V.
Gli
spasimi di don Omobono.
Il
povero prete metteva paura a vederlo; stava rannicchiato, colla testa
sprofondata fra le spalle e tutta nascosta nel cappellaccio, le gambe
piegate e le ginocchia che si toccavano. I denti gli battevano come
per freddo, e i muscoli della sua faccia erano ad ogni momento
travagliati da un contorcimento convulsivo, che gli faceva allargare
la bocca in direzione delle orecchie, e avvicinare la punta del naso
a quella del mento.
-
Che cos'ha, don Omobono? chiese Teresa.
-
Niente, niente, balbettò egli. Mi permettete di passare per
andare nella mia stanza?
-
S'accomodi pure.
Convien
sapere che l'ingresso principale della casa, donde avrebbe dovuto
passare don Omobono per andare nella sua stanza, era aperto sopra una
delle strade principali di Trastevere; mentre invece l'alloggio delle
donne, per il quale si poteva passare in quello del prete, aveva
un'uscita sul vicolo adiacente.
-
Perchè non è passato dalla parte della strada? gli
domandò Teresa.
-
Perchè, rispose, in questi giorni di pericolo io non mi
azzardo a camminare senonchè pei vicoli, e cerco anche di
sgambettare presto presto e scivolare rasente i muri, per essere
veduto il meno che sia possibile.
-
E di che cosa ha paura?
-
Che so io? qualche gran cosa è imminente. Non avete sentite le
trombe poco fa? erano gli zuavi che andavano a raddoppiare i corpi di
guardia. Scommetto io che fra poco sentiremo le fucilate anche in
città! Sapete che cosa ho sentito dire?
-
Che cosa? via!
-
Che Garibaldi abbia già passato Ponte-Molle.
-
Il ciel lo volesse! esclamò Teresa. Io andrei subito ad
incontrarlo.
-
Ed io, disse don Omobono, andrei subito a nascondermi in cantina.
-
Ma che cantina! Via, si faccia coraggio. Io le darò un
talismano, con cui potrà presentarsi arditamente dinanzi ai
garibaldini senza paura, anzi colla certezza di essere festeggiato.
-
Che cosa mai? vediamo.
Teresa
trasse fuori la sua coccarda e la mostrò al prete impaurito.
-
Ecco qua, la guardi: una bella coccarda tricolore.
-
Una coccarda! esclamò don Omobono indietreggiando e portando
la mano alla fronte in atto di segnarsi colla croce.
-
Sì, signore, disse Teresa. Qua!...
E,
preso il cappello a tre punte del prete, appuntò con una
spilla sopra una delle falde rialzate la coccarda.
-
Questa sarà d'ora innanzi la sua salvezza. Così!...
Gli
mise il cappello in testa.
-
Così sta come un angelo.
Don
Omobono, che non ardiva nè tenere nè levarsi quel
cappello scomunicato, rimase duro, stecchito come una statua di
legno, mormorando fra i denti:
-
Io portare la coccarda tricolore!
E
Teresa ridendo:
-
I garibaldini lo porteranno in trionfo.
In
quella bussarono di nuovo alla porta di strada.
Teresa
andò ad aprire.
-
Oh Dio! Chi sarà? diceva intanto don Omobono.
E
toltosi di capo il cappello, cercava di staccarne la coccarda; ma non
riusciva che a pungersi ripetutamente collo spillo.
Si
presentò all'uscio un signore vestito di nero, di statura
vantaggiosa, col viso tondo, roseo, sbarbato, e i capelli rossicci
composti e lisciati con cura. Poteva avere quarant'anni.
Tuttochè
vestito da secolare, egli aveva nel suo insieme un non so che
d'ecclesiastico, che rivelava facilmente la sua condizione.
-
Sta qui don Omobono? chiese egli con tutta civiltà.
-
Sissignore, rispose Teresa: eccolo là. E additò il
prete di vettura.
-
Ahimè! Chi vedo! mormorò questi tutto spaventato.
E
disperando ormai di poter staccare la coccarda dal suo cappello,
cercò di coprire alla meglio il corpo del delitto prima con
una mano, poi con un lembo dell'abito.
-
S'acco....comodi, mon....
Stava
per dire Monsignore, ma un rapido gesto e un'occhiataccia
dello sconosciuto gli strozzarono la parola in bocca, e riprese più
imbarazzato che mai:
-
S'accomodi.
-
Son venuto, disse il monsignore travestito, per parlarvi di un affare
riservato.
E
così dicendo, volse in giro un'occhiata, che si fermò a
due riprese prima sull'una poi sull'altra delle due donne.
-
Troppo onore, soggiunse il prete. Venga, venga nella mia stanza.
Ma
l'altro, senza far mostra di volerlo seguire, disse seccamente:
-
Stiamo bene anche qui.
Teresa,
alla quale l'incognito riusciva sommamente antipatico, e che aveva
già fiutata la merce di contrabbando, s'era avvicinata a
Lucia, e le disse sottovoce:
-
Ohè, che ne dici? Stiamo bene anche qui! Pare che sia in casa
sua!
-
E noi andremo di là, rispose Lucia.
-
No, signore, soggiunse Teresa, che siamo padrone in casa nostra.
-
Andiamo per prudenza, riprese Lucia; e salutò il signore con
un asciutto: Serva sua!
-
Rimanete pure, bella giovane, diss'egli con un sorriso smorfioso.
-
Grazie tante: vieni Paolina.
E
le due donne colla bambina passarono nella camera attigua.
Quando
monsignore si trovò solo col prete:
-
Dunque, riprese, devo parlarvi di un affare importante.
Don
Omobono, imbarazzatissimo, seguitava a fare i massimi sforzi per
nascondere la coccarda appuntata sul cappello. Cercando insieme di
dissimulare la sua confusione, diceva:
-
S'accomodi, eccellenza reverendissima, s'accomodi.
E
gli porgeva una sedia, sulla quale monsignore sedette, facendo in
pari tempo segno a don Omobono di sedersi vicino a lui.
-
Come mai, disse il prete, come mai vostra eccellenza si arrischia a
camminare per le vie di Roma in queste giornate?
-
Che? avete paura voi? soggiunse in tuono beffardo monsignore.
-
Io? no.... cioè.... così.... un pochettino.
-
Prima di tutto, vedete che mi sono messo l'abito da secolare, e così
non posso essere riconosciuto. E poi, credete pure che non v'è
nulla a temere.
-
No, eh!
-
Quest'oggi appunto l'inviato francese ha assicurato Sua Santità
che in ogni caso non sarà per mancargli l'aiuto della Francia.
-
Ma se prima che arrivino i Francesi dovesse.... così per
caso... succedere...?
-
Che cosa?
-
Una rivoluzione, che Dio ci scampi e liberi!
-
Ohibò! Ci avevano pensato i framassoni: ma siamo stati
prevenuti a tempo. Tulle le misure sono prese, e non c'è
nulla, proprio nulla a temere. Ma che avete? mi sembrate agitato.
Don
Omobono era infatti irrequieto, tormentato dalla paura che monsignore
scoprisse la coccarda. Però richiamò sulle labbra un
sorrisino di tranquillità, e rispose:
-
Io non ho niente, monsignore, proprio niente. Non è altro che
la soddisfazione, la gioia che provo per l'onore che mi ha fatto
vostra eccellenza reverendissima, degnandosi di venire a trovarmi....
gli è questo che... che...
-
Io sono venuto, riprese monsignore, sono venuto per... Ecco qua: voi
abitate in questa casa, non è vero?
-
Eccellenza, sì; sto in quella stanza, là, quello è
tutto il mio appartamento.
-
Questa è la casa di un soprastante muratore, non è
così?
-
Eccellenza, sì; si chiama Giuseppe Monti.
-
E quella ch'era qui poco fa è sua moglie?
-
Eccellenza sì.
-
Ebbene, don Omobono: io ho saputo che gli sovrasta una disgrazia.
-
A chi? a Monti?
-
Precisamente. Pare che si sia mischiato nella congiura. Il fatto sta
che dev'essere arrestato.
-
Oh poveretto! questo mi dispiace!
-
Però... soggiunse dopo qualche momento monsignore, però...
vi potrebbe essere un rimedio.
-
E quale? chiese don Omobono.
-
Che so io, rispose monsignore con piglio d'indifferenza... se
qualcuno volesse pregare per lui...
Il
prete di vettura roteò gli occhi, strisciando in pari tempo la
punta della lingua sul labbro superiore.
Con
quella pantomina egli voleva dire:
-
Ho capito!
Infatti
un lampo gli aveva chiarita la mente, e quella luce improvvisa gli
rendeva manifeste le ragioni della visita di monsignore e de' suoi
discorsi.
Non
occorreva essere un'aquila d'ingegno per penetrare nella mente del
prelato travestito. Certi casi sono così frequenti nella
capitale del mondo cattolico, che si parano subito alla mente del più
idiota.
Un
monsignore, un dignitario della Chiesa, uno dei capi del governo
pontificio, girando intorno per le vie di Roma, come un damerino,
colla sua mantelletta di seta pavonazza appiccata leggiadramente
sugli omeri, colla sua chioma arricciata, colle sue scarpette a
fibbie d'argento, seguito dal domestico in gran livrea, adocchia una
bella donna, s'informa per mezzo de' suoi agenti della sua
condizione, del nome, della dimora. L'avventura è la più
facile del mondo: si spargono dei dubbj sulla sicurezza del marito,
del fratello, del padre, insomma della persona più cara che si
abbia la donna. Si minaccia la libertà di quell'uomo, e con
tale pressione si cerca di trascinare la misera sulla via del
disonore. Ma s'ella resiste, se le minaccie tornano vane, allora si
adoperano i mezzi più energici: l'arresto si opera davvero, e
allora la povera donna vien posta nell'alternativa di veder languire
il suo diletto in una prigione, e consumarvi la vita, o di mancare a'
suoi doveri più sacri.
Ecco
ciò che avviene ogni giorno nei luoghi soggetti al felice
dominio del papa-re, per opera di coloro che con una mano inalzano la
croce, mentre coll'altra stringono le catene del popolo.
È
naturale adunque che don Omobono, conscio appieno di tali fatti, dopo
quel primo cenno di monsignore, penetrasse addentro nelle sue
recondite intenzioni.
E
volendo andare innanzi ai suoi desiderj, disse:
-
È naturale: se qualcuno pregasse per lui, per esempio... sua
moglie...
-
Oh sì! rispose monsignore, affettando noncuranza, la moglie
può destare compassione, e...
-
L'ho detta io! pensava fra sè don Omobono.
-
Voi la conoscete, proseguiva il prelato; potete parlarle, dirle il
pericolo in cui si trova suo marito, consigliarla...
In
quel momento il cappello, che il povero prete andava rotolando fra le
mani, gli fuggì, e cadde a terra.
Egli
mise un grido di terrore.
La
coccarda tricolore si mostrava in tutta la sua pompa nel bel mezzo di
un'ala, proprio dalla parte meglio esposta agli sguardi di
monsignore.
Un
fulmine che fosse caduto sulla testa di don Omobono non lo avrebbe
ridotto in uno stato di annichilamento simile a quello che lo investì
in quel punto.
-
Che cosa vedo? esclamò monsignore, alzandosi, raccogliendo il
cappello tricornuto, e guardando da vicino il segnacolo della
rivolta. La coccarda tricolore! l'emblema dei rivoluzionari! il
simbolo della setta! Un ecclesiastico! inalberare il vessillo della
ribellione sulla propria testa!
-
Eccellenza, diceva don Omobono tutto tremante, eccellenza
reverendissima... l'assicuro ch'io non l'ho fatto apposta... che non
ci ho proprio colpa, io...
-
Va bene! soggiungeva in tuono di minaccia monsignore. Va bene!
Penseremo anche a questo.
Il
prete di vettura, giunto al parossismo dello spavento, perdè
le forze; scivolò giù dalla sedia, cadde in ginocchio
dinanzi al prelato.
-
Eccellenza, gridava, creda che non ci ho colpa. Mi usi misericordia.
Monsignore
rasserenò la faccia accigliata con un benigno sorriso, e porta
la sua mano a baciare a don Omobono, e rialzatolo insieme, con piglio
di clemenza:
-
Orsù! disse, voglio perdonarvi... non se ne parli più...
nessuno saprà nulla... purchè...
Il
pretoccolo comprese a volo il significato di quella reticenza
eloquente. E trangugiando un altro mentale: ho capito! si
avvicinò alla porta della stanza, ov'erano entrate poco prima
le due donne, e chiamò:
-
Signora Lucia!
Il
prelato gli si avvicinò, e gli disse all'orecchio:
-
Per ora non le dite chi sono.
Lucia
entrò nella stanza.
-
Che volete, don Omobono?
-
C'è questo signore, disse il prete, che vuol parlarvi.
-
Io non conosco questo signore, disse Lucia, nè so che affari
possa avere con me.
-
Non siate tanto sdegnosa! disse monsignore, avvicinandosi. Io venni
unicamente per giovarvi.
Lucia
insospettita guardava con occhio diffidente il prelato incognito, e
con accento di dubbio soggiunse:
-
Per giovare a me?
-
Sì, replicò monsignore, per giovare a voi... o
piuttosto a vostro marito.
Intanto
don Omobono, il quale temeva che pei modi bruschi della donna il
prelato s'incollerisse, e la tempesta si rovesciasse anche sul suo
capo, postosi di dietro a monsignore, faceva verso Lucia dei gesti
grotteschi, con cui voleva avvertirla che quello con cui parlava era
un pezzo grosso, e che aveva la chierica, e che portava la
mantelletta, e che gli usasse bei modi, e non lo disgustasse, e
badasse a lei.
Lucia
non capiva nulla a quei lazzi stranissimi, ma sempre più
sospettava vagamente del vero, e volta a monsignore, gli disse con
alterezza:
-
Ma noi, signore, non abbiamo bisogno dei soccorsi di alcuno.
-
Se vostro marito, riprese lentamente il prelato, corresse un
pericolo, s'egli per esempio...
E
l'astuto s'interruppe.
-
Ebbene, che cosa? gridò Lucia, cui già si rimescolava
il sangue all'idea che qualche male potesse incogliere al suo
Giuseppe.
-
S'egli, per esempio, fosse in procinto di essere arrestato!...
-
Che cosa dice? esclamò la donna atterrita.
Ma
poi, dando luogo alla riflessione, e rimettendosi, disse con maggior
calma:
-
Oh non è possibile! mio marito è un galantuomo; non ha
mai fatto del male; e non credo assolutamente ch'egli corra il
pericolo ch'ella dice.
-
Ed io vi dico, bella sposina...
Così
parlando il prelato con modi leziosi, si avvicinava a Lucia, che
indietreggiò, e prese fieramente a dire:
-
Ed io, bel signore le dico, che non sono poi tanto gonza da non
capire ch'ella si è introdotta qui con codesto pretesto per
fini non buoni. E mi meraviglio che don Omobono, che io ho sempre
rispettato come un degno sacerdote, tenga mano a simili faccende!
Lucia
pronunziò ad alta voce, queste parole, e Teresa chiamata dal
rumore entrò nella stanza anch'essa.
Don
Omobono, che dopo molti sforzi infelici, era giunto finalmente a
staccare quella maledetta coccarda, e a gettarla lontano in un
angolo, colpito ora dalla violenza di quell'apostrofe, non sapeva che
cosa rispondere alla donna irritata, e borbottava:
-
Io!... non so niente!
Monsignore,
chiamandosi sulle labbra il miele più dolce, cercava di
acquetarla, dicendo:
-
Badate, voi siete in errore.
-
In errore quanto vuole, proruppe essa di più in più
sdegnata, ma quella è la porta, e la prego di andarsene.
A
tale affronto le vampe della collera salirono al volto di monsignore.
Fulminò con un'occhiata da tigre la donna, e con voce tremante
di rabbia le disse:
-
Potreste pentirvi di avermi trattato così!
Intanto
don Omobono erasi avvicinato a Teresa, entrata allora nella stanza, e
le aveva susurrato all'orecchio:
-
Ditele voi che si rovina, che quello è nientemeno che
monsignor Pagni, un prelato, un giudice della Sacra Consulta!
L'effetto
che il buon prete si riprometteva dal suo avvertimento fu ben diverso
nel fatto.
Teresa,
che già aveva letto qualche cosa di sinistro nella ciera del
prelato travestito, e che ora si rendeva certa delle turpi intenzioni
che avevano spinto quell'uomo malvagio nella sua casa, montò
su tutte le furie, e senza alcun riguardo si diede a gridare:
-
Un sacerdote che mentisce le sue vesti per introdursi in una casa di
gente onesta, non può venirci che con cattive intenzioni! E se
è poi un prelato che opera così, non può essere
altro che un indegno ministro del Signore!
Poi,
volgendosi a monsignor Pagni, che fingeva di non capire, esclamò
con maggior forza:
-
Ha inteso, monsignore?
-
Che dici, Teresa? chiese Lucia maravigliata.
-
Ma sì, rispose quella, non hai visto che ha la chierica?
E
con piglio buffonesco accennò la testa di monsignore, il
quale, essendosi alquanto voltato, aveva posto in evidenza il segno
ecclesiastico della tonsura.
Poi
Teresa aggiunse, con quanta espressione di sprezzo può
assumere una donna:
-
La vada a dir messa, la vada!
Monsignore,
che poco prima si era fatto rosso per la collera, ora divenne a un
tratto pallido, anzi livido in volto; i suoi occhi balenarono di
fosca luce, come se avessero schizzato fuori il veleno della rabbia
concentrata.
Non
parlò, non fiatò; stese la mano con gesto di minaccia,
come se avesse detto: "Me la pagherete!"
E
furiosamente partì.
È
impossibile descrivere la tremerella che assalse don Omobono. Fuori
di sè per la paura, accompagnò il prelato incollerito
fin sulla porta, e sprofondandosi in un inchino, balbettò
sommessamente:
-
Ecce....cellenza.... reve.... reverendissima!
Poi,
tornato in mezzo alla stanza, colla più comica disperazione
disse alle donne:
-
Povere voi! che cosa avete fatto!
-
E non dovevamo trattarlo così? esclamò Teresa. Si provi
a ritornare!
-
Ma non capite, replicò don Omobono, che vi siete rovinate? E
quello ch'è peggio si è che avete rovinato anche me,
che non ci entro per nulla.
-
E che? chiese Lucia alquanto allarmata. Credete che sarà
capace di farci del male?
-
Monsignor Pagni! esclamò il prete. Altro che male! Intanto per
la prima farà carcerar davvero vostro marito.
-
Arrestarmi Peppe? e perchè poi?
-
Oh bella! per vendicarsi di voi, per costringervi a domandargli
grazia.
-
Ah! non è possibile tanta perfidia!
-
Non è possibile? ma se son casi che si vedono ogni giorno.
-
Oh Dio mio! se Peppe sapesse!... Non gli dite nulla per carità!
-
È meglio anzi avvertirlo, disse Teresa.
-
Ah no!
-
Eccolo.
Infatti
Monti entrava nella stanza.
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