Jolanda
Pagine mistiche

XIII. Trasfigurazione.   Il sei Agosto la Chiesa commemora uno dei punti più culminanti della vita di Gesù: il momento in cui Egli rivelò visibilmente la sua essenza divina agli smarriti occhi mortali e dubbiosi dei discepoli: il momento in cui, rapito nell'estasi della comunione del Suo spirito con l'Eterno, caduto l'involucro, di cui aveva voluto rivestirsi per conoscere e dividere i dolori del mondo, quasi si dissolveva alla fiamma pura e ardente dell'anima che anelava all'olocausto supremo. Ecco come narrano i Vangeli il miracolo della Trasfigurazione: «Gesù prese con sè Pietro e Giacomo e Giovanni suo fratello, e li menò separatamente sopra un alto monte. «E fu dinanzi ad esso trasfigurato. E il suo volto era luminoso come il sole, e le sue vesti bianche come la neve. «E, a un tratto, apparvero ad essi Mosè ed Elìa, i quali discorrevano con lui. «E Pietro, prendendo la parola, disse a Gesù: – Signore, buona cosa è per noi lo star qui: se a te piace facciamo qui tre padiglioni, uno per te, uno per Mosè ed uno per Elìa. «Prima ch'egli finisse di parlare, ecco che una nuvola risplendente li adombrò. Ed ecco uscir dalla nuvola una voce che disse: « – Questi è il mio Figliuolo diletto nel quale mi sono compiaciuto: ascoltatelo. – «Udito ciò i discepoli caddero per terra ed ebbero gran timore. «Ma Gesù si accostò ad essi, li toccò e disse loro: « – Alzatevi e non temete. – «Elevando gli occhi non videro nessuno, fuori del solo Gesù». Attraverso alla semplicità primitiva dell'espressione, la scena trascedentale ci compare innanzi agli occhi della mente con efficacia e chiarezza singolare. Intanto, vediamo Gesù scegliere, fra i tanti, solo i pochi ch'egli riteneva degni di contemplare il prodigio: Pietro, colui al quale doveva trasmettere la sua missione di pastore d'anime: Giacomo, che tutto aveva abbandonato per seguirlo, e Giovanni, il discepolo prediletto, che donava come figlio alla madre sua. Li volle seco, quei pochi, nelle altezze solitarie, dove non giungevano lo sfarzo e la corruzione pagana, il vociare delle turbe acclamanti od ostili, l'affacendamento della città e dei villaggi. Nelle solitudini pure ed austere del monte, più vicini al cielo e all'infinito, tra le vergini bellezze della natura create da Chi fece sbocciare i mondi come i fiori, quando nessun pensiero materiale, nessuna preoccupazione meschina intorbidava le loro menti, rivolte alla preghiera, alla meditazione, all'ammirazione nel limpido mattino estivo, il Maestro stimò quei semplici degni di conoscere le sue origini divine. E bastò una rapida comunicazione col Mistero, con l'Ente supremo, perchè anche la sua mortale parvenza riflettesse lo splendore fulgido dell'anima sua, grande in quel momento, come gli sconfinati cieli. Le visioni degli Angeli, dei Messaggeri di Dio, ricorrono spesso nelle Sacre carte e il loro aspetto è sempre lo stesso: luce e candore. Di luce e di candore apparve anche la divina figura del Salvatore agli occhi dei discepoli atterriti dal prodigio che soverchiò, per la violenza della impressione, i loro sensi mortali, così che caddero tramortiti. E le auguste ombre dei profeti che avevano annunziata la sua venuta nel mondo gli aleggiarono intorno come gli emblemi della sapienza e della veggenza eterna. Il momento fu veramente divino. E gli uomini attratti nel cerchio mistico dell'estasi, dimentichi, d'ogni dolore e d'ogni miseria, come i puri spiriti fuori del mondo provarono così viva la sublime esultanza che avrebbero voluto durasse quanto la loro vita: «Signore, buona cosa è star quì...» dissero nel loro semplice e rozzo linguaggio; e nell'ingenuità loro pensavano al modo di arrestare l'attimo fuggente con un mezzo materiale: un padiglione, casa e tempio alle venerate figure... Ma poi la rivelazione del Divino li fulmina, ed è il Maestro dolce e pietoso che li rianima, che li conforta, che li fa rientrare nella sfera della realtà, del sogno, dell'infinito.... Più nulla: la fulgida visione è sparita: Gesù nella sua bianca stola parla ancora mite e familiare con essi: ma ciò che intravidero, che compresero, che sentirono in quel rapido volo d'anima nella luce oltremondana, certo quegli uomini non dimenticheranno più. Il monte Tabor può simboleggiare per noi il regno di quella pace inalterabile che si ottiene solo con l'assoluta purezza della coscienza. Ma per conquistarla bisogna essere con Dio, ed essere con Dio significa elevarci, lasciare le miserie e le macchie e la sollecitudine troppo viva del nostro benessere, della nostra felicità egoistica e trasformarci così da potere contemplare la verità nella sua essenza e udire la voce divina ammonirci di ascoltare la parola del Cristo e di seguirne l'esempio. XIV. La Madonna.

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XIII.
Trasfigurazione.

 

Il sei Agosto la Chiesa commemora uno dei punti più culminanti della vita di Gesù: il momento in cui Egli rivelò visibilmente la sua essenza divina agli smarriti occhi mortali e dubbiosi dei discepoli: il momento in cui, rapito nell'estasi della comunione del Suo spirito con l'Eterno, caduto l'involucro, di cui aveva voluto rivestirsi per conoscere e dividere i dolori del mondo, quasi si dissolveva alla fiamma pura e ardente dell'anima che anelava all'olocausto supremo.

Ecco come narrano i Vangeli il miracolo della Trasfigurazione:

«Gesù prese con Pietro e Giacomo e Giovanni suo fratello, e li menò separatamente sopra un alto monte.

«E fu dinanzi ad esso trasfigurato. E il suo volto era luminoso come il sole, e le sue vesti bianche come la neve.

«E, a un tratto, apparvero ad essi Mosè ed Elìa, i quali discorrevano con lui.

«E Pietro, prendendo la parola, disse a Gesù: – Signore, buona cosa è per noi lo star qui: se a te piace facciamo qui tre padiglioni, uno per te, uno per Mosè ed uno per Elìa.

«Prima ch'egli finisse di parlare, ecco che una nuvola risplendente li adombrò. Ed ecco uscir dalla nuvola una voce che disse:

« – Questi è il mio Figliuolo diletto nel quale mi sono compiaciuto: ascoltatelo. –

«Udito ciò i discepoli caddero per terra ed ebbero gran timore.

«Ma Gesù si accostò ad essi, li toccò e disse loro:

« – Alzatevi e non temete. –

«Elevando gli occhi non videro nessuno, fuori del solo Gesù».

Attraverso alla semplicità primitiva dell'espressione, la scena trascedentale ci compare innanzi agli occhi della mente con efficacia e chiarezza singolare. Intanto, vediamo Gesù scegliere, fra i tanti, solo i pochi ch'egli riteneva degni di contemplare il prodigio: Pietro, colui al quale doveva trasmettere la sua missione di pastore d'anime: Giacomo, che tutto aveva abbandonato per seguirlo, e Giovanni, il discepolo prediletto, che donava come figlio alla madre sua.

Li volle seco, quei pochi, nelle altezze solitarie, dove non giungevano lo sfarzo e la corruzione pagana, il vociare delle turbe acclamanti od ostili, l'affacendamento della città e dei villaggi. Nelle solitudini pure ed austere del monte, più vicini al cielo e all'infinito, tra le vergini della natura create da Chi fece sbocciare i mondi come i fiori, quando nessun pensiero materiale, nessuna preoccupazione meschina intorbidava le loro menti, rivolte alla preghiera, alla meditazione, all'ammirazione nel limpido mattino estivo, il Maestro stimò quei semplici degni di conoscere le sue origini divine. E bastò una rapida comunicazione col Mistero, con l'Ente supremo, perchè anche la sua mortale parvenza riflettesse lo splendore fulgido dell'anima sua, grande in quel momento, come gli sconfinati cieli.

Le visioni degli Angeli, dei Messaggeri di Dio, ricorrono spesso nelle Sacre carte e il loro aspetto è sempre lo stesso: luce e candore. Di luce e di candore apparve anche la divina figura del Salvatore agli occhi dei discepoli atterriti dal prodigio che soverchiò, per la violenza della impressione, i loro sensi mortali, così che caddero tramortiti. E le auguste ombre dei profeti che avevano annunziata la sua venuta nel mondo gli aleggiarono intorno come gli emblemi della sapienza e della veggenza eterna.

Il momento fu veramente divino. E gli uomini attratti nel cerchio mistico dell'estasi, dimentichi, d'ogni dolore e d'ogni miseria, come i puri spiriti fuori del mondo provarono così viva la sublime esultanza che avrebbero voluto durasse quanto la loro vita: «Signore, buona cosa è star quì...» dissero nel loro semplice e rozzo linguaggio; e nell'ingenuità loro pensavano al modo di arrestare l'attimo fuggente con un mezzo materiale: un padiglione, casa e tempio alle venerate figure...

Ma poi la rivelazione del Divino li fulmina, ed è il Maestro dolce e pietoso che li rianima, che li conforta, che li fa rientrare nella sfera della realtà, del sogno, dell'infinito....

Più nulla: la fulgida visione è sparita: Gesù nella sua bianca stola parla ancora mite e familiare con essi: ma ciò che intravidero, che compresero, che sentirono in quel rapido volo d'anima nella luce oltremondana, certo quegli uomini non dimenticheranno più.

Il monte Tabor può simboleggiare per noi il regno di quella pace inalterabile che si ottiene solo con l'assoluta purezza della coscienza. Ma per conquistarla bisogna essere con Dio, ed essere con Dio significa elevarci, lasciare le miserie e le macchie e la sollecitudine troppo viva del nostro benessere, della nostra felicità egoistica e trasformarci così da potere contemplare la verità nella sua essenza e udire la voce divina ammonirci di ascoltare la parola del Cristo e di seguirne l'esempio.


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