Boemia addotto in lega Coi principi d'Italia unisce e lega.
Ecco nel fin, dopo molti litigi Tra 'l veronese e 'l veneto domino, Ch'ei Castel Baldo acquisterà e Trivigi, E si farà la pace con Mastino. – Così la donna che scopria i vestigi Materni e avea lo spirto alto e divino, Narra a' guerrier la profezia fatale D'una santa republica immortale.
Spiegato avea della seconda faccia I maneggi importanti e di gran pondo Onde si vede che Venezia abbraccia Impresa universal con tutto il mondo, E che 'l più delle volte ebbe bonaccia Né mai d'alcun puot'esser messa al fondo, Grazie che né gli Assiri né i Romani, Né gli Afri ebbon, né i Persi né i Spartani.
E scorto che 'l magnanimo Silano Non era d'ascoltar sazio né stanco, L'un e l'altro di lor prese per mano E girò ver l'occaso il suo bel fianco. E disse: – Dell'imperio venetiano Ho detto nulla a quel c'ho da dir anco. Di questa bella patria ho detto poco, Rispetto a ciò che resta in questo loco. –
I cavallier vaghi d'udir il resto Drizzano al suo parlar la mente e i rai, Ch'udir maggior miracolo di questo Non han speranza in alcun tempo mai. Ella con lieto e grazioso gesto Ritrova accenti più leggiadri e gai, Come quella che sa tutti i successi Ch'eran nel muro adamantino impressi.
– Mirate il gran pontefice Clemente Che allor fia con Venezia collegato A' danni della fera d'oriente, E di Boemia il re da un'altro lato Per far il duca di Milan dolente; E ecco sopra Genova il senato Mandar più legni in quel medesimo anno E farle giustamente oltraggio e danno.
Vedete poi che l'alto re ch'affrena L'isola della madre di Cupido Viene a veder quella famosa arena Che spargerà sì glorioso grido, Onde di feste e d'allegrezze piena Si vede esser la gente, e 'l mar e 'l lido, E accettar con cor lieto e benigno Il duca d'Austria e 'l nobil re ciprigno.
Ecco reggendo il buon Cornelio Creta Che si ribella e poi ritorna al segno, E che Trieste il Contarino accheta Sotto il favor del suo potente regno, E che resa Antenorea umile e cheta Patteggia, col leon famoso e degno. E Clodia, c'have altrui volto il pensiero, Ritorna ancor sotto il medesmo impero.
Contemplate il Venier principe giusto Che fa punir per sue male opre un figlio. Quel per far danno al carrarese ingiusto (Che sprezza ancor del suo leon l'artiglio), Ferrara unisce all'animal robusto, E Milan seco e fa abbassargli il ciglio; Qui fanno pace, e quel che là si vede È il duca d'Austria che a Venezia riede.
E non pur quel, ma 'l gran nipote scende Del re di Francia e viensen da Parigi, Che d'infinito gaudio i cori accende Sendo spenti di marte i gran litigi. Però feste mirabili e stupende Fansi in onor dell'aurea Fiordeligi, Come veder si ponno ultimamente In questo primo quadro espressamente.
Di qua si vede che Vicenza dassi Con Feltro, con Belluno, e con Bassano Al gran dominio, il qual accorta i passi Al signor veronese e al paduano, Onde Verona e Padoa acquisterassi Che contra lui terran con Genua mano. Poi le terre dall'Ungara si vede Redur nel Foroiulio alla sua fede.
Ecco tenendo il Foscari l'insegna Il fiorentin con questa patria unito, Perché 'l visconte a penitenza vegna Che di far pace alfin prende partito; E con quel patto a' Veneti consegna Ravenna e Brescia. Indi al famoso lito Federico secondo se ne viene Poi che dal papa incoronarsi ottiene.
Le bandiere spiegate al vento fresco Che portan pur la generosa fiera Manda Venetia qui contra Francesco Sforza, Duca in Milan per la mogliera. Poi con l'imperio accordasi turchesco, Indi sotto l'insegna Malipiera Vedete qui la pace con la copia Unite star come in lor casa propia.
Ma poco poi, sendo già assunto il moro Al maggior grado, un'altra lite appare Tra 'l feroce leone e i serpi d'oro, Che qui a Trieste ancor darà che fare; Manda ei nella Morea qui contra loro Per terra il Malatesta e lì per mare Scioglie l'armata il Giustinian gagliardo E dona Sparta al veneto stendardo.
Ecco poi che per lor fia stabilito Nel suo ducato il buon Ercol da Este. E ecco il re di Persia a questi unito Per abbassar le serpentine creste. Segue poi l'acquisto alto e gradito, Ch'allor faran quelle famose teste, Della soave e bella isola nido Della dea delle Grazie e di Cupido.
Mostra quest'altro spazio che 'l Marcello Terrà quell'alto e sopra umano seggio, Sotto di cui daran pena e flagello All'Ottoman, come descritto veggio. Ecco qui la vittoria, ecco il drappello, Onde i Macometani avranno il peggio. Vedete come altero e trionfante Torna da Scodra a queste rive sante.
Scorgete sotto il Vendramin che Troia Dall'empie man si salva in Albania; Quel successor c'ha poi tal guerra a noia Fa pace col signor della Turchia. Coritta acquista, indi Ferrara annoia, Qui sopra il re Ferrando il campo invia, Ferrando re delle piacevol mura, Che fur della sirena sepoltura.
Questo ch'è il Barbarico, il qual succede Al buon fratel, fa guerra con Gismondo D'Austria per le minere, onde procede Il più fero metal, ch'oggi sia al mondo. Sotto lui cava il re di Francia il piede D'Italia, e da lor rotto e posto è al fondo. E cacciato costui si rende e dona Con altre terre al gran leon Cremona.
Nell'altro quadro è manifesto e piano Di Cambrai la memorabil lega. Vedete qui l'imperador romano Col re di Francia e quel di Spagna in lega. Né il ferrarese vi starà lontano Ma col duca di Mantoa anch'ei si lega, Perché l'imperio sol da Dio difeso Resti per sempre oppresso e vilipeso.
Ma non potrà la forza e la possanza Che mostrerà tutta l'Europa insieme, Sì che non vaglia in lui più la speranza Ch'egli avrà nelle grazie alte e supreme, Per cui tanta difesa ancor gli avanza Che ripararsi può ch'altri no 'l preme. E squarcia l'union, scherne i furori, E torna più che mai ne primi onori.
Vedete come in breve e facilmente Va racquistando le perdute terre, E per molti anni poi felicemente Vieta la strada all'odiose guerre. Tal che per lei fia chiuso lungamente Di Giano il tempio e non fia chi il disserre. E molti duci sian de cui non dico Sin al Venier d'ogni bontade amico.
Quest'onorato principe la pace Conserverà delle felici arene. Al suo tempo ogni vizio estinto giace, Fiorisce ogni virtù, regna ogni bene, Tal ch'alla fama, che 'l suo pregio face L'alta regina di Polonia viene, Al suo felice e glorioso grido Eccola scesa al fortunato lido.
E poi qui non si vede altra figura Che l'ultima è costei, però la lasso; E per narrar della città ventura Un'altra impresa all'altro lato io passo. Della qual fortunata, alta avventura Molto direi, se non che troppo lasso Ciascun di voi già deve esser d'udirmi, Onde con brevità voglio espedirmi.
Ma pria ch'io dia principio a novi carmi E narri il fatto eccelso e glorioso, Voglio della stanchezza riposarmi, E voi meco signor trarre a riposo. – Con questo torse il piè dai sacri marmi, Né so se a lor fu ciò grato o noioso. Basta, o di voglia, o contra il lor desiro, Alla cortese giovane obediro.
Ella ad una fenestra gli ritira, Che guarda le campagne d'occidente, Dove un fresco, un odor zefiro spira Che ristorava ogni affannata mente. Confetto intanto e vin soave mira Portar Silano in coppe d'or lucente Dalle donzelle di Circetta astute, Che fin'allor non s'eran più vedute.
E così cominciaro a rinfrescarsi Con ragionar delle predette cose, E più dubbi i guerrier vennero a trarsi Che tutti accortamente ella gli espose. Ma mentre ch'essi stanno a ricrearsi Ben dritt'è ancor ch'alquanto io mi ripose, E somministri forze al mio intelletto C'ha da narrar così importante effetto.
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