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Augusto Agabiti
Ipazia

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  • IV
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La filosofia neoplatonica era tutta occultismo, come ci attestano il Bandi di Vesme, l'inglese Mead nei libri su Plotino e sui Frammenti di una fede obliata, la Blavatsky, e il Matter.

«Yet no sect or school counted so many decepti deceptoresscriveva Max Müller (v. Theosophy or Psychological religion, p. 429) — as that of the Neo-Platonists, Magic, thaumaturgy, levitation, faithcures, thought-reading, spiritism, and kind of pious fraud were practised by impostors, who travelled about from place to place, some with large followings.

«Their influence was widely spread and most mischievous. Still we must not forget that the same Neo-Platonism counted among its teachers and believers such names also as the Emperor Julian (331-363), who thought Neo-Platonism strong enough to oust Christianity and to revive the ancient religion of Rome; also, for a time at least, St. Augustine (354-430), Hypatia, the beautiful martyr of philosophy (d. 415), and Proclus (411-485), the connecting link between Greek philosophy and the scholastic philosophy of the middle ages, and with Dionysius one of the chief authorities of the mediaeval mystics...» (pp. 429-430).

E l'Haret scrive: «Già riassumendo le dottrine di PlatoneLe Christianisme et ses origines, «Revue Moderne», 1867 — vi troviamo intera la filosofia cristiana. In morale l'esaltazione dell'anima e il disprezzo dei sensi; il distacco dalla terra e dalla stessa esistenza... la condanna del suicidio, la purezza, l'umiltà, la proibizione di rendere il male per il male. Non vi si trova abbastanza la carità verso il prossimo... In teologia vi si trova un Dio supremo — e piuttosto unicoineffabile, del tutto spirituale; una fede ragionata nella Provvidenza, l'avversione per l'empietà, le idee di un giudizio dopo morte, che assegna alle anime il castigo e il guiderdone...».

I neoplatonici non volevano credere soltanto, sia pure basando la fede su ragioni filosofiche; ma, sviluppando enormemente le dottrine platoniche, diedero fondamento scientifico agli assunti filosofici del Maestro.

Per riuscire, unirono alla filosofia la teurgia.

La scuola neoplatonica ebbe molti rappresentanti dottissimi, che fiorirono dal secolo III al secolo V d.C. Ricordiamo Ammonio Sacca, fondatore di questa scuola (n. 175, 250 d.C.), Longino, sommo critico (n. 213, 273 d.C.), Plotino, il più famoso di tutti (n. 205, 270 d.C.); e quindi Porfirio, discepolo di quest'ultimo (233 d.C.), Giamblico (330 d.C.), Ipazia (n. 370, 415 d.C.) e infine Proclo (n. 410, 485 d.C.).

Il più grande dottore e scrittore è Plotino, nato a Nicopoli (in Egitto), il quale trae molto profitto dalle dottrine neopitagoriche e giudaiche filoniane. Porfirio, suo biografo, ne pubblica, sotto il titolo di Eneadi, le cinquantaquattro dissertazioni e le divide in gruppi di nove: dei quali il primo tratta dell'Uomo, il secondo della Fisica, il terzo del Cosmo, il quarto della psiche, il quinto della Mente, il sesto dell'Uno.

Egli ammetteva una divinità unica, dalla quale erano emanati gli spiriti della Terra e del Cielo, nominati dèmoni (allora la parola non aveva assunto il significato di «enti del male» — o «diavoli» — come avvenne poi nel M. E.), e le anime umane.

Questi dèmoni o spiriti erano divisi in categorie. E, come tutti gli antichi popoli ci parlano di specie diverse di entità spirituali e astrali, e come gli Israeliti e i Cristiani insegnano esistere nei cieli la gerarchia degli Angeli, così Giamblico distingue i dèmoni in Arcangeli (ἁρχαγγελοι), Angeli (ἀγγελοι), Demoni propriamente detti (δαίμονεξ), Eroi (ἤρωεξ), Arconti (ἄρχοντεξ). Le Enneadi di Plotino e il Libro dei Misteri di Giamblico, trattano di demonologia, ossia di spiritismo.

Il culto di molti alessandrini consistette allora in omaggi resi ai buoni dèmoni; in esorcismi, in purificazioni contro i cattivi: era il moderno spiritismo applicato alla vita!

Queste pratiche formarono la Teurgia, ovvero Magia bianca; invece, la scienza di coloro che si posero in comunicazione con malvagi spiriti, per scopi riprovevoli, fu detta Goezia, o Magia nera.

Come coi dèmoni, così credettero i neoplatonici di poter comunicare con gli spiriti degli estinti. Proclo considera le anime dei morti quali dèmoni, ossia divinità protettrici dell'uomo, e se le propizia con riti funebri ed espiatori; similmente fa Crisanto.

Giamblico dice: «Quanto ai fantasmi delle anime, somigliano a quelli degli Eroi (ἤρωεξ), pure essendo più deboli», e fornisce parecchie spiegazioni particolari delle supposte loro manifestazioni.

«Giamblicoscriveva dunque lo storico dello spiritismo Baudi di Vesmecadendo in estasi, veniva talora sollevato in aria di dieci cubiti, come spesso succedeva ai Santi cristiani; allora si trasfigurava, il suo capo s'attorniava di un'aureola lucente». Eunapio dice però che «Giamblico, interrogato intorno a' suoi miracoli, o per modestia o per altro, sorrise, benché non fosse uso dipartirsi da un atteggiamento grave».

Un giorno Proclo è ferito al piede da un insetto che gli produce un'ulcera profonda; ne è risanato per cura dello stesso Esculapio, il quale, viene a medicarlo. Altra volta il filosofo si rompe un braccio, cui i medici applicano un apparecchio per farlo risanare. Un uccello scende dall'alto e toglie l'apparecchio; quindi si presenta Apollo, o uno spirito sotto le sembianze del Dio, e guarisce radicalmente Proclo per mezzo di passi e toccamenti benefici.

Al discepolo di Giamblico, Edèso, i Numi svelano l'avvenire in sogno. Un mattino che gli erano usciti di memoria gli oracoli ottenuti nella visione, il suo servo gli fa osservare che gli stavano scritti sulla mano (fenomeno di scrittura diretta). Anche Plotino vedeva gli Dei e conversava con essi. Uno spirito lo avvertì che Porfirio stava per suicidarsi; Plotino accorse presso il discepolo e lo distolse dal triste proposito.

Molto belle e acconce sono le considerazioni poste dal Matter come chiusa della sua opera storica sugli gnostici: «che cioè la scienza moderna non è più saggia, né più previdente della loro filosofia; la scienza moderna, la quale non si cura dei dèmoni e ignora degli angeli, che tutto studia e valuta secondo sintomi ossia apparenze, ma senza ricercare le cause profonde. E invece le ragioni di tutto l'operare della natura, sono dovute a forze dotate di vita e d'intelletto».

Per sua grande dottrina, così diceva il Matter nei primi lustri del secolo XIX: «che cosa possiamo dire di meglio noi, dopo un secolo?».

Il neoplatonismo è un sistema di filosofia panteistica, emanatista, comprendente l'idea dell'esistenza dell'anima e della sua immortalità, è la fede nel progressivo sviluppo delle facoltà spirituali dell'Uomo e del potere della Virtù, la quale purifica gli spiriti dagli influssi della materia e li redime, conducendoli fino a Dio. «L'emanazione è un discendere da Dio, — conclude il Fiorentino il suo dotto studio su questo antico sistema filosofico — l'Etica è un ritornarvi; le due parti adunque del sistema si tengono e si rispondono: quanti gradi di discesa, tante virtù per risalire».

Si tratta dell'antica e mai spenta filosofia dell'amore universale, adombrata da Leone Tolstoj nella leggenda buddistica e indiana di Kandata.

Kandata, un fiero bandito, era morto dopo mille e mille delitti, in disgrazia di Dio, ed era rinato demonio dell'inferno più profondo, ove soffriva terribili tormenti. Nell'epoca in cui il Buddha apparve sulla Terra, un raggio della sua luce penetrò fin nel luogo di perdizione, e incendiò le speranze di tutti i dannati. Kandata pregò Buddha di avere pietà, e questi gli inviò giù un ragno in fondo a un filo lunghissimo. «Attàccati al filo», disse il ragno al demonio; e questi, meravigliandosi della saldezza di quella fune quasi invisibile, saliva su, ascendeva, superando bàratri infernali. A un tratto si accorse che il filo si scuoteva, e vòlto in giù lo sguardo, vide che una moltitudine infinita d'altri infelici si era attaccata al filo del ragno, e lo seguiva.

Allora Kandata gridò a quella gente «Lasciate, scendete, il filo è mio».

Subito questo si ruppe e Kandata precipitò di nuovo nell'inferno.

Quel dèmone infelicissimo non sapeva ancora la forza ideale dell'amore, potenza invisibile, leggera come un filo di ragno, e che pure sostiene migliaia di uomini nell'opera loro di elevazione verso la luce.

Ma non appena, con la pietà, viene a mancare il sentimento d'unione con tutti gli esseri, il filo si rompe, e l'uomo piomba di nuovo nell'antica situazione d'individualità circoscritta.

Che cos'è l'inferno ove soffriva Kandata?, si chiese il Tolstoj. E risponde: — È l'egoismo, la separatività, la divisione di sé dagli altri uomini, mentre il Nirvana si crea con la vita comune di tutti i cuori, tenendo acceso perennemente il sacro fuoco d'amore.

Ecco perché i neoplatonici sono poetici e generosi!

Importantissime per potere intuire quali dovettero essere le idee filosofiche di Ipazia, sono le dottrine di Giamblico e di Proclo; il primo la precedette, il secondo la seguì di pochi anni.

Giamblico e Proclo, poi, sono i due scrittori meno filosofi e più occultisti, fra i neoplatonici.

Giamblico, fondatore di quella specie di neoplatonismo detto «scuola di Siria», crede alla mantica, al culto delle immagini, alla preghiera, alla teurgia; e Proclo di Costantinopoli, campione del neoplatonismo ateniese (fondato da Plutarco, figlio di Nestorio, da Jerocle e da Siriano), non solo insegna magia, ma attesta di essere stato in una vita anteriore il pitagorico Nicomaco, e di avere una missione celeste, quale anello della Catena Ermetica di spiriti, apportatori in terra del mistico sapere.

Infine lo studio delle opinioni dissidenti della fede cristiana, alle quali Sinesio non voleva rinunciare quando gli fu offerto l'ufficio di vescovo, ci rivelano una parte dell'istruzione filosofica che egli aveva ricevuta da Ipazia, riguardando principalmente la preesistenza dell'anima al corpo; dottrina ritenuta allora eterodossa dai cristiani. Venne anzi condannata poi a Costantinopoli, perché sospetta di piegare verso quella, temuta e derisa, della metempsicosi, e l'altra affermante l'indistruttibilità del mondo e delle sue parti.

Ma i vescovi orientali apprezzavano a tal grado l'ingegno e il carattere di Sinesio, che non esitarono e gli permisero di conservare la sua sposa e le sue opinioni (p. 520).

[...]

Unità assoluta, monade suprema: questo è il concetto di Dio per Sinesio. Egli crede in una divinità nascosta nei penetrali del Cosmo e che dirige tutte le intelligenze emanate dal suo seno. La più elevata di queste è il Figlio. L'intelligenza spirituale e divina opera una continua creazione, scendendo fino ai baratri tenebrosi e micidiali della materia.

Compiuta l'evoluzione terrena, l'anima umana risale fino a confondersi con Dio; e a diventare essa pure divina.

Non riscontriamo qui analogie, anzi concetti simili a quelli della Cabbalà ebraica?

La filosofia cabbalistica, riassunta da Adolfo Frank, dal Papus, e da tanti altri scrittori e storici dell'occultismo, insiste in questo sopra ogni altro principio, tanto che le parole di Giamblico «non possiamo giudicare quest'unione divina quasiché dipendesse dal nostro capriccio di ammetterla o di respingerla: siamo contenuti in lei, ne togliamo tutta la pienezza dell'essere nostro, dobbiamo tutto quanto siamo soltanto alla conoscenza degli Dei», sembrano di un cabbalista medievale o moderno.

Parimenti, l'Universo è considerato da Sinesio come unità; avendo ogni parte del Cosmo simpatia per le altre; e vivendo tutte compenetrate dall'energia dell'anima universale, la quale vivifica il Creato intero.

Nel XXII canto del Paradiso Dante, padre nostro, dice:

 

Ma già volgeva il mio disiro e il velle,

Sì come ruota ch'egualmente mossa,

L'amor che muove il sole e l'altre stelle.

 

Di questo grande Alito animatore della natura, confessarono l'esistenza in special modo, fra le religioni, il buddhismo, fra i sistemi filosofici lo spinozismo; e a lui, sotto il nome di Ignoto Nume, innalzarono templi non gli Ateniesi soltanto, come è noto, ma perfino gli abitatori dell'America precolombiana.

Molto notevole è il fatto che ora a questa idea si ritorni, che filosofi e scienziati la trovino atta a spiegare i misteri sempre più profondi della moderna psicologia sperimentale.

Anche l'Italia nuova possiede una donna che tenta restaurare, con gli scritti e la parola, l'antica filosofia della Gnosi, Olga Galvari. Natura le è stata prodiga di bellezze, Ella a sé di virtù.

Trattando dei fenomeni spiritici e di quelli stranissimi della divisione, alterazione e moltiplicazione della stessa personalità umana, constatati per mezzo dei fenomeni ipnotici, Gaetano Negri scriveva: «La coscienza in ognuno di noi è limitata a se stessa, per una legge di ottica psichica, se posso così esprimermi, alla quale non può sottrarsi perché è condizione della sua esistenza. Noi possiamo vedere questa duplicità di coscienza e di personalità negli altri, non possiamo vederla in noi; ma il vederla negli altri ci assicura che esiste latente anche in noi. Di qui può derivare una conseguenza d'immensa portata, ed è che se cade l'idea d'una coscienza permanente e una, sorge l'idea d'una coscienza permanente la quale accompagna tutte le manifestazioni della vita, o diremo meglio, tutte le manifestazioni dell'universo. Le barriere, i limiti che noi poniamo alla nostra coscienza, sono illusioni, sono le condizioni dell'apparizione della nostra individualità relativa, ma nella realtà quei limiti non esistono punto. Nella realtà forse non esiste se non un'infinita coscienza universale, donde siamo venuti e a cui ritorneremo».

Sinesio volle rinunciare a questa filosofia, accettando dai cristiani della Cirenaica il seggio di vescovo. Poeta, seppe riaffermare i suoi principii con questi versi chiaramente teosofici:

«Vieni a me, lira armoniosa, dopo i canti del vecchio Teone, dopo gli accenti della Lesbiana, ripeti su di un tono più grave versi che non celebrano già la leggiadria di fanciulle dai sorrisi vezzosi, né la beltà di giovani innamorati.

«Felice chi, fuggendo ai richiami della materia e involandosi da questo mondo basso, sale verso Dio volando, rapidamente! Felice l'uomo libero dall'opre e dalle ambasce di questa terra, e che si lancia, su per le vie spirituali, verso gli abissi della Divinità! Un raggio precursore di tutta la luce t'aprirà gli orizzonti dell'intelletto, ove brilla la divina bellezza: Coraggio, o mio spirito, dissetati alle eterne scaturigini, elèvati con la preghiera, verso il Supremo Creatore; niuno indugio a lasciare la terra! Ecco, fra poco, unito al padre celeste, sarai Dio nel seno stesso d'Iddio?».

 

* * *

 




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