XV.
Due
madri.
La
principessa guardò intorno per assicurarsi che nessuno era in
quella stanza, fuorchè l'uomo che le stava dinanzi, poi gli
chiese:
-
Ebbene?
-
L'ho portato in salvo, rispose Giano.
-
Dove?
-
A Firenze.
-
E perchè hai tardato tanto?
-
Non ho voluto ritornare finchè non sono stato proprio certo
ch'egli fosse in sicuro. Adesso posso accertarla, signora, che è
assicurato per bene.
-
E non mi hai recato sue lettere?
-
No, signora.
-
Ma perchè non mi ha scritto?
-
Ecco... si è fatto male a un braccio.
-
E come?
-
È cosa da nulla. Ha detto che le scriverà appena...
-
Viene qualcuno: prendi, e parti.
Così
dicendo, pose in mano a Giano una borsa di danaro. Egli s'inchinò,
e partì.
La
persona che sopraggiungeva nel salotto era il principe Rizzi.
S'incontrò sulla soglia con Giano, e scambiò con esso
uno sguardo d'intelligenza, poi si avanzò verso la moglie.
Essa
era raggiante di gioia.
-
Principessa!... diss'egli salutandola con ironica cerimonia.
-
Voi, signore!
-
Vi trovo assai lieta.
-
E cercate indagarne la cagione, non è così, signore?
-
È una prova dell'interesse che m'ispira la mia nobile sposa!
-
Io sono avvezza a questo spionaggio di ogni ora, di ogni momento, che
mi circonda e mi ravvolge, e investiga i moti più riposti del
mio cuore. Questa volta, o mio signore, io voglio risparmiarvi la
pena. Voi cercate di conoscere la causa della mia gioia, ed io ve la
dirò. Sì, o signore, fra i giovani insorti, fra i
campioni della rivoluzione, vi era un uomo che mi era caro, sì,
caro più d'ogni altra cosa al mondo. E questo affetto, vedete,
io io confesso a fronte alta, senza l'ombra della vergogna!
-
Io ammiro la vostra franchezza, il vostro coraggio!
-
Ebbene, o signore: questo giovane, che voi avete perseguitato,
inseguito con accanimento, adesso è in salvo, è libero
come son libere le nubi dell'aria. Ne ho avuta la certezza or ora.
Egli è al sicuro dalle vostre persecuzioni: a meno che non
vogliate andare a raggiungerlo fino a Firenze.
Il
principe non rispondeva una sillaba. Solamente guardava la moglie con
un'espressione infernale di dileggio.
-
Tra noi, proseguiva essa, si era impegnata una partita, ed io l'ho
vinta; il trionfo è mio, ecco perchè mi vedete lieta.
Siete pago della spiegazione?
Il
principe seguitava a tacere, e a guardarla in modo beffardo.
-
Mi guardate e ridete! esclamò essa, atterrita suo malgrado
dall'insistenza di quello sguardo diabolico. Perchè quel riso
infernale? Esso mi spaventa e mi agghiaccia. Parlate, parlate, in
nome di Dio!
In
quel momento s'intesero delle acute grida al di fuori, e una voce di
donna che proferiva queste parole:
-
Lasciatemi!... voglio vederla!... voglio parlarle!...
-
Quali grida!
Un
servo entrò nella stanza, e disse alla principessa, che una
donna si era presentata come una forsennata al palazzo, gridando di
volere ad ogni costo parlare colla signora, e che essendole stato
negato l'ingresso, era andata fuori di sè, tanto che i servi
non poterono più trattenerla.
Infatti
quella donna giunse quasi subito sulla soglia del salotto.
La
principessa la riconobbe: era Maria Tognetti.
Maria
si lanciò ai piedi della signora.
Il
principe le guardò entrambe sempre ridendo, ed uscì.
-
Maria, buona Maria, vieni! che ti è accaduto?
Così
disse la principessa, quando fu sola colla povera donna, rialzandola,
e accogliendola amorosamente fra le proprie braccia.
-
Signora... soggiunse Maria con parole interrotte da spessi
singhiozzi. Mio figlio... mio figlio è carcerato! sarà
condannato!... Oh Dio! voi sola potete aiutarmi!
-
Mio Dio! calmati, siedi, raccontami tutto.
-
Io credeva che Gaetano fosse fuggito; aspettava una sua lettera di
giorno in giorno... e questa lettera non veniva mai! Mi è
venuto il dubbio che fosse carcerato!... Sono andata a tutti i
tribunali, a tutte le carceri: tutti mi rispondevano che non sapevano
nulla, che il nome di mio figlio sui registri non v'era. Io aveva
cominciato a persuadermi ch'egli fosse in salvo, e aspettava,
aspettava sempre che mi scrivesse. Questa mattina finalmente viene a
trovarmi uno che è uscito dalle Carceri Nove, e mi dice che
mio figlio è là dentro... là dentro, mia
signora! processato per l'affare della caserma Serristori, e corre
pericolo di essere condannato a morte!... Ahi signora, signora mia!
voi sola potete salvarlo. Per l'amor di Dio, per le piaghe del
Signore, per l'amore che portate al figlio vostro, salvate, salvate
il mio povero figlio!...
Così
dicendo. Maria s'inginocchiò nuovamente.
-
Maria, alzatevi! tranquillatevi, per pietà! soggiunse la
principessa. Tutto quanto io potrò fare lo farò; oh sì,
spero di riuscire. Calmatevi, calmatevi, Maria.
Poi
suonò un campanello. Entrò il servo.
-
Monsignor Pagni? chiese ella.
-
È nel gabinetto di sua eccellenza, rispose il domestico.
-
Ditegli che io lo prego di venire da me. Ora, Maria, ritiratevi in
questa stanza.
-
Signora, a voi mi raccomando!
-
Io vi devo la vita di mio figlio. Me fortunata, se potrò
donarvi la vita del vostro!
La
principessa condusse Maria Tognetti in un gabinetto attiguo, e ne
chiuse la porta.
Monsignor
Pagni comparve nel salotto.
-
Io ho bisogno di una grazia suprema, disse la signora appena egli fu
entrato. Non mi parlate d'impossibilità. Ciò che vi
domando è necessario. Io stessa sono disposta a cosa che fino
a questo momento credetti impossibile, a perdonarvi tutto il passato,
a dimenticare tutto, purchè voi mi accordiate quello che sono
per domandarvi.
-
Se ciò che chiederete dipende da me, è mio dovere
l'obbedirvi. Comandate.
-
Non finte proteste! Io so che voi potete tutto; e quanto sono per
chiedervi non eccede certamente il vostro potere. Se vorrete, mi
esaudirete.
-
Parlate.
-
È necessario che uno de' processati per la rivolta sia salvo.
-
Quando sarà pronunziata la sentenza, vedremo...
-
No, no: non si deve frapporre indugio; ogni giorno, ogni minuto che
quel giovane passa in carcere, è contato con angoscia
indicibile dalla sua povera madre. Io voglio che oggi stesso quella
donna sia consolata. Questa sera...
-
Impossibile!
-
Non lo dite. Io so che voi potete accordare la libertà a uno
di quei detenuti.
-
E come ordinare la scarcerazione di un reo di lesa maestà? Ma
ciò è impossibile assolutamente, lo ripeto.
-
È questa l'ultima vostra parola?
-
L'ultima, la sola.
-
Ebbene, disse la principessa dopo un istante con risoluzione: Voi non
mi vedrete mai più.
-
Cugina!
-
Ho deciso.
-
Che cosa?
-
Non m'interrogate. Fui troppo vile per essermi esposta a un vostro
rifiuto.
Il
silenzio regnò per qualche minuto nella sala. La principessa
era seduta in un seggiolone collo sguardo fisso dinanzi a sè.
Monsignor Pagni, in piedi a poca distanza, la guardava cupamente.
Finalmente egli disse:
-
Voi, o signora, volete ottenere per mio mezzo la salvezza di un uomo
che amate.
-
Non è vero!... Ve lo giuro per la mia estrema salute. Non si
tratta che di un debito di gratitudine. L'uomo ch'io voglio salvare,
è il figlio di una donna, a cui debbo più che la vita.
-
E nessun altro vincolo vi lega a lui?
-
Nessuno.
-
Non è desso...?
-
È un povero giovane, un semplice muratore.
-
Ebbene, vi farò vedere quanto mi è preziosa la vostra
amicizia. Per servirvi mi espongo a un'assoluta rovina. Mi faccio
complice della evasione di un detenuto politico!
E
il prelato andò a scrivere alcune linee sopra un foglietto di
carta, poi lo porse alla principessa.
-
A voi!... Il capo-custode delle Carceri Nove consegnerà uno
dei prigionieri a chi gli presenterà questo viglietto.
-
Oh grazie!
Così
dicendo essa vinse un intimo senso di ribrezzo, e stese la sua destra
a monsignor Pagni.
Egli
prese quella mano, la strinse, sorrise, e uscì dalla stanza.
-
La principessa aperse la porta del gabinetto e chiamò Maria.
-
Ho vinto... ho ottenuto! Tuo figlio è salvo.
-
Mia buona signora! esclamò Maria, baciandole ripetutamente la
mano.
-
Ascolta: questa notte dobbiamo farlo uscire dalla prigione, e ridurlo
in salvo. Prendi questo danaro; cerca una vettura. A mezzanotte ti
troverai con quella in via Giulia innanzi alle Carceri Nove. Là
mi rivedrai.
-
Oh grazie! grazie! A mezzanotte.
Maria
Tognetti baciò un'ultima volta le mani della principessa, e
partì col cuore pieno di speranze e di preghiere.
-
A mezzanotte! disse fra sè. Vi sarò io pure!
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