Jolanda
Pagine mistiche

XVIII. Fratellanza

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XVIII.
Fratellanza

 

Vi è una disposizione della coscienza che la Chiesa definisce per stato di grazia. La fede viva sicurezza alle azioni e alla condotta: la religione penetrata col suo spirito di luce nella vita la fa più limpida e serena: la letizia del sentirsi degni, di non avere a rimproverarsi nessuna grave trasgressione al proprio dovere o agli obblighi che incombono al cristiano, diffonde una pace soave e pia sull'anima, come un velo bianco profumato d'incenso. Il regno di Dio è in noi, come lo invocammo nella preghiera. Eppure bisogna vigilare, perchè appunto allora il pericolo può essere vicino. E il pericolo, in questo caso, è l'orgoglio, è l'intransigenza, è l'ingiustizia: l'orgoglio che a noi una misura esagerata del nostro valore morale; l'intransigenza per le colpe o le mancanze del prossimo; l'ingiustizia nel giudicarle, dimenticando che anche noi non siamo infallibili, e che se oggi ci reputiamo vittoriosi, domani potremmo essere vinti. Giacchè molte volte la virtù è sacrifizio, è aspra lotta, è domìnio; ma molte volte anche non è che mancanza di quelle occasioni che avrebbero potuto indurre in errore. Quindi prima di vantarci della nostra rettitudine e di scagliare le pietre contro chi è fuorviato, riflettiamo un po' che cosa avrebbe potuto essere di noi, delle nostre passioni, delle nostre male tendenze, se ci fossimo trovati nell'ambiente, nelle circostanze di coloro che biasimiamo.

Ricordiamoci che Dio è più benigno col peccatore umiliato e pentito, che non col giusto orgoglioso e sprezzante. Ricordiamoci che non basta esser buoni, essere retti, essere puri di cuore, d'intenzione e di sensi, se di questo stato di grazia ci faremo un piedistallo egoistico per scostarci ed innalzarci sul nostro fratello ed avvilirlo. La luce ci fu data per rischiarare anche quelli che sono nelle tenebre, e la forza e la gioia della buona coscienza perchè ne usiamo a trarre dal pèlago alla riva chi lotta contro l'infuriare delle onde. Le piaghe morali non ci devono ributtare in modo da impedirci di curarle, di alleviarne le conseguenze, di arrestarne il progresso micidiale. «Non han bisogno del medico i sani, ma i malati» dice il Vangelo: ma si deve quindi sfuggire costantemente ed coll'alterigia, con la noncuranza, con la superbia o l'ostilità quelle anime che ci hanno lasciato intravedere il loro profondo bisogno di salvezza.

È difficile, comprendo, superare qualche volta il disgusto, la contrarietà, l'abisso che ci divide da un nostro simile col quale pur sentiamo non aver nulla di comune se non l'origine e la fine. Ma per questa comunanza d'origine, appunto, delle anime venute tutte dal Mistero con gli stessi germi di luce: per la fine augusta, inevitabile che tutti i mortali uguaglia alle soglie di un altro Mistero, dove pur vigila Dio, dobbiamo usare violenza a noi stessi e valicare quell'abisso profondo. Cristo disse: «Io amo meglio la misericordia che il sacrifizio, perchè non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori». Rammentiamo, dunque, che la miglior offerta che si possa fare al Signore è quella di guidare qualche pellegrino smarrito verso la via della verità e della vita.

Purtroppo ai nostri giorni gli spiriti fasciati dalle tenebre dell'incredulità, dell'errore, sono molti. Ma che cosa facciamo per questi nostri fratelli? Spesso ci limitiamo a discussioni oziose, a parole pungenti, a rimproveri, a esortazioni insistenti per ottenere da essi qualche atto che è inutile, forse dannoso, se non motivato dalla convinzione e dall'arbitrio. Quanto più efficace, invece, l'esempio della parola: l'amore che soccorre generosamente e indulge e conforta e perdona: la mano che si stende muta, che aspetta paziente, che versa un balsamo di speranza e si cela per non essere veduta. «Porgete le mani a colui che è debole di fede» disse Gesù, non disputando delle opinioni. Meditate sulla divina clemenza, sulla divina semplicità di questo consiglio! Cristo non raccomanda di discutere, di persuadere, d'imporre le proprie ragioni con la sapienza, con l'eloquenza, col fascino del verbo: non ingiunge di circuire, di confutare, di convertire a forza chi non crede. «Porgetegli la mano raccomanda il maestro, così come avrebbe detto di fare per un viandante stanco, smarrito, per rincorarlo su in un aspro, ma sicuro cammino. «Porgetegli la mano» atto di fratellanza amorosa, di pietà, di protezione, di difesa, di pace. «E non disputate delle opinioniRispettate, cioè, il libero arbitrio, non violate le coscienze, non sopraffate: nemmeno la verità si deve inculcare a forza, poichè non si può amare ciò che venne imposto, ciò che si impadronì del nostro intimo con diritti orgogliosi di conquista. Il buon seme germoglia nella terra nera, senza che nessuno ne affretti lo schiudersi. È il sole, è l'alito della vita, è la voce della rinascita, del risveglio che penetrano giù nella prigione oscura e comandano al piccolo seme di germogliare, all'anima di risalire.

«Pei deboli mi sono fatto deboledice ancora Gesù: – per guadagnarli. Mi son fatto tutto a tutti, per tutti far salvi

Ecco l'esempio. Il Maestro ci dimostra che non è facendo misurare la distanza che separa il salvato dal salvatore che si conquistano i cuori al bene: ma rivelando ad essi quella comune origine delle anime, a cui ho accennato, uguagliandosi ad essi così che possano intendere il nostro linguaggio e non vedere in noi che un fratello pietoso. Cristo che era Dio e avrebbe potuto fare la conquista dei popoli con un lampo di rivelazione celeste, non volle: preferì nascondere la sua essenza divina in un involucro fragile e mortale, ed essere semplice, umile, povero, per accomunarsi agli umili, ai poveri, ai semplici, per compenetrare le anime loro della sua dottrina di mansuetudine, d'amore, e per insegnar loro le vie dell'altezza e del dominio spirituale.

Il Buon Pastore ebbe cura della pecorella smarrita. «Che sembra a voi? – Egli disse – Se un uomo ha cento pecore e di quelle una si sperde, costui, lasciate le novantanove su pei monti, va in cerca della smarrita. E se gli venga fatto di ritrovarla, in verità, vi dico, si rallegra di questa, più che delle novantanove non smarrite. Di tal guisa non vuolsi che dinanzi, al Padre vostro ne' cieli, uno solo di questi piccoli perisca

Dottrina d'uguaglianza e di giustizia! Ecco come Gesù, il nuovo legislatore, stabiliva nella vita un nuovo valore, una dignità nuova, quella delle anime! Uno di quei «piccoli» poteva essere lo schiavo su cui l'infame padrone avea diritto di vita e di morte: poteva essere l'umile vecchierella inconscia perfino d'esistere: poteva essere il malfattore che aveva l'ignoranza per scusa, o il povero paria che un'imperfezione fisica faceva oggetto di risa e di scherno. E il Buon Pastore venuto per risvegliare negli uomini tutti la coscienza della loro dignità di esseri, che attraverso alla spoglia caduca vedeva l'anima immortale, scendeva nel profondo dei burroni, rintracciava l'agnella sviata e la riparava contro il suo cuore.

Ma noi... quante pecorelle lasciammo smarrire per noncuranza, per egoismo, per viltà.... Come poco volemmo rintracciare attraverso un involucro rozzo, ripugnante, ridicolo la divina lampada di psiche spenta! Bastava forse solo aggiungere un po' d'olio per vederla risorgere, risfavillare festosa, ma non facemmo la carità dell'olio, e la lampada, forse si spense. Il nostro cuore fiammeggiò d'amore come un roveto ardente, ma a che servì quel fuoco se non ad alimentare le nostre egoistiche passioni? ad amare noi stessi in coloro ch'era un'ebbrezza l'amare e una gloriosa vittoria l'ottenerne l'amore? Verso quali fratelli lontani, perduti, incogniti, ma che pur sapevamo esistere e udivamo gridare al soccorso, stendemmo la mano, rivolgemmo lo sguardo, porgemmo i tesori dell'anima nostra, che tutti i giorni prodighiamo pure a chi ne ha bisogno? Quanti accogliemmo nella nostra dimora e rimandammo in pace? A quanti perdonammo con quello spirito sincero, vero, del perdono che non consiste solo nel dimenticare le offese, ma a rendere il bene per il male?

Noi ci troviamo tutti d'accordo nel deplorare le grandi ingiustizie sociali, nell'alleanza di difesa contro coloro che possono portarvi danno, nell'impietosirci o nell'imprecare alla vista delle miserie morali ma possiamo dire in coscienza – il più giusto degli uomini può egli affermarlo – d'aver fatto, individualmente, intanto, tutto il possibile per riparare ad una di queste ingiustizie, per scendere in fondo ad una di queste anime tenebrose, per sollevare efficacemente una sola di queste miserie? Oh pensiamo spesso, pensiamo sempre, che anche noi abbiamo, nei loro errori, nelle loro infrazioni, la nostra porzione di responsabilità, poichè facciamo parte di questa società civile già da noi accusata, a torto o a ragione, di aridità e di trascuratezza: e la società non potrà mai porre adeguato rimedio ai mali che l'affliggono se ciascuno dei suoi membri separatamente e nella misura delle proprie forze non s'adopererà con spontaneo volere e con coscienza dell'obbligo che gli incombe a vantaggio dei fratelli fuorviati e smarriti.


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