XXII.
Per
salvarlo.
Misteri
del cuore umano!
Vedemmo
abbastanza quanto fosse perversa l'anima di monsignor Pagni. Eppure
uno spiraglio di luce era penetrato in quel tanto bujo. Quando la
principessa gli fece comprendere quale vincolo misterioso passasse
fra lui e il prigioniero Curzio, quell'uomo crudele, dal cuore
incallito nella ferocia spietata, provò qualche cosa
d'incognito, di nuovo che si agitava dentro di lui, e si sentì
spinto a volere la salvezza di quel giovane, ad amarlo!
Se
il prelato avesse avuto una famiglia, una moglie, dei figli, il suo
cuore ingentilito dalla dolcezza dei domestici affetti, non sarebbe
mai giunto a quell'eccesso di perfidia nel quale era piombato. Ma
così chiuso e serrato, come egli era, nell'egoismo
ecclesiastico, siccome in un involucro impenetrabile ai più
dolci sentimenti dell'umana natura, egli sentì a poco a poco
la malvagità farsi arbitra assoluta delle sue azioni. E quel
lampo di bene che gli balenò nella mente insieme alle parole
mio figlio! quel lampo fugace si era perduto ben presto nelle
fitte tenebre della sua anima fosca.
Ora,
in mezzo al più brutale sfogo della sua perfidia, egli veniva
sorpreso da un tenero sentimento al pensiero che Curzio si trovava
nuovamente in pericolo della vita. Mistero inconcepibile! Quell'uomo
istesso che pochi minuti prima aveva sorriso con barbara compiacenza
innanzi agli strazi della povera Lucia Monti, ora si affrettava, e
accorreva anelante per salvare la vita di un uomo!
La
carrozza di monsignore Pagni si fermò in Piazza del Popolo
innanzi alla caserma dei gendarmi papali.
La
guardia uscì fuori; si schierò in parata; furono
presentate le armi al prelato; e gli ufficiali scesero ad
incontrarlo.
Ebbe
egli appena manifestato il desiderio di parlare coll'arrestato, che
fu posta a sua disposizione la miglior camera del quartiere; là
dentro fu condotto alla sua presenza Curzio Ventura; e a un cenno di
monsignore furono lasciati soli.
Curzio
guardò sdegnosamente il prelato.
-
Accomodatevi, disse questi, sedete, qui, vicino a me, senza
cerimonie; non abbiate timore.
-
Io non ho timore, rispose il giovane, e rimase in piedi.
-
Voi non dovete vedere in me, riprese monsignor Pagni, nè il
giudice, nè il prelato: consideratemi come un buon amico, che
vuole il vostro bene, ed è venuto qui unicamente per giovarvi.
Curzio
lo guardò, esprimendo la sua incredulità con un
sorriso.
-
Io sono mandato dalla principessa Rizzi, aggiunse allora Pagni.
-
E che vuole essa da me? disse vivamente il giovane, essa mi ha
ingannato!
-
Per salvarvi.
-
Essa mi ha ingannato! ripetè Curzio con maggior forza. Ella
sapeva che io non avrei accettata la mia salvezza che ad un patto, e
questo era che con me sarebbero salvi i miei compagni Monti e
Tognetti. Come ha essa mantenute le sue promesse? Monti e Tognetti
languono tuttora nelle Carceri Nove; dipendono sempre dal sanguinario
tribunale della Sacra Consulta, e sulle loro teste sta sospeso il
ferro della ghigliottina! E poteva io intanto starmene in sicurezza,
sano e salvo, al di là dei confini, rinnegando l'amicizia, la
solidarietà, la fratellanza, tutti i sentimenti, che mi legano
a quegli infelici? Ah, no!... Dite alla principessa che le sue cure,
i suoi inganni, furono vani; io sono ritornato!
-
A che ritornaste, sconsigliato? Sperate forse di ridonare la libertà
a coloro che nominaste, ormai non è più cosa possibile.
-
Ebbene, io sarò pago di morire con essi. Sapranno almeno che
io non ho acconsentito a dividere la mia dalla loro fortuna.
-
Ah giovane, giovane! esclamò monsignor Ragni crollando la
testa: questi sentimenti sono belli da leggersi nei libri di
Plutarco, ma nella realtà della vita...
-
Voi, voi, sacerdoti, proruppe Curzio, ci vorreste santi nelle
massime, perfidi nella realtà. Voi ci vorreste ipocriti e
bugiardi, anneghititi e schiavi, turpemente vigliacchi, per tenerci
più sicuramente il piede sul collo. Ma no, viva Dio! qui
dentro abbiamo ancora un alito di vita; e tanti secoli, nei quali ci
avete addensata intorno quest'atmosfera di piombo non ebbero potere
di soffocare ne' nostri petti il libero respiro. Arde ancora,
scintilla la virtù latina. E voi lo sapete, voi che tremate,
nell'intimo del cuore; e paurosi vi raccomandate alle spie e ai
carcerieri, ai monaci e al boja, perchè sperdano e struggano
la semenza dei framassoni! Sciagurati! a che vi giovano le
catene ed il sangue? Un popolo non si uccide, un'idea non si
estingue. Il sangue sparso ricade in tanta vergogna sulle vostre
teste; e affretta il giorno della giustizia.
-
Sangue caldo! testa esaltata! pensava intanto fra sè il
prelato, crollando sempre la testa. Se io lo rimettessi in libertà,
costui si rovinerebbe senza rimedio. Come fare adunque?
Stette
alquanto pensieroso come chi cerca un consiglio, poi con un gesto
risoluto.
-
Non c'è altro partito! esclamò.
Si
alzò, si avvicinò a una tavola; scrisse alcune righe
sopra un foglio, volse un ultimo sguardo a Curzio senza parlare, e
uscì dalla stanza.
Consegnò
lo scritto con poche parole a un ufficiale superiore dei gendarmi,
che lo accompagnò fino alla carrozza. Prima di salire in legno
il prelato porse la sua mano a baciare agli ufficiali, poi ordinò
al cocchiere:
-
Al Vaticano!
Poche
ore dopo la visita di monsignor Pagni, Curzio veniva posto in una
vettura chiusa ermeticamente, la quale si avviò colla scorta
dei gendarmi a cavallo verso Civitavecchia. Giunto in quella città,
fu introdotto nella fortezza, e là dentro venne serrato in una
prigione, e dato in custodia ai profossi militari.
Da
quel momento il più assoluto segreto circondò il
prigioniero. I suoi guardiani erano tedeschi, che non sapevano una
parola d'italiano. Avevano per consegna di usargli ogni riguardo, di
non lasciargli mancare alcuna cosa; e nello stesso tempo d'impedire
il minimo tentativo d'evasione e qualsiasi comunicazione del detenuto
col di fuori.
Curzio
non vide più che i volti austeri dei profossi, dei quali non
capiva il linguaggio, e che dal canto loro non comprendevano il suo.
Egli divenne qualche cosa di simile al famoso prigioniero della
maschera di ferro, poichè nessuno sapeva nella fortezza
chi fosse, e perchè si trovasse là dentro. Solamente,
fra i soldati esteri, di cui si componeva la guarnigione, si era
sparsa la voce, che Curzio fosse un colonnello delle truppe
pontificie, passato al nemico nella occasione dell'insurrezione, il
quale aspettava di essere giudicato da un consiglio di guerra.
Monsignor
Pagni, per salvargli la vita aveva ottenuto dal cardinale Antonelli,
che Curzio restasse rinchiuso in quella fortezza e rigorosamente
guardato e inaccessibile, fino a che fosse compiuto e definito il
processo di Lesa Maestà, dal quale doveva essere escluso il
suo nome.
La
povera Maria Tognetti, la quale era rimasta come pazza pel dolore,
quando la principessa Rizzi aveva salvato il proprio figlio invece di
Gaetano Tognetti, si era presentata più volte al palazzo
Rizzi, chiedendo di parlare colla principessa, ma sempre le era stato
negato. La necessità terribile della situazione aveva resa
spietata quella signora, che pure ebbe da natura un buon cuore. Essa
aveva più volte pregato monsignor Pagni, perchè
liberasse anche Tognetti, ma egli aveva sempre opposto che non era
possibile, che c'era stato bisogno di tutto il suo credito per
coonestare la liberazione di Curzio, che quella stessa non era
riuscita che per sorpresa, che il tentarne un'altra sarebbe stata
opera vana, che le più severe misure erano state prese perchè
non avesser più a verificarsi simili cose, e finalmente che la
sua stessa potenza non sarebbe bastata ad effettuarla.
Le
preghiere della principessa non l'avevano dunque condotta ad alcun
risultato, ed è perciò che non potendo esaudire la
Maria, e, non avendo cuore di sopportare i suoi lamenti, e i
rimproveri ch'essa aveva diritto di volgerle, era venuta nella
crudele determinazione di tener chiusa la sua porta alla povera
madre.
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