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XXI. Fiducia
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Gesù obbligò i suoi discepoli a montare in barca e precederlo all'altra riva, mentr'egli licenziava la folla. E, licenziata la folla, salì solo sopra un ponte a pregare. E venuta la sera era solo in quel luogo.
«Frattanto la barca era in mezzo al mare, sbattuta dalle onde; chè era contrario il vento. Ma alla quarta vigilia della notte, Gesù andò verso di loro, camminando sulle acque.
«E i discepoli, vistolo camminar sul mare, sbigottirono e dicevano:
«– È un fantasma.
«E per paura gridarono. Subito disse loro Gesù:
«– Fate cuore, son io: non temete.
«Signore, se sei Tu, comandami di venir da Te sulle acque.
«Egli disse: Vieni.
«E Pietro sceso di barca, camminava sulle acque per andar da Gesù. Ma, vedendo il vento gagliardo s'impaurì, e cominciando a sommergersi, gridò:
«Subito Gesù, stesa la mano lo riprese e disse:
«– Uomo di poca fede, perchè hai dubitato?
«Ed essendo montato in barca, il vento cessò. Ma gli altri nella barca gli si appressarono e lo adorarono dicendo:
«– Veramente tu sei Figlio di Dio.»
Nella poesia di questa visione è riposto un misterioso senso di pace nella fede e nell'abbandono assoluto alla volontà del Signore.
Il Maestro divino, il celeste pilota della nostra navicella errante sul mare della vita, non è con noi: i nostri occhi mortali più non lo discernono. Possiamo crederci abbandonati, senza protezione; invece Egli prega, Egli vigila per noi; e quando più ci sentiamo soli, nel buio della notte, sgomenti e smarriti, la bianca apparizione, sovrumana scende verso l'anima nostra, sorvolando leggera sui flutti minacciosi, come una divina promessa di salute. E noi, nelle tenebre, scorgiamo ad un tratto una luce, una guida, un conforto. La sola presenza dello spirito di Gesù ci inonda di trepida speranza, di pace soavissima. Gesù muove verso di noi: Gesù che la nostra leggerezza, la nostra noncuranza, la nostra disattenzione, il nostro orgoglio, avevano forse esiliato. Ecco, torna a noi, il celeste pilota, quando più ci sentiamo soli e sperduti: torna, giacche l'invocazione sincera del nostro desiderio gli è giunta e lo ha tocco. Eccolo, sulle onde cupe, inoltrare come una luce di faro che c'indichi la via per sfuggire alla morte sicura. Ma l'anima, disavvezza oramai dal sentirsi presso al suo Signore, sobbalza e teme. Non crede alla salvezza, al rifugio così vicini. È un inganno, non è il Dolce Consolatore dei cuori! Nè Egli ha potuto udire il nostro richiamo segreto, nè noi meritiamo ch'Egli venga. Ma la voce divina parla alla nostra coscienza e ci rassicura:
«Non temete: son io».
«Eccoti dunque, o Signore, – noi rispondiamo tremando nell'intimo del cuore. – Tu hai, dunque, udito il mio appello! Tu hai compreso che avevo tanto bisogno di te: che le onde sbattono la mia fragile navicella e che nessun soccorso umano potrebbe venirmi; che non lo speravo e che non osavo credere che Tu venissi a me, indegno.... Ma, lo vedi, ancora non posso affrancarmi, ancora il mio peso mortale mi vieta di ricoverarmi nelle tue braccia divine. Compi il miracolo, Signore: fa che io misero, debole, inetto, possa attraversare al sicuro le onde delle passioni e raggiungerti....
«Vieni.»
L'anima nostra si rende giubilante all'invito, ma a mezzo del cammino s'impaura. La vita con le sue passioni, coi suoi istinti, scava il vortice sotto i nostri passi. La volontà piega, la fede ci vien meno. L'immagine di Colui il cui esempio dobbiamo seguire, accanto al quale dobbiamo rifugiarci, pare s'allontani di nuovo, ora proprio che più avremmo bisogno di lui.
Certo, certo, il mare tempestoso della vita ci travolgerà tra i suoi flutti. La tempesta rugge e si scatena, e noi lanciamo un ultimo grido d'angoscia, e quel grido è una preghiera:
Allora, di nuovo, la voce divina si fa strada tra l'infuriare degli elementi, tra i tumulti del dolore e dell'affanno, ed è un rimprovero dolce per la nostra fede languente:
«Uomo di poca fede, perchè hai dubitato?»
Oh, no! ora non dubitiamo più, Gesù è con noi, è nella nostra navicella, e noi, forti e sicuri oramai, celebriamo la potenza di Dio.
Quante volte l'intervento superno ci salvò così, miracolosamente quasi, appunto nel momento del maggior pericolo e quando più dubitavamo! Eppure la divina voce aveva risonato nella nostra anima come una promessa, come un richiamo, come un invito alla fiducia in un aiuto immancabile. Ma noi, immersi nella caligine delle nostre tristezze profonde, sbattuti nelle ansie delle nostre lotte segrete, tormentati dallo spasimo della nostra disperazione, non ponemmo mente alla voce arcana che ci ammoniva di non affannarci, di non preoccuparci, di non abbandonarci come coloro che sono senza speranza.
Chiedemmo soccorso agli uomini che non ci compresero o ce lo negarono o ci tradirono: cercammo rimedio nei piaceri della vita, nelle soddisfazioni personali, nelle effervescenti ebbrezze che presto si dissolvono come la spuma delle onde: ma il turbamento, il vuoto, le vertigini, il senso di pericolo e d'abbandono non scompariva dal nostro cuore. E nell'ora del maggior sgomento, quando ci trovammo con l'anima spoglia da ogni vanità, da ogni illusione, in cospetto dell'abisso: quando le tenebre crescenti, più nulla ci lasciarono distinguere intorno, la nostra fede morta si riaccese per un istante, e con l'implorazione disperata del bimbo che spaurito cerca le braccia fide della mamma, gridammo anche noi come gli Apostoli sul mar di Tiberiade: «Signore, salvaci perchè moriamo!»
Fummo scampati. Allora contriti e gioiosi esaltammo la potenza della fede e la bontà di Dio.
Non bisognerebbe mai lasciare che lo spirito di Cristo si allontanasse dalla nostra vita, per chiamarlo soltanto nei casi urgenti, quando la fede è illanguidita, e la distanza fra noi e il Maestro è fatta più grande, tanto grande che occorre un miracolo per riunirci a Lui. Non bisognerebbe mai dimenticare che la nostra vita è una navicella sospesa tra due infiniti, che l'ombra dell'ignoto ci avvolge, e che le passioni possono sempre da piccole onde cullanti elevarsi a flutti irosi e perigliosi intorno a noi.
Molte volte ci sorprende la calma, la fortezza, con cui deboli creature spesso anche ignoranti ed umili sopportano le più terribili prove, e ci meraviglia d'altra parte l'insofferenza, la nessuna resistenza, di persone che pur avremmo creduto forti e superiori, per le contrarietà più comuni.
Solo la fede e la religione possono darci la spiegazione di questo fatto. Giacchè dove non è vera fede o religione bene intensa o almeno sincera, non è resistenza alcuna e il coraggio non è che apparente: mentre chi riposa all'ombra della Croce e in essa fonda le sue mistiche speranze, non sarà sconfitto giammai.
Trascriviamo, per ripeterla spesso, questa bella preghiera cristiana dettata da un'anima eletta:
«La barca dei tuoi navigava nelle tenebre, navigava nella tempesta. Ma la Tua anima orante vegliava. Oh, l'amore di quell'apparire sulle onde, di quel «Son io, non temete».
«Quante volte, Signore, Tu lo dici a noi, quando nel dolore ci visiti, quando a noi appari traverso la prova, e noi trasaliamo.... Il tuo «Son io» dammi di sentirlo ogni volta, Gesù, dammi di sentirlo fin nell'intimo, perchè l'anima mia dubbiosa non abbia a venir meno.
«E se alla Tua voce, come a Pietro, uno slancio d'amore a Te mi attira, e ti chiedo di chiamarmi anche più oltre, là ove solo virtù di fede soccorre, fa che la fede non mi manchi: fa che nessuna incertezza mi meriti quel Tuo rimprovero: il tuo rimprovero, Signore, che è una promessa».