La
filosofia neoplatonica era tutta occultismo, come ci attestano il
Bandi di Vesme, l'inglese Mead nei libri su Plotino e sui Frammenti
di una fede obliata, la Blavatsky, e il Matter.
«Yet
no sect or school counted so many decepti deceptores —
scriveva Max Müller (v. Theosophy or Psychological religion,
p. 429) — as that of the Neo-Platonists, Magic, thaumaturgy,
levitation, faithcures, thought-reading, spiritism, and kind of pious
fraud were practised by impostors, who travelled about from place to
place, some with large followings.
«Their
influence was widely spread and most mischievous. Still we must not
forget that the same Neo-Platonism counted among its teachers and
believers such names also as the Emperor Julian
(331-363),
who thought Neo-Platonism strong enough to oust Christianity and to
revive the ancient religion of Rome; also, for a time at least, St.
Augustine (354-430),
Hypatia,
the beautiful martyr of philosophy (d. 415), and Proclus
(411-485),
the connecting link between Greek philosophy and the scholastic
philosophy of the middle ages, and with Dionysius
one of
the chief authorities of the mediaeval mystics...» (pp.
429-430).
E
l'Haret scrive: «Già riassumendo le dottrine di Platone
— Le Christianisme et ses origines, «Revue
Moderne», 1867 — vi troviamo intera la filosofia
cristiana. In morale l'esaltazione dell'anima e il disprezzo dei
sensi; il distacco dalla terra e dalla stessa esistenza... la
condanna del suicidio, la purezza, l'umiltà, la proibizione di
rendere il male per il male. Non vi si trova abbastanza la carità
verso il prossimo... In teologia vi si trova un Dio supremo — e
piuttosto unico — ineffabile, del tutto spirituale; una fede
ragionata nella Provvidenza, l'avversione per l'empietà, le
idee di un giudizio dopo morte, che assegna alle anime il castigo e
il guiderdone...».
I
neoplatonici non volevano credere soltanto, sia pure basando la fede
su ragioni filosofiche; ma, sviluppando enormemente le dottrine
platoniche, diedero fondamento scientifico agli assunti filosofici
del Maestro.
Per
riuscire, unirono alla filosofia la teurgia.
La
scuola neoplatonica ebbe molti rappresentanti dottissimi, che
fiorirono dal secolo III al secolo V d.C. Ricordiamo Ammonio Sacca,
fondatore di questa scuola (n. 175, † 250
d.C.), Longino, sommo critico (n. 213, † 273
d.C.), Plotino, il più famoso di tutti (n. 205, †
270 d.C.); e quindi
Porfirio, discepolo di quest'ultimo (233 d.C.), Giamblico (†
330 d.C.), Ipazia (n. 370,
† 415
d.C.) e infine Proclo (n. 410, † 485
d.C.).
Il
più grande dottore e scrittore è Plotino, nato a
Nicopoli (in Egitto), il quale trae molto profitto dalle dottrine
neopitagoriche e giudaiche filoniane. Porfirio, suo biografo, ne
pubblica, sotto il titolo di Eneadi, le cinquantaquattro
dissertazioni e le divide in gruppi di nove: dei quali il primo
tratta dell'Uomo, il secondo della Fisica, il terzo del Cosmo, il
quarto della psiche, il quinto della Mente, il sesto dell'Uno.
Egli
ammetteva una divinità unica, dalla quale erano emanati gli
spiriti della Terra e del Cielo, nominati dèmoni (allora la
parola non aveva assunto il significato di «enti del male»
— o «diavoli» — come avvenne poi nel M. E.),
e le anime umane.
Questi
dèmoni o spiriti erano divisi in categorie. E, come tutti gli
antichi popoli ci parlano di specie diverse di entità
spirituali e astrali, e come gli Israeliti e i Cristiani insegnano
esistere nei cieli la gerarchia degli Angeli, così Giamblico
distingue i dèmoni in Arcangeli (ἁρχαγγελοι),
Angeli (ἀγγελοι),
Demoni propriamente detti (δαίμονεξ),
Eroi (ἤρωεξ),
Arconti (ἄρχοντεξ).
Le Enneadi
di Plotino e il Libro
dei Misteri di
Giamblico, trattano di demonologia, ossia di spiritismo.
Il
culto di molti alessandrini consistette allora in omaggi resi ai
buoni dèmoni; in esorcismi, in purificazioni contro i cattivi:
era il moderno spiritismo applicato alla vita!
Queste
pratiche formarono la Teurgia, ovvero Magia bianca; invece, la
scienza di coloro che si posero in comunicazione con malvagi spiriti,
per scopi riprovevoli, fu detta Goezia, o Magia nera.
Come
coi dèmoni, così credettero i neoplatonici di poter
comunicare con gli spiriti degli estinti. Proclo considera le anime
dei morti quali dèmoni, ossia divinità protettrici
dell'uomo, e se le propizia con riti funebri ed espiatori; similmente
fa Crisanto.
Giamblico
dice: «Quanto ai fantasmi delle anime, somigliano a quelli
degli Eroi (ἤρωεξ),
pure essendo più deboli», e fornisce parecchie
spiegazioni particolari delle supposte loro manifestazioni.
«Giamblico
— scriveva dunque lo storico dello spiritismo Baudi di Vesme —
cadendo in estasi, veniva talora sollevato in aria di dieci cubiti,
come spesso succedeva ai Santi cristiani; allora si trasfigurava, il
suo capo s'attorniava di un'aureola lucente». Eunapio dice però
che «Giamblico, interrogato intorno a' suoi miracoli, o per
modestia o per altro, sorrise, benché non fosse uso dipartirsi
da un atteggiamento grave».
Un
giorno Proclo è ferito al piede da un insetto che gli produce
un'ulcera profonda; ne è risanato per cura dello stesso
Esculapio, il quale, viene a medicarlo. Altra volta il filosofo si
rompe un braccio, cui i medici applicano un apparecchio per farlo
risanare. Un uccello scende dall'alto e toglie l'apparecchio; quindi
si presenta Apollo, o uno spirito sotto le sembianze del Dio, e
guarisce radicalmente Proclo per mezzo di passi e toccamenti
benefici.
Al
discepolo di Giamblico, Edèso, i Numi svelano l'avvenire in
sogno. Un mattino che gli erano usciti di memoria gli oracoli
ottenuti nella visione, il suo servo gli fa osservare che gli stavano
scritti sulla mano (fenomeno di scrittura diretta). Anche Plotino
vedeva gli Dei e conversava con essi. Uno spirito lo avvertì
che Porfirio stava per suicidarsi; Plotino accorse presso il
discepolo e lo distolse dal triste proposito.
Molto
belle e acconce sono le considerazioni poste dal Matter come chiusa
della sua opera storica sugli gnostici: «che cioè la
scienza moderna non è più saggia, né più
previdente della loro filosofia; la scienza moderna, la quale non si
cura dei dèmoni e ignora degli angeli, che tutto studia e
valuta secondo sintomi ossia apparenze, ma senza ricercare le cause
profonde. E invece le ragioni di tutto l'operare della natura, sono
dovute a forze dotate di vita e d'intelletto».
Per
sua grande dottrina, così diceva il Matter nei primi lustri
del secolo XIX: «che cosa possiamo dire di meglio noi, dopo un
secolo?».
Il
neoplatonismo è un sistema di filosofia panteistica,
emanatista, comprendente l'idea dell'esistenza dell'anima e della sua
immortalità, è la fede nel progressivo sviluppo delle
facoltà spirituali dell'Uomo e del potere della Virtù,
la quale purifica gli spiriti dagli influssi della materia e li
redime, conducendoli fino a Dio. «L'emanazione è un
discendere da Dio, — conclude il Fiorentino il suo dotto studio
su questo antico sistema filosofico — l'Etica è un
ritornarvi; le due parti adunque del sistema si tengono e si
rispondono: quanti gradi di discesa, tante virtù per
risalire».
Si
tratta dell'antica e mai spenta filosofia dell'amore universale,
adombrata da Leone Tolstoj nella leggenda buddistica e indiana di
Kandata.
Kandata,
un fiero bandito, era morto dopo mille e mille delitti, in disgrazia
di Dio, ed era rinato demonio dell'inferno più profondo, ove
soffriva terribili tormenti. Nell'epoca in cui il Buddha apparve
sulla Terra, un raggio della sua luce penetrò fin nel luogo di
perdizione, e incendiò le speranze di tutti i dannati. Kandata
pregò Buddha di avere pietà, e questi gli inviò
giù un ragno in fondo a un filo lunghissimo. «Attàccati
al filo», disse il ragno al demonio; e questi, meravigliandosi
della saldezza di quella fune quasi invisibile, saliva su, ascendeva,
superando bàratri infernali. A un tratto si accorse che il
filo si scuoteva, e vòlto in giù lo sguardo, vide che
una moltitudine infinita d'altri infelici si era attaccata al filo
del ragno, e lo seguiva.
Allora
Kandata gridò a quella gente «Lasciate, scendete, il
filo è mio».
Subito
questo si ruppe e Kandata precipitò di nuovo nell'inferno.
Quel
dèmone infelicissimo non sapeva ancora la forza ideale
dell'amore, potenza invisibile, leggera come un filo di ragno, e che
pure sostiene migliaia di uomini nell'opera loro di elevazione verso
la luce.
Ma
non appena, con la pietà, viene a mancare il sentimento
d'unione con tutti gli esseri, il filo si rompe, e l'uomo piomba di
nuovo nell'antica situazione d'individualità circoscritta.
Che
cos'è l'inferno ove soffriva Kandata?, si chiese il Tolstoj. E
risponde: — È l'egoismo, la separatività, la
divisione di sé dagli altri uomini, mentre il Nirvana si crea
con la vita comune di tutti i cuori, tenendo acceso perennemente il
sacro fuoco d'amore.
Ecco
perché i neoplatonici sono poetici e generosi!
Importantissime
per potere intuire quali dovettero essere le idee filosofiche di
Ipazia, sono le dottrine di Giamblico e di Proclo; il primo la
precedette, il secondo la seguì di pochi anni.
Giamblico
e Proclo, poi, sono i due scrittori meno filosofi e più
occultisti, fra i neoplatonici.
Giamblico,
fondatore di quella specie di neoplatonismo detto «scuola di
Siria», crede alla mantica, al culto delle immagini, alla
preghiera, alla teurgia; e Proclo di Costantinopoli, campione del
neoplatonismo ateniese (fondato da Plutarco, figlio di Nestorio, da
Jerocle e da Siriano), non solo insegna magia, ma attesta di essere
stato in una vita anteriore il pitagorico Nicomaco, e di avere una
missione celeste, quale anello della Catena Ermetica di spiriti,
apportatori in terra del mistico sapere.
Infine
lo studio delle opinioni dissidenti della fede cristiana, alle quali
Sinesio non voleva rinunciare quando gli fu offerto l'ufficio di
vescovo, ci rivelano una parte dell'istruzione filosofica che egli
aveva ricevuta da Ipazia, riguardando principalmente la preesistenza
dell'anima al corpo; dottrina ritenuta allora eterodossa dai
cristiani. Venne anzi condannata poi a Costantinopoli, perché
sospetta di piegare verso quella, temuta e derisa, della
metempsicosi, e l'altra affermante l'indistruttibilità del
mondo e delle sue parti.
Ma
i vescovi orientali apprezzavano a tal grado l'ingegno e il carattere
di Sinesio, che non esitarono e gli permisero di conservare la sua
sposa e le sue opinioni (p. 520).
[...]
Unità
assoluta, monade suprema: questo è il concetto di Dio per
Sinesio. Egli crede in una divinità nascosta nei penetrali del
Cosmo e che dirige tutte le intelligenze emanate dal suo seno. La più
elevata di queste è il Figlio. L'intelligenza spirituale e
divina opera una continua creazione, scendendo fino ai baratri
tenebrosi e micidiali della materia.
Compiuta
l'evoluzione terrena, l'anima umana risale fino a confondersi con
Dio; e a diventare essa pure divina.
Non
riscontriamo qui analogie, anzi concetti simili a quelli della
Cabbalà ebraica?
La
filosofia cabbalistica, riassunta da Adolfo Frank, dal Papus, e da
tanti altri scrittori e storici dell'occultismo, insiste in questo
sopra ogni altro principio, tanto che le parole di Giamblico «non
possiamo giudicare quest'unione divina quasiché dipendesse dal
nostro capriccio di ammetterla o di respingerla: siamo contenuti in
lei, ne togliamo tutta la pienezza dell'essere nostro, dobbiamo tutto
quanto siamo soltanto alla conoscenza degli Dei», sembrano di
un cabbalista medievale o moderno.
Parimenti,
l'Universo è considerato da Sinesio come unità; avendo
ogni parte del Cosmo simpatia per le altre; e vivendo tutte
compenetrate dall'energia dell'anima universale, la quale vivifica il
Creato intero.
Nel
XXII canto del Paradiso Dante, padre nostro, dice:
Ma
già volgeva il mio disiro e il velle,
Sì
come ruota ch'egualmente mossa,
L'amor
che muove il sole e l'altre stelle.
Di
questo grande Alito animatore della natura, confessarono l'esistenza
in special modo, fra le religioni, il buddhismo, fra i sistemi
filosofici lo spinozismo; e a lui, sotto il nome di Ignoto Nume,
innalzarono templi non gli Ateniesi soltanto, come è noto, ma
perfino gli abitatori dell'America precolombiana.
Molto
notevole è il fatto che ora a questa idea si ritorni, che
filosofi e scienziati la trovino atta a spiegare i misteri sempre più
profondi della moderna psicologia sperimentale.
Anche
l'Italia nuova possiede una donna che tenta restaurare, con gli
scritti e la parola, l'antica filosofia della Gnosi, Olga Galvari.
Natura le è stata prodiga di bellezze, Ella a sé di
virtù.
Trattando
dei fenomeni spiritici e di quelli stranissimi della divisione,
alterazione e moltiplicazione della stessa personalità umana,
constatati per mezzo dei fenomeni ipnotici, Gaetano Negri scriveva:
«La coscienza in ognuno di noi è limitata a se stessa,
per una legge di ottica psichica, se posso così esprimermi,
alla quale non può sottrarsi perché è condizione
della sua esistenza. Noi possiamo vedere questa duplicità di
coscienza e di personalità negli altri, non possiamo vederla
in noi; ma il vederla negli altri ci assicura che esiste latente
anche in noi. Di qui può derivare una conseguenza d'immensa
portata, ed è che se cade l'idea d'una coscienza permanente e
una, sorge l'idea d'una coscienza permanente la quale accompagna
tutte le manifestazioni della vita, o diremo meglio, tutte le
manifestazioni dell'universo. Le barriere, i limiti che noi poniamo
alla nostra coscienza, sono illusioni, sono le condizioni
dell'apparizione della nostra individualità relativa, ma nella
realtà quei limiti non esistono punto. Nella realtà
forse non esiste se non un'infinita coscienza universale, donde siamo
venuti e a cui ritorneremo».
Né
Sinesio volle rinunciare a questa filosofia, accettando dai cristiani
della Cirenaica il seggio di vescovo. Poeta, seppe riaffermare i suoi
principii con questi versi chiaramente teosofici:
«Vieni
a me, lira armoniosa, dopo i canti del vecchio Teone, dopo gli
accenti della Lesbiana, ripeti su di un tono più grave versi
che non celebrano già la leggiadria di fanciulle dai sorrisi
vezzosi, né la beltà di giovani innamorati.
«Felice
chi, fuggendo ai richiami della materia e involandosi da questo mondo
basso, sale verso Dio volando, rapidamente! Felice l'uomo libero
dall'opre e dalle ambasce di questa terra, e che si lancia, su per le
vie spirituali, verso gli abissi della Divinità! Un raggio
precursore di tutta la luce t'aprirà gli orizzonti
dell'intelletto, là ove brilla la divina bellezza: Coraggio, o
mio spirito, dissetati alle eterne scaturigini, elèvati con la
preghiera, verso il Supremo Creatore; niuno indugio a lasciare la
terra! Ecco, fra poco, unito al padre celeste, sarai Dio nel seno
stesso d'Iddio?».
* * *
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