XIII.
Il
giudice processante e l'avvocato.
Era
passato un mese dopo gli avvenimenti narrati nei capitoli precedenti,
quando due uomini s'incontrarono nelle anticamere del palazzo Rizzi,
e insieme furono introdotti nel salotto della principessa.
L'uno
era il giudice processante Marini, vera figura da inquisitore in
abito secolare; lungo, scarno, occhi grifagni, naso adunco, bocca che
si spalancava in modo spaventoso, dita lunghe, sottili, artigliate.
Era qualche cosa di mezzo fra l'uomo e l'avoltojo.
L'altro
presentava col primo un marcato contrasto: giovane dalla fisonomia
simpatica, dall'occhio trasparente, dalla fronte elevata, pareva
l'ideale della franchezza e della lealtà: era il giovane
avvocato Leoni.
Quei
due personaggi si scambiarono al primo incontro un freddo saluto.
Quando furono soli nel salotto, il giudice pareva che volesse
scandagliare l'avvocato co' suoi sguardi penetranti; poi gli si
avvicinò, e cominciò con accento melifluo:
-
Ho piacere di avervi incontrato, signor avvocato; è un dolce
conforto quello di rivedere gli amici dopo i pericoli e la sventura.
-
Grazie, signor giudice, grazie, rispose seccamente Leoni.
-
Finalmente si respira liberamente, riprese Marini. I tentativi
diabolici dei nostri perversi nemici andarono in perdizione. Il trono
del Sommo Pontefice si basa ormai sopra incrollabili fondamenta.
-
Sopra le armi francesi, non è vero, signor giudice? disse
l'avvocato Leoni con un sorriso impercettibile d'ironia.
-
Le armi francesi furono mandate dall'Onnipotente a difendere il suo
rappresentante. Gli empi satelliti9 dell'inferno furono
vinti.
-
Colla potenza delle armi spirituali!
-
Ecco la signora principessa.
La
principessa Rizzi entrava infatti nel salotto vestita con un elegante
abito da mattina. L'affanno di una celata angoscia traspariva nel suo
volto incantevole, come un'aura ineffabile di poesia.
Essa
salutò con un grazioso inchino i due visitatori, che
l'aspettavano.
Il
giudice processante fece tre o quattro reverenze profonde, dicendo:
-
M'inchino umilmente all'eccellentissima signora principessa. Come sta
la sua preziosissima salute?
-
Sto bene, rispose freddamente la principessa. Poi volgendosi a Leoni:
Come va, signor avvocato? gli disse con amabile sorriso.
-
Grazie, principessa.
-
Sedete, signori.
La
signora sedette; i due uomini l'imitarono. Poi la principessa suonò
il campanello, e al servo che comparve ordinò:
-
La cioccolata.
-
Come sta, riprese il giudice processante, l'eccellentissimo signor
principe, suo consorte degnissimo?
-
Bene, rispose la signora, poi si volse di nuovo all'altro:
Avvocato....
-
Come sta, continuò il giudice, il reverendissimo monsignore,
suo cugino?
-
Bene! Avvocato, era molto tempo che non aveva il piacere di vedervi.
-
Sapete, o signora, rispose Leoni, che io non frequento le sale
dell'aristocrazia.
-
Convien dire adunque, soggiunse la principessa, che vi conduca
qualche cosa di straordinario.
-
Non lo nego, o signora, rispose Leoni. Io son venuto a trovarvi colla
speranza di ottenere una grazia, ma una grazia di tal natura, che son
certo mi perdonerete di essere venuto per questo motivo.
Un
servo entrò, recando la guantiera colle tazze di cioccolata e
coi biscottini, e servì la principessa, e i due signori.
-
Oh squisita! esclamò il giudice processante, dopo ch'ebbe
intinto un biscottino nella sua tazza.
-
Ma se non l'avete ancora assaggiata! disse la signora.
-
Non importa; a me basta vedere la cioccolata per giudicarla. Questa è
propriamente una cioccolata alla gesuita.
-
Alla gesuita! ma voi ci spaventate, signor giudice, disse ridendo
Leoni.
-
Non vi spaventate, signor avvocato, continuò Marini. Si chiama
una cioccolata alla gesuita quella, nella quale, immerso il
biscottino, rimane diritto come un palo confitto in terra, senza
piegare nè da un lato, nè dall'altro. Tale è la
cioccolata che io prendo nella sagrestia di Sant'Ignazio, nella prima
domenica d'ogni mese, dopo aver fatta la santa comunione.
-
Dunque, soggiunse la principessa, volgendosi all'avvocato Leoni,
dicevate che avete da chiedermi qualche cosa; dite pure: vi ascolto.
-
Non a voi, signora, veramente, rispose Leoni, ma per intercessione
vostra son certo di ottenere quanto bramo, poichè la cosa
dipende da vostro cugino monsignor Pagni.
-
L'eccellentissimo e reverendissimo monsignor Pagni! soggiunse a modo
di correzione il giudice Marini, che stava intingendo il quinto
biscotto nella sua tazza.
-
Di che si tratta dunque? chiese la principessa all'avvocato.
-
Sapete, o signora, rispose questi, che si sta facendo il processo
contro coloro che hanno avuto parte nella insurrezione del mese
passato. Sarà una causa importante, terribile. Ebbene, io
ambisco l'onore di essere ammesso a difendere gli accusati
principali.
-
E ciò dipende da monsignor Pagni?
-
Sì signora, poichè egli è uno dei membri più
influenti del Supremo Tribunale della Sacra Consulta.
-
Siete ambizioso, avvocato; cercate la via di farvi un nome.
-
No signora. Non è per ambizione che io domando che mi sia
affidata questa missione difficile e pericolosa, ma perchè
nell'intimo del cuore sono convinto che quegli accusati non sono così
rei come si vorrebbe far credere. No, non sono malfattori prezzolati
quelli che impugnarono le armi nei giorni della rivolta; saranno
stati ribelli, traviati, colpevoli, se volete; saranno caduti
nell'errore, nel delitto anche, ma ciò che li spingeva era
un'idea nobile e generosa; e non dovrebbero condannarli coloro che
sostengono che il fine giustifica i mezzi!
L'avvocato
aveva pronunziate queste ultime parole (colle quali alludeva
chiaramente alla setta gesuitica) con una tinta finissima di
sarcasmo, lanciando insieme un'occhiata significante all'indirizzo
del giudice Marini.
Questi
raccolse la sfida contenuta in quello sguardo, e prese a parlare
così:
-
Col rispetto dovuto all'eccellentissima signora principessa, io non
posso soffrire che il signor avvocato prosegua su questo tuono.
Sappia il signor avvocato che io stesso sono incaricato della
inquisitoria di questo processo, e a quest'ora ho già raccolti
fatti tali da far dirizzare i capelli; ho un cumulo di prove, un
arsenale di testimonianze, confessioni giudiziali e stragiudiziali,
conquestioni, indizi probatori e amminicoli da far condannare due
terzi di Roma. E se la clemenza del Sommo Pontefice non
s'interponesse a quest'ora... a quest'ora... basta, non dico altro.
-
Ignorava, riprese Leoni, che il signor giudice Marini fosse
inquisitore di questo processo; ora tanto più sono desideroso
di sostenere la parte di difensore, per quanto egli magnifica la
gravità dell'accusa.
-
Badi, signor avvocato, che la difesa criminale è un'arma a due
tagli, e alle volte adoperandola si potrebbe insanguinare le mani.
-
Quelli che riportano le mani insanguinate per solito sono
gl'inquisitori.... e i carnefici!
Il
giovane avvocato pronunziò codeste parole con tale un tuono
sdegnoso, che il giudice si levò in piedi, pallido per la
collera, esclamando:
-
Signor avvocato!...
In
buon punto giunse il servo della principessa, annunziando ad alta
voce:
-
Sua eccellenza monsignor Pagni.
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