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XI. La Natività.
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XI.
La
Natività.
Il Natale è certo la festa più poetica e dolce della cristianità. Ma non per tutti ha conservato, attraverso i secoli, il suo carattere sacro, il suo carattere mistico e pio. Nella maggior parte delle famiglie, il Natale non è più che un pretesto per raccogliere i parenti vicini e lontani intorno a una tavola bene imbandita e passare alcune ore in una tranquilla e affettuosa intimità domestica. Il Natale si potrebbe denominare oramai la festa della famiglia e della casa; la festa dei doni; la festa dell'inverno, che rende tanto più gradite le pareti tepide e luminose e adorne di mobili comodi e d'accessori gentili, quanto più fuori soffia gelido il rovaio, scroscia la pioggia, o la neve imbianca i tetti, gli alberi, le vie.
È bello che così sia, che alla dolce festa della fede abbiamo affidato la celebrazione del focolare, l'affermazione dei vincoli più cari, composti dalle memorie e dagli affetti: però le gioie e i conforti della vita vissuta, le cure, i doveri di famiglia e di società, non devono allontanare troppo il nostro spirito, o, peggio, fargli del tutto dimenticare l'origine religiosa e sacra della festa della Natività, che, prima d'esser festa delle famiglie, fu ed è festa del cristianesimo, commemorazione d'un avvenimento raro e divino.
Lasciamo elevarsi l'anima sulle sue rapide ali che in un attimo la trasportano lontano dalla terra, in una sfera di luce astrale; lasciamola, in questo giorno di letizia soave, purificarsi un istante a una sorgente mistica, rivivere nelle lontananze secolari con la fede, l'emozione, la poesia, la semplicità di allora, la notte misteriosa in cui s'adempirono le promesse dei profeti, in cui riluceva in cielo la Stella del Miracolo, e in terra, nella forma più umile, avveniva il prodigio.
Ecco, come ci è stato tramandato dalle sacre carte, il racconto della nascita di Gesù:
«In quei giorni appunto uscì un editto di Cesare Augusto per fare il censimento di tutto l'impero. Questo primo censimento fu fatto mentre Cirino era preside della Siria. Anche Giuseppe andò da Nazareth di Galilea, alla città di David chiamata Betlemme, in Giudea, per esser lui del casato e famiglia di David, a dare il nome insieme con Maria a lui sposata in moglie, la quale era incinta. E avvenne che, mentre ivi si trovavano, si compì per lei il tempo del parto, e partorì il figlio suo primogenito, lo fasciò, e lo pose in una mangiatoia, perchè non trovarono posto nell'albergo».
L'eloquenza di questa rozza semplicità è davvero grande, e suggestiva più d'ogni elegante descrizione retorica. L'umiltà intima della famigliuola, che pur proveniva da stirpe reale, i disagi del viaggio compiuto in quelle condizioni da Maria nella sua doppia dolce obbedienza di sposa e di suddita; il suo atto ingenuo e triste di deporre il piccolo, allora nato, sul fieno della mangiatoia, in mancanza d'una culla: il primo atto della sua maternità già previdente nel mettere al riparo il figliuolo dal freddo e dall'umido suolo, confidandolo all'inoffensiva guardia dei due pacifici animali del presepe: questo atto ingenuo e triste e tenero della madre giovinetta ci commuove, se ben lo consideriamo nel suo significato, e ci dà tutta la misura della povertà, dell'umiltà in cui il Cristo volle nascere, per incominciare dalla sua incarnazione a dare l'esempio della sofferenza, del sacrifizio, del disdegno d'ogni materialità.
Fin qui l'umano, poi il divino:
«Nello stesso paese c'erano dei pastori che pernottavano all'aperto e facevano la guardia al loro gregge. Ed ecco, apparve innanzi ad essi un angelo del Signore, rifulse su loro, e sbigottirono per gran timore. E l'angelo disse loro:
«Non temete, chè eccomi a recarvi l'annunzio di grande allegrezza la quale sarà per tutto il popolo. Infatti oggi è nato un Salvatore, che è Cristo Signore nella città di David. Questo per voi è il segnale: troverete un bambino avvolto in fasce, giacente in una mangiatoia.
«E a un tratto si raccolse presso l'angelo una schiera della milizia celeste che lodava Dio dicendo:
«Gloria a Dio nei cieli e pace in terra agli uomini di buona volontà».
Un angelo annunzia alle pie donne la Resurrezione del Cristo: un angelo annunzia agli ignoranti pastori la sua venuta nel mondo: un angelo aveva annunziato alla dolce fanciulla di Jesse la gloriosa e dolorosa maternità. Le antiche tradizioni parlano frequentemente di queste apparizioni celesti, di queste forme di candore e di luce che non sdegnano, anzi preferiscono, rivelarsi ai semplici, agli umili, ai puri di cuore e d'intenzione, come se ad essi soli potesse essere concesso l'altissimo privilegio, e le loro pupille sole potessero sostenere la vista dell'invisibile. Non ad un sapiente, vegliante fra gli studi, non ad un sovrano custodito dai suoi militi, non ad un ricco circondato da adulatori nelle sale di un festino, e nemmeno a qualche gran sacerdote del rito ebraico, fu annunziata per il primo la grande, la buona Novella: ma agli uomini più poveri, più ignoranti, ai più inferiori della gerarchia umana, a dei pastori la cui anima sgombra delle nebbie delle passioni egoistiche era tutta ardente di fede sincera. E più tardi Colui che era nato per redimere dal male l'umanità, doveva proclamarlo nel discorso sulla montagna: «Beati i puri di cuore, beati gli umili, beati i poveri, perchè vedranno Dio».
Il canto degli angeli che si raccolgono per cantar gloria al Messia che inaugurava una nuova era di giustizia, un nuovo regno spirituale sulla terra, è tutto quanto di più solenne, trionfale e pio si possa esprimere con parole. Allaccia i cieli e i mondi, il finito e l'infinito in un raggio d'amore, nell'augurio più grande e più felice: Pace! Gloria e Pace! La luce e la soavità, la potenza e il candore, l'osanna e il sorriso! Pace! Bene fu proclamato il nuovo avvento dalle labbra angeliche con questa parola che il dolce Profeta si prese per divisa. Parola ignota al mondo torvo e feroce di allora, che non conosceva se non la violenza, se non la rapina e la conquista, il diritto del più forte: il mondo dove la donna era schiava, dove lo schiavo era bruto! Ed ecco, nel mite cielo d'oriente, fra le stelle una nuova Stella: ecco fra i sudditi di Cesare Augusto, un nuovo Suddito immortale, ed ecco un verbo nuovo correre il mondo come un fremito di nuova vita: Pace! Pace! Il sovrano del regno delle anime era giunto, Colui che doveva insegnare agli uomini come si ama, come si soffre, come si vinca, come si muoia. Gloria nei cieli a Dio che ha permesso l'altissimo prodigio; e pace in terra agli uomini che sono tutti fratelli, tutti soggetti ad una sorte comune; pace alle coscienze purificate, al pensiero che vagheggia solo il giusto e il buono. Ripetiamo per noi l'augurio celeste, oggi, nel tempio e nella casa: per noi, per quelli che amiamo ed anche per quelli che non possiamo amare, che ci offesero, che ci danneggiarono: Pace! E invochiamola pregando e piangendo per coloro che vicini al paese di Gesù, fra gli astri e le palme, odono invano nella mistica notte gli angeli passare....
«E poichè gli angeli si furono ritirati da essi verso il cielo, i pastori presero a dir tra loro:
«Andiamo sino a Betlemme a veder quanto è accaduto, come il Signore ci ha manifestato.
«E andarono di buon passo, e trovarono Maria, Giuseppe e il bambino giacente nella mangiatoia.
«E vistolo si persuasero di quanto era stato detto loro di quel bambino. E quanti ne sentirono parlare, stupirono delle cose riferite loro dai pastori. Maria, poi, riteneva tutte queste cose collegandole in cuor suo. E i pastori se ne tornarono glorificando e lodando Dio per tutto quel che avevano udito e visto come era stato detto loro».
È bellissima la fede assoluta di quegli uomini primitivi, che senza avere il menomo dubbio d'essere ingannati, docili all'esortazione dei Ministri celesti, si mettono in cammino, e non li trattiene la notte nè la lunghezza della via, attratti dalla speranza luminosa, nè vedendo l'umile rifugio della famigliuola di Nazareth e quel bimbo fragile e bisognoso di tutto, come i figli degli uomini, pensarono d'essere mistificati. Credettero senza discutere, si prosternarono, adorarono. Quanto insegnamento per noi in questa fede semplice e serena, composta di sentimento e d'obbedienza, che non combatte, che non si ribella, che non teme, che non schernisce: che va, s'inginocchia e adora. L'umiltà, con l'umiltà, i poveri coi poveri! I primi a salutare la venuta di Gesù nel mondo delle sofferenze, furono esseri mancanti di tutto, venuti a mani vuote o con rustici prodotti, ma con un cuore sincero. E Dio lo vide e furono prediletti, perchè attraverso alle tenebre dell'ignoranza ebbero la divinazione del mistero, e scorsero, nella piccola creatura giacente nel presepe, il Salvatore, il Maestro futuro.
E Maria, la madre giovinetta, pudica e timorosa, non ancora perfettamente conscia, forse, della sua eccelsa missione, Maria, che chiusa nel suo manto sognava come ogni madre novella il dolce sogno della maternità presente, dal fervore degli adoranti, dalle loro ingenue parole che narravano di canti d'angeli e della nuova stella: dal solo fatto di quell'atto d'omaggio impreveduto, Maria aveva la conferma del suo alto destino. E ripensando al saluto del Messaggero celeste nella sua cameretta verginale, alle parole vaticinanti d'Elisabetta, nel suo nato vide rifulgere ad un tratto la luce della divinità. Allora, tremante, piegò le ginocchia coi pastori, giunse le mani e adorò con essi, mentre forse il bordone d'uno di quegli uomini proiettava vagamente sul muro l'ombra della croce....