XXXIII
Il Papa
nero.
Lasciammo
il cardinale Rizzi quando dalla festa da ballo si era fatto condurre
al convento del Gesù, dove si fece annunciare al Padre
Generale dei gesuiti. Un tanto visitatore fu ricevuto non ostante
l'ora tarda dal Generale.
Egli
stava lavorando nel suo gabinetto; due giovani gesuiti francesi suoi
segretari particolari, gli leggevano delle lunghe filze di rapporti
segreti, ai quali egli apponeva di sua propria mano delle brevi
postille in matita rossa.
All'ingresso
del cardinale si levò in piedi, e fe' cenno ai segretari di
lasciarli soli. I due frati uscirono. Il Generale indicò un
seggiolone all'eminentissimo, e sedè dopo di lui.
Prima
di assistere a quel colloquio, è necessario farsi un'idea
della potenza straordinaria del Generale dei gesuiti.
In
Roma esso è chiamato comunemente il Papa nero. Ed è
cosa notoria che mentre il Papa bianco, ossia il vero
Pontefice, non ha che un'autorità nominale ed apparente, come
quella degli antichi dogi di Venezia, non v'ha nessuna potenza che
stia sopra a quella del Papa nero.
Ciò
proviene sopratutto da quella forza meravigliosa di organizzazione
che seppe dare alla sua società Ignazio di Loyola, spirito
veramente straordinario, mezzo soldato e mezzo estatico, che seppe
associare l'elemento della subordinazione militare all'annientamento
religioso, e così raggiunse l'ideale della passività
nell'uomo, ridotto come una macchina in mano dei suoi superiori. Così
i gesuiti hanno migliaia e migliaia di forze e d'intelligenze,
spoglie di volontà, al servizio di una intelligenza e di una
volontà, identificate in un uomo che è l'unico motore
di tutto quell'immenso14 organismo. Questo è appunto
il Generale, ossia il Papa
nero.
Col
mezzo dell'istruzione, della confessione, della stampa, del
commercio, dei viaggi, usando a proprio vantaggio di tutti i
progressi della civiltà, variando norme e sistemi a seconda
dei tempi, il gesuitismo ha saputo dominare sul mondo, e resiste
ancora agli attacchi incessanti della filosofia, della morale e del
patriottismo.
In
Roma i gesuiti sono i padroni veri della situazione, e usufruiscono
del pari le truppe forestiere, l'obolo di San Pietro, le credenze
religiose, e le influenze politiche. Il Papa, capo apparente della
chiesa e il cardinale Antonelli, che regge il governo temporale di
Roma, stanno sotto il dominio dei gesuiti. L'uno e l'altro hanno per
confessore un padre gesuita incaricato di dirigere le loro
coscienze, cioè di conformare i loro atti, nella sfera
spirituale come nella temporale, agli intendimenti del loro Generale.
Pio
IX, è poi il vero Pontefice che si richiede ai gesuiti;
dominato com'è dalla vanagloria, egli si appaga degli elogi,
degli omaggi e delle esaltazioni, in cui essi lo avvolgono, come in
una nube d'incenso. Contento di quelle innocue soddisfazioni, come il
fanciullo dei suoi balocchi, non imprende nemmeno un tentativo di
rivolta contro la volontà che lo soggioga e dirige in tutte le
sue operazioni.
È
dunque vero che il potere del Papa nero è tanto solido
e reale, per quanto è vano ed illusorio quello del Papa
bianco.
-
Reverendissimo Padre! cominciò il cardinale Rizzi, l'ora della
mia visita le dirà abbastanza che si tratta di cosa della
massima urgenza.
-
Ed io ringrazio vostra Eminenza della sua premura, rispose il
Generale offrendo una presa di tabacco al cardinale.
-
Si tratta nientemeno di un complotto, che ho scoperto questa sera
alla festa di mia cognata, un complotto nel quale entra perfino
un'Eminentissimo, e che ha per iscopo di salvare la vita ai due
ribelli condannati a morte dal Supremo Tribunale della Sacra
Consulta.
-
Vogliono salvarli per mezzo della grazia sovrana! interuppe il
Generale sorridendo ironicamente.
-
Appunto: ed io temo che vi possano riuscire. Sua Santità ha un
cuore tanto angelico, che la compassione degli infelici basta a
commuoverlo. Non mi farebbe meraviglia che arrivassero a voltargli la
testa.
-
È vero! il pericolo è abbastanza serio, e convien
pensare senz'altro al rimedio.
-
Per questo sono venuto subito a prevenirne vostra Riverenza.
-
Ringrazio vostra Eminenza della sua premura.
-
Ella troverà senza dubbio il riparo.
-
Vi ho già pensato. Chi è il cardinale che si è
incaricato di chiedere la grazia?
-
Credo che sia l'eminentissimo Baldoni.
-
Ah! Ah! capisco: è pecora segnata.
-
Dunque ci pensa lei.
-
Viva tranquillo, Eminenza.
-
Non udremo un tanto scandalo.
-
Non è il momento di mostrar debolezza.
-
La riverisco.
-
Le bacio le mani.
Il
cardinal Rizzi partì soddisfatto di sè; si fece
condurre a casa, e andò a dormire il sonno del giusto.
Il
Generale fece venir subito nelle sue stanze tre padri, fra quelli che
erano più addentro nei suoi segreti, erano il confessore del
Papa, il confessore del cardinale Antonelli, il confessore del
colonnello De Charette, comandante degli zuavi pontifici. Con essi il
Generale tenne un lungo conciliabolo, ch'ebbe per iscopo di stabilire
il modo sicuro di sventare gli sforzi di coloro che volevano ottenere
dal Papa la grazia di Monti e Tognetti.
I
confessori di Antonelli e di De Charette si posero all'opera alla
mattina seguente; il confessore del Papa doveva operare più
tardi.
La
parata degli zuavi in Piazza San Pietro, e il ricordo che il
Segretario di Stato fece al Pontefice di una supposta promessa erano
conseguenze delle loro manovre.
Gli
zuavi erano schierati sulla piazza, col loro colonnello De Charette
alla testa. Quando apparve scalpitando sotto gli archi del colonnato
il primo drappello della scorta del Papa, i tamburi suonarono, la
fronte di battaglia si allineò, e al comando del colonnello i
soldati presentarono le armi. Al primo drappello di cavalleria
successe quello dei gendarmi, poi l'altro delle guardie nobili, e
finalmente apparve la splendida carrozza dell'erede del pescatore.
Allora
gli zuavi s'inginocchiarono, la bandiera si abbassò, e il
colonnello in ginocchio anch'esso sul terreno aspettò la
visita del sovrano. La carrozza del Papa si fermò innanzi alla
truppa; i servi apersero lo sportello. Il cardinale Antonelli e un
prelato, ch'erano in compagnia del Pontefice, lo aiutarono a
scendere.
Pio
IX, seguito dal cardinale e dal prelato, mosse verso il colonnello, e
gli fece il cenno della benedizione sopra la testa, poi percorse
tutta la fronte del reggimento, guardando con visibile compiacenza
gli armati e le armi, e trinciando ad ora ad ora segni di croce colla
mano aperta verso i soldati genuflessi.
Poi
il Papa si avvicinò di nuovo al colonnello, e gli disse:
-
Ci consoliamo con lei: noi riconosciamo sempre i nostri bravi zuavi,
e sempre più ci teniamo contenti di loro.
-
Beatissimo padre! soggiunse De Charette, i miei soldati anelano
sempre l'occasione di potere spargere di nuovo il loro sangue in
difesa della Santità Vostra.
Il
Papa mise un sospiro, e:
-
Sappiamo, disse, pur troppo che il loro sangue fu sparso!
-
Ne sono compensati a esuberanza dalla benevolenza di Vostra
Beatitudine, ripigliò il colonnello. Poi aggiunse: E anche
dalla severa giustizia, che ha colpito i loro assassini.
Pio
IX mandò un altro sospiro.
-
Anzi, mi è forza chiedere in loro nome una grazia a Vostra
Santità.
-
Una grazia! esclamò il Pontefice, al quale sorse in mente il
pensiero, che gli stessi zuavi volessero domandare la grazia dei due
condannati. Dite pure, quale essa sia l'accorderemo.
-
I bravi zuavi, a cui sta impressa nell'animo la morte dei loro
fratelli, di quei prodi uccisi, il cui sangue grida tuttora vendetta,
domandano l'onore di assistere sotto le armi alla esecuzione dei due
delinquenti.
-
È una soddisfazione ch'essi reclamano! disse il Papa sorpreso.
-
È un servigio che si offrono di prestare, ribattè il
colonnello.
-
Sta bene, saranno esauditi.
Ciò
detto, il Papa rifece sul capo del colonnello il segno della
benedizione, poi ajutato dal cardinale e dal prelato, rimontò
in carrozza.
Il
cocchio papale insieme al corteo si avviò verso Porta
Angelica, per la consueta passeggiata.
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