XXXI
Sua
Santità Papa Pio IX.
Pio
IX!... Pochi uomini della storia ebbero nella vita tanti singolari
contrasti quanti se n'ebbe il conte Giovanni Maria Mastai Ferretti,
assunto al pontificato col nome di Pio Nono. Capitano di cavalleria,
lasciò le spalline per la mantelletta di prelato; missionario,
viaggiò il vecchio e il nuovo mondo; antico framassone,
iniziato in una loggia d'America, ha poi anatemizzati e scomunicati
tutti quanti i framassoni dei due emisferi; esordì nel governo
formandosi un ministero di repubblicani, e termina il suo regno
ricevendo dai gesuiti l'imbeccata dei sillabi e delle
encicliche.
Nessuno
è giunto come lui all'apice delle benedizioni, per piombare
poscia nel più profondo dell'abbominazione. Fuvvi un tempo in
cui il suo nome fece il giro di tutta la terra, accompagnato da un
eco di riconoscenza e di osanna; oggi esso è segno alle
maledizioni di un popolo intero. Quella mano che nel 1846, scrivendo
l'amnistia dei patrioti, diede il segnale della grande riscossa
italiana, quella stessa mano ha segnato il comando esecutivo di tante
sentenze di morte, ha consegnato tante teste al carnefice!
Che
cosa è dunque quest'uomo? È il fariseo, che ravvolge il
coltello traditore nelle pieghe del manto sacerdotale? È il
tiranno assetato di sangue, che numera con gioia feroce le vittime
scannate a' suoi piedi? È il prepotente erede d'Ildebrando che
agogna la signoria del pastorale sopra la spada, e vuole elevare la
cattedra di Piero sovra i troni più alti dei re?
Niente
di tutto questo. Pio IX non è altro che un uomo volgare, che
ha tutte le aspirazioni e gli stimoli della vanagloria, senza quella
forza invincibile di volontà che è fonte e sostegno
delle grandi ambizioni.
Nel
principio del suo regno, quando egli bandì le riforme
liberali, il suo primo desiderio fu quello di procacciarsi la fama
dell'innovatore benefico, dell'uomo clemente e generoso. Fu allora
che il partito retrogrado spinse le cose all'estrema rovina:
quell'uomo debole si smarrì in faccia alle conseguenze della
politica da esso inaugurata, e si lasciò andare come perduto
in braccio di quel partito. Riposto sul trono riconquistato dalle
armi straniere a prezzo di tanto sangue, il Papa non doveva regnare
più che di nome. Il cardinale Antonelli, interprete della
grande maggioranza dei cardinali, fu il vero sovrano; non così
però, che anch'esso non dovesse subire lo sterminato potere
dei gesuiti, che sopra ogni altro domina in Roma, e contro il quale
nessuna potestà ecclesiastica potrebbe impunemente cozzare.
Coloro
che governano in vece del Pontefice, conoscendone intimamente il
carattere, blandiscono la sua vanità in tutti i modi. Una
turba di fanatici intuona incessantemente un coro inesausto di lodi
sul suo sistema di governo, che è appunto quello che piace ai
dominatori gesuiti. Ed egli, vecchio acciaccato, e indebolito nelle
facoltà della mente siccome nelle fibre, si compiace della
definizione dei dommi, della pubblicazione dei memorandi, e della
convocazione dei concilii, come di cose che devono raccomandare il
suo nome alla posterità, sogno supremo e vaneggiamento
dell'anima sua. E dopo un ricevimento di ufficiali, o una rivista di
artiglierie sui prati della Farnesina, passa a far pompa dei
paramenti levitici, nelle feste sontuose del Vaticano, o nelle visite
dei conventi: e in mezzo a quelle soddisfazioni dell'amor proprio, a
quegli orgogliuzzi, a quelle superbie puerili, passa contento
l'ultimo avanzo della sua vita, senza badare più che tanto al
sangue e alle lagrime che si spargono in suo nome.
A
quel vegliardo dal cuore appassito, non resta vivo altro sentimento
di quel medesimo che lo faceva caracollare baldanzosamente sul suo
cavallo parato negli anni primi della giovinezza. Solamente l'oggetto
della sua vanità è mutato: l'impulso è lo
stesso.
Entriamo
a vederlo; entriamo in quel sublime palazzo del Vaticano, che è
quasi un Panteon dell'arte italiana; che ha per appartamenti le
stanze dipinte da Raffaello, e per oratorio la Cappella Sistina, e
per museo domestico il Belvedere; che racchiude insieme la
Trasfigurazione e il Giudizio Universale, l'Apollo e il Laocoonte.
Entriamo.
Passiamo per l'atrio custodito dagli alabardieri svizzeri,
traversiamo il cortile vigilato dai palatini, percorriamo le
anticamere gremite di guardie nobili, di prelati, di camerieri
segreti, di scopatori13,
di bussolanti,
di servidorame alto e basso; arriviamo alle stanze intime di Sua
Santità. Ecco una camera parata da un damasco cremisi, che
rimanda una tinta rossastra su tutti gli oggetti; e cremisini sono
anche i divani, le seggiole, i tappeti che coprono le tavole; e rosso
è il cortinaggio delle finestre, e rosso è il riflesso
degli specchi. Si direbbe un lago di sangue.
Un
uomo solo, un vecchio pingue e grasso, sta genuflesso in un
inginocchiatoio ornato da cuscini di velluto; egli è coperto
da una veste bianca, che gli scende fino ai piedi, adorna di
finissima trina e coperta da un ampio bavero circolare. Tiene giunte
le mani e levata la testa, e lo sguardo rivolto verso un bassorilievo
di marmo bianco infisso alla parete, dinanzi al quale, sta accesa una
lampada. E testa e sguardo sembrano atteggiati al raccoglimento
religioso.
Così
pregava il Papa nella mattina del 18 ottobre 1868, e sotto le sue
ginocchia, sopra un cuscino dell'inginocchiatoio, stava un foglio di
carta ripiegato. Quel foglio era la sentenza, colla quale due giorni
innanzi il Tribunale Supremo della Sacra Consulta aveva condannati a
morte Giuseppe Monti e Gaetano Tognetti.
Ogni
volta che il sanguinario tribunale emana una sentenza di morte,
perchè questa possa eseguirsi è necessario che il
Pontefice la faccia seguire dalla sua approvazione. Epperciò
ognuna di quelle sentenze, dopo pronunciata, viene trasmessa dal
presidente della Sacra Consulta nelle mani di Sua Santità,
perchè si degni approvarla.
In
tale occasione i pontefici sogliono mettersi in orazione colla
sentenza sotto le ginocchia, invocando, come dicono, la ispirazione
divina, per decidersi ad approvare la condanna, oppure a far grazia
della vita ai condannati.
Papa
Pio IX stava dunque in quella mattina inginocchiato sulla sentenza di
Monti e Tognetti.
Il
bassorilievo, sul quale teneva intento lo sguardo, rappresentava la
santissima Trinità, il Padre Eterno in sembianza di vecchio
venerando, alla sua destra il Figliuolo in figura di Salvatore, col
simbolo della redenzione fra le braccia, e sopra essi lo Spirito
Santo in aspetto di colomba di pace. Ognuna di quelle figure,
considerata secondo le credenze cristiane, doveva ispirare sentimenti
di mansuetudine nella mente del vecchio sacerdote. Il Creatore
rappresenta la paternità col suo inesauribile affetto; il
Redentore del mondo è la personificazione più
commovente del perdono; lo Spirito Paracleto rende visibile e
toccante il vincolo d'amore che stringe l'uomo al suo Dio.
Ahimè!
non erano queste considerazioni spirituali, non erano i sublimi
precetti dell'Evangelio, che tenevano occupata la mente del vecchio
in quei solenni momenti. Il suo pensiero vagava sulle grandezze
temporali del soglio, abbracciava la sede dei Cesari, venuta in
potere del prete coronato, raccapricciava per gli sforzi dei ribelli
che vogliono rovesciare il suo trono, si compiaceva nel novero delle
baionette e delle bocche da fuoco, che stanno in difesa della sua
sovranità, e trasvolava più lontano nei campi
insanguinati di Mentana, e gli pareva di ascoltare il rimbombo dei
fucili chassepots, e credeva di vedere un branco di camicie
rosse, lacere e disperse, e la bandiera francese e la papale, insieme
conserte, piantarsi vittoriose in mezzo alla strage.
Eppure,
fra quelle nebbie dell'orgoglio si facevano strada i miti consigli
della pietà. Egli, vecchio cadente, spingere nel sepolcro due
vite rigogliose e fiorenti! E sarebbe stata tanto bene la parola del
perdono sulla bocca di un sacerdote!
Questi
pensieri erano baleni fugaci in mezzo a una tenebra fitta. I
consiglieri, i confidenti, i confessori, e cardinali, e prelati, e
gesuiti, gli avevano susurrato lungamente all'orecchio, che l'unica
via di salvare il papato e la Chiesa era la severità, che i
nemici della religione avevano colmo il sacco della nequizia, che
spargere il sangue di due ribelli era opera pietosa, perchè
con questo s'impediva il traviamento di mille innocenti, che il
perdono sarebbe stato, più che periglioso, funesto e
irreparabile danno, perchè dalla mitezza i nemici traevano
maggiore ardimento, e sarebbe venuto il tempo che avrebbero
soverchiata ogni possa, ogni riparo, e che era un tentare Iddio
fidare ciecamente nel suo aiuto, senza por mano agli argomenti umani,
e non si doveva abusare della Provvidenza, nè ostentare in
tali casi la clemenza, chè ogni virtù giunta
all'eccesso diventa vizio colpevole e dannoso.
Così
lo stuolo dei neri corvi aveva ammonito e impaurito il povero
vegliardo: ed erano questi i pensieri che colle fantasmagorie delle
schiere armate, e delle battaglie, e delle rivolte, e delle mine,
tornavano più spesso a travolgere la sua testa vacillante; sì
che i tepidi sentimenti della compassione e della benignità
restavano in quel turbine soffocati e dispersi.
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