XIX.
Il
figlio.
Frattanto
il giudice inquisitore si fregava le mani, e diceva al cancelliere
Passerini:
-
Benissimo! benissimo! ecco il frutto delle mie operazioni notturne.
Noi cominciamo ad avere in mano un filo della trama, e questo filo
basterà per svolgerla tutta quanta.
Poi,
volto a Petronio, ch'era ritornato, dopo avere cautamente cancellati
da' suoi occhi i vestigi del pianto pietoso:
-
Presto, presto, disse. Fate venire l'accusato Gaetano Tognetti.
Tognetti
dormiva, e fu risvegliato dalla voce e dalla mano di Petronio, che lo
scuoteva.
-
Chi è? mia madre? gridò l'infelice giovane,
svegliandosi all'improvviso.
-
Altro che mamma! c'è qui il giudice che vi aspetta.
-
E che vuole il giudice da me?
-
Vuole esaminarvi.
-
Proprio adesso che stava dormendo. Maledetti! non ci lasciano
riposare nemmeno alla notte.
Questo
breve dialogo ebbe luogo fra Tognetti e il carceriere, mentre
quest'ultimo eseguiva la penosa operazione di costringergli le mani
nei ferri, senza i quali, non potevano i detenuti comparire alla
presenza di Sua Signoria illustrissima.
-
Come ti chiami? cominciò il giudice, quando Tognetti fu alla
sua presenza.
-
Non lo sapete? Mi avete pur fatto chiamare.
-
Sei Gaetano Tognetti?
-
Se l'ho detto che lo sapete! perchè dunque me lo domandate?
-
Meno arroganza, giovinotto, e rispondi a dovere. Come hai passata la
sera del 22 ottobre?
-
E voi, come l'avete passata?
-
Rispondi a dovere. Come hai passata la sera del 22 ottobre?
-
So molto io!... E chi se ne ricorda?
-
Questi infingimenti sono inutili! esclamò il giudice,
adoperando questa volta la ciera brusca, per atterrire il giovane
Tognetti. Consta alla giustizia che in quella sera tu hai preso parte
alla nefanda ribellione; consta che hai commessi misfatti e nequizie
senza termine; consta che hai perpetrati omicidi, ferite, ed altri
crimini e delitti; consta sopratutto, che ti sei macchiato del
crimine di lesa maestà in primo grado.
-
Consta, consta, consta! soggiunse Tognetti con piglio beffardo. E se
vi consta tutto questo, perchè mi venite a interrogare?
-
Per ottenere dal tuo labbro la genuina narrazione del fatto.
-
Resterete colla voglia in corpo, perchè da me non otterrete
nessuna confessione.
-
Pensa, riprese il giudice, pensa che la negativa non potrà
giovarti, perchè i tuoi stessi compagni ti hanno accusato, e
sopratutto Giuseppe Monti, che è stato esaminato in questo
punto prima di te. Esso ha raccontato ed esposto per filo e per segno
la compartecipazione che tu hai avuta nella perpetrazione del reato.
Tognetti,
niente spaventato dal volto arcigno, nè dai biechi sguardi, nè
dalle fiere parole del processante, volendo almeno vendicarsi collo
scherno, che è l'ultima sfida dei vinti, si mise a ridere, e
disse:
-
Queste sono tutte bugie: ed io non credo un'acca di quanto mi dite.
Nessuno de' miei compagni è capace di un simile tradimento.
Voi mi date ad intendere queste fandonie per farmi cadere nella rete,
e poter poi vantare che mi avete indotto a fare una confessione
spontanea. Ma con me non ci arrivate, sapete.
-
Pensa, gridò il giudice, piantandogli in faccia que' suoi
occhiacci grifagni, pensa, che persistendo in questo contegno tu vai
incontro diritto diritto alla morte!
-
E che m'importa? soggiunse il giovane. Credete che io non capisca che
la nostra sorte è decisa fino d'adesso? A che mi gioverebbero
le umiliazioni, i pianti e le preghiere? a niente; avete già
destinato di farmi morire. Ebbene io morirò; ma voi non avrete
la consolazione di vedermi a piegare la fronte, e dimandarvi perdono.
Io morirò sì, ma almeno voglio avere la soddisfazione
di parlare liberamente fino all'estremo della mia vita.
-
Pensa all'anima tua! disse l'inquisitore con voce lugubre.
-
I conti dell'anima, io li faccio direttamente col mio Dio: fate lo
stesso anche voi.
-
Pensa alla tua vecchia madre.
-
Mia madre! poveretta! esclamò Tognetti con tenerezza mista di
rabbia. Voi altri infami la farete morire di dolore!
-
Vedo che sei un peccatore indurito, soggiunse il processante,
crollando la testa. Ritorna nella tua prigione!
E
questo aggiunse con un gesto di ripulsione, con cui pareva dicesse le
parole sacramentali degli esorcisti: Vade retro Satana!
Suonava
appunto la mezzanotte, nel momento in cui Petronio rinserrava coi
chiavistelli la segreta, ove era rientrato Tognetti.
-
È mezzanotte! disse il cancelliere, sollevando per la prima
volta la punta del naso dalle sue carte, e guardando il suo
principale. Il pover'uomo sperava che fosse giunto il termine del
lavoro, poichè dal grande scrivere aveva le dita tutte
indolenzite. Ma la sua speranza fu delusa.
-
Prima che ce ne andiamo, disse il giudice, voglio interrogare
nuovamente Curzio Ventura. Appoggiandomi sulla confessione di Monti,
potrò cavare qualche cosa anche da lui.
E
a Petronio, ch'era di ritorno, al solito, col mazzo delle chiavi e la
sua berretta nelle mani:
-
Animo, disse, andate a prendere il detenuto Curzio Ventura.
Una
carrozza si fermò in quel momento innanzi alla porta delle
Carceri Nove.
Era
la principessa Rizzi, che giungeva con Maria Tognetti.
La
principessa comandò a Maria di aspettarla nella carrozza; poi,
dopo avere abbassato il velo sul volto, si presentò al
cancello della prigione, chiese del capo-custode, e a questi mostrò
lo scritto di monsignor Pagni.
Il
capo-custode s'inchinò profondamente, e condusse la signora
attraverso un labirinto d'anditi e di scalette, fino a quel tal
camerone, a cui mettevano capo le porte di tante segrete, e nel quale
vedemmo già il secondino Petronio lottare col sonno. Giunto
quivi:
-
Sono ai comandi di vostra eccellenza, disse il capo-custode, che
aveva fiutato la gran dama.
-
Come vedete, soggiunse la principessa, che teneva sempre in mano il
foglio: quest'ordine di monsignore vi comanda di consegnarmi il
prigioniero che io nominerò.
-
Eccellenza, sì. Qual è il prigioniero che devo
consegnarle?
-
È...
La
principessa Rizzi stava per pronunziare il nome di Gaetano Tognetti,
ma nello stesso punto si arrestò, e invece di quel nome emise
un grido acutissimo.
Essa
aveva veduto aprirsi una fra le porte ferrate delle segrete, e
uscirne scortato da un secondino un giovane prigioniero. Era Curzio
Ventura, che veniva condotto da Petronio innanzi al giudice Marini.
Lo
vide essa appena, che lo riconobbe: ma pure non credeva a' suoi
occhi, e si avvicinò a guardarlo meglio nel viso; poi fra i
singhiozzi esclamò:
-
Curzio! Curzio! sei tu?
Intese
la voce della madre il giovane, e mosse per abbracciarla, ma lo
impedirono i ferri che gli tenevano strettamente avvinte le mani e le
braccia.
Il
giudice Marini, cui già pareva troppo lungo l'indugio del
carceriere, che doveva condurgli dinanzi l'inquisito, all'udire,
quelle voci, uscì fuori dalla stanza degli esami, e venne nel
camerone, seguito a breve distanza dal suo indivisibile cancelliere
Passerini.
-
Che significa ciò? esclamò vedendo una signora in atto
di favellare al detenuto. Che cosa cerca quella donna? cacciatela
fuori!
La
principessa allora si avvicinò al giudice, e sollevando il
velo, che subito dopo abbassò nuovamente, gli mostrò
chi essa era.
Il
giudice si raumiliò tutto; e cercando di emendare le maniere
ostili di prima a furia di servilità, s'inchinò fino a
terra, dicendo:
-
Eccellenza, che cosa comanda?
-
Guardi questo foglio, diss'ella, mostrandogli lo scritto. Conosce il
carattere di monsignor Pagni?
Il
giudice processante lanciò sulla carta uno sguardo, con cui si
assicurò ben bene dell'autenticità della firma, poi
disse:
-
Ma ella è padrona, padronissima, collo scritto e senza
scritto; può fare e disfare quello che vuole.
La
principessa si volse allora al capo-custode, e disse, indicando
Curzio:
-
Il prigioniero che dovete consegnarmi è questo.
Ad
un cenno del capo-custode, Petronio, tutto lieto, si affrettò
a togliere le manette al detenuto.
-
Venga, signor cancelliere, abbiamo finito, diceva intanto il giudice
a Passerini; e questi, contento anch'esso come Petronio, raccolse in
fretta le carte e le penne.
Marini,
passando innanzi alla signora, si sprofondò nuovamente in un
inchino, dicendo:
-
Servo umilissima di vostra eccellenza! e si diresse verso la scala,
seguilo dal suo caudatario.
-
Curzio, affrettati, vieni! disse a Curzio la principessa.
-
Dove? chiese il giovane sbalordito.
-
In libertà, rispose ella, in libertà! Io posso
salvarti; ma non tardare, vieni.
-
Io dovrò fuggire, salvarmi, esclamò Curzio, mentre i
miei fratelli rimangono in carcere, colla morte sospesa sui loro
capi?
Essa
non si attendeva quella resistenza; tremò che qualche ostacolo
sopraggiungesse a frapporsi alla salvezza del figlio, e cercando un
mezzo d'indurre Curzio a seguirla, esclamò:
-
I tuoi compagni! anch'essi saranno salvi.
-
Anch'essi?
-
Sì, te lo prometto; ma ora non indugiare, vieni, altrimenti
non saremo più in tempo... Pensa che frapponendo un ritardo,
non solo cagioni la tua perdita, ma anche la loro.
Cieca
per la paura di quella situazione tremenda, ansiosa di persuadere il
figliuolo a seguirla, la povera madre non sapeva più che dire.
E
Curzio riprese:
-
Avrai tanto potere da salvarli anch'essi?
-
E non ho il potere di farti fuggire?
-
Mi giuri che otterrai anche la loro salvezza?
-
Sì, te lo giuro. E ora vieni, se pure non vuoi perdere anche
tua madre. Se tu rimani, io, no, non mi divido da te!
-
Ebbene, io vengo teco! disse Curzio, dopo aver pensato un ultimo
istante. Accetto la libertà, ma a patto che ne godranno anche
i miei compagni.
-
Fidati in me; vieni.
Così
dicendo, la principessa conduceva seco Curzio; quando, giunta con
esso al cancello del camerone, s'imbattè sulla soglia con
monsignor Pagni.
-
Fermatevi, o signora! gridò il prelato.
Essa
si arrestò come impietrita. Curzio si ritrasse sdegnosamente
lontano.
-
Voi mi avete ingannato, disse monsignore a bassa voce alla
principessa.
-
Lasciatemi! diss'ella.
-
Fermatevi, ripigliò monsignor Pagni. Voi non uscirete di qui
con quell'uomo. È quello il giovane muratore che volete
salvare? pel quale mi chiedeste un salvacondotto? quello è lo
scultore Curzio Ventura, che la fama dice vostro drudo; e non erra,
perchè gli è per salvar lui che voi abusaste della mia
buona fede; è per salvar lui che voi siete qui dentro!
-
Se sapeste... disse la principessa. Io non posso tutto spiegarvi. In
nome di Dio, lasciatemi uscire!
-
Voi non uscirete con lui, vi dico.
-
Ebbene, volete tutto sapere? sappiatelo, soggiunse ella con
risoluzione; e fattasi dappresso al prelato, parlandogli
all'orecchio, con voce sommessa ma vibrata continuò:
-
No, non è una tresca impudica che mi lega al giovane scultore;
è l'amore il più puro, il più santo; è
l'amore di madre!... Sì, io sono la madre di Curzio
Ventura!... E, se non basta, sappiate ch'egli ha vent'anni, ch'egli è
nato dopo che voi mi abbandonaste indegnamente al rimorso e
all'infamia. M'intendete, o signore?
Monsignor
Pagni, colpito profondamente da quelle parole, guardò fisso la
principessa; lesse ne' suoi occhi smarriti l'espressione del vero;
volse lo sguardo dalla parte ov'era Curzio tutto tacito e
concentrato, esclamò:
-
Egli è mio...
-
Tacete! gl'impose essa con un gesto eloquente.
Il
prelato la rassicurò con un cenno della mano; poi si avvicinò
al giovane, guardandolo con tutta l'espressione dell'affetto.
Curzio
all'appressarsi del monsignore si arretrò alquanto, e lo fissò
con quell'occhiata di schifo e di diffidenza, che suol volgersi ad un
rettile velenoso.
Il
prelato si arrestò, curvò la testa, rimase un istante
in silenzio, poi voltosi alla principessa:
-
Andate, signora, le disse; voi siete libera di partire.
Essa
prese Curzio per mano, e traendolo seco, scese precipitosamente le
scale, i cancelli della prigione si aprivano l'uno dopo l'altro
innanzi allo scritto di monsignor Pagni.
Giunta
che fu sulla strada, la principessa trovò Maria Tognetti, che
impaziente di abbracciare suo figlio, era scesa dalla carrozza, e si
era avvicinata alla porta della prigione.
Appena
vide giungere la sua protettrice seguita da un giovane carcerato,
porse innanzi le braccia per stringere al seno il suo figliuolo; ma
vedendo, invece del suo Gaetano, Curzio, che la principessa fece
salire rapidamente nella carrozza, salendo anch'essa subito dopo, la
povera Maria rimase immobile e muta. Voleva gridare, chiamare suo
figlio, chiederne conto alla principessa, lanciarsi allo sportello
del legno, al cancello delle carceri. Ma la sorpresa, l'emozione, il
contrasto, le tolsero a un tratto il movimento e la parola. Agitò
le mani, mandò un rauco gemito, ma si sforzò invano di
muoversi e parlare.
La
principessa sentì tutto il pericolo di quel momento; se Curzio
si accorgeva dello scambio, pel quale esso veniva salvato invece del
suo compagno Tognetti, avrebbe rifiutato di fuggire, e chi sa cosa
sarebbe avvenuto.
La
paura la rese crudele; seguendo l'impulso irresistibile dell'amore
materno, che fa anteporre la salvezza di un figlio ad ogni altra
considerazione, comandò al cocchiere di far partire la
carrozza al galoppo.
Maria
vide allontanarsi rapidamente il legno, e con esso ogni sua speranza;
guardò anche una volta le tetre muraglie che le contendevano
il figlio, mandò un grido, e cadde riversa sopra il selciato
della via.
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