XXX
Tradimento.
Curzio,
venuto fuori sulla loggia ed affacciatosi al parapetto, si accorse
con meraviglia e piacere, che quella volta i galeotti addetti alle
opere muratorie della fortezza, erano molto più vicini a lui
che non fossero il dì prima. Essi lavoravano in quel giorno
sopra una specie di ponte mobile, situato a ridosso di quella parte
del maschio, ov'egli appunto si trovava.
A
un leggero sibilo ch'egli emise, un forzato, che Curzio riconobbe per
quello stesso che nel giorno innanzi gli aveva fatto cenno di
aspettare, volse la testa in su, e appena lo vide, gli fece un altro
segno, più espressivo del primo, col quale gli diceva con
tutta evidenza: Tenetevi pronto.
Curzio
rimase intento cogli occhi ad ogni più piccolo moto di quei
condannati; gli parve che quel medesimo che gli aveva diretti quei
segni, scambiasse un rapido cenno col loro guardiano. Poi di lì
a poco, come se avessero terminato il lavoro della giornata, i
galeotti a due a due sfilarono giù dal ponte: uno solo rimase:
era proprio quello che aveva stretta seco una segreta intelligenza.
Era di quelli che non portavano la catena.
Il
giovane prigioniero non ebbe tempo di maravigliarsi del come quel
forzato avesse potuto rimanere indietro sul ponte non ostante la
sorveglianza del guardiano, chè una sorpresa più forte
lo aspettava. Appena il condannato fu rimasto solo, con una sveltezza
e un'agilità, che lo dimostravano provetto in siffatti
esercizi, si diede a salire ponendo i piedi sulle ineguaglianze del
muro, come avrebbe fatto sui gradini di una scala. Fu così
rapida la sua salita, ch'egli giunse al parapetto e saltò
dentro la loggia di Curzio, prima che questi potesse rendersi ragione
di tutta l'estensione del pericolo che quell'uomo correva, e prima
che nessuna delle tante sentinelle che vigilavano all'intorno si
accorgesse di quel viaggio prodigioso.
-
Presto, presto! disse quell'uomo appena fu vicino a Curzio; vestitevi
con questi abiti.
E
così dicendo in un baleno egli si trasse di dosso la casacca,
i calzoni, e il berretto a righe gialle e nere, che formavano il suo
vestiario da galeotto.
Curzio
rimase un istante irresoluto; per quanto forte fosse il desiderio
ch'egli aveva di fuggire dalla sua prigione, si arrestò per un
momento innanzi all'idea d'indossare quegli abiti. Ma vinse ben
presto la ripugnanza, e spogliati con prestezza eguale a quella del
condannato il suo soprabito e i suoi calzoni, si vestì
rapidamente cogli abiti di colui.
-
Ora, gli disse il galeotto, scendete subito per la strada per la
quale io sono montato; la discesa vi riuscirà certo più
facile della salita.
-
E poi? chiese Curzio.
-
Poi raggiungete il drappello dei forzati, e non temete. Il guardiano
farà il resto.
Dunque
il guardiano era d'accordo, pensò Curzio. Ma non era tempo da
riflessioni. Salutò con un'occhiata più che con la voce
quell'uomo misterioso; misurò collo sguardo la distanza che lo
separava dal ponte mobile, scavalcò il parapetto, si aggrappò
a quello colle mani, lasciò andare le gambe, cercò coi
piedi un appoggio, e coi piedi e colle mani attaccandosi ai buchi
della muraglia e alle rotture delle pietre diroccate, discese per
l'altezza di cinque o sei metri, finchè cadde, più che
non arrivasse, sul ponte. Di lì senza perder tempo entrò
nella finestra, per la quale si penetrava nell'interno dell'edifizio.
S'incamminò per un corridoio che trovò aperto dinanzi,
e in fondo a quello raggiunse il drappello dei forzati, al quale
doveva unirsi. Il guardiano gli fece un segno segreto con cui gli
confermò la sua connivenza.
Curzio
si confuse nel branco dei galeotti, e il guardiano li avviò
innanzi.
Essi
passarono corridoi, scalette, e baluardi, finchè giunsero nel
cortile della fortezza, e di quivi passarono dalla gran porta, per
ridursi alla darsena. Era cosa consueta, e nessuno vi faceva
attenzione.
Quando
furono giunti fuori della fortezza, si avviarono giù per una
stradella vicina. In quella via il guardiano s'incontrò in un
suo collega e con quello scambiò poche parole, dopo le quali
gli cesse la guardia del drappello, ed egli col solo Curzio si avviò
da altra parte.
È
cosa consueta in Civita-Vecchia dove i galeotti sono occupati in ogni
sorta di lavori, anche pei privati, il vederne un solo scortato da un
guardiano volgere in una direzione qualunque.
Curzio
e il guardiano passarono per molte vie, finchè si condussero
all'aperta campagna. Quando furono giunti a un certo punto il
guardiano fe' cenno a Curzio di fermarsi, poi si volse indietro, si
accertò che non erano spiati da nessuno, e disse:
-
Seguitemi!
Presero
un sentiero di traverso, camminarono senza altre parole. Passarono in
mezzo a una melanconica pianura, intralciata da roveti e da acque
stagnanti, percorsa qua e là dalle mandre di bufali e di
cavalli selvaggi; sì ch'era forza ad ora ad ora ripararsi
nelle staggionate12.
Il
guardiano si fermava ad ogni tratto, e guardava intorno come per
orizzontarsi, poi proseguiva il cammino, Curzio si fermava con esso,
e con esso riprendeva la strada.
Andavano
e tacevano. Pareva inutile a Curzio il fare domande. O quell'uomo
voleva salvarlo, ed egli non aveva che a seguirlo per ridursi a buon
porto: od era un traditore, e in questo caso egli era ormai in sua
balìa, e non v'era possibile riparo. Unica via era quella di
abbandonarsi alla sorte.
Quando
furono pervenuti, dove la boscaglia si faceva più fitta, e
l'acqua dilagava in palude, il guardiano si arrestò, e mandò
un fischio prolungato al quale quasi subito fece risposta un fischio
più acuto. Ed ecco sbucare da un cespuglio un uomo, e farsi
incontro a quei due.
Curzio
riconobbe la figura di Giano. Egli ignorava la parte di complicità
che quell'uomo aveva avuto nel suo arresto, ma non poteva a meno di
nutrire una certa diffidenza contro colui, che gli aveva promesso di
condurlo a salvamento nella sera stessa in cui venne arrestato. E
perciò quell'incontro gli mise nell'anima il sospetto, di cui
diè segno indietreggiando d'alcuni passi.
-
Non temete, disse allora Giano avanzandosi, io ho giurato alla
signora principessa di liberarvi dalla prigione, e se l'altra volta
non giunsi a trarvi a salvamento, spero questa volta coll'ajuto del
Signore di riuscirvi.
Poi
Giano fece un segno di convenzione al guardiano, che aveva condotto
Curzio fino in quel luogo, e gli pose in mano del denaro che, l'altro
guardò, e numerò ben bene prima di allontanarsi. Il
giovane fuggitivo non era troppo rassicurato dal discorso di
quell'uomo misterioso, ma egli si trovava in tale condizione, che gli
era forza di seguire l'unica via che gli si era schiusa dinanzi.
Giano
s'inoltrò nella boscaglia, facendo un cenno a Curzio, e questi
gli tenne dietro.
Girarono
a lungo in quel labirinto di macchioni e di paludi. Più
s'inoltravano, e più si faceva forte nella mente di Curzio il
sospetto del tradimento, e già meditava di abbandonare la sua
guida, e qual si fosse il rischio, cacciarsi a caso nel bosco,
fidandosi alla cieca fortuna: quando all'improvviso lo stesso Giano,
che sopravanzava d'un buon tratto di strada il compagno spicca una
rapida corsa, e in un baleno si perde nel più fitto della
macchia, lasciando Curzio solo sopra il sentiero.
Allora
ciò ch'era dubbio, diventa un'assoluta certezza. Giano era un
traditore, che aveva procurata la sua evasione per condurlo a più
sicura rovina.
Ma
che fare in una situazione tanto pericolosa? Da che parte potea egli
rivolgersi, così perduto in un bosco, all'avvicinarsi della
notte, ignaro delle strade, stanco del cammino, senza cibo, senza
denaro, e con quelle vesti da galeotto sul dosso?
Non
poteva nemmeno decidersi a passare la notte alla meglio in quel
luogo. Giano era andato senza dubbio a denunziarlo; e i soldati
sarebbero venuti a cercarlo senza ritardo. Si mise in braccio della
provvidenza, avviandosi alla ventura per uno di quei tanti sentieri
della boscaglia. Dove lo condurrebbe? egli non lo sapeva ma
camminava, camminava, colla speranza di allontanarsi almeno a tempo
dal punto dove il traditore l'aveva lasciato.
Era
forse un quarto d'ora che procedeva in quella direzione, quando si
trovò sbarrata la via da un bacino d'acqua stagnante.
Retrocedere, sarebbe stato un perdere tutto il frutto del cammino
percorso: tentare il guado era troppo rischio e forse inutile. In
quella stretta il giovane pensò di costeggiare lo stagno fino
a che potesse riprendere il sentiero nella direzione di prima.
La
riva di quella palude era frastagliata ad angoli che raddoppiavano il
cammino. Curzio era giunto in un luogo nel quale i cespugli selvaggi
riuniti a modo di siepe giungevano a toccare l'orlo dell'acqua,
allorchè intese al di là di quel fogliame un rumore
metallico simile a quello ch'è prodotto dal cozzo delle armi
da fuoco. Certamente v'erano dei soldati nascosti fra quegli arbusti.
Retrocedè
subito, e seguendo sempre la riva dello stagno, e raddoppiando il
passo, continuò ad allontanarsi; a un tratto si trovò
impedito il cammino da un corso d'acqua che veniva a perdersi nella
palude. Con un salto vigoroso, si slanciò, e giunse a piede
asciutto dall'altra parte del rivoletto.
Di
là si apriva uno spazio più largo, libero dalle acque e
dalla boscaglia; il fuggiasco poteva inerpicarsi sopra una piccola
eminenza, che aveva di fronte, e franando giù dall'altra
costa, trovare la salvezza. Ma in quella appunto che formava questo
pensiero, ecco sbucare da quello stesso rilievo di terreno altri
armati.
Era
ormai cosa evidente: gli davano la caccia. Esso era circondato, come
il cignale, intorno a cui si è formato un circolo di mute e di
cacciatori.
Senz'armi,
senza difesa, senza ajuto alcuno, esso era abbandonato ai nemici che
si avanzavano da ogni parte. Già il cerchio si faceva più
stretto, e le voci dei soldati, che si additavano fra loro il
fuggitivo, giungevano fino a lui.
Che
fare in quel supremo momento? Raggiunto dai soldati, avvinto,
incatenato, sarebbe ricondotto a prigionia più dura, più
disperata, si sarebbe di nuovo macerato in quegli sforzi impotenti,
in quei desolanti pensieri di prima. Valeva meglio attirare sopra di
sè il piombo di quelle carabine... e finirla! Fu con tale
intendimento che Curzio simulò di volgere a impetuosa fuga
dalla parte dell'acqua stagnante.
-
Egli ci sfugge! gridò una voce. Fuoco!
E
subito dopo i colpi dei moschetti echeggiarono in quella mesta
solitudine.
Curzio,
colpito da cinque o sei colpi, cadde supino. Non gli rimase che un
istante di vita: il tempo di rivolgere un pensiero a sua madre, e
un'ultima invocazione al Dio dell'avvenire.
Quando
i soldati giunsero al luogo dov'era caduto lo trovarono cadavere.
Le
trame tenebrose del principe Rizzi e del suo sicario avevano ricevuto
il loro compimento.
Era
vicina la notte: pochi soldati rimasero a far guardia al morto che si
sarebbe trasportato l'indomani. Gli altri ritornarono in città.
Dopo
la mezzanotte un soldato boemo stava di sentinella presso il
cadavere, mentre i suoi compagni dormivano avvolti nei loro pastrani
sotto un riparo di frasche. Stanco e un poco avvinazzato, egli andava
sonnecchiando, finchè postosi a sedere sopra un sasso si
lasciò vincere da quel torpore, che è una cosa di mezzo
fra il sonno e la veglia.
Il
buon boemo vagava da qualche istante in quella indecisa regione che
sta fra i sogni e la vita reale, quando è svegliato del tutto
da un rumore indistinto: spalanca gli occhi, balza in piedi, e vede
vagamente in quell'ombra un braccio del morto alzato che ricade, e
nello stesso tempo sente qualche cosa strisciar via tra l'erbe del
terreno e le frasche.
Restò
colpito da un improvviso terrore. Le fole superstiziose da cui fu
cullata la sua infanzia diventano in quel momento realtà
spaventose; vuol gridare e non può, vuol camminare, e non lo
reggono le gambe. Trema come per freddo, e gli battono i denti.
Quando
venne il caporale per toglierlo di sentinella, lo trovò in
quello stato, fu deriso da tutti come pauroso, e alla mattina fu
portato all'ospedale con una febbre gagliarda.
Quegli
che produsse la disgrazia del soldato boemo fu Giano. Egli aveva
promesso al principe un segno palpabile del suo trionfo. Curzio
teneva al dito un anello, dal quale non si era mai diviso, perchè
era un ricordo della principessa, e Giano lo sapeva, perchè
una volta egli stesso aveva recato quel dono. Egli pensò
dunque di portare al principe quel contrassegno.
Ronzando
intorno al luogo dell'uccisione, approfittò della dormiveglia
di quel soldato per avvicinarsi al cadavere, e strappargli dal dito
l'anello, fuggendo subito carpone per terra, mentre la sentinella,
allibita dallo spavento, divenne incapace di muoversi e di gridare.
Quando
fu sotto il raggio della luna, guardò l'anello per
riconoscerlo. Era ben quello; e di più, era tutto macchiato di
sangue rappreso: ciò gli accresceva valore!
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